Serie TV > Distretto di polizia
Segui la storia  |       
Autore: Dani85    09/09/2023    1 recensioni
Dal prologo:
«Ancora nessuna notizia di Luca?»
Barbara scuote la testa perché no, non ha nessuna notizia di Luca. Niente, zero, non una telefonata né un messaggio. Alla faccia del "mi tengo in contatto io" con cui l'aveva salutata quel pomeriggio. E non è servito a nulla nemmeno tempestarlo di telefonate, visto che sono andate tutte a vuoto, squillo dopo squillo perso nei meandri di una segreteria telefonica. Barbara non sa spiegarsi il perché, ma quel silenzio la inquieta, è come un formicolare dietro il collo, il presentimento fisico di qualcosa che sta per andare molto molto male.
----------
What If? a partire da DdP11x02. Luca non muore ma, per tantissimo tempo, non vive nemmeno.
----------
Storia completa, capitoli postati il sabato e il mercoledì.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Gori, Elena Argenti, Luca Benvenuto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

NdA: Nuovo capitolo e le cose cominciano a svilupparsi. Chiedo scusa per qualunque imprecisione medica, non sono assolutamente un'esperta ma spero il tutto sia quantomeno sufficientemente credibile. La storia è completamente scritta, i capitoli saranno pubblicati il sabato e il mercoledì. Buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me
.

Cap. 2 - Breathin' in and breathin' out

And I guess there's no changin'
What's come and gone

So I guess I'll just lie here

Breathin' in and breathin' out
[I Guess I'll Just Lie Here - Noah reid]

 

Nella vita reale non è come al cinema, in cui il protagonista è in coma per tutto il film e poi si risveglia come se niente fosse. Nella vita reale non si risolve tutto con un paio d'occhi che si aprono e il peggio non svanisce con un colpo di spugna come se non fosse nemmeno esistito.

Nella realtà, aprire gli occhi è l'inizio della parte più difficile, perché non hai idea di quello che ti aspetta davvero da lì in poi. Non sai quanto sarà faticosa la ripresa e non sai quanto impegno ci vorrà, se sarai davvero in grado di riprenderti dall'incubo. Non sai un bel niente, non sai nemmeno se la tua vita te la riprenderei davvero. Aprire gli occhi, dunque, è accettare il dubbio, fare dell'incertezza il sottofondo della tua vita.

In una tiepida mattina di maggio, Luca ha finalmente riaperto gli occhi ed è atterrato da quest'altra parte del dubbio, passando dal "chissà se si sveglierà mai" al "chissà se si riprenderà mai". Fa schifo comunque ed è una delle poche cose che Luca ha davvero capito, anche nel caos dei primi giorni quando non riusciva a rimanere sveglio e il rischio di tornare in coma era ancora una spada di Damocle sulla sua testa.

Adesso, Luca apre gli occhi su una stanza vuota, a fargli compagnia solo il bip delle macchine a cui è ancora collegato. Non gli dispiace essere da solo, anzi ne è contento, perché così ha il tempo per mettere ordine tra i suoi pensieri disordinati e, soprattutto, per gestire la sensazione di panico del risveglio. C'è sempre un primo, confuso, momento in cui non sa dove si trova e tutto gli sembra fuori posto, a cominciare da se stesso. È un sollievo però, accorgersi che non è più Io shock devastante dei primi giorni e che, poco a poco, la sua coscienza si fa più chiara e più forte, capace di dare una risposta a qualcuna delle domande che gli ingolfano la mente. Perché, obiettivamente, è meno spaventoso svegliarsi in un mondo che non si conosce - che non si conosce più - se almeno sa chi è e dove si trova.

Luca si trova in ospedale - almeno questo lo ha capito abbastanza in fretta - e ha imparato che fare un primo, sommario, inventario delle cose che lo circondano lo aiuta a ritrovare la calma. È la stessa cosa che fa anche stamattina. Registra le lenzuola ruvide sotto le mani, l'odore di chiuso nella stanza, il battito del suo cuore nel bip del macchinario… e le voci fuori dalla porta.

Luca sospira, una delle poche cose che riesce davvero a fare bloccato lì in quel letto d'ospedale dove un po' tutto il suo corpo ha dimenticato come ubbidirgli. Vuole muovere una mano? No, a quanto pare la mano non è d'accordo. Vuole alzare la testa dal cuscino? Una fatica immane. Parlare? Non pensiamoci nemmeno.

Luca è sconsolato. Non ha capito molto della situazione in cui si trova. I ricordi sono così offuscati che non sa nemmeno bene come c'è finito lì e quanto tempo è passato. Sa solo che c'è qualcosa di strano e che è molto più grave di come sembra perché, siamo onesti, di tempo deve esserne passato parecchio se il suo corpo si rifiuta di collaborare e se non riesce più a parlare e se le persone della sua vita sono così palesemente cambiate. Non sa spiegarselo con precisione, ecco, ma sa che il tempo è passato. Ha visto Vittoria quando si è svegliato e ha visto Pietro e Giuseppe ed è abbastanza lucido da ammettere che sono invecchiati. È questione di logica, prendi Pietro per esempio. L'ultima volta che l'ha visto, aveva i capelli grigi, adesso sono completamente candidi. Luca dubita seriamente che possa essere successo nel giro di due mesi, quindi cosa è successo veramente? Quanto tempo è passato? Perché lui è bloccato lì? E perché nessuno dei suoi amici riesce a guardarlo in faccia senza piangere?

A Luca fa male la testa. Pensare è faticoso quasi quanto lo era nel buio dove stava prima. Ci sono così tante cose da sapere, così tante domande da fare e lui non riesce a farne nemmeno una.

Le voci fuori dalla sua stanza si fanno più vicine. Luca riconosce da qualche parte l'accento toscano di Vittoria, un mormorio appena oltre la porta chiusa, qualcosa di sussurrato come se stesse rimproverando qualcuno. Per un attimo il ronzio delle altre voci si ferma. Oh, il silenzio. Luca spera che rimanga così. È ingiusto, lo sa, ma c'è una parte di lui che vuole sottrarsi alla processione di medici che fa avanti e indietro dalla sua stanza a tutte le ore del giorno e che lo tormenta con analisi e test e visite. Luca ha perso il conto di quanti medici ha visto in questi giorni e ha la sensazione che ne vedrà ancora tantissimi ma, in questo momento, vorrebbe davvero farne a meno.

E, cosa ancora più ingiusta da ammettere, vorrebbe anche fare a meno dei suoi amici, che sono sempre lì, chi va e chi viene. Quasi un servizio di guardia o un picchetto d'onore, dove si danno il cambio fuori dalla porta con perfetto tempismo, roba che nemmeno coi turni al Decimo erano così precisi. Luca però non ce la fa, è a disagio, è spaventato, è arrabbiato, è frustrato. I suoi amici sono una presenza consolante, certo, una specie di rassicurazione vivente che non tutto è cambiato, ma c'è una tristezza nei loro occhi che lo confonde. È una specie di dolorosa compassione che alimenta il panico e che gli fa pensare che la realtà sia ben peggiore di quella che lui teme.

Le voci riprendono al di là della porta chiusa. Luca affonda un po' di più nel cuscino e respira. Dentro e fuori. Dentro e fuori. Il disagio è un peso sullo stomaco.

Pietro e Ugo si incrociano a metà del corridoio. Non è la prima volta che succede stamattina e di certo non sarà l'ultima. Questo andirivieni senza meta, questo su e giù, davanti alle camere dalle porte chiuse e sotto gli sguardi accigliati di Barbara e Vittoria è una specie di tic nervoso. È l'ansia dell'attesa, lo sanno tutti. E la scena si ripete uguale ed identica a se stessa da ormai una settimana. Il problema è che la pazienza ormai si sta esaurendo e quel poco che ne rimane si consuma qui, sulle sedioline scomode del corridoio o a macinare chilometri lungo le mattonelle chiare aspettando che un medico si degni di spiegargli come stanno le le cose.

«Allora? Ma 'sto medico oggi non passa?»

È Pietro a chiederlo e Barbara è sicura che abbia già fatto la stessa domanda almeno un paio di volte. Lei guarda l'ora sul telefono e gli risponde che sì, il medico deve passare, bisogna aspettare. Anche la sua è una risposta ripetuta almeno un altro paio di volte e comincia a suonare un po' insofferente anche alle sue stesse orecchie. Se glielo chiede di nuovo, sa già che Pietro finirà per essere mandato a quel paese.

«Eh, se si sbriga…» è il commento di Ugo ed è un po' quello che pensano tutti. Perché il medico non si sbriga? Perché proprio stamattina ci deve mettere tanto per fare il giro visite? È vero che loro sono un po' agitati - impazienti in modo fastidioso - ma davvero, non c'è un medico in vista neanche a pagarlo oro.

Giuseppe appare dal fondo del corridoio come una sorta di visione mistica, le mani ingombre di salvifico caffè. Quando si ferma a guardarli sospira sconsolato.

«E vabbuò, lo sapevo che vi dovevo prendere la camomilla, altro che caffè. Qua, un altro po' e ricoverano anche a voi.»

Pietro si ferma di colpo a metà della sua instancabile marcia e Ugo quasi gli va a sbattere contro. Sulla faccia ha un'espressione indignata che a Barbara pare un po' patetica. Ingargiola deve pensarla come lei perché rincara la dose, incurante del pericolo di infastidire l'amico.

«Guardatevi, un altro po' e ci fate i fossi in questo pavimento. Tenete certe facce, e ja. Cioè ragazzi, lo so che è tutto confuso ma il peggio è passato. Luca è sveglio! Qualunque cosa adesso va bene, anche aspettare.»

Vittoria si alza dalla sedia con cui sembrava essere diventata un tutt'uno ormai, le spalle rigide e lo sguardo serio. «Non è vero che il peggio è passato Giuse' e lo sai anche tu.»

Ovvio che Ingargiola lo sa ma, in un certo senso, crede però che davvero il peggio sia passato, perché quando il peggio è la morte tutto il resto sembra un miracolo.

«Vitto', Luca è sveglio,» ripete Giuseppe e Barbara ha l'impressione che anche quella sia una frase già ripetuta mille volte, magari l'ultimo atto di notti insonni piene di discorsi e di dubbi e di rassicurazioni. Lo sguardo che Vittoria e Giuseppe si scambiano glielo conferma e, non sa perché, la cosa rassicura anche lei, come se quelle parole e quell'occhiata rimettessero in prospettiva tutto.

«Sì, va bene, Luca è sveglio. E allora perché non lo possiamo vedere?»

Ugo interrompe il momento e qualunque impressione di Barbara si schianta contro la frustrazione dei colleghi.

«Ecco, appunto, perché non lo possiamo vedere? 'ndo sta il medico per chiederglielo?»

Pietro è d'accordo con Ugo e, davvero, Barbara deve trovare un modo per tenerli separati perché, insieme, mettono ansia in un modo terribile.

«Fatela finita voi due! Lo sapete perché non possiamo vederlo. Lui è confuso e non ha bisogno di noi che peggioriamo la situazione assillandolo tutti insieme.»

Vittoria si pianta in mezzo ai due e parla veloce, quasi un sussurro, ed è un rimprovero che ha il pregio di zittire gli altri due. È vero, è troppo presto perché tutti loro facciano avanti e indietro dalla camera di Luca come se niente fosse. Lo hanno fatto all'inizio spinti dall'entusiasmo e dal bisogno di vederlo, di parlare e di stare con lui. E il risultato è stato disastroso. Barbara chiude gli occhi contro il ricordo dell'attacco di panico peggiore che abbia mai visto. Il terrore senza fiato negli occhi sbarrati di Luca è qualcosa che ancora la tormenta. Pur di non rivedere quella espressione nei suoi occhi, lei è disposta a fare tutto il necessario. Luca ne ha già passate così tante, che lei non ha la minima voglia di complicargli ancora di più la vita. Quindi, se il prezzo per tornare a vederlo è aspettare che le cose migliorino e che il tempo faccia il suo corso, allora lei aspetterà. E aspetteranno anche Pietro e Ugo, a costo di legarli da qualche parte. D'altronde, Barbara non è mai stata una persona particolarmente accondiscendente, certo non comincerà a farsi scrupoli adesso, soprattutto se serve per far star bene Luca.

«Dovete avere pazienza,» il dottore compare tra di loro ed interrompe le fantasie punitive di Barbara ed il silenzio colpevole di Pietro e Ugo.

«Allora, dottore?» e Pietro a prendere la parola, una domanda che rimane lì, sospesa, a chiedere tutto e niente.

Il dottore sorride comprensivo, ne ha visti tanti di amici e familiari faticare così con l'ansia dell'incertezza.

«Allora signori, Luca è sveglio e finalmente riesce a restarlo per tempi sempre più lunghi. È un buon segno, soprattutto se consideriamo che nei momenti di veglia sembra lucido. Sta gradualmente prendendo coscienza di sé e dell'ambiente che lo circonda e riconosce le persone intorno a lui. Ripeto, è un buon segno. Questo per quanto riguarda le sue funzioni cognitive.» Il medico tira il fiato, una pausa per attutire il colpo delle sue prossime parole. «La situazione è diversa se parliamo di funzioni motorie e linguistiche. Al momento, sono entrambe fortemente compromesse ma è inevitabile in un paziente con dieci anni di coma alle spalle. Non mi aspettavo niente di diverso e, onestamente, la situazione complessiva è migliore di quanto chiunque di noi potesse sperare.»

Un sospiro di sollievo collettivo accoglie le parole del medico.

«Se i controlli di oggi vanno bene, possiamo iniziare quanto prima il percorso di riabilitazione fisica e psicologica, perché non abbiamo tempo da perdere. Prima iniziamo, meglio è.»

«E allora potremo cominciare a vederlo?» è Pietro a chiederlo, di nuovo, perché sì, insomma, il discorso del dottore è incoraggiante. Sembra prospettare la luce alla fine del tunnel e allora, se la situazione è quella, perché non possono vederlo e stargli accanto in questo percorso?

Il dottore sospira, ci pensa un attimo e poi annuisce piano. «Possiamo provarci. Adesso entriamo insieme in camera e vediamo come reagisce. Però mi raccomando, nessuna pressione e qualunque cosa accada, ricordatevi che la priorità è Luca.»

Il dottore apre la porta della stanza e tutti trattengono il fiato.

Dentro e fuori, dentro e fuori. Concentrato sulla respirazione, Luca quasi non si accorge della maniglia che si abbassa e della porta che si apre. Qualcuno bussa appena sullo stipite, due colpi e Luca ripiomba nella realtà.

Il medico è fermo ai piedi del letto e, dietro di lui, i suoi amici sono schierati a ventaglio, un campionario assortito di mani in tasca, sorrisi titubanti e occhi speranzosi. Luca registra ognuno di quei dettagli e sente l'ansia sbocciare da qualche parte nel petto. Brutto segno, pensa. Ingoia a forza un paio di volte e cerca di schiarirsi la gola, come per trovare la voce che in realtà non c'è. Il silenzio che segue è un affare così pieno di imbarazzo che Luca vorrebbe scomparire. Quanto è incasinato davvero se non riesce nemmeno a scollarsi un buongiorno dalle labbra? Quanto è veramente messo male se il meglio che gli riesce è impantanarsi in un ingorgo di pensieri? E poi, come se non bastasse, c'è sempre lo sguardo degli altri a peggiorare le cose, come se si aspettassero qualcosa e lui continuasse sistematicamente a deluderli. Magari non è proprio vero, ma la sensazione è quella. Anche adesso, per esempio, il dottore lo osserva come se quei minuti di silenzio fossero stati un test e lui lo avesse appena fallito. Di nuovo.

«Allora,» esordisce «i tuoi amici volevano salutarti» e gli altri partono a macchinetta. Si accavallano e si parlano addosso in una sfilza di saluti che sono confusi e rumorosi. Lui vorrebbe rispondere e davvero ci prova. Le parole sono nitide nella sua mente ma il pensiero si inceppa da qualche parte prima di arrivare alle labbra e, allora, finisce come sempre, con lui in silenzio. L'ansia comincia a riempirsi di rabbia. Brutto, brutto segno.

Vittoria fa un passo avanti, lascia scivolare la borsa dal braccio a terra, e si siede sul bordo del letto. Arroccata accanto ad una gamba di Luca, gli prende delicatamente la mano tra le sue. «Va tutto bene» gli mormora, come fosse una specie di Segreto, e Luca le crede in modo istintivo. Chiude gli occhi per un istante e quando li riapre la stanza è di nuovo silenziosa. Il medico ha una mano alzata e deve essere stato quel gesto ad aver zittito i suoi amici. Luca è grato per il silenzio, peccato che non abbia migliorato la situazione, però. Anzi, ha solo trasformato il timido entusiasmo del gruppo in una sorta di triste desolazione. In fondo, nessuno di loro è un idiota ed è da idioti far finta che vada tutto davvero bene, che qualcosa in quella situazione si avvicini anche solo lontanamente alla normalità. Lo sa Luca, lo sa il dottore e, di certo, lo sanno anche gli altri. Il punto è che quello che sai e quello che speri non sempre sono la stessa cosa ed è più facile ignorare la cosa che farci i conti.

«Lo so che è frustrante il fatto di non riuscire a parlare,» il dottore è l'unico ad avere il coraggio di dire le cose come stanno e Luca deve ammettere che non gli dispiace. «È assolutamente normale avere delle difficoltà…»

Luca inarca un sopracciglio. Wow, non pensava di doversi ricredere così velocemente. Altro che dire le cose come stanno, difficoltà è un eufemismo se non una bugia bella e buona.

«Va bene, forse difficoltà può sembrarle un termine riduttivo ma…»

Luca inarca anche l'altro sopracciglio, non ci siamo per niente qua. Ancora appollaiata accanto a lui sul letto, Vittoria scoppia a ridere. Luca sposta veloce gli occhi su di lei, uno sguardo di traverso che è tutto un programma perché, siamo onesti, che caspita c'è da ridere ora?

Vittoria gli punta un dito contro. «Adesso ho assolutamente la certezza che tutto andrà bene. Quel sopracciglio, Lu'... Oh, mamma mia, il sarcasmo che c'hai messo dentro… Eri tu al cento per cento, ed è un buon segno, Lu'.»

Luca non è proprio convinto ma, se lo dice Vittoria, una specie di verità dovrà pur esserci, no? Alla fine, sempre più dubbioso che convinto, si stringe nelle spalle o almeno lo fa nella sua mente. Non sa se il suo corpo l'ha seguito nel gesto e non ha nemmeno intenzione di starci a pensare troppo. Non ha il tempo per andare in crisi anche su questo, almeno non adesso.

«La signora ha ragione» si intromette il medico, «i test che abbiamo effettuato fino a questo momento ci fanno ben sperare. Lei è cosciente ed appare sufficientemente lucido per capire tutto ciò che la circonda. Il vero problema è il collegamento tra il cervello e il resto del suo corpo. Noi dobbiamo lavorare sul ripristino di quel collegamento. Mi segue fino a qui?»

Luca annuisce, un po' offeso che si metta in dubbio la sua capacità di seguire un semplice discorso. Va bene, suppone che il dubbio ci possa stare se hai a che fare con uno che ha passato gli ultimi dieci anni della propria vita in coma, ma a lui dà fastidio lo stesso. Meglio non pensarci troppo però, il rischio di avallare quel dubbio è ancora troppo alto. Per buona misura, quindi, annuisce di nuovo ed è una buona idea perché il dottore sembra esserne soddisfatto.

«Allora, già da domani inizieremo il percorso di riabilitazione. Sarà lungo e faticoso. Ci vorrà del tempo per ottenere risultati, ma io sono davvero fiducioso. D'altronde, lei si è svegliato dopo dieci anni di coma ed ha già dimostrato di poter ribaltare qualunque aspettativa, cosa vuole che sia la riabilitazione.»

Già, cosa vuoi che sia, pensa Luca. Si è risvegliato dopo dieci anni, quando ormai era più probabile che vegetasse lentamente fino alla morte, cosa vuoi che sia imparare di nuovo a camminare e a parlare? Una passeggiata, roba da ragazzini.

«Andrà tutto bene» mormora Vittoria. Luca la guarda. E respira. Dentro e fuori. Si sforza di crederci.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Distretto di polizia / Vai alla pagina dell'autore: Dani85