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Autore: A_Typing_Heart    05/08/2023    1 recensioni
- La Spada di Dio parte 3 - «Servire la Spada di Dio è il compito più alto che un Caduto possa vedersi affidato nella sua vita, e tu hai già snaturato il tuo ruolo sfruttando la Spada per una tua vendetta. Ora intendi lasciare che commetta un peccato mortale a causa di quello che hai scelto di non fare?»
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Guren Ichinose, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Il giovane uomo ignorava del tutto i rantoli dell’anziano dentro la gabbia sulla quale stava seduto. Era preso ad analizzare le sue statistiche sullo schermo del tablet, e finché quei lamenti non fossero stati forti abbastanza da impedirgli di concentrarsi sui numeri non erano altro che rumore bianco.

Passi sul legno annunciarono l’arrivo di qualcuno. Dall’ombra della stanza emerse la figura di una donna con la coda di cavallo, che si bloccò prima di avvicinarsi.

«Che cos’è quella roba?»

Gli occhi scuri dell’uomo fissarono la smorfia della donna, che divenne subito un ghigno.

«È davvero un Hamilton 25? Quel coso è più vecchio di te, Katze. Non ti paghiamo abbastanza per comprartene uno più al passo coi tempi?»

Katze diede un colpetto affettuoso alla cover rinforzata del suo tablet.

«Fa il suo lavoro. Come me. Quindi nessun problema, giusto? Finché uno strumento lavora vale la pena di tenerlo.»

La donna ridacchiò, secca come rami calpestati nel bosco. Si chinò a guardare la gabbia e il vecchio, i cui occhi scorrevano intorno senza soffermarsi su nulla.

«Ma è Nothdurfter? Il vecchio Nothdurfter?»

«Detto “Sterling”, l’alchimista scomparso dodici anni fa. Ho sentito dire che qualcuno dei suoi sarebbe contento di regolare certe questioni con lui.»

Lei si passò la punta della lingua sul labbro e prese ad appuntarsi qualcosa sul libretto che aveva nella tasca della giacca.

«Sei la Sanders, vero?» buttò lì Katze, con aria guardinga. «Irge Sanders?»

«Certo che lo sono. Ma ti consiglierei di regolare i conti con me quando non è il mio turno sul palco. Ai Maestri non vanno giù bene gli imprevisti.»

«Non ho nessun conto con te. Sono già stato pagato.»

Katze salvò gli aggiornamenti sul suo terminale e balzò giù, allontanandosi a lunghi passi.

«Quindi non è un problema se ho battuto tuo padre?»

Lui si fermò solo per lanciarle un’occhiata e notare il suo sorriso innaturale.

«Non batterai me. Questo è quello che mi interessa.»

Uscì dal magazzino e si trattenne in un angolino per fumare una sigaretta. A giudicare dalla voce della Sanders che riecheggiava dal microfono, lo spettacolo era cominciato.

Gettò via il mozzicone e abbandonò il teatro, ma nel parcheggio dell’area di scarico le due guardie in abito nero che gli avevano aperto i cancelli l’aspettavano impettite, mentre Josip giaceva a terra in una pozza di sangue scuro. Allibito guardò gli altri.

«Ma che è successo?»

«Desolato, signore. Il suo collaboratore non ha rispettato le istruzioni. Gli era stato detto chiaramente di non scendere dal veicolo.»

Katze abbassò gli occhi su Josip e sospirò passandosi la mano sulla testa perfettamente rasata.

«Maledizione.»

«Non si dia pensiero, signore. Lo smaltimento è a carico nostro. A meno che non voglia disporne lei stesso.»

Sospirò ancora una volta, grattandosi la fronte.

«Lo lascio a voi, ragazzi.»

«Molto bene. Ma se posso darvi un consiglio» aggiunse la guardia più anziana, «la prossima volta scelga con più cura i suoi collaboratori. Se continuasse a portare qui persone che non sanno rispettare le istruzioni e ficcano il naso, diventerebbe un… ospite sgradito lei stesso.»

Katze non replicò a quel consiglio, ben sapendo che cosa significasse. Salì sul furgoncino – questa volta al posto di guida – e fece retromarcia per uscire dal cortile. Mentre la guardia più silenziosa richiudeva il cancello con il catenaccio Katze teneva gli occhi fissi su Josip, riflettendo. Infine si decise a prendere il cellulare e a fare una chiamata.

«Sono io… senti, per caso sei ancora dell’idea di lavorare per me?»

Il chiasso al di là del telefono lasciava intendere che fosse sul posto di lavoro, e gli venne voglia di passare a bere qualcosa.

«Te l’ho già detto, però: i miei non sono dei manovali, che eseguono gli ordini, come un cane che corre a raccogliere l’anatra a cui spari. Trovami qualcosa di raro e discutiamo tutti i dettagli. È la volta buona, Stephan.»

   
 
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