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Autore: AltheaSmith    04/09/2023    0 recensioni
Alekseji ha trent'anni, è un pianista famoso, ha una famiglia che ama, ma un senso di inquietudine lo accompagna da tutta la vita.
NIkolaji ha diciotto anni, non ha un soldo in tasca, è tormentato dai bulli e non c'è niente che vada nel verso giusto nella sua vita.
Sono diversi in tutto e per tutto: vivono ai due lati opposti della città, ad uno piace la musica classica e all'altro disegnare, Alekseji ha cinque sorelle maggiori mentre Nikolaji ha una sorella minore che neanche conosce. Alekseji non si è mai innamorato di nessuno, Nikolaji ha una sfilza di celebrity crush da fare invidia. Eppure, per qualche segno del destino, i due sono anime gemelle.
Ma cosa vuol dire essere "anime gemelle" quando non si ha nulla in comune?
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La città era avvolta da una sottile nebbia, per strada non c’era nessuno e anche i lampioni sembravano intimoriti da quel velo che era calato sul mondo.
Alekseij aveva freddo, camminava a testa bassa e con le mani in tasca nel vano tentativo di ripararsi. Aveva dimenticato i guanti all’interno della sala prove e poteva immaginare già la stridente voce di sua madre rimproverarlo.
Era un pianista, in fondo, doveva tenerci alle sue mani.
Sospirò. La pesante montatura degli occhiali gli scivolò sul naso e con un gesto stizzito se li rimise al loro posto.
Era già triste vivere in un mondo senza colori, fatto di mille sfumature di bianco, nero e grigio, essere anche miope era un chiaro accanimento alla sua persona.
No che potesse farci molto, era nato in un Universo strano. Per una strana legge non scritta, i soli che potevano vedere i colori erano colo che trovavano la propria anima gemella.
Secondo la narrativa più romantica l’anima gemella era qualcuno di cui ci si sarebbe follemente innamorati, con cui si sarebbe voluti passare la vita in eterno. Secondo la scienza invece si trattava di una qualche strana reazione chimica, ma ad Alekseji quelle cose non importavano.
Aveva da pensare all’esibizione che avrebbe tenuto tra qualche settimana, a come raccattare dei fondi per le borse di studio così da poter aiutare dei giovani talenti della musica. Anche se voleva dire andarsene in giro a chiedere aiuto ai ricchi, anche se si sentiva un vero fenomeno da baraccone, esposto in una vetrina e la cui bravura doveva essere comprata con la beneficenza.
Ma il fine giustifica i mezzi, no?
A tre anni sua madre l’aveva piazzato davanti ad un pianoforte e Alekseji aveva fatto la cosa che ogni bambino avrebbe fatto, aveva iniziato a premere tasti a casaccio. Per qualche motivo, la donna aveva visto qualcosa in quel suo muovere le dita e nella melodia che aveva scaturito e così lo aveva trasformato in quel che tutti definivano un prodigio.
Alekseji non si sentiva tale, non aveva mai provato l’orgoglio di sentirsi diverso o superiore agli altri. Sapeva solo che quando si sedeva al pianoforte provava un senso di soddisfazione nel riuscire a fare qualcosa e a farlo bene, ma tutto lì. Non sapeva neanche se suonare il pianoforte gli piacesse davvero.
Sospirò e si fermò. Da quanto tempo stava camminando? Era la direzione giusta? Decisamente no. Era finito in direzione Sud, mentre lui sarebbe dovuto andare nella parte opposta.
Attraverso i vetri appannati vide il vecchio ponte in acciaio della città, quella era la periferia non il centro. Le auto erano scomparse, i passanti evidentemente nascosti da qualche parte al caldo, ma ciò che lo sconcertò di più fu la sagoma di un ragazzo, in piedi sul parapetto del ponte.
Alekseji strizzò gli occhi, forse la miopia gli stava dando di nuovo problemi? Poteva essere peggiorato? Eppure, il dottore gli aveva assicurato che, arrivato ai trenta, si sarebbe tutto stabilizzato.
Si fermò per pulire gli occhiali, ma quando se li rimise, comprese di aver visto giusto.
C’era un ragazzo proprio in piedi sul parapetto.
Prima anche solo di comprendere cosa stesse succedendo, si mosse. Ad ogni passo sentiva come se una lancetta invisibile scandisse i secondi. Doveva salvarlo.
Si avvicinò, il ragazzo guardò in basso, come se fosse sul punto di cambiare idea, di allontanarsi, ma l’umidità aveva attecchito anche sul parapetto e stava scivolando verso il basso.
Alekseji ebbe solo un secondo per reagire, scattò in avanti, riuscì ad afferrarlo per una mano, quasi cadde con lui a causa del peso non bilanciato.
Con uno sforzo quasi doloroso, afferrò il braccio dell’altro con entrambi le mani.
Solo in quel momento ed in modo distorto, vide il colore degli occhi di quello sconosciuto. Erano verdi, vividi, terrorizzati e che gli chiedevano di salvarlo. 
Puntò i piedi e lo tirò su, ignorando gli occhiali che gli erano scivolati verso il naso e il dolore per lo sforzo. Fece forza sulle sue gambe e quando riuscì a tirare lo sconosciuto nella parte sicura del ponte quest’ultimo gli si aggrappò con tutte le forze.
-Adesso va tutto bene – disse Alekseji – ci sono qui io - 
 
   
 
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