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Autore: Kakashi_Haibara    27/08/2023    1 recensioni
Stati Uniti, 1985
Il governo statunitense ha indetto una caccia spietata ai mutanti, esseri umani dotati di poteri soprannaturali, per proteggere l'umanità in pericolo.
Feliciano Vargas è un mutante arrestato dall'esercito e rinchiuso nell'inespugnabile fortezza di Westbrook, dove vengono catturati e studiati i mutanti più temuti. Dovrà sopravvivere all'interno della prigione, tra esperimenti e lavori forzati, per poter tornare a casa e riabbracciare il fratello maggiore, aiutato nel frattempo da un gruppo di mutanti rivoluzionari determinati a salvare i prigionieri.
È una storia in cui due mondi opposti si scontrano e si uniscono continuamente tra il dolore, l'amore, l'amicizia e l'odio.
[Mutant!AU, supernatural powers]
(Coppie principali: GerIta, Spamano, FrUK)
!ATTENZIONE! il rating potrebbe salire da arancione a rosso, per scene future con contenuti violenti e/o sessuali espliciti
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 8

 

10 febbraio 1985, sotterraneo di Villa Caesar, Portland, Maine, USA

 

- Dunque mi stai dicendo che c’è un microchip che funge da protezione contro i poteri dei mutanti, inciso sottopelle nell'avambraccio dei soldati? - domandò Arthur Kirkland, scettico.

Era a braccia conserte con la schiena appoggiata al bordo della scrivania del suo ufficio del sotterraneo. Le folte sopracciglia nere erano corrugate in un'espressione pensosa. Nonostante il viso provato dalla stanchezza, i suoi occhi verde smeraldo erano vigili e guizzavano da una parte all'altra, seguendo i suoi pensieri.

- Proprio così. - annuì Romano, seduto su una sedia di legno pericolante. Ansimava per via della corsa fatta per arrivare alla villa e trangugiava grandi sorsi d'acqua fresca.

Alfred, che era in piedi accanto ad Arthur, fece un passo in avanti, dispiegando con uno scatto le ali d'aquila. Romano non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma quando faceva così sentiva i battiti del suo cuore accelerare per la paura. - Vuoi dire che quindi il motivo per cui Arthur non riesce a entrare nelle menti dei soldati e a estorcergli informazioni è un semplice microchip?

- Esatto. - annuì Romano. - Con ogni probabilità creato in laboratorio proprio come i collari e le sentinelle.

- Dove hai reperito questa informazione? - chiese Arthur, aggrottando ancora di più le sopracciglia.

Romano deglutì a fatica un grosso groppo di saliva. Non poteva mentire a un telepate. - Ho fatto la conoscenza di un soldato. Nella conversazione che abbiamo avuto si è lasciato sfuggire questo dettaglio… Lui però non sa che sono un mutante! - si affrettò a precisare. - Ho fatto attenzione a non rivelare nulla.

Arthur annuì, pensieroso. Fece qualche passo su e giù per la stanza, trascinandosi dietro delle penne e dei fogli fluttuanti, che Romano dovette prontamente schivare, piegandosi. Quando si fermò, gli lanciò una rapida occhiata. - Non perdere i contatti con questo soldato, potrebbe rivelarsi utile.

- Cosa?! - Romano balzò in piedi. - Non se ne parla! E se dovesse scoprirmi? Non posso perdere tempo con queste sciocchezze, devo salvare mio fratello.

- Di tuo fratello ce ne occuperemo noi, ma il tuo aiuto sarà fondamentale per tirarlo fuori dalla fortezza. - lo sguardo di Arthur era eloquente: non ammetteva storie a un suo ordine. - Se dovesse scoprire la tua identità, interverrò io personalmente e sarai al sicuro.

Romano borbottò qualche imprecazione, ma non ribatté più. Scontrarsi con Arthur non avrebbe avuto senso.

Il biondo addolcì il tono e rilassò il viso. - Beh, in ogni caso, sei arrivato giusto in tempo.

Romano alzò un sopracciglio, incrociando le braccia. - Per cosa?

Arthur gli sorrise senza rispondergli e poi appoggiò una mano sulla spalla di Alfred. - Raduna tutti nella sala delle riunioni, annunceremo il piano per la prossima soffiata.

 

 

Romano non si sarebbe mai aspettato nella sua vita di ritrovarsi nella stessa stanza con una quarantina di mutanti assetati di vendetta e voglia di riscatto. Come riuscissero a starci tutti nella sala comune del sotterraneo della villa era ancora un mistero.

Si fece largo tra la folla in cerca di un posto a sedere. L’atmosfera all’interno della sala era inebriante: c’erano adulti, ragazzi e perfino bambini, che correvano tra le gambe dei presenti. Passò di fianco al mutante che l'aveva medicato qualche giorno prima, Yao, che lo salutò con un cenno del capo. Stava parlando con una donna, la quale accarezzava i capelli di un bambino, avvinghiato alla sua vita. Romano intuì che fossero una famiglia. Poco più avanti un gruppo di quattro ragazzi dalla carnagione chiara e i capelli biondi sembrava intento in una conversazione molto animata in una lingua che non conosceva, ma che intuì essere nordica. Ai piedi di uno di loro era accovacciato un cagnolino dal pelo bianco e riccioluto che sonnecchiava tranquillamente, per niente infastidito dalla confusione. Siccome erano troppo rumorosi per i gusti dell’italiano, in particolare il ragazzo con una terrificante pettinatura “a carciofo”, decise di sedersi il più lontano possibile. Notò il mutante con il completo di velluto viola dell’altro giorno - Roderich, se non ricordava male - seduto a braccia conserte in un angolo della stanza, in disparte. Teneva gli occhi chiusi, come se stesse dormendo, e non sembrava badare alle parole di un ragazzo, seduto alla sua destra, dai capelli castani coperti in parte da un’eccentrica bombetta rossa. Gli parlava con foga indicando ogni tanto un libro che stringeva tra le mani. Quando sorrideva mostrava i canini aguzzi, come quelli di un vampiro, e gli occhi rossi brillavano di entusiasmo. Romano temette che da un momento all’altro potesse saltare al collo di Roderich e prosciugargli tutto il sangue che aveva in vena. Quel pensiero lo fece rabbrividire e si allontanò alla svelta.

Trovò una sedia libera sul lato sinistro della stanza, abbastanza lontana dalle prime file.

Il vociare cessò non appena Arthur mise piede nella stanza.

- Dunque, direi che possiamo iniziare. - esordì, mettendosi a braccia conserte davanti a un tavolo, sul quale era seduto Alfred con il suo solito sorriso spavaldo, elettrizzato per la situazione.

- È giunto il momento di annunciare il piano per la prossima soffiata. - lo sguardo sicuro squadrava i presenti, che pendevano dalle sue labbra. - Sarà decisiva. L’obiettivo primario è indebolire le difese della fortezza. Dovremo impiegare tutte le nostre forze per ottenere ogni informazione necessaria in vista futuro attacco finale. Questo sarà possibile grazie ai poteri dei nuovi arrivati. Alfred?

Il ragazzo interpellato balzò giù dal tavolo, lo aggirò e si mise di fronte alla lavagna appesa dietro al tavolo. Prese in mano un gessetto da una scatolina e iniziò a disegnare. Sembrava al settimo cielo per quel compito, come un bambino. Solo dopo qualche attimo Romano realizzò che stava disegnando il perimetro della roccaforte e di conseguenza la pianta dell’intera fortezza vista dall’alto.

Arthur proseguì. - La fortezza è dotata di un singolo accesso, vale a dire il portone principale. Viene sorvegliato da guardie e telecamere giorno e notte. L’ingresso è possibile solo tramite documentazione e un controllo facciale. Dunque, potremo entrare solo dall’alto.

Alfred marcò il margine della fortezza visto dall’alto per evidenziare le mura, contrassegnandolo da quattro quadrati ai lati e un rettangolo nella parte superiore.

- Le mura vengono sorvegliate da cecchini e dentro le quattro torri di vedetta, che attivano e disattivano i fari, sono appostate almeno due guardie. - continuò Arthur, scrutando i presenti. - Ma a noi interessa la torre di controllo.

Indicò il rettangolo disegnato da Alfred. - Se disinneschiamo il meccanismo che alimenta la barriera anti-poteri, avremo libero accesso a ogni angolo della fortezza.

Roderich intervenne. - Entrando nella torre non faremo attivare l’allarme?

Arthur rispose con un ghigno. - Ecco perché le altre quattro torri saranno indispensabili. - prese a camminare su e giù per la stanza, guardando negli occhi i rivoluzionari uno a uno. - Agiremo di notte. Per poter entrare indisturbati nella fortezza, spegneremo i fari delle due torri a Nord, quelle ai lati della torre di controllo. In questo modo noi non rischieremo di dispiegare troppo le nostre forze, mentre i soldati saranno costretti a dividersi tra chi starà di guardia sulle altre due torri e chi accorrerà per le due assediate. Le torri saranno dunque l’esca su cui si concentreranno i soldati, dandoci il tempo di arrivare ai comandi, disattivare la barriera, entrare nella fortezza per rubare tutte le mappe che troveremo ed eventualmente addentrarci più a fondo per tracciare il territorio interno, includendo quindi corridoi, stanze, celle dei prigionieri, laboratorio e… Alfred?!

Il suono del gesso sulla lavagna si interruppe e l’interpellato si voltò, colto sul fatto: stava disegnando una gigantografia di se stesso in cima alla fortezza con le ali spiegate e intento a salvare i mutanti sullo sfondo. Romano gli avrebbe dato un dieci per la creatività.

- Cosa? - domandò Alfred, sinceramente confuso. - Stavi comunque arrivando alla parte in cui dici che io sono l’eroe, no?

Arthur si strusciò una mano sul viso, sforzandosi di non lanciargli un tavolo in testa con la sola forza del pensiero. - Stavo arrivando all’assegnazione dei ruoli, ora puoi sederti.

Alfred fece spallucce, lanciando in aria il gessetto e riprendendolo al volo con una mano, per poi tornare a sedersi a gambe incrociate sul tavolo, alla destra di Arthur.

Il capo dei rivoluzionari sospirò, ricomponendosi. - Ognuno di voi sarà assegnato a quattro categorie in base alle capacità e all’utilità del vostro potere. Innanzitutto, abbiamo i combattenti,  divisi in due gruppi: i più abili con le armi da fuoco e nel corpo a corpo affronteranno i soldati sulle mura, mentre i mutanti che necessitano dell’uso dei loro poteri staranno alla base della fortezza, liberi dal potere della barriera. Poi abbiamo gli addetti a disattivare i due fari e la barriera e alla confisca delle mappe. Questi saranno portati alle torri e, terminato il lavoro, condotti in salvo dall’ultima categoria, i trasportatori, cioè chiunque abbia un potere che gli permetta di dileguarsi dal posto alla svelta, come Alfred, Yao e Linh. I combattenti invece dovranno scalare la roccia a piedi, eventualmente aiutati dai mutanti a terra che potranno sollevarli con la magia, come Vladimir.

Il viso del vampiro di fianco a Roderich si illuminò, mostrando i canini aguzzi. - Farò del mio meglio!

Romano si guardò intorno. Alcuni dei presenti annuivano pensierosi, intuendo già il ruolo a loro assegnato, altri si scambiavano occhiate preoccupate. L’italiano non potè far a meno che confermare il loro timore: sembrava un piano destinato a fallire miseramente. Si prese coraggio e alzò la voce.

- Con tutto il rispetto, Arthur, ma mi sembra un piano suicida. - la stanza ammutolì. Si sentiva gli occhi di tutti i presenti addosso, ma questo non frenò la sua lingua lunga. - Chiunque si addentrerà nei corridoi della fortezza per rubare le mappe, andrà incontro a morte certa. I soldati spareranno a vista o peggio, li cattureranno e tortureranno pur di ottenere tutte le informazioni di cui hanno bisogno. E poi dove le troviamo le armi per i mutanti mandati sulle mura?

Dopo qualche attimo di silenzio, il ragazzo biondo con la pettinatura a carciofo si fece sfuggire una risata di scherno, guadagnandosi l’occhiataccia del mutante alla sua sinistra. - Sei nuovo, non è vero?

Romano divenne rosso fino alla punta delle orecchie, piccato da quell’affermazione, e in quel momento volle sprofondare sulla sedia e diventare invisibile per sempre.

Arthur zittì il ragazzo nordico con un’occhiata torva. - Romano, sono consapevole dei rischi e voglio che lo siate anche tutti voi. Non sarà una missione facile, per questo chi non si sente all’altezza potrà farsi da parte già da questo momento.

Altri mormorii si levarono nella stanza, ma nessuno si mosse. Romano rimase sbalordito dal coraggio di ognuno di quei mutanti, un coraggio che lui era certo di non possedere. Nonostante questo, non abbandonò la stanza.

Il capo dei rivoluzionari piegò le labbra in un sorriso scaltro. - Molto bene. Abbiamo otto giorni per preparaci. Probabilmente il generale Beilschmidt si aspetta un attacco, dobbiamo agire con cautela per ridurre al minimo i danni e fare in modo che nessuno di noi venga catturato.

Rovistò nella tasca della sua giacca e tirò fuori un foglietto di carta  bianco. - Io disattiverò la barriera, mentre voi vi occuperete dei fari e dei soldati. Agirò da solo. Come molti di voi già sapranno, sono nel mirino dell’esercito da molto tempo, in particolare di lui. - Voltò il foglio, in modo che tutti potessero vedere il suo contenuto. Era la fotografia di un ragazzo in divisa, a giudicare dalle targhette sul petto era un colonnello. I capelli rosso fuoco gli contornavano il viso allungato e spigoloso, definito da due sottili occhi verdi, come quelli di un serpente, sovrastati da due folte sopracciglia nere. Le labbra sottili erano incurvate in un ghigno raccapricciante. - È un uomo dotato di una crudeltà fuori dal comune, che mi vorrebbe morto più di chiunque altro e che non ha alcuna pietà per i mutanti. Imbattersi in lui significa andare incontro a morte certa.

Romano sapeva che dopo l’intervento di prima sarebbe stato meglio se fosse rimasto zitto, ma non poteva tenere a freno la curiosità. - Perché? Chi è?

Arthur tenne lo sguardo basso sulla fotografia. Forse fu solo un’impressione di Romano, ma il suo viso sembrava attraversato da un velo di timore. Poi prese un sospiro e puntò gli occhi su di lui. - È Allistor Kirkland. Mio fratello maggiore.

 

 

12 febbraio 1985, fortezza di Westbrook, Maine, USA

 

L’eco dei suoi stessi passi pesanti che rimbombava sulle pareti dei corridoi semivuoti non faceva altro che aggravare il dolore che Ludwig provava alla testa. Erano ormai giorni che pensieri invadenti gli impedivano di riposare serenamente, facendogli passare notti insonni a sudare e a rigirarsi nel letto.

Si massaggiò le tempie tra le dita guantate, emettendo un lieve sospiro colmo di stanchezza. Si chiese se, a lungo andare, questo problema avrebbe compromesso il suo lavoro all’interno della fortezza. Forse avrebbe potuto chiedere una pausa di qualche giorno per liberare la mente, dopotutto erano anni che lavorava senza alcun giorno di riposo.

Scosse la testa. Non era quello il motivo delle notti passate a fissare il soffitto della sua stanza, dei continui pensieri che gli affollavano la mente senza permettergli di dormire, dell’angoscia che gli stringeva il cuore e gli attanagliava lo stomaco quasi da fargli male.

Tutto era iniziato quel giorno in laboratorio. Ludwig non sapeva come spiegarselo, ma vedere di persona il trattamento riservato ai mutanti dentro quelle stanze lo aveva scosso più di quanto volesse ammettere. Era sempre stato al corrente degli esperimenti che il suo stesso nonno aveva avviato per studiare i poteri dei mutanti, ma forse era stato più facile ignorare la realtà piuttosto che affrontarla. In un solo istante, tutte le certezze di cui era stato imbottito fin da bambino erano crollate. Non avrebbe dovuto sentirsi così, si diceva. Lui era un soldato, lui era normale, era diverso da quei mutanti, quegli scherzi della natura che non sarebbero dovuti esistere… O almeno così gli era stato detto. Non ci aveva mai creduto veramente, ma fingere di crederci era stata l’unica opzione possibile per tutta la sua vita.

Poi era arrivato il giorno in infermeria. Ludwig era andato a trovare Feliciano nonostante non fosse necessario. Eppure lui l’aveva fatto comunque, era stato al suo fianco ogni giorno fino a che non si era svegliato. Vederlo riaprire gli occhi lo aveva per un attimo liberato dal profondo senso di colpa che provava da tempo.

Io penso che tu non abbia alcuna colpa” gli aveva detto. Quelle parole lo avevano rassicurato, ma al tempo stesso si era domandato se non lo stesse dicendo solo per bontà d’animo, costringendolo a scavare nei suoi pensieri più profondi per cercare una colpa da affliggersi per ciò che era successo a Feliciano e non solo.

Sin dal giorno in cui era arrivato, quel mutante aveva avuto uno strano effetto su di lui. Era impacciato, solare, anche un po’ stupido a dirla tutta, e soprattutto vedeva il buono nelle persone. Anche in quelle che non se lo meritavano, come lui. Questa sua gentilezza inizialmente lo aveva irritato, eppure al contempo ne era stato attratto come un magnete. Ed era proprio dal giorno in infermeria che i suoi pensieri sul mutante non gli avevano dato un attimo di pace. Ogni notte, poco prima di addormentarsi, Ludwig si ritrovava ancora seduto nella stanza dell’infermeria, di fianco al letto di Feliciano, la mano di lui appoggiata sulla sua guancia calda per il rossore, i grandi e mansueti occhi marroni fissi sui suoi, il suo viso a qualche centimetro dal suo, tanto da riuscirne a sentire il respiro. E ogni notte si dimenava sulla sua branda per le emozioni che gli faceva provare quella scena impressa nella sua memoria. Immaginava di poter toccare a sua volta il viso di Feliciano, di stringere i suoi fianchi sottili tra le mani, come quel giorno nel bagno, di sfiorare il suo collo nudo con le labbra…

Ludwig sobbalzò e bloccò la sua marcia. Scosse con forza il capo, allontanando quei pensieri indecenti dalla sua mente. Il cuore che gli martellava nel petto. Che cosa avrebbe pensato suo nonno? Lui, un soldato, che provava dei sentimenti per un mutante. L’avrebbe rinchiuso a vita e non sarebbe stata la prima volta che serbava quel trattamento a un nipote… Quel pensiero lo riportò alla realtà: lui era il capo delle guardie della fortezza di Westbrook e aveva dei lavori da svolgere, non sarebbe stato intralciato da pensieri lascivi.

Il primo compito di quella giornata era portare Feliciano a sottoporsi a dei controlli di salute, come stabilito una settimana prima.

Varcate le porte che conducevano al corridoio delle celle, andò spedito verso quella di Feliciano. - Ti accompagno in infermeria. - disse una volta aperta la cella.

Feliciano balzò giù dal letto a castello con il suo solito sorriso radioso stampato in viso. Almeno non sembrava stare male.

Ludwig lanciò un’occhiata a Kiku, il suo compagno di cella, il quale lo ignorò, distratto dai fratellini che gli parlavano in cinese, lingua che il soldato non comprendeva. Non era ancora stato capace di creare un rapporto con lui come era riuscito invece con Feliciano o Elizabeta, ma d’altronde perché avrebbe dovuto? Kiku aveva tutto il diritto di essere infuriato per la situazione in cui si trovava. Un’altra fitta dettata dal senso di colpa gli trafisse il cuore.

La voce squillante di Feliciano lo distrasse. - Andiamo da Erica, non è vero? - chiese muovendo le braccia con fare concitato. - Mi piace andare da lei, è proprio una bella ragazza e poi è simpatica.

Ludwig sospirò: a quanto pare il mal di testa non gli sarebbe passato in giornata. - Andiamo.

Prese Feliciano per l’avambraccio e se lo trascinò dietro, senza però fargli del male. Era cosciente del fatto che Feliciano gli stesse parlando, ma Ludwig non aveva la forza mentale per ascoltarlo.

Poco prima di mettere piede fuori dal corridoio, sentì una voce fin troppo familiare provenire da una delle celle alla sua destra. - Una volta eri gentile anche con me.

Un brivido gli percorse lungo il corpo, sentì le dita delle mani formicolargli e il cuore pompare dentro il petto sempre più forte. Quel senso di colpa che lo tormentava tornò più vivo che mai a invadergli la mente.

Voltò il capo lentamente e oltre le sbarre vide una persona che conosceva fin troppo bene e che era dentro la fortezza ormai da mesi: Gilbert Beildschmidt, suo fratello maggiore.

Da quando era stato rinchiuso non era cambiato granché. I capelli bianchi erano un po’ più lunghi e spettinati, gli occhi rossi ancora brillavano scaltri come quelli di una volpe e non aveva perso il ghigno beffardo che lo aveva sempre caratterizzato e con cui lo stava guardando in quel momento.

- Ciao, fratellino, come te la passi nella parte fortunata della prigione? - domandò avvicinandosi alle sbarre.

Ludwig cercò di deglutire, ma la gola era troppo secca. Voleva fuggire da quell’incontro, ma le gambe erano paralizzate. In quel momento riusciva a pensare solo a una cosa: “Colpevole, colpevole, colpevole!”. Gilbert non gli aveva quasi mai rivolto la parola da quando era stato rinchiuso nella fortezza e questo suo comportamento aveva aiutato Ludwig a non pensare a lui. Ma adesso era lì, in piedi davanti a lui, dietro le sbarre della prigione in cui lui stesso lavorava. Ludwig come soldato si sarebbe dovuto sentire più forte, ma non lo era affatto, non di fronte a suo fratello. Lui non era mai stato forte, Gilbert sì.

- Ludwig… - pigolò la voce di Feliciano alle sue spalle. - Gilbert è tuo fratello?

- Oh Feli! - esclamò Gilbert sorridendo. - Mi spiace avertelo tenuto nascosto. Lud è proprio il mio fratellino, guarda quanta strada ha fatto. Così giovane ed è già capitano delle guardie dell’esercito statunitense!

Nelle sue parole non c’era traccia di risentimento, ma Ludwig sapeva che ne provava più di quanto ne dimostrasse. E lo provava proprio verso di lui, la causa del suo imprigionamento.

Si prese coraggio e guardò suo fratello negli occhi. - In questo momento sono in servizio, non posso chiacchierare con te.

Si voltò, ma sentì la mano di Gilbert stringersi intorno al suo polso. - Non parliamo da mesi, Lud. Non respingermi così.

Quelle parole minarono la sua compostezza, ma resistette all’impulso di cadere tra le braccia del fratello e piangere disperato in cerca di affetto e sostegno, come quando erano bambini.

Due guardie avanzarono verso Gilbert intimandogli con fare aggressivo di lasciare la presa, ma Ludwig le bloccò con un’occhiata raggelante. - Non ce n’è bisogno, posso gestire la situazione da solo. - poi rivolse lo sguardo verso il fratello, liberandosi dalla sua stretta. - Al momento sono impegnato. E sai che non ci è concesso parlare. Ci vediamo, Gilbert.

Afferrò il braccio di Feliciano, stavolta senza misurare la propria forza, e lo trascinò via dalla stanza. Poteva sentire gli occhi affranti di suo fratello alle sue spalle, la delusione che provava e, senza dubbio, il disprezzo. Prima di chiudersi le porte alle spalle, sentì Gilbert urlargli dietro con il suo solito tono canzonatorio. - Ricordati di dar da mangiare a Gilbird!

La freddezza con cui aveva rivolto quelle parole a Gilbert lo spaventò. Da quando era diventato così bravo a mascherare i suoi reali sentimenti? In realtà non vedeva l’ora di parlare con suo fratello, di riabbracciarlo, di tirarlo fuori da quella prigione… Ma non poteva. Non finché era sotto il controllo del nonno.

- Ludwig? Mi stai facendo male. - sussurrò Feliciano.

Il soldato lasciò immediatamente la presa, provando quasi dolore alle dita, rimaste fino a quel momento contratte intorno al suo braccio. - Perdonami. - abbassò lo sguardo, incapace di incrociare quello insistente del mutante.

Feliciano si massaggiò il braccio e non esitò a parlare. - Secondo me dovresti dargli una possibilità e riappacificarvi, qualsiasi cosa sia successa tra voi due.

Ludwig non gli rispose. Non era in vena di parlare della situazione tra lui e suo fratello, sentiva solamente una profonda stanchezza e un dolore pulsante alla testa, avrebbe voluto affondare la faccia nel cuscino del suo letto e urlare fino a farsi mancare l’aria.

- I litigi tra fratelli non durano a lungo, specialmente se si vogliono tanto bene. - continuò Feliciano. - E io sono certo che ve ne volete l’uno per l’altro.

- Basta, Feliciano. - mormorò Ludwig. Non pensava sarebbe stato in grado di sopportare la parlantina del mutante in quella situazione.

- Sai, a volte capita che sul momento ci si senta sopraffatti dalle proprie emozioni o dal proprio orgoglio, ma poi è necessario metterlo da parte per trovare una soluzione comune. E vedrai che tornerete più amici di prim-

Ludwig lo interruppe bruscamente. - Ho detto basta! - sbottò, alzando la voce. Vide Feliciano sobbalzare, ma non si fermò. Le emozioni che aveva imbottigliato fino a quel momento si riversarono fuori come un fiume in piena. - Non possiamo parlare adesso e non potremo farlo in futuro, non c’è alcuna soluzione. - sapeva di doversi fermare, ma non potè controllare le parole e la rabbia che provava. - Io e Gilbert non siamo più fratelli. Le nostre vite ormai sono separate. Il nostro rapporto non sarà mai più come prima, ma tu non puoi saperlo perché non proverai mai ciò che sto provando io. Non saprai mai cosa vuol dire essere separati dal proprio fratello, perché non ce l’hai!

Vide il volto sconcertato di Feliciano contorcersi piano piano in una smorfia di tristezza, gli occhi gli si bagnarono dalle lacrime e Ludwig sentì il cuore sprofondargli nello stomaco. Era andato troppo oltre, aveva lasciato che la rabbia prendesse il sopravvento, spaventando Feliciano. Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi e si voltò. - La porta dell’infermeria è quella lì a destra. - la indicò con un cenno del capo. - Entra da solo. Ho bisogno di un po’ di tempo per pensare.

Prima di incamminarsi dalla parte opposta del corridoio, vide le labbra di Feliciano schiudersi in cerca di qualcosa da dire, ma poi lo sentì avviarsi verso l’infermeria.

Ludwig trovò il primo bagno libero e ci si infilò dentro. Si sciacquò il viso con un po’ d’acqua fresca del lavandino e rimase a fissare il suo riflesso allo specchio. Il rubinetto ancora aperto, lo scrosciare dell’acqua come sottofondo ai suoi pensieri.

Non si riconosceva più. Gli occhi stanchi circondati da occhiaie, le guance scavate dalla stanchezza e le mani che tremavano erano tutti segni del profondo rimorso che lo logorava.

Perché era ancora lì? Che cosa ci avrebbe guadagnato? Niente sarebbe bastato a colmare ciò che aveva perso, primo fra tutti il legame con suo fratello.

Poteva pur sempre congedarsi e dedicarsi alle sue passioni. Amava studiare. Avrebbe potuto iscriversi al college. Ma a che costo? Non poteva lasciare soli suo fratello, Feliciano e gli altri mutanti in quella prigione, doveva fare in modo che non finissero in situazioni pericolose per la loro incolumità. Non che ci fosse riuscito in ogni caso…

Chiuse gli occhi e sospirò, girando la manopola del rubinetto. Sentì le gocce di acqua rigargli le guance e cadere sul lavandino. Quando riaprì gli occhi, vide una figura alle sue spalle. Sobbalzò contenendo un grido e si voltò di scatto. - Nonno?! Cosa ci fai qui?

Con il suo fare serio e austero, suo nonno, Walter Beildschmidt, era in piedi sulla soglia del bagno. Il volto imperscrutabile e duro come la pietra, la mano destra aggrappata al suo bastone di legno nero e l’altra posta dietro la schiena. Alzò un sopracciglio, squadrandolo con i suoi freddi occhi celesti. - Ti senti poco bene, Ludwig?

Il ragazzo deglutì. Non poteva rivelare ciò che gli passava per la testa, i dubbi che lo assillavano, i sentimenti che provava. Tentò di ricomporsi levandosi l’acqua dal viso e tirando indietro i capelli con le mani. - Ho lavorato molto negli ultimi mesi e la stanchezza ha preso il sopravvento per un attimo. Sto bene. - lo rassicurò. Dopotutto, c’era un fondo di verità in ciò che stava dicendo.

Suo nonno assottigliò lo sguardo, come in cerca di qualche traccia di bugia. Si limitò ad annuire con un solo cenno del capo. - Se ostacola il tuo duro lavoro, sono disposto a concederti qualche giorno di riposo. Devi solo chiedere.

Ludwig annuì. Era più semplice a dirsi che a farsi.

Dopo qualche attimo, Walter gli fece cenno con il capo di seguirlo. - Voglio che tu veda una cosa, adesso.

Il suo tono non ammetteva dissensi, ma Ludwig si prese coraggio. - Adesso? Ma sono in servizio, ho un mutante a mio carico in infermeria in questo momento.

Suo nonno sembrò pensarci su. - L’italiano Vargas, non è vero? Puoi portare anche lui. Incontratemi all’ingresso dei laboratori.

Si avviò per uscire dal bagno, ma Ludwig lo incalzò. - Per quale motivo?

Walter si fermò, il pomello della porta tra le dita. Incurvò le labbra in un mezzo sorriso quasi inquietante. - Ti mostro la fonte che alimenta la barriera anti-mutanti.




Spazio dell'Autrice
Sono tornata dalle vacanzeeee
Ma ho tre esami a settembre e devo finire il primo capitolo della tesi, sono sommersa da cose da fare T^T
Almeno sono riuscita a pubblicare questo capitolo, dai! Si avvicina l'azione!
Spero che vi sia piaciuto, ci rivediamo alla prossima! Bacii <3

   
 
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