L’Isola
dei Dannati
A.o.T.
Mission-almost-Impossible
37
L'isola
che
non c'è
La
piccola si era svegliata e aveva cominciato a strillare. Eren si
diresse subito alla culla e la prese con delicatezza come a suo tempo
gli aveva insegnato Krista. Tenendole una mano sotto la testa se
l'appoggiò sul petto, poi andò in cucina e si mise ad armeggiare
alla ben meglio per scaldare il latte artificiale, purtroppo Krista
ne aveva poco e non bastava mai a sfamarla. La bimba era vorace e
cresceva in fretta, quelle giunte
erano
indispensabili. Fin da subito aveva voluto imparare a nutrirla e
cambiarla per dare una mano e contribuire attivamente alla sua
crescita.
Come sua figlia venne a contatto con il calore del suo
corpo non smise di piangere, ma prese a farlo in modo più sommesso,
mugolando un po' tra un vagito e l'altro, mentre si era anche
cacciata una manina in bocca ciucciandola con frenesia.
Eren era
sempre molto affascinato da come un essere così piccolo fosse già
in grado di capire che qualcuno si stava occupando delle sue
esigenze.
Era fraglie ma risoluta. Ancora non si capiva bene a chi
somigliasse ma era morbida e profumava di un vago sentore di
vaniglia. Un piccolo prodigio che non smetteva ma di sorprenderlo,
oltre ovviamente a togliergli il sonno.
Avere avuto quella figlia
gli aveva cambiato la prospettiva sul mondo e sulle cose. Restava in
lui ancora quell'aura di irrequietezza, e quel mostriciattolo
che
spesso aveva governato la sua mente aveva lasciato degli echi
fastidiosi, ma quella creatura era una cura benefica. Si sentiva
responsabile per lei e rappresentava uno scopo significativo, questo
gli dava una grande forza anche per affrontare i lati più spigolosi
e scuri del suo carattere. E poi c'era Krista che sapeva come
prenderlo, gli dava sicurezza e lo faceva sentire importante e utile.
Era sempre presente, ma mai asfissiante. Ora era davvero certo di
amarla e si era scoperto molto protettivo nei suoi confronti, forse
anche troppo. Mentre stava dando il biberon alla piccola si rese
conto che per certi versi era diventato come Mikasa era stata con lui
ai tempi della loro relazione, e pensare che l'aveva tanto criticata
per questo. Sorrise di quel buffo pensiero ma fu distratto da un
click;
Krista
lo aveva appena immortalato con il cellulare.
«Ma basta, mi avrai
fatto mille foto di questo genere» finse di brontolarla.
«Siete
adorabili insieme e poi stavi sorridendo ho dovuto cogliere
l'attimo».
«Non dire sciocchezze da quando stiamo assieme
sorrido spesso e poi lei sì che è bella, non io. Non credi che
abbiamo fatto un capolavoro?» disse guardandola orgoglioso e ancora
incredulo.
«Certo lei è una meraviglia e taci, anche tu sei
bellissimo!» gli rispose adorandolo con lo sguardo.
Quelle sue
uscite così spontanee gli arrivavano dritte al cuore e lo
scombussolavano, non era abituato a certe manifestazioni così
dirette, ma forse era proprio questo che amava di lei, riusciva a
rendendolo inerme e forte allo stesso tempo.
Sorrise appena
imbarazzato, lei sì che era bella con quella pelle candida e i
capelli che le danzavano sulle spalle. Il suo sguardo profondamente
blu era così luminoso e si aggrappava ai suoi occhi incatenandoli.
Riusciva a farlo sentire l'uomo più amato del mondo e questo gli
piaceva.
Si riprese però subito da quei rosei pensieri, perché
la realtà tra le sue braccia gli imponeva di essere concreto e
avevano una bella gatta da pelare per le mani.
«Spero solo di
essere un padre decente. Non sono del tutto certo delle nostre
scelte, forse dovremmo ribellarci, ti confesso che ho molta paura»
esordì serio tirando in ballo l'argomento scottante.
«A chi lo
dici. Anche io non faccio che pensarci e vivo nel terrore e
nell'angoscia di non essere all'altezza come madre, di essere
superficiale, egoista e avventata, di avere fatto una scelta
sbagliata, ma la nostra priorità è lei e la sua sicurezza, il
nostro compito è cercare di darle un mondo migliore e una vita degna
per quanto possiamo».
«Hai ragione e poi credo che non avessimo
altre alternative. Purtroppo quello che hanno fatto i nostri padri ha
portato con sé delle conseguenze indelebili e gravi che hanno
seminato molto dolore, non ne siamo responsabili ovviamente, ma forse
è nostro dovere cercare di riparare con i mezzi che abbiamo a
disposizione. Esattamente come ci ha detto tuo zio».
«Per questo
alla fine mi sono convita, perché per il suo futuro sono disposta a
tutto» annuì Krista.
«È anche per questo hai dovuto a chiudere
il tuo profilo Instagram vero?» era da tempo che glielo voleva
chiedere. Poco dopo partorito era stata repentina nello sparire dai
social.
«In parte sì ma non è il motivo principale. Era stato
aperto più per fare dispetto a mio padre, come per digli: guardami!
Io ci sono.
Certo poi mi è esploso tra le mani ed è andato oltre le mie
aspettative fino a diventare un lavoro ma ora le mie priorità sono
cambiate. Inoltre la visibilità per noi è troppo pericolosa.
Dobbiamo tenere un profilo basso. Dobbiamo essere invisibili
ricordi?».
Improvvisamente furono interrotti dallo squillare del
cellulare di Eren che subito rispose cambiando espressione e
rabbuiandosi. La telefonata fu lapidaria e terminò con un suo
laconico: va
bene.
«Perché
sei diventato così serio? È accaduto qualcosa?» gli chiese Krista
allarmata. Conosceva i suoi cambi improvvisi d'umore e cercava sempre
di sviscerarne i motivi. Nonostante l'inibitore e la cura era
comunque soggetto ad up
and dawn abbastanza
frequenti e non ci si poteva fare nulla, quei danni subiti da piccolo
erano permanenti, per questo era necessario distrarlo e sviarlo
subito, per cercare di arginare il problema qualunque esso fosse.
«Ci
hanno convocati. In pratica tutti quelli che hanno partecipato alla
missione di Paradise devono essere presenti. È l'ora di affrontare
le cose e speriamo che non accada nulla di grave e che fili tutto
liscio, non sarà facile mandare giù questo boccone amaro».
«Ora
non ti fasciare subito la testa. Sii ottimista una volta tanto» gli
disse incoraggiandolo.
Lui la guardò in quel suo modo particolare
e intenso, poi espirò forte «Inoltre non ho mai affrontato
l'argomento, ma c'è in ballo anche la questione di mio fratello
ormai ridotto ad un essere ibrido non senziente, non sappiamo se è
sopravvissuto qualcosa di Zeke in quella bestia» commentò amaro.
Lei
capendo il suo conflitto interiore gli si avvicinò e posò la testa
sulla sua spalla. Suo fratello era anche lui una vittima di suo
padre, sebbene poi avesse preso certe decisioni da solo e consapevole
del male che stesse facendo.
«È terribile, me ne rendo conto, ma
temo che tu debba prendere atto che sarà una di quelle cose che
dovrai accettare così come sono, a meno che con il tempo e le nuove
scoperte, in cui confidiamo, non riescano a ripotarlo indietro, nel
qual caso andrà comunque dritto in prigione, quindi chissà, magari
questa nuova vita per lui è meglio della galera» non ci credeva
neppure lei a ciò che stava dicendo ma detestava vederlo soffrire e
cercava a suo modo di confortarlo.
Lui scosse la testa «Nessuno
meriterebbe una fine così infame, ma hai ragione, lui se l'è
cercata. Il suo piano era folle e terribile, ora sta pagando le
conseguenze delle sue scelte».
La bambina aveva finito il biberon
e Krista gliela prese dalle braccia, la tirò su e le fece fare il
ruttino,
la
baciò dolcemente sulla fronte e la rimise nella culla, poi raggiunse
Eren sul divano e si accucciò accanto a lui. Intrecciarono le mani e
lui la guardò serio.
«Sono molto preoccupato per te e la
bambina».
«E perché mai? Mica andiamo alla guerra».
«Sì,
ma c'è sempre di mezzo la CIA, per me sarebbe meglio se...».
«Non
ho alcuna intenzione di privare mia figlia della presenza di suo
padre se non quando sarà strettamente necessario. Tanto saremo
dovuti tornare ad una vita
normale prima
o poi, la nostra casa non è qui. Mio zio è stato carino e adorabile
nel prendersi cura di me, ma lo conosco appena, fino a qualche mese
fa neppure sapevo esistesse, per tanto direi che andarsene è anche
giusto. Preferisco affrontare la cosa insieme agli altri che restare
con lui».
Eren la guardò indagandola «Cosa ti preoccupa
Krista?».
«Niente di che, ma resta il fatto che è comunque il
fratello di mio padre e come dicevamo poco fa sappiamo bene che cosa
ha fatto insieme al tuo, non sono così certa che non abbia un suo
personale interesse in tutta questa storia».
«Potrebbe solo
volerti bene non credi? E poi anche noi siamo figli dei nostri padri,
ma mica siamo come loro. Non è una maledizione che dobbiamo portarci
addosso per il fatto di essere consanguinei».
«Sì forse hai
ragione, almeno lo spero».
«Non mi dirai che sei diventata
paranoica?» le chiese lui quasi divertito anche per stemperare i
toni.
Krista rimase pensierosa.
Eren allora le mise l'indice
sotto il mento e la obbligò a guardarlo negli occhi: «Non starai
facendo sul serio vero?».
«Solo un po' di paturnie saltuarie, da
quando sono diventata mamma sono ipersensibile e noto anche quello
che forse non c'è, anche perché la nostra situazione è molto
particolare e delicata non lo si può negare» ammise.
Eren si
chinò a baciarla. «Guarda che il matto
di
casa sono io che basto e avanzo, tu sei la mia fatina buona non
scordarlo» le disse amorevolmente. Era ancora un po' goffo
nell'esprimerle la sua vicinanza ed il suo amore, ma era anche tanto
cambiato e lei lo apprezzava molto e lo strinse a sé grata.
«Magari
fossi una fata! Con un colpo di bacchetta magica potrei risolvere
tutto, pulire la casa in un batter d'occhio e fare le valige in un
nano secondo».
«Ti aiuto io, approfittiamo del fatto che la
cucciola dorme» si offrì lui.
«Sì, ma prima dammi un altro
bacio! Ho bisogno di coccole».
Eren sorrise e non se lo fece
ripetere due volte.
*
La
novità che aveva colto tutti alla sprovvista era che la famosa
riunione si sarebbe tenuta niente di meno che alla Casa Bianca, alla
presenza del segretario di stato in persona.
Erano stati riuniti
in un salone molto ampio dopo essere stati fatti passare da
un'entrata secondaria, molto nascosta, al riparo da occhi indiscreti.
Di fatto c'erano tutti quelli che erano stati a Paradise, tra gli
altri anche Marlo, Hitch e i medici, ovvero Onyankpon, la dottoressa
Ral e il dottor Schultz. A ciascuno dei presenti sembrò molto strano
che ci fossero anche loro.
Come se le novità non bastassero era
di fatto anche la prima volta, dopo un un po' di tempo dall'accaduto,
che gli agenti più giovani rivedevano i loro superiori potenziati
dall'adamantio e dagli occhi bionici. Una vera rivelazione che aveva
basito tutti, ma non avevano potuto dare sfogo alla loro curiosità,
perché Pixit liquidò l'argomento in quattro e quattr'otto,
c'erano ben altre priorità da affrontare.
A parlare cominciò
Zacklay. Per il momento il segretario di stato sembrava solo un
auditore di un certo peso.
«Dunque ci sono due grosse novità una
buona e una decisamente non buona».
«E te pareva!» bofonchiò
Connie ravandosi i gioielli di famiglia.
«Ma che fai?» lo
redarguì Galliard.
«Mi tocco contro il malocchio di questi due
gufi della malora!».
«Ma sei serio?».
«Non hai notato che
facce? Sembrano in procinto di andare ad un funerale. Ti ricordo che
l'ultima volta che questi mi hanno mandato a chiamare poi mi hanno
spedito in un isola infernale a caccia di mostri!».
«Silenzio
per favore, la faccenda è grave» intimò loro Pixit.
«Vorrei
far notare a lor signori che non siamo ad una scampagnata, né ad una
rimpatriata tra vecchi colleghi. Siete alla Casa Bianca e siete il
top gamma dei nostri agenti, quindi mi aspetto da voi un
comportamento irreprensibile» gelò tutti il segretario prendendo la
parola con tono autorevole e tagliente: «Prego» concluse con un
gesto della mano invitando Pixit a continuare.
«Cominceremo dalla
buona notizia. Dunque quando è nata la figlia di Eren sua madre ci
ha donato il sangue cordonale, in gergo detto: "cordone
ombelicale" per avviare una ricerca molto importante che è
stata affidata al nostro staff medico di fiducia capitanato da
Onyankopon».
Si alzò un brusio di commenti sorpresi.
«Credo
di capire le ipotesi alla base della ricerca, del resto sono molto
plausibili dal punto di vista genetico» commentò pensosa
Hanji.
Levi era scuro e non rispose, altrettanto fece Erwin che
pareva con la testa altrove.
«Lascio quindi la parola
direttamente a lui che vi spiegherà che cosa è emerso da vari
esami» concluse Pixit.
Oniankopon illustrò loro che avevano
fortuitamente intuito che la bambina, in quanto frutto dell'unione
tra un mutaforma e una normodotata, poteva avere delle
caratteristiche genetiche interessanti e utili. Tramite qualche esame
primario era emerso che queste capacità erano davvero straordinarie
e particolari, per cui avrebbe potuto donare il suo DNA che avrebbe
debellato, come se fosse una sorta di antidoto, la mutazione
genetica, o quanto meno quella di suo padre ma quasi sicuramente
c'erano ottime probabilità che la cosa, con i dovuti accorgimenti,
potesse funzionare anche per tutti gli altri. Dovevano ovviamente
essere fatti ancora molti test e prove di vario genere, ma era
sicuramente una scoperta importantissima.
Furono tutti molto
colpiti e anche piacevolmente sorpresi, soprattutto i mutaforma,
mentre Eren e Krista sembravano impassibili.
Jean notò con
sorpresa che Jeager non aveva fatto una piega e Mikasa doveva essere
giunta alla sua stessa conclusione dato che si scambiarono
un'occhiata d'intesa. Era davvero poco credibile che uno fumino come
lui accettasse passivamente una notizia di tale portata.
«Ora si
potrebbe sapere anche la cattiva notizia?» chiese Armin molto
preoccupato.
Prese la parola Zacklay «Non esiste un modo per
indorare la pillola, quindi andrò dritto al punto. Purtroppo abbiamo
ancora degli ibridi, chiamiamoli dormienti, perché erano
sfuggiti al nostro controllo».
Sconcerto e sgomento si
impadronirono un po' di tutti.
«Ma com'è possibile? Ci avete
ingannati vero?» inveii Galliard.
«Siete dei fottuti bastardi!»
gli fece eco Sasha fuori di sé.
«Calmati!» le disse Nicolò
fermandola prima che si scagliasse contro di loro.
«Che cosa ci
avete nascosto eh?» li incalzò Armin.
«Non sappiamo come sia
potuto accadere è la verità! Ma è accaduto e dobbiamo subito porci
rimedio» spiego Pixit «L'unica spiegazione plausibile è che questi
ibridi dormienti siano stati creati a loro insaputa. La loro
natura è stata scoperta quando abbiamo fatto evacuare Paradise. Per
cautela abbiamo sottoposto tutti gli sfollati ad esami specifici ed è
così che abbiamo aperto il vaso di Pandora».
«Ma se noi abbiamo
dovuto fare una miriade di test, prove ed esami prima di essere presi
in considerazione per la mutazione, come hanno fatto a farlo a loro
insaputa, me lo spiegate?» chiese Pieck affrontando
Oniankopon.
«Bella domanda. Io non lo so. Posso solo supporlo dal
momento che Grisha conservava il DNA di tutti mutanti è possibile
che abbia sperimentato qualcosa di nuovo, qualcosa di cui ha ritenuto
opportuno non mettermi a conoscenza all'epoca dei fatti» le spiegò
il medico.
«Qualcuno sa sicuramente qualcosa» commentò pensosa
Annie.
«Sicuramente Grisha» rincarò Reiner e puntò Eren, che
però sostenne il suo sguardo senza reagire.
«Lo abbiamo
interrogato ovviamente, ma si ostina a non parlare quindi per ora la
nostra priorità è contenere questo pericoloso e inatteso fenomeno»
spiegò Pixit «perciò i soggetti ibridati sono tutti internati
come se fossero stati infettati da un pericoloso virus. Neanche loro
sanno la verità».
«Bene e come intendete fare?» gli chiese
secco Erwin che già era stato messo a conoscenza di questo problema,
ma non della probabile soluzione il che lo impensieriva e non
poco.
«Non abbiamo molta scelta e abbiamo bisogno dell'aiuto di
tutti voi. Siete i soli che siete a conoscenza di questa enorme piaga
e l'avete già affrontata, i soli che possono contenerla, i soli di
cui ci fidiamo. Vi rispediremo tutti a Paradise e lì voi sarete i
guardiani degli ibridi finché non sarà messo a punto
l'antidoto».
Il brusio divenne protesta indignata. Tutti si
guardarono tra di loro increduli e sconcertati da questo fulmine a
ciel sereno.
«Che cosa significa guardiani?»
chiese preoccupata Hanji.
«Semplice dovete contenerli nell'isola
senza farli trasformare e nel qual caso dovesse accadere dovrete
terminarli».
«Lo sapevo che questa storia del cazzo era finita
troppo bene e troppo in fretta!» masticò Levi imprecando tra i
denti.
«Quanto dovrebbe durare questa missione?» chiese Erwin
molto serio.
Zacklay fece spallucce: «Un mese? Un anno? Di più?
Chi può saperlo? Non abbiamo nessun tipo di certezza al momento se
non che il mondo è nuovamente sotto grave pericolo».
Si scatenò
il finimondo tutti cominciarono a risentirsi finché intervenne il
segretario di stato alzandosi e battendo un poderoso pugno sulla
scrivania «Ora basta esigo rispetto per questo luogo e per voi
stessi! Smettete di fare i bambini, lo sapevate benissimo quando
avete accettato di entrare come agenti speciali della CIA e dell'FBI
che la vostra vita non sarebbe più stata vostra, ma che avrebbe
servito il paese ad ogni costo e in ogni modo possibile e sapete bene
che cosa accade a quelli come voi che si rifiutano di adempiere al
loro dovere! Poche chiacchiere, i problemi sono questi e voi siete i
soli che potete garantirne la soluzione e la protezione della
sicurezza mondiale. Questa minaccia che purtroppo ancora incombe
funesta su di noi va arginata che vi piaccia o no, altrimenti
rischiate di finire davanti agli affari interni e poi in galera, se
non peggio, quindi smettete di fare tutta questa caciara,
chiaro?».
Si rimisero, loro malgrado, tutti in riga. Nel
frattempo gli fu spiegato, anche per rabbonirli, nella famosa logica:
bastone e carota, che se volevano potevano includere nel progetto i
loro familiari o persone a loro care, altrimenti sarebbero stati dati
per dispersi in missione e probabilmente creduti morti per molto
tempo. Questa ultima sconcertante scoperta basì e non poco tutti
coloro che avevano legami non inclusi all'interno dell'agenzia.
Così
si andavano a rompere quegli equilibri e quella serenità tanto
agognata che era fiorita per molti di loro dopo la fine della
missione.
Questo stava rompendo molti equilibri faticosamente
costruiti.
*
Erwin
rimase davanti alla porta di Marie qualche minuto perché il suo
senso del dovere stava ingaggiando una lotta all'ultimo sangue con i
suoi sentimenti.
Quando la donna aprì notò subito che le si
illuminò il viso. Era da qualche giorno che non le aveva fatto avere
sue notizie, ma i patti tra loro erano chiari per via del suo lavoro
e in caso di sparizione senza spiegazioni non poteva essere cercato,
si sarebbe fatto vivo lui al momento opportuno.
«Ciao posso
entrare?» le chiese abbozzando una specie di sorriso anche se Marie
si rese conto che era tirato come una corda di violino.
«Certo
accomodati».
Gli preparò un caffè. Stavano seduti entrambi
silenziosi, quasi imbarazzati ma rispettando ognuno i tempi
dell'altro.
Erwin non sapeva come fare a iniziare a parlarle di
quell'enorme problema che gli era capitato tra capo e collo. Lei di
contro si era subito resa conto che ci doveva essere qualcosa di
abbastanza grave che non andava, ma non voleva minimamente forzargli
la mano.
Dopo aver bevuto il caffè ed essersi scambiati mezzi
sorrisi di circostanza Erwin finalmente parlò.
«Non dovrei
essere qui, ma non potevo fare a meno di venire» sparò
lapidario.
«Che sta succedendo? Qualcosa che riguarda il tuo
lavoro?».
«Sì» ammise grave.
«Non devi metterti in
situazioni pericolose per colpa mia. Conosco più o meno la natura di
ciò che fai. Se sparisci so che poi al momento opportuno tornerai. È
una cosa dura da accettare, ma dal momento che ho deciso di stare con
te ne ho piena consapevolezza e mi sta bene» cercò di
rassicuralo.
«Non è così semplice Marie, non questa volta» le
disse con lo sguardo angosciato e non era cosa da lui farsi
sopraffare dalle emozioni.
«Mi spieghi che succede o vuoi farmi
preoccupare sul serio?» ribatté la donna in preda all'ansia.
«Ho
passato gli ultimi giorni con la testa persa in mille pensieri.
Corroso dall'angoscia e anche dalla rabbia. Ci siamo appena ritrovati
e dobbiamo separarci di nuovo. Lo trovo crudele e beffardo» riuscì
infine a dire.
«Ma che... dici?» chiese lei con il cuore in
gola. Le sembrava di essere infilata in sabbie mobili che la stavano
inghiottendo sempre più.
Lui la guardò sanguinante «Marie io ti
amo, questo non devi dubitarlo, sto rischiando la carriera per essere
qui da te».
Sentirlo ammettere il suo amore la fece come
risorgere, come se tornasse alla vita «E allora non ci sono
problemi. Io sono qui e ti aspetterò tutto il tempo necessario. Ti
ho aspettato una vita, che vuoi che sia qualche mese in più?».
Lui
la fissò in un modo così intenso che a Marie mancò l'aria. Era
davvero disperato e non riusciva a trovare le parole adatte per non
ferirla più di quanto quella notizia avrebbe effettivamente fatto.
In principio aveva pensato anche di dirle che non l'amava più, ma
gli sembrava una cosa molto immatura e codarda che l'avrebbe
distrutta. La verità, o almeno una parte di essa era la strada più
giusta da percorrere.
«Purtroppo non si tratterà di qualche mese
soltanto, potrebbe volerci molto più tempo» riuscì finalmente a
dirle.
Quelle parole la strozzarono e la rigettarono negli abissi
dell'angoscia.
«Ma come sarebbe a dire? Io non
capisco...»
«Non posso dirti niente in proposito, già rischio
la carriera e se sono qui è solo per rispetto nei tuoi confronti. Ti
avrebbero detto, no anzi, ti diranno che sono disperso o forse morto
e non avrei mai potuto sopportare di darti un simile dolore».
«Me
lo stai comunque dando» sospirò lei sconfitta.
«Mi dispiace
Marie se solo avessi immaginato io... »
«Io non ci posso e non
ci voglio credere! Non c'è alcun modo di risolverla diversamente?
Non pretendo che tu lasci la CIA ovviamente, ma ci sarà pure
un'alternativa, no?» lo interruppe seria.
«Io non... » fece lui
autocensurandosi.
Lei capì che stava facendo forza su se
stesso.
«Erwin ti prego non farlo di nuovo, altrimenti tutti
questi anni persi non saranno serviti a niente» lo implorò.
«Non
posso chiedertelo».
«Cosa non puoi chiedermi?».
«Non posso,
ti prego».
«Non puoi o non vuoi?» lo incalzò severa.
«Non
è tutto bianco o nero Marie, non posso rovinare la tua vita,
capisci?».
*
Quando
Eren e Krista li avevano invitati a casa loro, Jean e Mikasa erano
rimasti molto sorpresi.
Non si erano più visti da quando Jeager
si era risvegliato in ospedale e a dirla tutta non erano di certo
"migliori amici". Avevano titubato un po' ma poi avevano
accettato l'invito. Era un momento molto particolare per tutti loro
ed era il caso di mettere da parte remore, o dispute passate. E poi
volevano capire che potessero mai volere da loro.
Eren aprì
la porta e li accolse con sua figlia in braccio.
Mikasa avrebbe
creduto di provare disagio e un tuffo al cuore, ma non fu così. Non
provò niente di particolare se non un grande piacere nel vedere una
persona a cui voleva bene essere serena, almeno in apparenza.
Per
Jean era stata dura accettare quell'invito, ma si era detto che se
non avessero superato quella prova allora il loro rapporto non
avrebbe avuto senso. Stranamente quando il suo storico rivale aveva
aperto l'uscio con quel fagottino tra le braccia si era sentito più
leggero, come se si fosse tolto un peso.
Krista li fece
accomodare, sembrava agitata forse anche lei aveva le sue paturnie
riguardo questo incontro, o forse i suoi problemi erano di altra
natura.
«Siamo felici e grati che abbiate accettato il nostro
invito» cominciò a dire la ragazza offrendo loro del tè.
«Lei
è la nostra piccola Milae» aggiunse prendendola dalle braccia di
Eren.
«È bellissima» commentò Mikasa carezzandole una
guancia.
«Siamo felici per voi» tagliò corto Jean.
«Vi
starete chiedendo perché siete qui immagino» esordì Eren andando
al nocciolo della questione.
«Infatti» gli rispose laconico
Jean.
«Il vostro invito ci ha stupito molto» aggiunse
Mikasa.
«Lo capisco, ma io ed Eren ne abbiamo parlato a lungo e
abbiamo convenuto che voi due eravate le uniche persone a cui
potevamo chiedere una cosa così importante».
«Che cosa?»
chiese Mikasa sorpresa.
«Prima dobbiamo spiegarvi un bel po' di
cose e fare chiarezza su ciò che sta accadendo a tutti noi. Dopo la
riunione immagino che sarete scossi anche voi» aveva precisato
Eren.
«Scossi è dire poco! Pensavano di esserci lasciati tutto
alle spalle e ora invece sembra che siamo tutti punto e a capo»
disse Mikasa.
«Qualcosa mi dice che tu ne sai più di noi»
intervenne Jean scrutandolo.
«Prima di risponderti vorrei che
entrambi sapeste che vi vogliamo bene, vi consideriamo
famiglia».
Jean lo fissò come si farebbe con un
pazzo.
«Non guardarmi così Kirschstein! Stai rendendo felice una
persona che per me è come e più di una sorella è normale che provi
affetto anche per te. Non sei mai stato il mio migliore amico, ma ti
stimo come uomo e come compagno di lavoro, spero che un giorno sarà
lo stesso anche per te».
Jean alzò solo un sopracciglio e non
proferì parola.
«Possiamo andare oltre?» chiese Mikasa in
apprensione. Non voleva si mettessero certo a discutere in quel
delicato frangente, cosa che visto i soggetti e i trascorsi tra loro
non era del tutto da escludere.
«Quello che sta cercando di dirvi
Eren è che noi saremmo e felici e molto rassicurati se voi voleste
accettaste di diventare il padrino e la madrina di Milae» intervenne
Krista lanciando a sorpresa la bomba e spiazzando alla grande sia
Jean che Mikasa, che rimasero attoniti e in silenzio.
I
monologhi dell’autrice
AVE!
Un saluto a chi legge!
Come va?
Spero tutto bene ;)
Nota:
In
questo capitolo, è chiaro, si parla non solo di fantascienza, ma
anche di fanta genetica/biologia, quindi affidatevi alla sospensione
dell'incredulità e prendete per buona la mia tesi. Daltronde è un
AU in universo AU non solo per SNK, ma anche riguardo al nostro mondo
reale, ragion per cui le regole sono malleabili e adattabili alle
mie esigenze di trama.
E come promesso in tempi abbastanza
brevi eccovi il penultimo capitolo.
Vi aspettavate questa svolta,
più "seria" dopo il cazzeggio e lo slice of life degli
ultimi tempi?
Comunque non aggiungo altro perché oggi ve la
faccio molto breve, ma preparatevi, ve la farò più lunga nel
prossimo ed ultimo capitolo, che se tutto va bene posterò la
prossima settimana o giù di lì, sancendo così la fine di questa
avventura durata un anno!
Un caro e saluto colmo di gratitudine e affetto a chi continua ad apprezzare questa fic in tutti i modi in cui si può farlo.
See ya!♥