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Autore: NyxTNeko    30/08/2023    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 154 - L'unica costante della vita è il cambiamento -

Bologna, 22 giugno

L'avanzata di Napoleone e del suo esercito verso le città pontificie era stata quasi fulminea, e a parte gli austriaci, che resistevano ancora al castello di Milano e a Mantova, nessuno era realmente in grado di arrestarne la calata. Vi era stata, però, una piccola resistenza da parte degli abitanti di Spezzano una piccola frazione della città di Modena. Questi vedevano nel comandante francese non soltanto il nemico, ma anche un nuovo Carlo Magno.

Avevano così costituito un manipolo di circa venti uomini, non si poteva certo chiamare esercito, e animati da un coraggio notevole, si erano messi in marcia, decisi a ricacciare il nemico verso le Alpi. Non avevano fatto i conti con la realtà e, seppur l'armata d'Italia non fosse gigantesca, quando gli spezzanesi videro quell'esercito che marciava ordinato, dotato di baionette, fucili, che cantava inni rivoluzionari rimasero pietrificati dalla paura. Non erano abituati a vedere un esercito di quelle dimensioni.

Alla fine non ci provarono nemmeno ad avvicinarsi e compresero che la fama di quel generale dal nome poco francese era più che meritata. C'era davvero da avere paura e da sottomettersi e infatti al loro arrivo, gli spezzanesi li lasciarono passare senza problemi. Allo stesso modo Napoleone riuscì ad entrare a Modena il 18 dello stesso mese e a Bologna il giorno successivo. Nel giro di poco tempo avrebbe stravolto la situazione politica del paese, gli Estensi e soprattutto la Chiesa che aveva il controllo diretto della città emiliana. La Santa Sede si era trovata spiazzata dall'azione fulminea del giovane Bonaparte.

L'accoglienza era stata simile a quella ricevuta a Milano e nelle altre città principali, vi era un sentimento di curiosità e di timore. C'era stato chi aveva gridato alla Rivoluzione, con gioia e sincerità, sventolando bandiere, sfoggiando le coccarde tricolore, con il blu sostituito dal verde e chi dimostrava un'ostilità che Napoleone si aspettava in certi contesti. Era a conoscenza del fatto che gli echi rivoluzionari erano giunti lì da molti anni. Saliceti, che era stato in quelle zone per parecchi anni, aveva avuto modo di mettersi in contatto con giovani menti, intenzionate a diffondere le nuove idee francesi nelle classi sociali più elevate di tutta la Pianura Padana, adoperando qualsiasi mezzo fosse ritenuto utile per raggiungere lo scopo, fosse stato lecito o meno.

Saliceti dunque, assunta l'identità di un abate di nome Bauset, era riuscito ad avvicinare dei ragazzi dall'indole rivoluzionaria, tra questi Luigi Zamboni e Giovanni Battista de Rolandis. Il primo era un fiero anticlericale e aveva criticato ferocemente l'assolutismo e il totale controllo del Santo Uffizio sulle città pontificie. Il secondo era più moderato e meno focoso, ma dimostrava comunque di essere un sincero patriota, desideroso di cambiare la società, animato dall'esempio francese.

Nel novembre del 1794, Zamboni aveva cercato di organizzare una sollevazione che avrebbe coinvolto gli studenti della più antica università del mondo e gente che occupava i rioni, qualsiasi popolano che sentiva l'oppressione clericale e che voleva abbatterla. Tuttavia non ci fu molto seguito, decisero comunque di portarla avanti, sperando che il loro esempio sarebbe stato replicato. La sommossa venne sedata immediatamente e i due imprigionati, Zamboni fu trovato impiccato il 18 agosto del 1795, mentre de Rolandis non ebbe altrettanta fortuna e dopo essersi rifiutato di collaborare, fu impiccato alla Montagnola, il 23 aprile di quell'anno. Erano poco più che ventenni.

E Bonaparte una volta giunto a Bologna aveva ordinato di far erigere, sul luogo dell'esecuzione, una stele con un'urna contenenti le ceneri dei due giovani bolognesi, che erano visti, dai francesi e dai patriottici, come martiri della libertà e della Rivoluzione, oltre a far liberare tutti gli altri prigionieri, tenuti in catene per i medesimi motivi. Deciso a portare avanti il compito iniziato, il 20 giugno Napoleone aveva fatto convocare il responsabile a palazzo d'Accursio: il cardinale Ippolito Mariani Vincenzi.

Lo aveva duramente rimproverato, ricordandogli come le sue mani fossero lorde del sangue di innocenti uccisi dall'Inquisizione - Ma voglio dimostrare quella clemenza che la Chiesa ha dimenticato da millenni, eccellenza e quindi vi esorto ad abbandonare la città entro tre ore - gli aveva riferito calmo, gli occhi, però, ardevano intensamente.

- Non avete alcun potere qui, generale! - aveva replicato tuonando il cardinale - La Santa Chiesa ha la gestione della città da secoli e...

- Non più - fu la secca risposta di Bonaparte - Il vostro governo è decaduto, perciò lasciate immediatamente il palazzo e la città, non costringetemi ad usare la violenza, adopererò il pugno di ferro solo se sarete voi a volerlo - aveva aggiunto sempre dimostrando sangue freddo e ardore al tempo stesso, camminando lungo la stanza - Ho intenzione di trattare con il Santo Padre in maniera diplomatica, per avere ancora il suo potere temporale dovrà cedere comunque qualcosa al Direttorio e alla Francia - con un gesto della mano gli aveva indicato la porta.

Il cardinale, colpito dalla sua fermezza e spaventato da quello sguardo indescrivibile, non aveva potuto fare altro che eseguire e allontanarsi immediatamente dalla città. Aveva sottovalutato la Rivoluzione e la portata che stava riscontrando a livello europeo, si era convinto che sarebbe stata circoscritta al territorio francese. L'interesse che aveva suscitato nella Penisola sarebbe stato momentaneo, com'era accaduto ad altri eventi passati. E invece quei miscredenti dei francesi stavano cominciamo a diffondere i propri ideali.

Ovviamente era consapevole del fatto che tali ideali erano soltanto uno specchietto per le allodole, una sorta di lettera di presentazione per mostrare il lato migliore della loro 'invasione'. Far convincere ai bolognesi in questo caso, ma anche ai restanti popoli d'Italia, che era la soluzione migliore per insediarsi e sostituire i governi precedenti. Li stavano abbagliando con la promessa di renderli uguali davanti alla legge, ma soprattutto liberi. Quella parola, libertà, era un'arma a doppio taglio, che quel generale corso e il suo seguito stava utilizzando in maniera intelligente, per il momento, tenendo sotto scacco i centri più importanti della zona lombarda. Presto sarebbe accaduto lo stesso anche nell'Emilia e nella Romagna. E probabilmente si sarebbe estesa fino alla Sicilia.

Aveva intravisto, negli occhi di quel giovane un'indomabile bramosia di comandare e governare: forse era l'intensità di quel suo desiderio ad averlo terrorizzato nel profondo. Una simile forza di volontà, capace di schiacciare con una sola occhiata, non gli era mai capitato di incrociarla in tutta la sua vita. E ne aveva di anni sulle spalle. "Stolti, rimpiangerete questa scelta, quando la Rivoluzione mostrerà il suo vero volto e sarete voi stessi a volere un ritorno al passato" pensava il cardinale, quasi augurandosi che tali parole divenissero realtà e che, quindi, divenissero quasi una profezia rivelata da Dio.

Napoleone, nel frattempo, aveva lasciato la dimora in cui si era stabilito, per raggiungere il Senato della città, ubicato nella Sala Farnese del Palazzo Pubblico e lì aveva fatto annunciare il nuovo governo della Repubblica di Bologna, un Direttorio esecutivo, che assomigliava, almeno in teoria, a quello francese. E aveva fatto preparare un discorso attraverso cui avrebbe avvalorato la sua decisione: guidato dall'enfasi, aveva rispolverato la nobile storia di quella città. Aveva origini antichissime, per gli Etruschi era Felsina, sotto i Romani era chiamata Bononia.

Durante il periodo dei Comuni, Bologna, il nome che avrebbe assunto definitivamente, aveva mostrato l'intelligenza, l'orgoglio del suo popolo, divenendo una città indipendente e ricca, con l'università e i traffici mercantili. Fino al XVI secolo, da quel momento i papi l'avevano inglobata nello Stato Pontificio - Il mio intento è di riportare lo splendore perduto, cittadini, quello comunale - si era rivolto ai senatori dimostrando di conoscere approfonditamente ogni dettaglio "Oltre a voler ridestare dal loro sonno tutte le popolazioni d'Italia, il loro letargo è finito".

Napoleone si era documentato il più possibile e in quei giorni aveva avuto modo di vedere con i propri occhi i prodotti di quella storia, le tracce che le genti prima di loro avevano lasciato per i posteri. Oltre alle costruzioni civili, che aveva fatto occupare per questioni di praticità, era interessato anche ai monumenti religiosi, in particolare nei confronti delll'Incompiuta, ovvero la Basilica di San Petronio, nella famosa Piazza Grande. Chiamata così proprio per la caratteristica facciata, con il basamento in marmo chiaro e la parte superiore rimasta grezza e scura. L'aveva osservata silenziosamente, in contemplazione, rispettando il silenzio di quel luogo sacro, nonostante il suo allontanamento dalla religione.

- Se giurerete fedeltà alla Francia si compirà la rinascita vera e propria - aveva aggiunto. Com'era accaduto per gli altri centri caduti in loro possesso, anche Bologna non era ancora pronta ad ottenere una vera e propria indipendenza. Doveva essere guidata, al pari di un fanciullo, crescere e maturare. Aveva apprezzato l'entusiasmo e la volontà di rinnovamento, altrimenti non avrebbe onorato quei due giovani patrioti, ma non era sufficiente e la maggior parte della classe aristocratica, presente in quella sala, ne era perfettamente a conoscenza.

Per fortuna c'era qualcuno deciso a sostenere la causa francese, si era messo in contatto con il generale Augereau, sin da quando era entrato a Bologna per conquistala a nome del suo comandante. E questi era il conte Carlo Montecuccoli Caprara, uno degli esponenti più prestigiosi della nobiltà bolognese. Aveva ricoperto la carica di Gonfaloniere più volte, ma a giudicare dal fervore con cui aveva accolto l'esercito francese tale carica non era stata sufficiente a soddisfare la propria ambizione - E sarà accontentato se si mostrerà devoto e all'altezza - aveva riferito Bonaparte.

Farsi sfuggire una simile opportunità, soltanto per rispettare una morale ferrea era da sciocchi. Sarebbe stato il perfetto intermediario tra le due cause - La sua superbia ci sarà utile, anche perché non è interessato, da quel che mi avete riferito, generale Augereau, alla comprensione della portata storica della Rivoluzione, quanto soltanto a salvarsi dalla sua tempesta...

- E noi siamo pronti ad offrirgli la barca con cui approdare in sicurezza comandante, non dovete temere - aveva affermato sogghignando il generale, comprendendo il discorso di Bonaparte - È disposto a qualsiasi cosa

- Perfetto, allora non avremo problemi nell'ottenere i tesori più inestimabili di questa prestigiosa città e non parlo solo dell'oro, ma anche delle opere d'arte, affinché la Francia diventi il centro culturale per eccellenza - aveva sorriso eccitato, poggiando le mani sulla scrivania - E accontentare anche il Direttorio naturalmente

- Essendo la città conquistata - aveva riferito poi Napoleone, sostenuto dal conte, che gli aveva garantito assoluta incolumità e disponibilità per le requisizioni - I commissari francesi dovranno avere dal Senato il comodo di osservare e di raccogliere gli oggetti delle Belle Arti - E i senatori avevano compreso che fosse il prezzo da pagare per ottenere la libertà dalla Chiesa.

Bonaparte dalle parole era passato ai fatti, come era stato per Milano, aveva rinnovato completamente l'assetto della città: aveva fatto sopprimere il tribunale dell'Inquisizione, controllato dai Domenicani, aveva tolto i funzionari e le guardie svizzere. Era determinato a recidere il legame con il passato ecclesiastico, un chiaro messaggio che stava mandando alla Santa Sede e al pontefice, che aveva condannato apertamente la Rivoluzione. I francesi sostituirono i precedenti ai posti di guardia e le carceri, al pari delle insegne e dei simboli, affiancando quelli oltrealpe ai bolognesi.

Napoleone, tuttavia, sapeva perfettamente che la sua situazione non fosse completamente stabile, non aveva ancora un'armata in grado di affrontare tutte le emergenze. Ciò aveva scritto il giorno precedente al Direttorio, aveva mandato loro ben quattro lettere in cui rivelava la sua vulnerabilità, l'invincibilità era soltanto apparenza e doveva utilizzare minacce e noncuranza ben calibrata per gestire le città conquistate. 'Per tenere in scacco le armate, per assediare forti, proteggere le nostre retrovie, intimidire Genova, Venezia, Firenze, Roma e Napoli, dobbiamo essere in forze dappertutto'.

Temeva che prima o poi il nemico si sarebbe accorto della sua debolezza e che lo avrebbe potuto distruggere con estrema facilità, la fortuna non era sufficiente a comandare un esercito e vincere la guerra - Ma a quanto pare al Direttorio continua ad interessare il fronte del Reno e mi accontenta soltanto quando insisto - diceva a Berthier, nel mentre camminava in una delle stanze del palazzo d'Accursio, in cui era tornato ad alloggiare - Ebbene insisterò, la testardaggine non mi è mai mancata e alla fine mi ha fatto arrivare a questo livello, non ho intenzione di mollare, ora che ho bene in mente la strada da percorrere

- Volete scrivere di nuovo al Direttorio, comandante? - domandò il Capo di Stato Maggiore, intuì dall'espressione pensierosa di Bonaparte che quanto detto era uno dei problemi che più lo assillava.

- Sì generale Berthier, non c'è altra soluzione con quei maledetti - rispose Napoleone, torturando il cappello con le mani, si tratteneva nell'insultare il governo francese, era difficile, però, controllare un animo focoso come quello del corso.

- Sono a vostra disposizione comandante - fu la risposta di Berthier, inchinandosi leggermente. Aveva giurato a sé stesso che avrebbe riservato a Bonaparte tutte le energie, era un onore, oltre che un dovere. Vi era qualcosa di più profondo del semplice rapporto capo-subordinato, stava maturando una grande e longeva amicizia, pur sapendo che sarebbe rimasto un gradino al di sotto di Napoleone. Era evidente il suo voler essere il solo ed unico generale in capo a cui doveva obbedienza e rispetto.

Napoleone lo fissò per un momento, cercando di allontanare le voci maligne del quale era venuto a conoscenza, riguardanti proprio il rapporto lavorativo che c'era tra lui e il Capo di Stato Maggiore - Bene, per fortuna che ci siete voi - emise poi, avvicinandosi a lui e poggiandogli la mano sulla spalla. Il momento fu breve poiché il giovane si mise subito a dettare, ribadendo quanto aveva già fatto scrivere nelle precedenti missive 'Qui bisogna incendiare e sparare per instaurare il terrore' enfatizzando determinate questioni 'E lì bisogna far finta di non vedere, perché non è ancora giunto il momento di agire'.

Doveva simulare di non accorgersi di determinati avvenimenti e doveva essere inesorabile quando la situazione era talmente evidente e grave da non poterla ignorare. La sua indole tollerante lo portava a porgere sempre una possibilità diplomatica ai popoli con cui veniva in contatto, persino con i ribelli. La guerra era spietata e aveva leggi dure, disumane, ma se possibile preferiva senza dubbio evitare di spargere sangue inutilmente. Non ammetteva la diserzione, la puniva aspramente, i soldati avevano il dovere di combattere per la patria e per la sua ambizione, però era sollevato quando vi erano poche perdite, da entrambe le parti.

D'un tratto sentirono bussare alla porta - Avanti - disse Napoleone, si trovò Muiron, con il cappello sottobraccio - Comandante, il diplomatico de Melito è arrivato poco fa a Bologna ed è disponibile ad essere ricevuto, così mi ha riferito

Napoleone annuì - Sì sì grazie Muiron, infatti avevo proprio bisogno di parlare con lui - poi si rivolse a Berthier - Andate a riposarvi pure, avete lavorato molto ultimamente, è giusto che vi riposiate un po' - emise con la gentilezza che riservava alle persone a cui sia stava affezionando.

Però era una verità a metà, a volte mentire era necessario per mantenere in vita i rapporti - Dicono che devo il mio successo a Berthier, che dirige i miei piani, mentre io mi limito a eseguire quanto mi suggerisce - riferì senza troppi giri di parole a Miot de Melito. Bonaparte voleva avere dei chiarimenti da parte sua - Voi che ne pensate, cittadino? - I due avevano vissuto a Versailles per qualche tempo e si erano conosciuti, avevano un'indole molto tranquilla e dedita al lavoro, oltre ad una predisposizione al rispetto e alla dedizione nei confronti dei superiori.

- Io penso che siano soltanto delle voci maligne, cittadino Bonaparte - rispose con convinzione. Agli occhi di qualcuno poteva sembrare semplice adulazione, ma da quando lo aveva incontrato, non poteva che provare per quel giovane generale corso, pura e semplice ammirazione - Il generale Berthier non ribalterebbe mai le gerarchie, cittadino, né avrebbe in mente di mettersi a capo della vostra armata, dandovi ordini

- Avete ragione, Berthier è incapace di comandare un battaglione - si sovrappose calorosamente al suo interlocutore. La sua schiettezza era a tratti sconvolgente e tagliente come una sciabola affilata. "Invece ne è capace eccome, a Lodi ha dimostrato delle capacità di comando impressionanti, faccio questo non solo per assicurarmi che le voci vengano fatte tacere". Non avrebbe permesso a nessuno di mettere in dubbio le sue doti di comandante e di generale in capo "Ma anche per proteggerlo, è troppo prezioso per me e per l'Armata d'Italia, se dovesse morire sarebbe una perdita gravissima per tutti".

Era l'unico che riusciva a restituire precisione ai suoi ordini a raffica, stando al suo passo, per molte ore, senza distrarsi, senza mostrare stanchezza eccessiva. Controllava che venissero eseguiti alla perfezione, pretendeva efficenza e puntualità, come gli ordinava Bonaparte - Se è tutto ciò che volete sapere, cittadino, posso ritirarmi...

23 giugno

- Ebbene il Pontefice ha finalmente deciso di stipulare un armistizio con il sottoscritto - ripeté quanto gli era stato comunicato. Stava procedendo come voleva, almeno da questo punto di vista. Era ancora considerato invincibile e pericoloso, altrimenti il Santo Padre non avrebbe mandato i suoi rappresentanti - Fateli accomodare, rivelerò loro le condizioni da accettare - si mise ritto, mutando espressione, divenendo serio e concentrato.

I diplomatici della Santa Sede ricordarono le raccomandazioni riferite dal pontefice, l'anziano Pio VI "L'esercito francese ha dato prova di essere molto più ostinato di quello che ci aspettassimo, le forze di cui disponiamo non sono sufficienti a contrastarlo, se usiamo la diplomazia possiamo evitare il peggio e salvare la nostra Santa Chiesa Cattolica dalla minaccia di questi barbari anticlericali e rivoluzionari guidati dal denaro e dal saccheggio" aveva tossito per poi riprendere "Il loro comandante sembra dell'umore adatto per arrivare ad una trattativa, anche se dovremo rinunciare a qualcosa".

Nell'incrociare lo sguardo del generale francese compresero la portata del termine qualcosa. Quell'uomo era completamente diverso dagli altri, che avevano avuto incontrato durante la loro carriera, il papa non lo aveva ancora capito. Forse era proprio ciò che quel giovane comandante aveva pianificato per raggiungere i suoi obiettivi.

Le condizioni, infatti, furono, pesanti: la liberazione di tutti i prigionieri politici, chiusura dei porti alle navi degli Stati in guerra con la Francia, occupazione permanente di Bologna, Ferrara e Ancona. Oltre a questo dovevano versare quindici milioni di indennizzo e altre cinque convertiti in vestiario e derrate, risolvendo, uno dei grandi problemi che affliggeva l'armata da sempre. Napoleone era stato abile nel non rivelare quanto grave fosse lo stato versato dal suo esercito. E, infine, non potevano mancare le requisizioni artistiche dalle gallerie vaticane: centinaia di statue e dipinti e cinquecento manoscritti, scelti da una commissione apposita.

"L'Austria è sempre più isolata nella guerra contro la Repubblica Francese, ma non possiamo cantare ancora vittoria, si deve restare prudenti" rifletteva osservando la cartina sotto il suo naso. Stava puntando alla Toscana, sorrise leggermente - Sì sarà la prossima destinazione, il Granducato ha un'importanza fondamentale per l'Austria, per l'Inghilterra e per me!

 

   
 
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