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Autore: Red Owl    01/09/2023    1 recensioni
NUOVA VERSIONE DI UNA STORIA GIA' PUBBLICATA, MA MAI FINITA
In un'epoca simile a quella della Roma Antica, Lidia, figlia di un senatore, viene data in sposa a un giovane germano. Quando deve trasferirsi in Germania, la sua vita viene sconvolta. A Roma non lascia solo la casa e le amicizie, ma anche Tito, il suo fidanzato, che è però determinato a non perderla.
Mentre aspetta che qualcuno venga a salvarla, Lidia deve imparare a convivere con la sua nuova famiglia e, soprattutto, con il suo nuovo marito. Tutto attorno a lei ci sono un villaggio che la guarda con sospetto, dei sacerdoti che parlano per enigmi e le ombre di un vecchio delitto che si allungano sempre di più sulla sua vita.
Genere: Avventura, Storico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Storico
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Bentrovati a tutti. Dopo parecchi dubbi, ho deciso di incominciare a pubblicare anche qui la nuova versione di questa storia che giaceva abbandonata ormai da diversi anni,

Sono cambiate un po' di cose, ci sono più punti di vista, diverse linee temporali.

Non ho cancellato la vecchia versione, che è ancora nei preferiti di un po' di gente: a un certo punto però divergerà da questa, quindi le due versioni non sono interscambiabili.

152 a.U.c. - Marzo

Erding, Germania Meridionale

La pioggia non faceva altro che accrescere la sua inquietudine. Gaio Vibo Orosio, Senatore di Roma che da anni si era ritirato a vita privata alla ricerca di una serenità che non aveva comunque mai trovato, strinse le mani sul telaio della finestra e fissò con sguardo assente le tegole rosse lucide di pioggia. L'acqua scorreva su di esse e si depositava nell'impluvium al centro dell'atrio.

È un bene, considerò istintivamente abbassando gli occhi sulla vasca che dominava il modesto cortile quadrato. Faremo il pieno di acqua fresca.

Sorrise amaramente. La scarsità d'acqua era un problema a Roma o ad Alexandria, dove aveva passato la sua gioventù, non certo a Erding, bagnata da piogge regolari e circondata da una miriade di fiumi e torrenti.

L'uomo sospirò e rabbrividì. Fa freddo, si disse stringendosi addosso la toga di lana bianca. Rimpiangeva di non avere indossato una delle pesanti tuniche intrecciate che andavano per la maggiore tra la gente del posto, ma di lì a poche ore avrebbe avuto un ultimo incontro con il Legato e l'occasione richiedeva una certa attenzione per l'etichetta.

Ci siamo quasi, pensò per farsi forza. Domani me ne andrò e mi lascerò finalmente alle spalle questo posto infernale. Aveva passato un anno e mezzo in quel remoto villaggio infossato tra le montagne e non poteva fare altro che sperare che non fosse stato tutto tempo perso. Non lo è, si disse per rassicurarsi. Il tempo speso per la famiglia non è mai perso.

Un refolo d'aria umida lo colpì in faccia e il Senatore si chiese se non fosse il caso di allontanarsi dalla finestra. L'idea di trovarsi rinchiuso tra le mura della sua casa gli pareva però insopportabile: era ormai da qualche tempo che le pareti riccamente affrescate e decorate da marmi policromi si erano fatte opprimenti, quasi soffocanti.

Dei passi leggeri risuonarono alle sue spalle e Orosio sobbalzò. Voltandosi di scatto, incontrò gli occhi chiari di Ilke, la sua serva germana. «Cosa posso prepararti per pranzo?»

L'uomo storse involontariamente le labbra. «Non ho fame, grazie.»

Lei si accigliò. «Ma non puoi non mangiare nulla. Saltare i pasti non fa bene nemmeno ai ragazzi di vent'anni, Senatore: figuriamoci a un uomo della tua età.»

Gaio Vibo Orosio trattenne un moto di irritazione. Fino a poco tempo prima aveva apprezzato i modi spicci della donna, ma adesso la sua testardaggine lo disturbava. Sto diventando insofferente a tutto, riconobbe. Me ne devo andare al più presto.

«Quindi?» insistette Ilke.

«Come ho detto, salterò il pranzo. Non preoccuparti per la mia salute: vedrai che l'appetito mi tornerà appena rimetterò piede a Roma.»

Lei lo guardò dubbiosa, ma fortunatamente parve accettare la sua decisione. «Se ne sei proprio sicuro...» mugugnò visibilmente contrariata.

Fece per andarsene, ma il Senatore la richiamò. «Aspetta! Non è arrivato alcun messaggio per me?»

«Da parte del Legato?»

«No. Da parte delle persone che domani mi riaccompagneranno a Roma.»

La serva scosse il capo. «Nessun messaggio, Senatore.»

Orosio annuì mestamente e congedò Ilke con un cenno della mano. Quel silenzio iniziava a preoccuparlo. Sua figlia gli aveva garantito di aver pensato a tutto, eppure, a poco più di ventiquattro ore dalla partenza, non aveva avuto ancora alcun contatto con colui o colei che avrebbe dovuto portarlo via da Erding.

La statuetta che le aveva inviato avrebbe ormai dovuto essere arrivata a Cecilia o, se non altro, trovarsi tra le mani di qualcuno di altrettanto fidato. Ma che prove aveva del fatto che le cose fossero andare esattamente così?

Nessuna, riconobbe. Non ho nessuna prova che sia tutto a posto. Il suo giovane amico gli aveva assicurato di aver fatto esattamente ciò che gli era stato chiesto, ma quella mattina gli era sembrato stranamente sfuggente. O forse è solo una mia impressione, ragionò il Senatore raschiando un'imperfezione del telaio con un'unghia.

L'irrequietezza del soldato era giustificata, in effetti. La sera prima era scomparsa una ragazzina locale e i suoi amici accusavano i legionari di averla fatta sparire. A prescindere dal fatto che l'accusa fosse fondata o meno, il malcontento dei Germani si sarebbe certamente abbattuto sui pochi legionari di stanza al villaggio ed era comprensibile che tra i soldati di Roma serpeggiasse un certo nervosismo.

Quasi certamente il modo sbrigativo in cui Marco l'aveva liquidato durante il loro ultimo incontro non aveva nulla a che fare con la statuetta che gli aveva affidato, eppure...

Il Senatore scrollò il capo, irritato dai suoi stessi pensieri. Non posso iniziare a dubitare di tutto, si disse. Il ragazzo si era sempre dimostrato affidabile e oltretutto Orosio conosceva suo padre da molti anni. Il vecchio Appio era un uomo come quelli che piacevano a lui, era un Senatore suo pari e aveva anche un passato del tutto simile al suo. Perché il figlio avrebbe dovuto essere diverso dal genitore?

Senza contare che Marco non avrebbe saputo cosa farsene della statuetta dell'aquila: per quanto ne sapeva lui, si trattava di un oggetto di pregio, ma senza un vero valore. Un semplice dono che un vecchio padre desiderava inviare a una figlia che non vedeva da troppo tempo.

Quella consapevolezza non era però sufficiente per tranquillizzarlo: non riusciva a scrollarsi di dosso l'impressione che qualcuno gli stesse dando la caccia. Era certo che chi lo braccava fosse già lì, tra le strade umide di quel villaggio della Germania Meridionale.

Il Lupo, pensò con il cuore che accelerava i battiti. È il Lupo. Non lui in persona, naturalmente, giacché non si sarebbe mai preso il disturbo di venirlo a cercare in un posto simile, ma qualcuno dei suoi segugi. Ne sentiva il fiato sul collo.

C'erano cose di cui non si sarebbe mai liberato, nemmeno se fosse vissuto cent'anni, e quella maledetta firma che gli avevano estorto più di dieci anni prima era una di esse.

Non te l'hanno estorta, sghignazzò una voce sua testa. Quell'ordine tu l'hai firmato più che volentieri: eri convinto che fosse la cosa giusta da fare.

Ora non ne era più tanto sicuro, ma che differenza faceva? I morti restavano morti e lui iniziava a capire che tutti i soldi del mondo non sarebbero stati sufficienti per lavare via la macchia che insudiciava il suo passato. Non poteva fare altro che sopravvivere cercando di sfuggire alle conseguenze di ciò che aveva fatto e sperare che le sue colpe morissero con lui e non rimanessero invece attaccate a Cecilia come i semi di un'erba velenosa.

Sopravvivere, ripeté in silenzio; e un sorriso amaro piegò le sue labbra. Restare in vita ancora per qualche anno rischiava di diventare un'impresa più ardua del previsto. Pensava di essere stato prudente, credeva di essere riuscito a far perdere le proprie tracce, ma evidentemente non era così. Qualcuno l'aveva seguito per tutti quegli anni, oppure era riuscito a ritrovarlo seguendo una qualche pista che aveva inavvertitamente lasciato dietro di sé.

Negli ultimi tempi aveva spesso cercato di indovinare l'identità del cacciatore che si apprestava a uscire allo scoperto. Probabilmente si nascondeva tra le fila dei militari al servizio di Roma. Quella dei Germani era una comunità chiusa e un estraneo avrebbe facilmente dato nell'occhio, mentre l'esercito dell'Urbe era un porto di mare. Da quando Cecilia l'aveva messo in guardia sui movimenti del Lupo, il Senatore aveva iniziato a guardarsi attorno con più attenzione, cercando di capire chi tra gli uomini e le donne che lo circondavano potesse essere al soldo di quell'uomo che lo tormentava da ormai due lustri.

Un paio di sospetti ce li aveva, primo fra tutti Shahin il Siriano, il giovane medico militare che aveva preso servizio all'accampamento qualche mese prima. Non era l'unico legionario di origini orientali presente al villaggio, ma il suo arrivo improvviso e in una posizione tanto importante l'aveva insospettito. C'era già un medico che si prendeva cura della salute dei soldati, che motivo c'era di farne arrivare un altro? Il numero di uomini presenti alle porte di Erding non era aumentato tanto da giustificare quell'assunzione.

Ogni volta che aveva avuto a che fare con lui, Shahin aveva tenuto un comportamento inappuntabile, eppure a Orosio pareva che la sua cortesia avesse un che di ostentato. Se gli altri soldati si affannavano per entrare in confidenza con lui, sperando forse di ottenere qualche favore politico, il giovane medico si teneva a distanza, esibendo un disinteresse che al Senatore sembrava innaturale.

Quel ragazzo nasconde qualcosa, pensò per l'ennesima volta, fissando la pioggia con sguardo accigliato. Aveva provato a parlarne con Marco, ma nemmeno il figlio di Appio aveva molte informazioni sul suo passato e su ciò che aveva fatto prima di approdare a Erding. Il che, naturalmente, lo rendeva ancora più sospetto agli occhi del Senatore.

Qualcuno bussò alla porta d'ingresso e Orosio rimase per un attimo in ascolto. La voce secca di Ilke risuonò attutita dalla distanza, e dopo qualche istante l'uomo si rilassò. In previsione della sua imminente partenza in casa c'era un gran viavai di fattorini e garzoni intenti a imballare e a spostare sui carri oggetti di cui non avrebbe comunque più avuto bisogno. Quest'ultimo particolare era sconosciuto ai più e il Senatore sopportava controvoglia la presenza di quelli estranei che lo costringevano a stare sempre in allerta.

A Ilke aveva chiesto di non lasciare entrare nessuno che non fosse già da tempo solito frequentare la sua abitazione e che non avesse in quel momento un valido motivo per fargli visita, ma quella precauzione non era comunque sufficiente a mettere a tacere l'inquietudine che gli mordeva le ossa.

Dal piano inferiore giunse un parlottare indistinto e Gaio sentì la donna dire che sì, era di sopra, ma che sarebbe stato meglio non disturbarlo se non per delle vere emergenze. L'interlocutore della sua serva parve protestare e il Senatore sospirò e tornò a rivolgere la propria attenzione sulla pioggia che bagnava le tegole del tetto.

Gli piaceva pensare di essersi sempre circondato di gente efficiente, eppure negli ultimi giorni sembrava che nessuno fosse più in grado di fare il proprio lavoro senza essersi prima confrontato con lui.

I passi rapidi, ma pesanti, che si avvicinavano gli diedero un'immagine piuttosto precisa dell'uomo che stava risalendo le scale: qualcuno che aveva fretta di portare a termine il proprio lavoro e che forse era anche un po' infastidito dal fatto che il Senatore non si fosse fatto trovare al piano inferiore, costringendolo ad arrampicarsi fino a lì per ottenere la risposta di cui aveva bisogno.

Un trasportatore, ipotizzò Orosio. O forse, finalmente, la persona che l'avrebbe portato via da Erding? Quel pensiero gli ridiede energia e lui si sentì improvvisamente più leggero, più in forza di quanto fosse stato negli ultimi tempi.

Quando il suo visitatore lo raggiunse però nella stanza, l'eccitazione del Senatore si sciolse però come neve al sole: era uno dei garzoni che erano soliti frequentare la sua casa e se l'aveva cercato era per un motivo sicuramente più banale.

«Sì?» gli chiese, senza preoccuparsi di nascondere il proprio fastidio.

Il germano non rispose, ma gli si avvicinò velocemente. Fu solo in quel momento che Gaio Vibo Orosio scorse l'arma che teneva in mano. Avrebbe voluto gridare, richiamare in qualche modo l'attenzione di Ilke o di una delle persone che si trovavano al piano inferiore, ma non ne ebbe il tempo.

Prima di chiudere gli occhi, si concesse un ultimo pensiero: non era il Siriano, dopotutto.

A conti fatti, della vita non ci aveva capito poi un granché.

   
 
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