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Autore: Enedhil    30/08/2023    2 recensioni
Se volete contattare un angelo, dovete chiudere gli occhi e chiedere un segno.
Crowley non vuole nessun segno, né parlare con un particolare angelo.
Ma per qualche assurda ragione, il nuovo Supremo Arcangelo insiste a comparire nella libreria.
Il primo problema è riuscire a ignorarlo quando se lo ritrova seduto vicino.
Il secondo è provare a non aiutarlo come ha sempre fatto.
Il terzo è evitare di guardarlo, di sentire la sua mancanza, di volerlo, di amarlo.
Perché Crowley non può smettere di fare tutto quello.
E, soprattutto, non può smettere di stringergli la mano.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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STRINGIMI LA MANO
 
 
[AVVERTIMENTI: Ipotetico post seconda stagione | Drama e fluff perché sì | Quattro capitoli | POV terza persona - multiplo]
 
 
***
 
 
| 01 |
 
 
“Hold my hand, hold my hand
I'll be right here, hold my hand”
 
 
Dicerie umane raccontano che, se volete contattare un angelo, dovete chiudere gli occhi e chiedere un segno. Quando meno ve lo aspettate, se l’angelo avrà ascoltato la vostra richiesta, troverete una piuma da qualche parte.
Ma dovete prestare molta attenzione perché le piume non sono facili da vedere.
Ovviamente non c’è niente di vero in tutto questo.
Gli angeli non vanno in giro a sparpagliare le loro divine piume per il mondo. E se trovate una piuma nera, state certi che non è di qualche demone che ha deciso di fare una buona azione.
Però, a volte – ma solo a volte – alcuni angeli ascoltano fin troppo, anche quando non sono stati chiamati.
 
 
*
 
 
Una donna uscì a passo lento dalla libreria e attraversò la strada, senza badare alla persona che si era fermata vicino alla colonna per farla passare.
Crowley la seguì con lo sguardo mentre questa si dirigeva alla caffetteria. Aveva avvertito una strana sensazione, come se qualcosa non fosse come doveva essere. Fece spallucce ed entrò spedito nel locale, provando a ignorare lo scampanellio della porta che sembrava ripetergli ogni volta: “Benvenuto. No, chi stai cercando non è qui.”
Rallentò la camminata quando si ritrovò al centro, circondato dagli scaffali che gli si stringevano addosso, gli toglievano il fiato, trasformando come sempre la speranza nella sofferenza che gli attanagliava il petto.
Tuttavia, quelle emozioni si assopivano poco dopo, lasciando spazio a tutto ciò che di bello aveva vissuto in quel luogo. Niente avrebbe cancellato le centinaia di anni passati lì dentro. Niente avrebbe cancellato il sentimento. Niente avrebbe cancellato la sua voce che echeggiava tra le pieghe dei libri. Niente avrebbe cancellato il suo odore, mischiato alla colonia che tanto gli piaceva mettersi. E per qualche strana ragione, tornare nella libreria faceva sempre meno male che rimanere da solo nel proprio appartamento.
 
«Signor Crowley! Oggi è proprio una bella giornata!»
 
Nonostante la presenza di quell’esserino angelico fastidioso che sprizzava gioia e positività a ogni passo.
 
«L’ho capito subito. Basta guardare fuori! Quando c’è un po’ meno frastuono e più umani che sorridono. E poi ho imparato a fare il tè! Non per me, no…»
 
Bla… bla… bla… e qualcos’altro che Crowley non si preoccupò di ascoltare. Mentre Muriel proseguiva a raccontare le sue strepitose avventure nel mondo, lui si limitò ad andare a controllare nel retro la scorta di bottiglie. Non per qualche ragione in particolare. Arrivava sempre il momento giusto per bere. Anche se ora avrebbe dovuto farlo da solo.
 
«E poi quella donna lo ha preso! Ne voleva un altro, ma io le ho detto no, quelli non si possono vendere. E ha comprato quello che le ho consigliato io! Non è stupendo?»
 
Crowley si rialzò di scatto e richiuse le ante della cantina dei vini. «Tu cosa?»
 
«Oh, non uno di quelli antichi, no no,» continuò Muriel, sorridendo. «Uno di quelli con la nuvola, questi si possono dare via. Quelli con la tazzina del tè no, quelli proprio no.»
 
Il demone guardò confuso cosa gli stesse indicando e notò una serie di bigliettini con disegni diversi, attaccati agli scaffali. «Chi ti ha detto che puoi farlo? I libri non si vendono.»
 
«Ho chiesto su e mi hanno detto che potevo. Insomma, ho pensato: è una libreria, e gli umani vanno nelle librerie per comprare libri. Se non li vendiamo, nessuno verrà mai qui.»
 
«Sì, sì è questo il punto! Qui non si vendono i libri, così nessuno deve entrarci.»
 
«Ma è un po’… triste se non abbiamo clienti. Ho letto che agli umani non piace sentirsi tristi.»
 
Crowley avanzò verso di lei, consapevole di averle messo un po’ di timore vista l’espressione stranita sul suo volto fin troppo espressivo. «Ehi, noi non abbiamo niente! Tanto meno clienti. Qui non si vendono libri e se… se ti annoi, vai a trovare quella simpatica signora al negozio di dischi e ascolta un po’ di musica.»
 
Muriel sembrò risollevarsi all’istante e sorrise. «Oh, davvero? Posso andare?»
 
«Sì, vai!» Crowley le indicò anche con le mani di andarsene e la seguì con lo sguardo finché raggiunse la porta. Solo allora la fermò. «Aspetta! Quale dei tuoi superiori ti ha detto che puoi vendere quei libri?»
 
«Ehm…» Muriel si bloccò, chiaramente agitata. «Mi ha detto che non posso dirglielo. Oh, lei non doveva nemmeno sapere che mi ha dato il permesso, adesso che ci penso.»
 
Il demone alzò lo sguardo al soffitto, sospirando. Gli bastava quello come risposta. «Va bene, vai. Non lo dirò a nessuno che non l’hai fatto.» La vide di nuovo immobile, pensierosa, così aggiunse: «Non me l’hai detto, quindi io non lo so. Va’ adesso, muoviti.»
 
«Oh, allora è tutto a posto.»
 
Continuava a stupirsi di come Muriel potesse credere a lui così facilmente. E, soprattutto, come avesse potuto prenderlo come esempio e come guida da quando le era stato ordinato di rimanere sulla terra.
Mise le mani sui fianchi, si guardò attorno e all’improvviso spalancò gli occhi.
Un ringhio tra i denti e corse subito fuori dalla libreria per buttarsi come una furia dentro al Give Me Coffee or Give Me Death. La donna che aveva incrociato poco prima era ancora ferma in fila per prendere il proprio caffè, così schioccò le dita e fermò il tempo. Prese con facilità il libro che spuntava dalla sua borsa e lo sostituì con una scatola di cioccolatini con dentro cento sterline.
«Hai riportato indietro il libro e ti sei comprata qualcosa per te. Oggi è il tuo giorno fortunato,» le mormorò, prima di far ripartire la realtà.
Tornò alla libreria e richiuse la porta alle proprie spalle.
Forse quel libro non ne valeva nemmeno venti di sterline, ma… Aziraphale avrebbe apprezzato l’impegno
Il cartello con la scritta “VERY CLOSED” batté piano contro il vetro.
 
 
“Raise your head, look into my wishful eyes
That fear that's inside you will lift, give it time
I can see everything you're blind to now
Your prayers will be answered, let God whisper how”
 
 
Crowley si lasciò ricadere seduto sul divanetto, sopra al quale erano gettate le solite coperte che conosceva bene. Davanti a lui, il tavolino con una pila di libri, la scrivania ancora piena di fogli e volumi, e la poltrona. Era tutto fermo a quel momento di qualche settimana prima. Muriel non aveva spostato niente, a quanto sembrava. O meglio, forse gli era sfuggito inavvertitamente che ogni libro aveva un suo posto per una ragione e nessuno di essi doveva essere spostato. E lei gli aveva creduto.
«Perché faccio ancora tutto questo per te?» mormorò tra sé, con un lieve sorriso amareggiato, le dita a sfiorare il mappamondo alla sua sinistra. «Non ti importa più niente di questo posto.»
O di me, avrebbe voluto aggiungere, ma sapeva che non era così. Per quanto volesse ostinarsi a ripetersi che Aziraphale se ne fosse andato anche perché non gli importava di lui, e di loro, sapeva e sentiva che non era vero.
Restò in silenzio e chiuse gli occhi, senza comunque privarsi degli occhiali scuri. Il ticchettio dell’orologio a muro riempì l’aria, i suoni dall’esterno piano piano svanirono.
Gli sembrò di sentire dei passi. I suoi passi. Il parquet che scricchiolava mentre si avvicinavano alla scrivania. Il tintinnio del cucchiaino contro i bordi della tazza. Si ritrovò a sorridere.
Se i desideri si manifestassero così facilmente, a quel punto sentirebbe Aziraphale sorseggiare il tè e poi mettersi a spostare e sfogliare libri. Aveva passato così tanto tempo a guardarlo fare quelle azioni abitudinarie, da poterlo sentire e vedere con chiarezza nella propria mente.
Se solo non facesse sempre un po’ troppo male dentro ogni volta che ci ripensava.
Sbuffò, piegando indietro la testa sullo schienale.
All’improvviso avvertì uno spostamento d’aria alla propria destra. Rialzò le palpebre e con la coda dell’occhio vide accanto a sé una piuma bianca, appoggiata sul divano.
«Davvero?» chiese al vuoto, alzando poi la voce per rivolgersi verso l’alto. «Non ho chiesto un segno! Capito? Puoi tenerti la tua piuma.»
 
«Non è mia, ovviamente.» La sua voce. Più chiara di ogni ricordo.
 
«L’hai strappata a Michele e poi sei scappato?» Gli venne naturale quella domanda ironica, ma strinse gli occhi prima di voltare la testa sulla destra. Temeva di vederlo, di guardarlo, di scoprire che fosse tutto diverso. O che fosse tutto come prima.
Vide la sagoma angelica di Aziraphale prendere forma sul divano, al suo fianco. Prima il peso sulla coperta e poi la forma fisica del corpo che conosceva da milioni di anni. Così perfetto. Sebbene fosse vestito con un elegante completo perlaceo dalle sfumature argentate. Così lui. Tanto da sembrare davvero lì. Anche i sensi lo illusero, facendogli percepire il suo odore.
 
«Certo che no, è di un cigno. E non gliel’ho strappata, l’ha persa in modo naturale.»
 
«Sempre così gentile, angelo.» Perché gli veniva ancora così spontaneo parlargli? Perché non riusciva a ignorarlo? Si accorse subito dell’agitazione di Aziraphale: lo sguardo fisso davanti a sé, la postura tesa, le mani chiuse a pugno sulle ginocchia. A sua volta, guardò altrove. «O dovrei dire Supremo Arcangelo? Va ancora di moda lassù usare questo titolo o la nuova direzione ha cambiato la scala gerarchica?»
 
«Non ha importanza la gerarchia, Crowley. Lo sai che non sono qui per quello ma per…»
 
«Oh no, non parlerò con te fin quando tutto questo nuovo casino sarà risolto. Se sarà risolto,» lo interruppe all’istante. Il suono del proprio nome gli era sempre sembrato così giusto sulle labbra di Aziraphale. In quel momento, invece, gli scatenò un risentimento immediato. «Altrimenti non ci sarà niente di cui parlare… e nessuno. Beh, almeno io non ci sarò, immagino.»
 
«Ma abbiamo bisogno di farlo.»
 
«E soprattutto non parlerò con te quando non sei qui.» Insistette a guardare ovunque tranne che lui. Era più facile, se non lo guardava.
 
«Sono qui!»
 
«No, non lo sei.»
 
«Crowley…»
 
Il demone sentì un colpetto sul fianco e di scatto rialzò la testa e si girò verso la creatura alla sua destra, sconcertato. Non poteva aver già lasciato i piani alti con così tanta facilità.
 
«Sono qui, ma tecnicamente sono in Paradiso,» riprese Aziraphale, con un’alzatina di spalle. «È una specie di proiezione in cui sono da entrambe le parti nello stesso luogo.»
 
«Quindi sei qui, ma per loro sei da qualche parte lassù, seduto con me su un divano, nella tua libreria?»
 
«Sì, pressappoco è così. Ma nessuno vede anche te. Vedono solo me occupato a riflettere e nessuno mi disturberà.»
 
Crowley inarcò un sopracciglio. «Uhm… sembra divertente.» Aziraphale era davvero lì, seduto alla sua destra, come centinaia di altre volte aveva fatto. Una parte di lui spingeva per alzarsi e andarsene. L’altra parte – quella altra parte che gli bruciava dentro – non si sarebbe spostata da quel divano per nessuna ragione al mondo. «Perché hai dato alla tua sostituta il permesso di vendere libri?»
 
«Sì, io… le ho detto che poteva dare via solo alcune delle copie più recenti. Molte non hanno un reale valore. Mi è sembrata così felice di poterlo fare. Crowley, io volevo…»
 
«No,» lo bloccò ancora. Almeno aveva trovato la forza per farlo. Per mantenere la ferma posizione che credeva giusta. «Possiamo parlare di quello che succederà e forse posso darti qualche informazione, visto che chiaramente il tuo nuovo capo non ha la minima idea del guaio in cui si è cacciato. Oh, aspetta! Sei tu! Ma… non di noi.» Fece un secondo di pausa e terminò in un sussurro: «Sempre che esista ancora un noi.» Perché quella breve lontananza da lui lo aveva reso più stupido? La sola idea della lontananza, più che altro. Il solo pensare di averlo perso veramente, questa volta, e per sempre.
 
«Lo sai che esiste, sciocco.»
 
«No, non lo so. A quanto sembra, non mi hai detto molte cose.» Avrebbe dovuto mordersi la lingua. Non sapeva più se sentirsi patetico o troppo ottimista. Forse entrambe le cose. Più probabilmente la prima. 
 
«A quanto sembra, nemmeno tu l’hai fatto.»
 
Crowley incrociò per la prima volta i suoi occhi. Per l’amor di Satana – o di chiunque, ormai poco importava – perché non riusciva più a pensare a niente, adesso? Sembrava esserci così tanto rammarico negli occhi di Aziraphale. E dispiacere, e solitudine, e tristezza. E speranza, e amore, e desiderio. «Perché lo dici? Cos’hai visto lassù?»
 
«Ho visto ogni cosa, Crowley.» La voce dell’angelo era inquieta, ma velata di tenerezza. «Dio mi ha permesso di vedere tutto quanto, dal principio. Ho visto te, cosa ti è successo, quello che hai sempre cercato di farmi capire… e mi disp…»
 
«Oh non dire mi dispiace!» Crowley si rialzò con la schiena, girandosi verso di lui con un tono improvvisamente brusco. Tutto ma non la pietà. Non aveva bisogno di essere compatito per il passato. E né voleva sentirsi dare ragione, non per davvero. La ragione non avrebbe cambiato le cose. «Non ho bisogno delle tue scuse, Supremo Arcangelo Aziraphale. Voglio soltanto che tu apra gli occhi e veda, veda davvero, dove sei tornato e chi stai aiutando. E dovrai farlo da solo, questa volta, non c’è altro modo.»
 
«Crowley…»
 
Ancora il suo nome che lasciava le labbra di Aziraphale con un suono così dolce da sciogliere ogni barriera che credeva di aver alzato. E le parole successive divennero un po’ più difficili da pronunciare. «Io non ti chiederò più niente. Non ti chiederò se hai bisogno del mio aiuto. Non ti chiederò di venire via con me. Non ti chiederò di… stare con me. Fino a quando non capirai cosa vuoi davvero e per cosa stai combattendo. Devi farlo da solo, Aziraphale. Questa volta, non c’è un noi
 
«Suppongo sia ragionevole,» mormorò l’angelo, abbassando il mento e lanciandogli solo un’occhiata incerta.
 
«Lo è. È il momento che tu faccia davvero una scelta. Non puoi più essere diviso in due.»
 
«Non sono diviso in due. So bene dove desidero stare e… con chi.»
 
Così tanta determinazione in poche parole, quando era bastata una proposta ben calcolata per mettere da parte seimila anni di ciò che erano stati. Non l’aveva dimenticato, no. Era certo che Aziraphale non lo avesse fatto. L’aveva solo accantonato, quel noi che si ripetevano in continuazione, consapevole che gli sarebbe bastato un gesto o una richiesta per riottenerlo.
«Ho paura che tu debba saperlo meglio di così, angelo.» Crowley usò un tono più dolce di quanto volesse, e si piegò in avanti, appoggiandosi coi gomiti alle ginocchia divaricate. «Non posso venire a salvarti da questo. Non più.» La voce gli si spezzò appena nel dirlo. La cosa ridicola di tutto quanto era che, nonostante tutto, ancora, sarebbe davvero bastato un gesto di Aziraphale per farlo crollare. 
 
Aziraphale annuì, ispirando profondamente, ma non smise nemmeno un attimo di guardarlo. «Lo capisco questo. Voglio solo che tu sappia che… quando ci sarà di nuovo un noi…»
 
«Se ci sarà di nuovo un noi,» lo corresse Crowley, cercando la forza per non ricambiare il suo sguardo, perché anche attraverso le lenti scure, Aziraphale avrebbe visto troppo.
 
«Quando ci sarà,» insistette però l’angelo. «Ti prometto che avrai la danza delle scuse più lunga che tu abbia mai avuto.»
 
Era una sorta di magia. Lo doveva essere. Con tutta probabilità, lo straordinario Signor Fell aveva davvero qualche assurdo potere. Perché non riusciva a resistergli? Era un demone, per tutti i diavoli! E non doveva possedere la fragilità umana, capace di renderlo cieco e sordo a tutto quanto. E invece si ritrovò a sorridere e a scuotere la testa, girando poi il volto verso di lui. «Oh, temo che dovrai fare molto più di quella, angelo.» Si tolse gli occhiali e li appoggiò sopra la pila di libri sul tavolino. Non li aveva più tolti in presenza di qualcuno, solo quando si trovava da solo nel proprio appartamento. Solo quando nessuno avrebbe potuto scorgere le lacrime che osavano mostrarsi nei momenti più inopportuni. Continuò a fissare Aziraphale, intensamente, senza riuscire a farne a meno. Come se tutta la rabbia e la delusione si fosse sciolta dopo quella sola, stupida promessa di qualcosa che forse sarebbe arrivato tra chissà quanti anni. Se fosse davvero arrivato. Se l’intero mondo non fosse finito prima. Non poteva evitare di credergli, nonostante tutto.
 
«Ho pensato che…» Aziraphale parve ridestarsi di colpo da uno strano incantesimo. Il suo viso tornò raggiante, la sua voce più acuta e serena. Con un cenno della mano, fece comparire due calici pieni di vino bianco. «Prima di andare, potremmo almeno fare un brindisi.»
 
Prima di andare. Prima che Aziraphale tornasse ai piani alti, lasciando lui in un mondo che avevano plasmato, nel bene e nel male, insieme. Crowley, tuttavia, alzò le spalle e si rimise dritto, per poi prendere il calice, come anche l’altro aveva fatto. «A cosa brindiamo?»
 
L’angelo inarcò le sopracciglia con un sorriso. «All’umanità?»
 
«Beh, finché ce n’è ancora una a cui brindare, perché no?»
 
Alzarono i calici e li fecero tintinnare l’uno contro l’altro. Il lieve suono si propagò nel caldo silenzio della libreria. Sembrò un momento così tanto loro che entrambi, dopo averli riappoggiati sul tavolino, si rilassarono contro lo schienale del divano e ricominciarono a guardarsi, come se niente fosse cambiato. Come se Paradiso, Inferno e l’intero mondo non stessero per arrivare a una nuova, apparentemente inevitabile, conclusione molto definitiva.
Continuarono a guardarsi, incapaci di allontanare i propri occhi, tanto quanto i propri corpi. Le ginocchia si toccarono.
Continuarono a fissarsi, e a parlarsi di niente in silenzio. Parole che, in altre circostanze, avrebbero riempito i muri insieme a battute e risate.
Continuarono a perdersi l’uno nell’altro. A sussurrarsi cose non dette, dietro a domande e risposte necessarie.
 
«Hai saputo qualcosa di Gabriele e Belzebù?» mormorò Aziraphale, deglutendo. Mi manchi. Cielo, non posso stare senza di te. Come ho potuto anche solo pensarlo?
 
«Verrà una tempesta, e tenebre e venti sferzanti. E dalle tombe usciranno i morti e nuovamente cammineranno. E l’aria si riempirà di lamenti. Di giorno in giorno si avvicina,» Crowley ripeté le parole pronunciate da Jim quando un barlume della memoria di Gabriele si era riaccesa nella sua testa. Alzò le spalle. «È l’unica cosa che so di lui che non ti ho detto.» Non ti ho detto che mi manchi. Che anche io ho bisogno di te. Non perché non sia in grado di starci, senza di te. Ma perché non voglio farlo. L’eternità doveva essere la nostra eternità.
 
Aziraphale annuì, immagazzinando quell’informazione. Ma la sua mente sembrava comunque altrove, non nel discorso che stavano facendo. Crowley lo percepiva chiaramente nello sguardo che continuava a essere ancorato al suo. Non potevano smettere.
 
«Il Secondo Avvento, stanno… vogliono che organizzi quello,» sussurrò l’angelo, socchiudendo poi le labbra senza però aggiungere altro. Non voglio stare senza di te. Potrei farlo, sì, eppure non ci sarebbe gioia in Paradiso, né bontà, né… amore, senza di te.
 
Crowley piegò di lato la testa, appoggiando la tempia sul bordo dello schienale. Le mani abbandonate sulle ginocchia, calmo, o rassegnato forse. «Non so bene cosa possa essere ma non sembra niente di buono. Almeno per noi quaggiù.» Come se guardarti negli occhi mi facesse sentire la tua vicinanza. Ma non resterai qui. Dì ancora il mio nome, non posso stare altro tempo senza ascoltarlo.
 
«Crowley, sto cercando di cambiare qualcosa dall’interno. I piani originali non sono molto… uhm…» L’angelo fece una smorfia, ma non aggiunse altro. Cosa accadrà quando me ne andrò? Ti perderò ancora e ancora? Ogni singola volta ti sentirò vicino per poi vederti chiudere la porta su ogni cosa? Pronuncia ancora il mio nome, lasciami almeno la dolcezza di quello nella memoria.  
 
«A favore dell’umanità? Beh, Aziraphale, buona fortuna con quello, allora.»
 
Aziraphale accennò un sorriso e si guardò le mani che teneva strette a pugno sulle cosce. Crowley perse il contatto coi suoi occhi e per un secondo si sentì di nuovo smarrito nella solitudine. Poi, però, vide un tentennamento nella mano sinistra dell’angelo, che si aprì e si richiuse, solo per avvicinarsi a quella che lui teneva sul ginocchio.
 
«Io volevo solo…» poco più di un sospiro. Aziraphale gli sfiorò il dorso, delicatamente, in un incerto tentativo di prendergliela. «Stringimi la mano.»
 
Crowley ruotò il polso quel poco che bastava per accettare il suo gesto. Il palmo contro al suo, le dita intrecciate. E un fremito lungo tutto il corpo che gli fece battere il cuore con una forza quasi brutale.
 
Continuarono ancora a guardarsi, senza dire niente. Sarebbe servito dire altro? Altro che potesse creare più emozioni di quelle che Crowley stava sentendo dibattersi dentro di sé, e che riusciva facilmente a vedere sul viso di Aziraphale? Stava diventando troppo da gestire. Il suo odore così vicino. Il calore della stretta della sua mano. Il bisogno di dimenticare tutto quanto. Tranne… il ricordo del bacio che gli aveva rubato. Troppi sentimenti contrastanti. Così piegò il braccio per portarsi la mano dell’angelo sulle labbra. Gli baciò con un’estrema tenerezza il dorso, e poi la lasciò libera. «È meglio che tu vada. Probabilmente ti staranno già cercando.»
 
Aziraphale deglutì, riportando la mano sull’altra che teneva in grembo. Era evidente che fosse frastornato a sua volta da ciò che stava provando. «Se tu volessi…» la voce gli si spezzò e dovette interrompersi per un istante. «Se vuoi parlarmi ancora, devi solo…»
 
«Esprimere un desiderio e aspettare la piuma di un cigno?» Crowley accennò una lieve risata. «Chi dei tuoi l’ha inventata questa storia?» Non aspettò una risposta e gli fece cenno con la mano di alzarsi. «Vai.» Ma non riuscì a smettere di guardarlo. Lo vide tendere un sorriso amaro sulle labbra e l’espressione sul suo viso si intristì, prima che l’intero corpo dell’angelo diventasse via via più evanescente fino a svanire.
Provò una devastante morsa al cuore e infine si lasciò ricadere di lato sul divano, dove Aziraphale era seduto. C’era ancora il calore del suo corpo sul cuscino, la coperta stropicciata dal peso.
Crowley tirò le ginocchia al petto, gli occhi fissi sui due calici vuoti rimasti sul tavolino.
 
 
*
 
[CONTINUA…]
   
 
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