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Autore: Menade Danzante    31/08/2023    0 recensioni
[Tutti insieme appassionatamente]
La prima volta che la chiamano mamma è assolutamente per caso.
La seconda volta che la chiamano mamma il Comandante non lo viene a sapere.
La terza volta che la chiamano mamma è presente anche la baronessa.
La quarta volta che la chiamano mamma non c'è modo di evitare che se ne discuta.
La quinta volta che la chiamano mamma Maria non c'è, è tornata in convento.
La sesta volta che la chiamano mamma è la prima di molte altre.
[Questa storia partecipa alla ToBeWritingChallenge2023 di BellaLuna indetta sul Forum delle Penne]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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madre

Il giusto nome delle cose








La prima volta che la chiamano mamma è assolutamente per caso.

Il Comandante sta partendo per Vienna e Gretl ha avuto la fortuna di alzarsi in tempo per salutarlo, con l'istitutrice che la segue a qualche passo di distanza mentre lei trotterella verso il padre.

Maria la vede già in terra ancor prima che la punta della scarpina le si imperni sul pavimento, ma non riesce comunque a evitare che la bambina capitomboli a terra, prorompendo subito in un pianto dirotto.

«Ti sei fatta male, piccola?» chiede come se non fosse abbastanza ovvio, giusto per distrarla con le parole dal dolore che deve sentire, centuplicato dall'età.

Gretl annuisce nelle lacrime, ricompensata subito da un abbraccio. «Povera piccolina! Non ti preoccupare, passa in fretta.» La donna le accarezza il ginocchio su cui la bambina è atterrata malamente. «Dobbiamo stare più attente quando camminiamo, capito? O rischiamo di farci molto male.» La bambina fa ancora sì con la testa e l'istitutrice preme le labbra sulle dita prima di accarezzarle di nuovo il ginocchio. Un bacio e passa tutto. «Va meglio, adesso?»

«Sì, mamma. Grazie.»

Maria non può vedersi, ma in qualche modo sa che l'orrore dipinto sul volto stesso di Gretl fa il paio con il suo.

«Volevo dire–»

«Fräulein Maria, ecco cosa volevi dire,» si intromette il Comandante, la voce così raggelante che Maria non riesce ad alzare lo sguardo su di lui. «Non è tua madre, Gretl. Faresti bene a ricordarlo. Tutti voi.»

La bambina non esita un momento prima di dire: «Sì, papà.» È così soldatesca come risposta che Maria, nel caos generale, comunque si stupisce che Gretl non abbia confermato l'ordine con un ben più suggestivo Sissignore.

«Fräulein,» la riscuote il Comandante, facendola trasalire, «confido che si impegnerà affinché non si ripeta mai più. Sono stato chiaro?»

Il soldato, questa volta, è lei – anche se prima di rispondere si alza in piedi per recuperare almeno un briciolo di dignità.

«Sì, Comandante.»

Maria non discute perché non ha nulla in contrario: non è la loro madre, non è giusto che la chiamino così, che la sostituiscano al ricordo solo perché si prenderà cura della famiglia per il resto dell'estate.

L'uomo la fissa per un lungo istante, sembra soppesare il suo assenso, ma Maria non sa dire quale sia l'esito delle sue riflessioni: se ne va senza ulteriori parole, con solo un vago cenno di saluto rivolto alla figlia a far intendere di essere ancora conscio della situazione. La donna ha la sensazione che dovrebbe essere più indignata – è stato un errore, Gretl è piccola, non ha saputo distinguere fantasia e realtà, e il Comandante avrebbe dovuto mostrarsi molto più comprensivo nei suoi confronti, per quanto ferito –, ma l'unica cosa che riesce veramente a pensare è che quell'uomo deve aver amato davvero molto sua moglie.

Prima che la tristezza si impossessi di lei, prende per mano Gretl e le sorride. «Forza: per far passare il dolore ci servono tanti biscotti, non è vero? Andiamo a fare colazione.» Anche la bambina sorride e Maria non può fare a meno di ringraziare Dio per la sua fortuna: per essere in quella nuova casa da solo un giorno, ha già rischiato il licenziamento troppe volte.


-


La seconda volta che la chiamano mamma il Comandante non lo viene a sapere.

«Posso chiamarla mamma, Fräulein Maria?»

Marta lo chiede con la testa sulle sue ginocchia, mentre strappa i petali di una margherita al ritmo di una domanda che Maria non aveva avuto il cuore di indagare prima e che ora le si presenta in tutto il suo splendore – in tutta la sua pericolosità.

È la prima volta che qualcuno dei figli Von Trapp riporta in auge l'argomento dopo la disastrosa capitolazione di Gretl. Maria si chiede se ne abbiano parlato, se Gretl abbia avuto il coraggio, o anche solo il bisogno, di confessarlo agli altri, di cercare un conforto e la conferma di non essersi comportata poi così male. I ragazzi non battono ciglio, non sembrano sorpresi né scandalizzati... La donna è certa che in privato, al buio delle loro camere, abbiano discusso non solo dell'incidente alla partenza del Comandante, ma anche della possibilità di inchiodarla di nuovo sulla stessa linea di pensiero. Sono furbi e scaltri, non solo per riempire un secchio di ragni o infilarle una rana in tasca. Nonostante tutto, nonostante l'imbarazzo che la coglie, Maria non può fare a meno di essere colpita dalla loro intelligenza. Né si stupisce che abbiano scelto di assestarle il colpo in montagna – sulla sua montagna, dove stanno bene, dove si sentono sicuri, appagati, veramente felici.

Il bene che Maria si scopre a voler loro le stritola lo stomaco in una morsa così forte da essere quasi spiacevole. Se non rischiasse di perseverare in un equivoco che le è stato espressamente imposto di evitare, li abbraccerebbe uno ad uno, riempendoli di baci e ringraziamenti.

Ma questo non le è concesso.

«Non credo che tuo padre apprezzerebbe, Marta,» sorride quindi, a mo' di scuse – mi dispiace che tu non abbia più una madre, mi dispiace che ti manchi così tanto da volerla vedere perfino in me. «E avrebbe ragione, sai? Io non lo sono.»

Per un lungo momento tutto quello che riempie il silenzio è il sommesso fischio del vento, unico discreto testimone di una conversazione proibita. Poi Marta torna alla carica.

«Neanche la baronessa Schraeder lo è, ma papà la sposerà comunque. Questo farà di lei la nostra nuova mamma?»

Maria sente lo sguardo di tutti puntato su di sé, compreso quello di Liesl, ma quando alza gli occhi a incrociare i suoi, la ragazza guarda via, colta sul fatto. A Maria si stringe il cuore: non vuole rovinare quello che insieme sono riuscite a costruire, non vuole che la ragazza si senta minacciata o, peggio, che senta minacciato il ricordo di sua madre.

Non vuole nemmeno che questo accada con tutti gli altri. Potrebbe dir loro che non è solo di un legame di sangue che si sta parlando, ma c'è qualcosa di più profondo in quello che i ragazzi le stanno chiedendo per voce di Marta. Qualcosa di più preoccupante. Quello che le stanno ponendo è un problema di sostituzione, di scambio, ed è un problema che devono avvertire con un'urgenza così pressante da aver deciso di affrontarlo prima che il Comandante torni con al fianco una donna che non conoscono, ma di cui già immaginano il ruolo futuro che credevano essere ormai confinato nel passato, e questo li spaventa più di ogni altra cosa.

«Ascoltate,» dice Maria, guardandoli tutti a turno, «nessuno potrà mai sovrapporsi a vostra madre. La baronessa Schraeder non prenderà il suo posto, ma sarà vostra madre in modo diverso.»

Ancora nessuno parla, e dal modo in cui Kurt e Louisa tornano a giocherellare con la stoffa dei loro abiti Maria è sicura che l'attacco sia finito lì, almeno per il momento. Non crede che siano soddisfatti della risposta, né che siano disposti ad accontentarsi di qualcosa che non li appaghi del tutto, ma le domande così difficili dovrebbero essere terminate per quel singolo pomeriggio.

Ad avere un'opinione differente in merito, tuttavia, è sempre Marta.

«Perché non potrebbe essere lei, invece, nostra madre in modo diverso?»

Nessuno stropiccia più i vestiti, nessuno muove più un muscolo, se non per voltarsi verso di lei. Solo Brigitta alza gli occhi al cielo, ma non si lascia sfuggire niente di pungente, nessuna battuta sarcastica, nessuna risatina soffocata. Persino Liesl torna a guardarla, e stavolta senza nascondersi. Maria comprende subito: nessuno di loro aveva avuto intenzione di arrivare a tanto, ma adesso che l'ulteriore domanda è stata fatta è fuor di dubbio che vogliano una risposta, e che la vogliano ora.

«Be'...» inizia imbarazzata, cercando di sorridere per sdrammatizzare, «io e vostro padre non siamo innamorati.» Sono le sopracciglia improvvisamente alzate di Brigitta che le fanno aggiungere, veloce, «E io diventerò una suora. Le suore non diventano madri.»

Maria si concede giusto il tempo di chiedersi come mai la motivazione più ovvia all'impossibilità di diventare madre sia arrivata solo in seconda posizione nella sua testa, ma poi batte le mani festosa, come sempre, per invitarli a cantare: hanno tutti bisogno di una distrazione.


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La terza volta che la chiamano mamma è presente anche la baronessa.

«Ci insegna una nuova canzone, mamma?» esordisce Kurt nel silenzio rilassato che segue la loro ultima esibizione domestica.

Maria si volta senza pensare, prima di rendersi conto di aver risposto a un appellativo che non le compete, né in quella casa, né mai, ma quando finalmente realizza avverte il cuore saltare un battito, perché anche se il Comandante è fuori dal suo campo visivo, lei sa benissimo che è , in quel salotto, con il giornale spiegato sul tavolo a sbocconcellare biscotti al burro. Sa che sta ascoltando tutto, come sempre, per controllare che ogni cosa sia al suo posto e per imparare tutto il possibile sui suoi figli. Sa che allo stesso tavolo ci sono la baronessa Schraeder e lo zio Max, altrettanto consapevoli di quello che accade intorno a loro, anche se solo di rado prendono parte alla conversazione.

Sa anche che dovrebbe fare qualcosa – qualsiasi cosa – pur di distogliere l'attenzione generale da quella parola, ma, prima che possa trovare una nuova miracolosa pigna su cui sedersi per fingere un reumatismo, il frastuono di ceramica in pezzi la salva d'impaccio, instillandole tuttavia una diversa preoccupazione, che però ha vita breve: la testa scatta in direzione del suono e ciò che vede le riempie il cuore di tenerezza più che di ansia, perché Louisa ha le mani alla bocca di fronte alla tazzina da tè e il piattino infranti sul pavimento, ma gli occhi la cercano per comunicarle che va tutto bene, che non si è fatta male perché l'ha fatto di proposito, e che farebbe davvero bene a portare Kurt fuori dalla stanza approfittando della confusione che regna sovrana per qualche istante.

È Liesl che intanto tira a sé il fratello, mentre con un'occhiata d'intesa Maria si para tra il bambino e il padre, che però non sembra assolutamente degnarli di attenzione: ha lo sguardo puntato su Louisa, la mano tesa in avanti verso di lei, aperta in un gesto di raccordo e rassicurazione insieme.

«Chiedo scusa, non era mia intenzione,» assicura la ragazza, abbassando immediatamente lo sguardo sul tappeto che ora sprigiona odore di tè dal punto in cui la macchia ha preso ad allargarsi.

«Siamo distratte oggi, vedo,» la rimbecca il padre, e a Maria quel tono suona familiare: anche se non la smaschera apertamente, anche se si sistema la stoffa dei calzoni per chinarsi a terra a raccogliere i cocci, non ha creduto neanche un po' alle misere scuse della figlia, i cui occhi si spostano sull'istitutrice per un secondo, prima di tornare a fissarsi in basso, al riparo da quelli dell'uomo.

Maria fa per inginocchiarsi a sua volta, avvertendo di colpo l'urgenza di essere d'aiuto in qualche modo, fosse anche solo per concentrare l'attenzione su di sé e non sui ragazzi.

«Lasci, Comandante–»

«No, no, ce la faccio.»

L'uomo le sorride appena, incerto, mentre le rivolge un'occhiata fugace, quasi furtiva, che Maria vorrebbe saper interpretare con maggiore chiarezza: è certa che se fosse stato furibondo per l'accaduto, avrebbe già ordinato a lei di lasciare la casa e a Kurt di filare in camera sua, in punizione per il resto dei suoi giorni o almeno della stagione, ma l'evidente imbarazzo con cui ora il Comandante si ostina a non guardarla nemmeno le fa tremare il respiro ancor più di quanto avrebbe fatto una reazione scomposta o persino irata.

Maria scandaglia la stanza per un momento ed è a quel punto che la vede: la baronessa la stava già guardando, ma non si ritrae quando i loro occhi si incontrano. La fissa senza fingere che sia solo un caso che le stia rivolgendo tutta la sua attenzione. E come potrebbe? Non è forse lei che i ragazzi dovrebbero imparare a chiamare madre? Non è forse lei che dovrebbero imparare ad amare come una madre?

Ma non è in quella direzione che i figli Von Trapp si stanno muovendo. Per quanto si impegnino, Maria sa che non stanno riuscendo nell'impresa di farsi piacere quella donna bella e raffinata che viene da Vienna. Non che la odino o che non ne tollerino la presenza in casa, ma non la preferiscono, non ne cercano la compagnia, né la tenerezza. E nello sguardo della baronessa, fermo e tagliente di gelido risentimento, Maria sa che anche lei ne è pienamente consapevole: non le si rivolgeranno mai come mamma con la stessa spontaneità con cui l'hanno fatto con lei.

Il pensiero le fa pungere gli occhi per un istante ed è sul punto di chiederle scusa – di dirle che è desolata, che andrà meglio, che prima o poi sapranno apprezzare anche lei come la madre meravigliosa che sarà per loro – quando Kurt, dal nulla, le toglie la possibilità di parlare per prima.

«Mi dispiace, papà,» pigola, infatti, il ragazzino, beccandosi l'occhiataccia combinata di Louisa e Brigitta. Persino Gretl, nota Maria, scuote la testa in un pensiero di facile intuizione: l'aveva scampata, perché mai ha dovuto infierire? Non ricorda, forse, quello che è accaduto l'ultima volta che qualcuno ha osato chiamarla mamma di fronte al Comandante?

L'uomo gira la testa nella direzione del ragazzo. «Per cosa? Non hai rotto tu la tazza. Non hai fatto nulla di male, dico bene?»

Maria si sente bruciare la nuca dalla voglia di spiare il volto del Comandante, ma il pensiero di tradire anche solo una minuscola emozione inopportuna la fa rimanere fissa su Kurt, che la guarda di rimando in cerca di una direttiva.

Direttiva che, purtroppo, tarda ad arrivare.

E allora Kurt prende di nuovo l'iniziativa: indica i cocci a terra e chiede: «Ti sei... fatto male?»

Il Comandante ride apertamente mentre gli si avvicina per dargli un leggero buffetto sulla guancia, gesto che fa subito distendere le spalle del bambino in un respiro tremolante. «Sto bene, sto bene. Ci vuole ben altro per scalfirmi.»

Nel girare sui tacchi la guarda negli occhi. È un momento breve, se Maria non fosse stata già ad osservarlo forse non l'avrebbe nemmeno colto, ma c'è e la donna non fa in tempo a decifrarlo.

«Mando a chiamare Franz per pulire questo disastro. Vogliate scusarmi.»

Non è l'unico a lasciare la stanza: in direzione opposta se ne va la baronessa, che non degna nessuno di uno sguardo.


-


La quarta volta che la chiamano mamma non c'è modo di evitare che se ne discuta.

Accade in un pomeriggio come un altro, durante i preparativi del ballo che fanno fremere la casa da cima a fondo e che rendono i ragazzi esuberanti e in qualche modo disattenti. Stavolta è Friedrich che fa per chiamarla mamma, ma se ne accorge abbastanza in fretta da cambiare parola in corsa, unendola a Maria in un balbettante mammMaria conclusivo, che gli fa meritare solo un rimprovero da parte del padre sulla mancanza di formalità con cui ha osato rivolgersi alla sua istitutrice.

Per quel giorno tutti sono più cauti del solito e nessuno sbaglia più. È solo alla sera, tardi, con la maggioranza della casa a letto, che l'argomento viene ripreso senza alcun preavviso e nel mondo più diretto possibile.

Quando, infatti, Maria scende le scale pianissimo per andare in cucina a scaldarsi un bicchiere di latte che la aiuti a dormire, non ha la minima idea che il Comandante sia sceso prima di lei. Se lo ritrova davanti in giacca da notte, con in una mano un coltello e nell'altra un barattolo. Sul tavolo, del pane già tagliato a fette. La nota subito, guardandola con un'espressione da monello che normalmente la farebbe ridere, ma che adesso le fa solo chiedere se per caso non abbia dimenticato la sua vestaglia, come sempre. Una mano scatta a controllare all'altezza del seno: quando avverte il doppio strato di stoffa già incrociato a coprirla con più cura rispetto alla sola camicia da notte, Maria tira un sospiro di sollievo e istintivamente corre a stringere ulteriormente il nodo in vita.

«Non sapevo fosse qui,» dice poi.

«E io non sapevo che sarebbe arrivata,» si riscuote il Comandante, poggiando sul tavolo quello che ha in mano. «Non riesce a dormire? No? Nemmeno io.» Le fa cenno di avvicinarsi. «Visto che è qui, posso offrirle pane e marmellata?»

Maria si stringe appena nelle spalle mentre un lieve calore le nasce alla base del collo. È una situazione piuttosto nuova, quella. Non è mai stata sola con il Comandante in una stanza, ad eccezione del giorno in cui è arrivata, ma quello non conta molto, o comunque non le sembra affatto la stessa cosa. In quel momento era stata sotto esame e lo aveva superato con non poca fatica, con lui che le camminava intorno come un avvoltoio sulla preda. All'epoca aveva pensato che fosse la sua abituale maniera di relazionarsi alle altre persone, soprattutto quelle in una posizione di inferiorità nei suoi confronti, ma adesso, conoscendolo meglio e vedendolo con i suoi figli, Maria è certa che quello fosse solo il suo modo burbero – l'unico che conosceva – di proteggere la sua famiglia. Spaventare le potenziali governanti prima che loro potessero fare del male ai suoi ragazzi.

Ora le sorride, come a dirle di non avere paura. Non c'è più alcuna traccia di intimidazione. Solo un invito a condividere con lui un attimo di tranquillità e una merenda all'ora più insolita di tutte.

Maria non ha il cuore di rifiutare e fa un passo avanti, poi un altro e un altro ancora, fino a ritrovarsi abbastanza vicina al Comandante da potersi appoggiare al piano del tavolo su cui l'uomo dispone ingredienti e strumenti per preparare il dolce spuntino.

E il silenzio è improvvisamente troppo carico di intimità.

«È il caldo che non la fa dormire?» gli domanda allora, per svuotarlo un po'.

Il Comandante annuisce. «Anche. Ma c'è agitazione nell'aria. Tanta energia. È difficile riposarsi con questa atmosfera, non trova? Mi chiedo come ci riescano i ragazzi.»

«Be', più sono euforici, più si stancano in fretta ed è per questo che dormono benissimo.»

«Dunque è l'euforia che manca a me, e che risolverebbe tutti i miei problemi? Capisco.»

Maria vorrebbe provare a rispondere scherzando allo stesso modo, dirgli che non deve sottovalutarsi, che negli ultimi tempi ha fatto passi da gigante con tutti, ma le capita di ridere insieme a lui, sola con lui, e la parola le viene meno, persa in un gesto anch'esso troppo intimo.

Stavolta, però, è il Comandante che spezza la quiete, e, prima che parli, Maria fa in tempo a notare un accenno di esitazione nel suo portamento – la bocca aperta e poi richiusa, la mano che fa per prendere una fetta di pane per poi ritrarsi, lo sguardo vagante per un secondo. Maria non capisce, ma quando il Comandante dà voce ai suoi pensieri tutto le diventa incredibilmente chiaro.

«Fräulein... A proposito dei miei figli... Mi sembra che continuino a sbagliarsi nel chiamarla. Ha notato?»

Il tono è gioviale, forse solo un po' triste, ma certo non è furioso. Maria, però, smette di sorridere e congiunge le mani in grembo, il cuore in gola. Ha sempre saputo che prima o poi ne avrebbero parlato, anche se non ha mai dedicato tanto tempo a pensare a come sarebbe accaduto. Le poche volte che aveva tragicamente fantasticato sulla questione, era arrivata alla conclusione che il Comandante l'avrebbe convocata per sgridarla prima e cacciarla poi. Di certo lo aveva immaginato arrabbiato, deluso e ferito, tutti sentimenti che Maria avrebbe capito senza pensarci due volte. Ma quello che ora ha davanti la sorprende. Ha come la sensazione che nel Comandante non vi sia più nemmeno un briciolo di fastidio per la situazione che è venuta a crearsi. Solo... rassegnazione, forse, e questo cambia tutto.

«Io..,» si costringe a iniziare, ma deve fare subito una pausa per raccogliere meglio le idee. «Ecco, sono desolata, Comandante. Mi creda, non cerco di incoraggiarli in alcun modo–»

L'altro alza una mano e sorride. «Non volevo implicare nulla: lo so che non lo sta facendo. Solo che... Sembra che approvino più lei della baronessa,» ride, mentre Maria avvampa senza controllo – di vergogna o senso di colpa non saprebbe dirlo, anche se tutto sommato non crede che vi sia poi tanta differenza. «Non volevo metterla in imbarazzo. Sono stato inappropriato... Stavo solo scherzando, immagino.»

La donna accenna un sorriso, ma per la prima volta in vita sua tiene la bocca chiusa, scegliendo di riflettere piuttosto che dire la prima sciocchezza che le viene in mente. Perché la questione è seria, lo è ogni giorno di più, anche se tutti la ignorano o ci ridono su. E nel Comandante Maria non vede niente di diverso rispetto a quello che vede nei suoi figli: ha paura anche lui, come loro. Ha paura che non sia giusto risposarsi, ha paura che i ragazzi dimentichino, ha paura che siano confusi – che lui sia confuso. Ha paura di star sbagliando qualcosa, di star perdendo il controllo, e Maria non osa nemmeno provare ad immaginare cosa significhi per lui, un Comandante di Marina, assistere a qualcosa di cui non conosce i meccanismi e a cui non ha la facoltà di imporre un ordine con un fischietto.

«Signore...» lo chiama, ricevendone subito l'attenzione. «Io non credo che loro stiano cercando di rimpiazzare il ricordo della loro vera madre...» Maria fa una cauta pausa prima di continuare. «Credo solo che associno quello che fanno con me come qualcosa che attribuiscono a un ruolo materno, ma non stanno cercando di riscrivere quello che hanno avuto.»

Il Comandante prende un respiro profondo e annuisce, piano. Quando parla, Maria intuisce che qualcosa sia rimasto taciuto. «E cos'è che fa lei con loro?»

«Be', niente che non abbia visto anche lei: cantiamo, giochiamo, parliamo, ci divertiamo... Ci abbracciamo. Le piccole hanno sempre tempo per le coccole.»

Il tono del Comandante ha una nota lontana di malinconia quando ribatte: «Se la mette in questi termini, non c'è da stupirsi che la chiamino mamma. Come altro vorrebbe farsi chiamare?»

«Chiamerebbero mamma chiunque–»

«Non chiamano mamma la baronessa o Frau Schmidt, Fräulein.»

Sentir messe sullo stesso piano la baronessa Schraeder e la governante la fa involontariamente sorridere.

E soprattutto le fa perdere la prudenza: «Perché loro non si comportano allo stesso modo con i suoi figli.»

Il coltello che il Comandante intinge nella marmellata rimane per un momento completamente immobile all'interno del barattolo, così come il resto del corpo dell'uomo. L'unico elemento che pare aver mantenuto la vita è la bocca, che fa per aprirsi dapprima in modo del tutto inconcludente, per poi rilasciare un suono, un «Oh» cantilenato di cui Maria già subodora la malizia. Non si stupisce, infatti, quando l'altro aggiunge: «Quindi nell'eventualità che io sposi la baronessa, cosa diventerà per loro? La zia?»

In altre circostanze, forse, avrebbe apprezzato l'ironia. Adesso avverte solo il fortissimo calore che dal collo le risale sulle guance e che, da come il Comandante alza un angolo delle labbra, è sicuramente visibilissimo anche da fuori. «Sono mortificata, ho parlato troppo.»

Il coltello viene definitivamente abbandonato nella marmellata perché l'uomo appoggia le mani sul tavolo e vi scarica il peso, sempre più divertito. «Si scusa per aver parlato troppo, ma non per quello che ha detto... Fräulein, ammiro la sua incondizionata sincerità.»

«È tremenda, davvero, mi dispiace.»

È quando il Comandante ride che Maria si rende conto di aver appena indirettamente confermato di aver parlato dal cuore, senza filtri, e che è probabile che pensi che la baronessa non si comporti da madre nei confronti dei ragazzi.

«Parola mia,» dice l'uomo, «non ho idea di come lei possa provenire da un convento.»

Maria sospira, si stringe un pugno di capelli tra le dita prima di ammettere: «A volte me lo chiedo anch'io.»

Il Comandante la guarda con un guizzo ancora più allegro negli occhi. «Eppure è certa di volerci tornare, no? Non è buffo?»

Maria esita, improvvisamente conscia di un fatto: se deve proprio essere sincera con sé stessa, l'unica cosa davvero buffa in quella situazione è che lei, al tornare in convento, non ha pensato poi molto negli ultimi tempi, e quando l'ha fatto è stato perlopiù una scusa, una giustificazione.

Una deresponsabilizzazione.

Ma forse è solo l'impressione del momento. Non può negare che la vita in casa Von Trapp le piaccia più di quanto avrebbe mai potuto immaginare, ma questo non vuol dire che la sua vocazione abbia subito ridimensionamenti di alcun tipo. Magari è solo giovane, troppo giovane per poter essere del tutto immune agli attacchi della vita secolare. Sarà sufficiente tornare in convento per mettere a tacere ogni tipo di dubbio che le passa per la testa, di questo è piuttosto convinta, anche se si sente in dovere di ripeterselo mentalmente un paio di volte prima di riuscire a sorridere e ad annuire in una risposta che vorrebbe suonasse come: sì, è buffo, ma andrà tutto bene perché il mio posto è quello, non questo.

Il Comandante non replica, non esprime i suoi pensieri, ma Maria sa che ci sono e sa che non li vuole conoscere, perché lei quel lampo negli occhi dell'uomo che ha di fronte, autoritario e tenero allo stesso tempo, lo ha già visto e ne rammenta il significato: orgoglio. Ha visto la sua titubanza, ha compreso di averla generata lui e se ne è saziato prima che Maria potesse fare alcunché per difendersi.

Per sua fortuna, il Comandante non insiste e riprende a spalmare marmellata sul pane, una fetta ciascuno, la prima servita per lei, che vorrebbe tanto addentarla subito, ma che alla fine decide di aspettare che anche lui abbia la sua per dare un morso: è pur sempre la bambinaia, non la bambina.

Il silenzio che cala mentre si godono lo spuntino notturno, nonostante tutto, stavolta è confortevole. Maria non si sente più così a disagio, le piace il clima di tranquillità in cui è immersa. Non avverte minacce, né astio nei suoi confronti. Soltanto calma. Un prolungamento delle giornate passate con i ragazzi. Solo, senza i ragazzi. E senza la baronessa o i domestici. In cucina ci sono solo lei, il suo capo e un dolce che considera un privilegio a cui non è mai stata abituata1.

È per questo che, quando il Comandante riprende a parlare dal nulla, quasi si stupisce del fatto in sé, ma è la tristezza che avverte nella voce di lui che veramente coglie la sua attenzione.

«Loro... le bambine... non vengono mai da me per le coccole...»

Maria sente il proprio stomaco torcersi, ma allo stesso tempo le viene quasi da sorridere: appena arrivata in quella casa non avrebbe mai immaginato di poter vedere lui, il Comandante Von Trapp, così affranto e così intimorito dalla mancanza di familiarità tra sé e i suoi figli. E invece adesso è lì con lei, a chiederle aiuto con le spalle leggermente incurvate dal peso di voler essere un genitore perfetto, ma senza sapere come diventarlo.

La donna finisce di masticare il suo boccone, poi parla con semplicità.

«Solo perché non sanno di poterlo fare. Loro... Stanno ancora capendo come muoversi intorno a lei. Ci vuole tempo, sa, ma lei può incoraggiarli tutti.»

«Come?»

Maria si stringe nelle spalle. «Glielo dica. Li faccia avvicinare. Non chiedono altro, mi creda. Anche se non sempre lo sanno.»

«Che intende?»

«Be', soprattutto dai più grandi non può aspettarsi che siano troppo diretti.» Non lo sono nemmeno durante i temporali, ma questo non le sembra il caso di rivangarlo a voce alta. «Sono in un'età complicata, ma forse proprio per questo hanno bisogno di lei.» Il Comandante annuisce con aria grave e pensosa insieme, mentre Maria conclude: «Saranno felici di vederla fare un passo verso di loro.»

Il Comandante abbozza un sorriso prima di annuire. «Chiameranno mamma anche me?»

La donna ride apertamente. «Se lo preferisce a papà, perché no?»

Anche il Comandante si unisce alla sua felicità e Maria scopre che quella è una scena a cui le piacerebbe assistere, anche solo per vedere l'effetto che fa.

Tornano a mangiare quieti, le bocche piene degli ultimi morsi del pane addolcito dalla confettura di albicocche. Quando Maria finisce la sua fetta, strofina le mani tra di loro per pulirle delle ultime briciole. Le rimangono congiunte a mezz'aria nel momento in cui il Comandante parla di nuovo, il tono più basso di prima, più riflessivo, come in una confessione.

«Io le devo delle scuse, Fräulein,» dice, infatti. «Per quella mattina, con Gretl... Non avrei dovuto, sono stato troppo duro.»

Maria deglutisce, frenando l'impulso non previsto di raggiungerlo, di mettergli una mano sulla spalla o sul braccio e stringere appena in un gesto di conforto. Ma non può farlo, non deve, non sta bene. Tutto quello che le è concesso è parlare a sua volta, con dolcezza e senza riserve.

«La capisco,» garantisce, la testa lievemente piegata di lato. «L'ho capita anche quel giorno.» L'uomo alza un sopracciglio, scettico, e Maria inspira profondamente. «Forse è stato un po' troppo militaresco, ma comprensibile.»

«Non saprei... Non era colpa sua, né della bambina...» Il Comandante scuote il capo prima di tornare a guardarla. «Mi dispiace.»

Maria lo guarda negli occhi, colpita. È la seconda occasione in cui l'uomo le chiede scusa in modo tanto accorato e, come per la prima, anche adesso lei ha difficoltà a capire come reagire. È certa solo di una cosa: il Comandante non è in cerca di comprensione, non vuole essere banalmente capito. Vuole essere assolto, e Maria non sa bene né come né perché sia possibile che lei abbia il potere di farlo, di concedergli quello che desidera veramente, ma sa di essere lei la persona designata, l'unica in grado di affrancarlo dalla colpa.

E allora, semplicemente, lo fa.

«Io la perdono.»

Il viso del Comandante si rilassa subito in un'espressione così grata che Maria avverte qualcosa agitarsi all'altezza del petto, e ha come la sensazione di non avere le parole per esprimere il sentimento, ma lo sguardo dell'uomo è di colpo troppo intenso perché Maria possa sopportarlo a lungo nel silenzio.

Armeggia con l'orlo della vestaglia, pinzandosi la stoffa sotto il mento a coprire il rossore che sente infuocarlesi lungo il collo. Poi, veloce, si scopre a dire: «Spero che i ragazzi chiameranno mamma la baronessa. Presto.»

Il Comandante sbatte le palpebre un paio di volte, stupito, e la donna non lo biasima: a parti invertite, è certa che avrebbe reagito allo stesso modo a un cambio d'argomento così repentino. Ma quando l'uomo parla non è più così sicura di comprendere del tutto.

«Lo spera?» le chiede, infatti, con un tono a metà tra la meraviglia e l'indignazione.

«Non dovrei?»

«Oh, sì... Se lo vuole, ovviamente.»

Maria quasi si sente in errore, ma rapidamente scaccia via l'idea. Non è questione di volerlo o no, ma un dato di fatto, pensa senza però dirlo ad alta voce. «Non... Non lo spera anche lei?» corregge il tiro.

La domanda sembra far riscuotere il Comandante, che raddrizza la schiena e si schiarisce la gola prima di assicurare: «Io? Ehm... Be', sì. Certo. Suppongo di sì. Perché no?»

La mente di Maria si arrovella per un momento sulla risposta che ha appena sentito, ma subito decide che non le interessa, che non è affar suo. Tutto quello che le importa, adesso, è allontanarsi e tornare su un terreno in qualche modo più sicuro per lei, meno imprevedibile di quello.

«Bene. Io... Credo che me ne andrò a dormire, Comandante,» annuncia allora di punto in bianco, desiderosa più che mai di nascondere il turbamento simulando uno sbadiglio. «La montagna domani sarà impegnativa, come sempre.»

L'uomo annuisce con vigore, questa volta senza alcuna traccia di sorpresa a colorargli la voce. Maria lo definirebbe persino sollevato. «Sì, giusto. Allora buonanotte.»

«Buonanotte.»

Si avvia decisa, intenzionata a lasciarsi alle spalle la cucina il prima possibile, ma riesce appena ad arrivare sulla porta quando viene richiamata indietro.

«Fräulein.»

La donna si volta, in attesa di parole che tardano ad arrivare.

Poi il Comandante fa un respiro profondo e china il capo.

«Grazie.»

Maria gli sorride, permettendosi di indugiare con la mano sullo stipite un secondo di troppo prima di riprendere il cammino verso la sua stanza.

È solo a metà della scalinata verso le camere che si ricorda del latte da scaldare e della notte insonne che aveva immaginato di evitare. Lancia un'ultima occhiata affranta nella direzione da cui è venuta, ma non prende nemmeno in considerazione l'idea di tornare indietro e rimediare alla dimenticanza. Qualcosa dentro di lei le suggerisce che stanotte, dopotutto, potrebbe anche fare bei sogni.


-


La quinta volta che la chiamano mamma Maria non c'è, è tornata in convento.

È di nuovo Gretl che scivola nell'errore mentre piange sommessa.

«La mamma non tornerà più?»

Georg la sente fuori dalla camera, un momento prima di bussare alla porta per la buonanotte.

«Shh, andrà tutto bene.»

C'è Liesl con lei, e forse sono sole, ma l'uomo non tenta la fortuna spingendosi un po' più avanti per spiare dalla sottile fessura che il battente lascia aperta. Rimane lì, immobile, con la mano sospesa in un gesto interrotto appena in tempo. I pensieri invece no, quelli non si fermano, corrono veloci.

Non ha bisogno che qualcuno corregga sua figlia per fargli intendere di chi stessero parlando prima del suo tacito arrivo. Non potrebbe confondersi nemmeno se lo volesse, ne è più che certo.

Ne è certo perché ha provato tutto il giorno a non pensarci, a ignorare il continuo bisogno di tornare alla sera precedente, in un cortile pieno di musica e di un'idea di famiglia a lungo trascurata, ma non ci è riuscito: l'assenza di Maria è stata così ingombrante da essere riconoscibile ovunque.

Maria non c'è nella tranquillità che aleggia per la casa.

Maria non c'è nella moderazione con cui i ragazzi si muovono nella villa.

Maria non c'è nella musica che non suona più, sparita insieme alla chitarra che, muta, raccoglie la polvere in un convento.

«Mi manca tanto.»

Le parole della bambina intercettano così sorprendentemente bene il suo flusso di pensieri che Georg, per un attimo, quasi teme di averle pronunciate lui e se ne spaventa. Si scopre terrorizzato all'idea di volerla lì, di voler ripristinare l'ordine che era venuto a crearsi e che è sicuro non tornerà mai più: quell'ordine, quel nuovo peculiare modo di vivere che hanno appreso in un'estate, gravitava intorno a lei, e adesso che lei è andata via Georg fa fatica a vedere una soluzione. Come possono ora tornare a vivere senza Maria, quando è a lei che devono tutto ciò che sono diventati?

«Manca molto anche a me.»

Gli si stringe il cuore nel petto mentre realizza che è come se i suoi figli avessero perso la loro mamma una seconda volta. Non osa nemmeno immaginare cosa possano provare, soprattutto i più grandi, ma sa che dovrà farlo, che a breve gli verrà chiesto di mettersi nei loro panni per cercare di sistemare le cose, perché è quello che un genitore fa e lui non si tirerà indietro, non sarà da meno e sarà lì, pronto ad attendere i suoi ragazzi per trasformare il loro dolore in qualcosa di più sopportabile, con cui convivere in sottofondo.

Cos'è che ha perso lui, invece? Perché sembra come se... Come se... Come se avesse perso anche lui sua moglie un'altra volta?

Georg scuote la testa e sospira: Maria non era sua moglie, non lo sarebbe mai diventata. Era solo l'istitutrice dei suoi figli, nulla di più.

E allora perché non trova pace né conforto nel pensiero della donna che a tutti gli effetti lo sposerà di lì a poco? Perché ha l'impressione che qualcosa si sia rotto anche dentro di sé e che non vi sia possibilità alcuna di ripararlo con Maria lontana da casa?

Maria.

Nella sua testa, senza onorifici.

Solo Maria.

Sempre Maria.

Maria, che è andata via senza salutare, con un misero biglietto di scuse ad annunciare la sua partenza.

«Forza, asciugati le lacrime: papà sarà qui a momenti per salutarci.»

Georg vorrebbe fuggire, vorrebbe lasciare Gretl al suo pianto liberatorio e Liesl ai suoi quindici anni, vorrebbe ritirarsi nel tentativo di dare un senso a quello che prova, ma sa di non poterlo fare. Ha il dovere di apparire calmo con la sua famiglia, di andare avanti come se un terremoto non avesse appena scosso la casa. Lo deve a loro, a quei figli che ora più che mai hanno bisogno di un punto di riferimento solido, anche quando lui non sente di esserlo.

Sospira un'ultima volta prima di calpestare il pavimento con decisione inscenando una camminata, e finalmente le nocche della mano picchiano forte contro la porta, in attesa del permesso per entrare. 



La sesta volta che la chiamano mamma è la prima di molte altre.

L'appellativo le viene rivolto con sicurezza, senza che vi sia l'accenno di un errore.

Maria avverte l'impulso dell'abitudine destarsi a rimediare, ma un altro istinto, più insistente, la spinge a tacere. Sceglie di cercare Georg con lo sguardo e scopre che anche lui la guarda – la guarda sempre, pieno di tenerezza e stupore, quel misto di sentimenti che lei ha imparato a riconoscere come il suo modo di amarla profondamente.

Le sorride.

Le fa l'occhiolino.

Annuisce.

Va tutto bene, le sta dicendo. Stanno solo dando il giusto nome alle cose.

Qualcosa le esplode nel petto, qualcosa che semplificando chiamerebbe felicità.

E allora non corregge Brigitta, accetta di essere madre e si innamora un po' di più.







1È un piccolo, insignificante riferimento alla canzone Something Good (in italiano Non baciarmi ancora) in cui Maria canta: Perhaps I had a wicked childhood / Perhaps I had a miserable youth / But somewhere in my wicked, miserable past /There must have been a moment of truth”. È veramente l'unico riferimento al passato travagliato di Maria, menzionato qui e mai più. Ho voluto intenderlo come una condizione di povertà, per questo pane e marmellata a lei sembra un lusso.




Angolino di Menade Danzante.
Salve!
Sempre qui per la
ToBeWritingChallenge2023 di BellaLuna. Il prompt di questa storia è Motherhood. Non ho molto da dire, se non che per me questa storia è stata importantissima. Spero con tutto il cuore di aver mantenuto i personaggi IC e di non aver snaturato nulla.
Alla prossima!

Menade Danzante

   
 
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