Film > Disney
Segui la storia  |       
Autore: Laura_Ruetta    11/09/2023    0 recensioni
Raccolta di racconti delle storie più famose della Disney.
Verrete catapultati in universi alternativi dove tutto è possibile.
BENVENUTI NEL MULTI-VERSO DISNEY
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La principessa Aurora, nel suo abito tinta peonia, correva a perdifiato tra gli stretti corridoi del castello, illuminati solo da alcune candele appese a dei tripodi ai lati del muro. Aveva combinato l’ennesimo malanno e stava fuggendo via per non essere beccata e punita ancora una volta. A un tratto sentì qualcuno. Si arrestò davanti a una porta socchiusa. Aveva il fiato corto e il cuore le tamburellava forte nel petto. Avvertì un rumore di passi, seguito da un fruscio metallico farsi sempre più vicino. Sgranò gli occhi quando scorse un’ombra scura incombere su di lei: le guardie la stavano per acciuffare. Pervasa dall’agitazione e dalla paura entrò nella stanza; dentro regnava il silenzio delle tenebre. Si fece avanti e si portò verso il centro, dove andò a sbattere contro un arcolaio. Non aveva mai visto uno prima d’ora. Venne stregata dal lucente e argenteo fuso: in lei crebbe uno strano desiderio di toccarlo. Fece un altro passo in avanti, come ipnotizzata, alzò un braccio e si punse l’indice con il fuso. Il dolore la fece rinvenire dallo stordimento. Il dito prese a bruciarle e a irradiare un insolito calore attorno alla sua mano, macchiata da un rivolo di sangue. Scioccata, indietreggiò da quell’oggetto maligno. La sua testa iniziò a volteggiare e a pulsare, venne rapita da un senso di vertigine. Dall’oscurità comparì un’anziana donna ingobbita che si trasformò in una creatura dall’aurea smeraldina. La fanciulla sgranò gli occhi spaventata e sussultò terrorizzata. L’emblematica figura emise un ghigno malefico e scomparì nel buio. Nel suo abito, color dell'inchiostro, volò fra le alte montagne, dalle vette rocciose, alte e frastagliate e si addentrò nel bosco incantato. Giunse alla sua casetta in legno d’ebano, dal tetto cenerino e spiovente. Entrò e andò ad adagiare su un soffice e comodo letto la dolce Aurora. L’ammonì con l’indice, zittendola all’istante, per poi lasciarla sola. Uscì all’aria aperta, portando con sé un cestino di paglia intrecciato. Si fermò sull’uscio, quando la vide accucciata davanti al laghetto dalle acque lucenti. Trasse un respiro di sollievo, abbozzando mezzo sorriso. Infine si dileguò verso il sentiero che conduceva dentro il bosco. La mattina seguente il sole splendeva alto nell’infinito cielo azzurro. I passeri cinguettavano e volavano qua e là, posandosi di ramo in ramo. Era davanti al corpo della principessa. La osservava seria e impassibile: era diventata una bellezza meravigliosa. Un semplice schiocco di dita la risvegliò dal sonno. Aurora riaprì lentamente le palpebre. Sobbalzò spaventata quando si ritrovò di fronte la sconosciuta creatura. «Chi sei?» Nel suo grazioso viso si dipinse un’espressione terrorizzata. «Sono la Fata Delle Montagne. Mi chiamo Malefica.» Le rispose con tono pacato, avvicinandosi a lei. «Dove sono?» Domandò confusa. «Sei nella mia umile dimora.» Aurora si mise a sedere, appoggiando la schiena contro il soffice cuscino. Fissava con timore e insistenza la figura davanti a sé. Era troppo brutta per essere una fata, assomigliava più a una strega cattiva, come quelle che leggeva spesso nelle fiabe. Indossava un lungo abito nero che le lasciava scoperte solo le mani scheletriche dalle dita affusolate e dalle unghie vermiglie e appuntite. Il suo volto diafano, dai lineamenti allungati, aveva due zigomi prominenti e le guance scavate. Gli occhi ambrati parevano mistici quanto penetranti, mentre le labbra sottili, color porpora, erano incurvate in un ghigno perfido e malizioso. Dalla sua testa fuoriuscivano due strane protuberanze simili a grosse corna intarsiate. In mano teneva, stretto, uno scettro che risplendeva di luce verde; sopra di esso giaceva, dormiente, un corvo dal folto e lucido piumaggio. «Perché sono qui?» Chiese con voce rotta dalla paura. «Ti ho rapita.» Le rivolse un’occhiata superba e altezzosa. In quello sguardo vide la sua spettrale malignità. «Perché?» Domandò scioccata. «Lo scoprirai molto presto…» Malefica si avvolse nel suo lungo mantello e si dileguò, chiudendo la porta alle sue spalle. La principessa rimase lì, inerme, con la faccia sbigottita… Nel pomeriggio, in preda alla noia, si levò dal letto e andò ad affacciarsi alla finestra. Intravide una giovane figura rivolta di spalle che stava litigando con la fata. Cercò, invano, di trattenerla per un braccio, ma lei presa da un’incontrollabile e inspiegabile furia fuggì via verso la boscaglia. Aurora vide Malefica scuotere e chinare il capo verso il basso, mentre ritornava dentro alla casetta, nel suo volto scorse un’espressione sconfitta e affranta. Curiosa andò a spiarla dal buco della serratura. Era seduta di fronte a lei, con le mani giunte che le nascondevano il viso. Aurora voleva uscire e conoscerla meglio, ma il suo cuore fremeva ancora di timore, così si allontanò dalla porta… Arrivò la sera. Il cielo si velò di sfumature aranciate, che rendevano l’atmosfera, dentro alla stanza, calda e dorata. Malefica entrò. Aurora, distesa a letto, trasalì spaventata. «È pronta la cena. Se vuoi accomodarti c’è posto anche per te.» La principessa acconsentì con un cenno del capo. Uscì dalla camera e appena fece un passo fuori i suoi occhi caddero sulla giovane sconosciuta che sedeva scomposta a capotavola. «Siediti pure dove vuoi.» La invitò ad accomodarsi la fata. La principessa andò a sedersi, non staccando lo sguardo da lei. «Mangia tutto quello che desideri», aggiunse Malefica ponendosi fra le due fanciulle. Ognuna si servì da sé. Insieme e in silenzio consumarono la cena fino al calar delle tenebre. Aurora posò la forchetta sul piatto sporco. Malefica le rivolse un’espressione seria e torva. «Ora ritorna in camera tua», sbottò. La fanciulla si alzò e corse via, chiudendosi dentro. Quella sera si ritrovò distesa su un letto che non era suo, tutta sola e indifesa. Si girò sulla schiena. Prese a fissare il soffitto, mentre si attorcigliava un ricciolo dei suoi capelli fra il pollice e l’indice. Voleva sapere perché l’aveva rapita e ancora di più voleva sapere chi era quella sgraziata fanciulla. La sentì strisciare la sedia sul pavimento di legno e a passo pesante farsi strada verso la sua stanza. Udì poi del trambusto, seguito da un cigolio provenire da dietro al muro: era lei. Chissà cosa stava facendo… Aurora si rivoltò dalla parte opposta e affondò la testa nel cuscino, finché Morfeo l’accolse tra le sue braccia. Il giorno dopo, la principessa si levò al cantare allegro dei passerotti. Si destò ed emise un enorme sbadiglio. Strabuzzò gli occhi e quando fece per alzarsi, di fianco al letto, sopra a un tavolino, vide un vassoio con una fetta di crostata ai frutti di bosco e una teiera calda e fumante. Malefica le aveva preparato la colazione. Senza indugiare si abbuffò e la divorò in una manciata di bocconi. Si servì il tè su una tazzina in ceramica bianca, decorata con dei disegni floreali e lo bevve a grandi sorsate. Finito il pasto mattutino, si ripulì l’abito dai resti di briciole. Si diresse verso la finestra, con uno scatto riuscì ad aprirla verso l’interno. Aurora venne beata dal profumo di miele e di pino mugo del sottobosco. Chiuse gli occhi assaporando quell’attimo di naturale freschezza. L’aria frizzante del mattino le regalò una carezza d’amore al suo roseo viso che sbocciò in un sereno sorriso. Quando riaprì le palpebre, la sua felicità svanì e una nuvola grigia oscurò la luce del sole. Davanti a lei vide la sconosciuta fanciulla con le mani intrise di rosso. Sgranò gli occhi inorridita e indietreggiò spaventata: stava scuoiando un innocente uccellino. Le si velarono gli occhi di lacrime nell’assistere al quella morte tanto crudele. Continuò a fissarla, mentre gli staccava le ultime piume e affondava i suoi artigli nelle sua carne per strappargli le viscere e gettarle a terra con noncuranza. Intravide emettere una smorfia beffarda, quasi di vittoria contro la sconfitta della povera bestiola. Si accucciò e prese un ramo da terra e lo infilò nel corpo tramortito dell’animale. La principessa si coprì il volto con le mani e si voltò di spalle, rabbrividendo di terrore. Che cosa vorrà mai fare con il corpo di quel povero usignolo… Giunse il tardo pomeriggio e la principessa si trovava ancora rinchiusa in quella stanza. Nessuno le aveva fatto visita. Malefica non si era fatta più vedere. Era sempre più stanca e seccata. Voleva uscire, voleva tanto scappare. Le mancava molto il suo castello e la sua famiglia. Non sapeva ancora perché si trovava lì. Il suo sguardo si rivolse verso l’aria aperta. Quella strana fanciulla era ancora là, rivolta di spalle. Le faceva paura, ma voleva conoscerla, forse le avrebbe detto qualcosa. Andò alla porta e la scostò dallo stipite. Buttò un occhio fuori. Nella sala non c’era nessuno. Sgattaiolò, in punta di piedi, all’esterno dell’abitazione. Aurora si incamminò verso le rive del laghetto. «Chiunque tu sia, fai un altro passo e sei morta», parlò la sconosciuta. Aurora si bloccò di colpo. «Non volevo disturbarti, tu sai perché…» «Vattene subito via». Le ringhiò contro, voltandosi verso di lei. La principessa la vide in volto. «Che hai da guardare!» «Posso farti compagnia? Sei tutta sola…» «Lasciami in pace! Io sto bene da sola!» Le urlò contro. Aurora non si voleva arrendere, fece qualche altro passo e si sedette, a gambe incrociate, vicino a lei. La sentì sbuffare, irritata. Posò gli occhi sulle acque lucenti e cristalline del laghetto, dove scorse nuotare dei pesciolini rossi. «Posso sapere il tuo nome?» Domandò cauta. «Ma che t’importa!» Sbottò infastidita. «Io sono Aurora.» «Perché sei qui? Che cosa vuoi?» Chiese svogliata. «Non lo so…mi ha rapito Malefica.» La fata si voltò di scatto verso di lei. La fanciulla venne ammaliata dai suoi tondi e brillanti occhi viridiani. Il suo viso, dalla pelle diafana era circondato da lunghi e ondulati capelli corvini. Anche la ragazza incrociò il suo viso grazioso, dai lineamenti dolci e dalle guance color pesca. Si perse nelle sue iridi azzurre e profonde come il mare. Aveva le labbra vellutate e morbide come i petali di una rosa e i suoi serici capelli mielati risplendevano di luce dorata. Sembravano così diverse… «Perché ti ha rapito?» Insistette. «Non me l’ha ancora detto…», abbassò lo sguardo, dispiaciuta La fatina si alzò e si ripulì l’abito. «Dove vai?» «A fare un giro, ho bisogno di riflettere…» Aurora sconcertata, la vide allontanarsi e scomparire nella brulicante vegetazione. Malefica là ritrovò fuori dalla casa. «Cosa ci fai qua? Chi ti ha dato il permesso di uscire?» Aurora sobbalzò e si girò di scatto verso la fata. «Niente…volevo cercare solo un po’ di compagnia.» «Le hai parlato? Ti ha detto qualcosa?» «No. È scappata via…» «Va bene. Fila in camera tua adesso e non azzardarti a uscire finché non te lo dirò io.» La principessa obbedì senza proferire altra parola. Aurora, sotto il lume di candela, era di nuovo a letto, rinchiusa in quella stanza. Si sentiva sempre più triste e sola. Le mancanza della sua famiglia diventava molto angosciante. Pensò che ormai non sarebbe più ritornata a casa. Inoltre tentare la fuga era troppo rischioso: nel bosco vivevano anche molte creature più cattive di Malefica, non ci avrebbero messo molto a catturarla e a sbranarla viva. Mentre si condannava al suo infausto destino, dall’altra parte udì qualcuno bisticciare, ma non riusciva a comprendere bene la conversazione. Un sordo tonfo la fece trasalire. Si destò dal letto e intravide, nell’oscurità della notte, la fanciulla scappare via. Chissà dove starà andando di nuovo… Si distese. Non riusciva più a capire dove era capitata e cosa stava succedendo intorno a lei. Udì un lamento. Qualcuno stava piangendo. Si rizzò e andò a spiare dal buco della serratura. Vide la fata seduta al tavolo che scuoteva la testa con i palmi affondati nel viso. Aurora capì che c’era qualcosa che non andava… Girò il pomello della porta e uscì in silenzio. Andò verso Malefica, sedendosi di fronte a lei. «Posso sapere perché sono qui?» Malefica si abbandonò sulla sedia. Abbassò il volto rigato di lacrime. «Mi serve il tuo aiuto», pronunciò con voce strozzata. «Per cosa?» Domandò curiosa. «Per Nereide…» «Scusa, chi? Non capisco…» La fata deglutì. «Mia figlia…» Sospirò. «Ho bisogno che la guarisci dal suo profondo male», confessò con voce rotta e gli occhi umidi. «Nereide è nata fragile e sgraziata. Si è ritirata in sé stessa. Soffre nella sua solitudine, perché nessuno accetta la sua natura sfortunata. L’unica a volerle bene sono io, ma lei mi odia, mi dice che è colpa mia se è nata brutta.» Malefica era stanca di lottare. «Mi sembravi una speranza. Tu hai sempre avuto un animo buono e gentile. Pensavo saresti stata in grado di trasformarla, di renderla una fata migliore…un giorno…», sospirò rassegnata. «Forse mi sbagliavo.» Si asciugò il viso con un fazzoletto. «Non ti voglio obbligare. Se non te la senti, puoi pure ritornare al castello, dalla tua famiglia.» Aurora provò una grande compassione per quella madre tanto disperata e impotente. «Prometto che ti aiuterò a guarire tua figlia, prima che sia troppo tardi.» Allungò una mano per accarezzarla. La fata rabbrividì al tocco delicato di lei. «Sul serio?» «Sì, te lo giuro.» La principessa andò ad abbracciare Malefica. «Non ti preoccupare l’amore guarisce ogni male, basta solo crederci veramente.» La fata si morse il labbro, cercando di trattenere altre lacrime. Quanto le sono mancati i suoi caldi e teneri abbracci… Abbozzò un lieve sorriso e si rasserenò. L’impresa si dimostrò più ardua e pericolosa del previsto. Nereide tentò più volte di uccidere la principessa… Iniziò con numerosi scherzi di cattivo gusto: le infilò sotto le lenzuola una vipera. Aurora venne morsa e urlò di paura notando la sua caviglia gonfiarsi come un palloncino viola. La fatina come omaggio di scuse le preparò una torta di frutti rossi. Deliziata ne mangiò subito una fetta, ignara che conteneva anche delle bacche velenose. Nereide si sbellicò dalle risate, vedendo la fanciulla soffocare e diventare rossa in volto. Per fortuna Malefica la guarì in tempo con le sue pozioni magiche. Nereide si beccò un bel rimprovero dalla madre, ma non servì proprio a nulla; anzi, nella giovane si inasprì ancora di più il suo sentimento di rabbia verso la principessa che non voleva proprio cedere, così continuò a importunarla. La legò stretta al tronco di un albero e appiccò un fuoco. Anche questa volta, Malefica intervenne, salvando la principessa. Nereide furiosa per l’ennesima sconfitta si ritirò nella sua stanza. Era sempre più adirata, non riusciva a capire perché tutto d’un tratto quell’esserina era diventata così importante per sua madre, più importante persino di lei, della sua unica figlia. Sapeva che Malefica era l’unica a donarle ancora amore e temendo di perdere anche il suo, escogitò l’ultimo piano per sbarazzarsi dell’innocente principessa. Un pomeriggio, al tramonto, dopo essere ritornata da una lunga passeggiata, Aurora andò a rinfrescarsi nel laghetto. Si sporse per prendere fra le mani dell’acqua. Nereide, vispa vispa, la spinse dentro. L’afferrò per il collo e prese a stritolarla e ad affogarla, costringendole la testa sott’acqua, ma Malefica, che guardava dalla finestra, se ne accorse e la salvò dalle grinfie della cattiva figlia ancora un’altra volta… Aurora era scioccata, assai impaurita, ma doveva mantenere la promessa fatta a Malefica, non poteva arrendersi. Quella notte si sfogò in silenzio, piangendo disperata nella sua stanza, aspettando solo l’arrivo di un altro giorno infernale… Il mattino seguente, Aurora uscì dalla casetta. Andò verso il laghetto. Si acquattò sotto l’ombra di un albero per raccogliere un mazzo di primule variopinte. Nereide era seduta sopra a un ramo che la scrutava con aria superba. Era giunto il suo momento… Da dietro estrasse un grande masso grigio appuntito. Lo sollevò in aria pronta a colpirla, ma un’improvvisa folata di vento la fece barcollare all’indietro. Aurora fece un passo in avanti. Il masso cadde proprio di fronte ai suoi occhi. Sobbalzò spaventata. La fatina perse l’equilibrio e precipitò rovinosamente dall’acero. Imprecò per il dolore inferto. Aveva fallito ancora. Aurora si girò di scatto e vide la giovane distesa a terra ansimante. Accorse subito in aiuto. Si inginocchiò davanti a lei. «Ti sei fatta male? Digrignò i denti. «No, sto bene», tagliò corto. La fanciulla le appoggiò una mano sul braccio. «Non toccarmi», ordinò. «Vai via… Brutta….» Si tastò la gamba. Urlò. Un rivolo di sangue prese a scenderle lungo tutta la coscia. Aurora sgranò gli occhi preoccupata. «Sei ferita. Devo portarti subito dentro.» «No! Vattene!» Gridò arrabbiata. «So badare a me stessa. Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno!» «Per favore, sei ferita!» Insistette lei. «Lascia almeno che ti accompagni nella tua stanza.» Nereide roteò gli occhi e sbuffò nauseata dalla sua insensata gentilezza. Perché si ostinava ad aiutarla, dopo aver tentato di ucciderla ancora? La principessa si rialzò e sotto braccio portò la zoppicante Nereide verso casa. Con pazienza e calma la adagiò sul letto. «Va meglio?» Nereide si distese e annui. «Vado a cercare dell’acqua e delle bende. Non ti muovere…» Nereide la trattenne, afferrando il suo polso. Aurora si voltò, sentendo per la prima il suo tocco. Le fece ricordare qualcosa, qualcosa che aveva dimenticato… «Non dire a mia madre che ho provato di nuovo a ucciderti…» «Solo se ti farai curare da me.» «Non scappo da nessuna parte…» La principessa le rivolse un lieve sorriso. Uscì a prendere l’occorrente per le medicazioni. Cercò in fretta e furia, rovistando ovunque finché non trovò l’occorrente. Ritornò da lei e con delicatezza la medicò con premura. Prese un panno umido e le lavò via il sangue secco dalla pelle, poi prese delle bende in cotone e le mise sopra al lungo e profondo taglio. Infine avvolse la gamba attorno a delle candide e morbide fasce. «Ecco fatto. Ora è meglio che ti riposi un po’.» La lasciò sola, abbandonando la stanza. Nereide presto si addormentò. Quando uscì, c’era Malefica, in piedi, davanti alla soglia, che guardava infuriata tutto quel subbuglio. «Cosa è successo? Perché è tutto così in disordine? Che cosa hai fatto? E dov’è Nereide?» La tempestò di domande, mentre si faceva strada tra la confusione. Un ombra oscura cadde sul suo volto. «È caduta dall’albero, si è ferita una gamba.» La fata era di fronte a lei. Aurora tremò di terrore, quando vede le sue iridi infiammarsi. «Ho dovuto medicarla… non cercavo…», continuò a spiegare, ma le parole le morirono in gola. Malefica udendo la confessione si ricompose «Grazie», disse infine, semplicemente. «È in camera sua adesso, sta riposando.» Aurora, con il fiato sospeso, si dileguò nella sua di stanza. Chiuse la porta e si appoggiò al legno, sospirando affaticata. Le settimane passarono e Aurora non smise mai di prendersi cura di Nereide. Le faceva compagnia: le leggeva qualche storia, le portava da mangiare e le medicava la ferita che pian piano stava guarendo alle dolci cure della principessa. Nereide iniziò a guardarla diversamente. La vedeva diversa, sapeva che poteva fidarsi di lei, ormai sapeva che possedeva un animo davvero buono e gentile. Tutto l’opposto del suo… «Vorrei tanto essere come te», confessò con tono triste. «Non capisco… Perché vorresti essere come me?» «Perché sei perfetta in tutto ciò che sei, in tutto ciò che fai… Ho tentato di ucciderti per invidia… Io sono così diversa, così brutta. Mi odio da morire. » Le si riempirono gli occhi di lacrime. «Non riesco proprio a capire perché sono stata maledetta… La mia anima è impura, nera e cattiva. Non lo so perché sono nata così… Non penso di meritarmi tutto questo dolore, tua questa sofferenza. Mi sento così sola, senza amore.» Aurora, in quel momento capì come si sentiva nel profondo e non poté far altro che compatirla e confortarla. Si avvicinò a lei e l’accolse fra le sue calde braccia. La strinse a sé, tentando di rassicurarla con delicate carezze. «Stai solo soffrendo troppo. È il dolore a renderci cattivi.» Nereide prese a singhiozzare. La principessa continuò a cullarla ancora per un po’. Infine le prese il volto fra le mani e le asciugò le lacrime con i pollici. «Mi dispiace molto per la tua vita sfortunata. Quello che pensi su te stessa però non è vero. Non è il tuo aspetto a determinare quello che sei, bensì sono le tue scelte, le tue azioni che fanno di te ciò che sei veramente. Tu puoi essere migliore. Puoi cambiare se lo desideri con tutto il tuo cuore. «Allora mi insegni a essere buona come te? Non voglio più uccidere per colpa della rabbia che ho verso il mio sgradevole aspetto.» La principessa le sorrise. «Sì, te lo prometto.» Anche i mesi passarono, Aurora aveva stretto un intrinseco legame con Nereide. Le aveva insegnato le buone maniere e d’ora in poi a compiere solo gesti altruisti e benevoli verso gli altri e verso la natura che la circondava. La fatina aveva finalmente ritrovato la voglia di vivere. Insieme alla principessa aveva riscoperto la felicità. Si sentiva meno orripilante e non si detestava più come addietro. Con la fanciulla si sentiva accettata, ma soprattutto si sentiva di nuovo amata. Era guarita dal suo male interiore, innamorandosi della dolce e bella principessa Aurora. Malefica le guardava giocare e ridere, ogni attimo che passava, sempre più fiduciosa e orgogliosa. Era da tempo che non le vedeva così inseparabili… Le si strinse il cuore di pura gioia. Questa volta aveva vinto lei. Una sera di primavera, Nereide per ringraziare il suo prezioso aiuto decise di organizzare una sorpresa in suo onore. Adagiò una confortevole coperta sull’erba davanti al laghetto, mentre sua madre le preparò, come sempre, la cena. Bendò Aurora con una fascia in modo che non scoprisse nulla, finché non lo avesse voluto lei. Adagio, la condusse fuori dalla dimora fino al luogo del picnic improvvisato. «Ecco. Ora puoi guardare.» Le levò la benda dagli occhi. La principessa emise un gridolino di stupore. Era il tramonto. Il sole scomparso all’orizzonte dietro alle cime montuose accendeva l’atmosfera di un intenso colore arancione. Le nuvole sembravano gonfi batuffoli di zucchero filato, velati di viola fluttuavano sotto un cielo blu avio. La tetra foresta circondava il desolato luogo, avvolto ormai dalla penombra serale. Aurora, sotto i suoi piedi, vide distesa una tovaglia con sopra apparecchiata una cena per due persone, illuminata da alcune candele bianche. «Tutto questo è per te Aurora. Per ringraziarti per essere sempre stata buona con me.» «Non dovevi, davvero…» Le brillavano gli occhi per l’emozione. Nereide le sorrise e fece cenno di unirsi a lei e di prendere posto. Insieme gustarono le prelibatezze, mentre lentamente calava la notte. Le due fanciulle sazie erano distese sopra alla coperta. Ammiravano il firmamento mentre videro cadere un’altra stella. Si guardarono divertite, entrambe incantate dai loro sorrisi ingenui e felici. Nereide si avvicinò di più ad Aurora che la guardò dritta negli occhi. Tra di loro nacque il silenzio. Le loro mani si sfiorarono appena. La fanciulla prese ad accarezzarla fino a stringerla. La fatina sentì il suo confortevole torpore. «Sei bellissima Nereide.» Ebbe un tuffo al cuore e il suo corpo venne scosso da uno spasmo involontario. Non poteva crederci… «Grazie per avermi reso una fata migliore», tagliò corto lei. «Ti amo». Si scostò dalla coperta e le stampò un bacio sulle sue labbra esangui. Nereide si scostò dalla principessa, osservandola allibita, mentre lei la guardava sorridendo, con le guance rosate, forse un po’ per l’imbarazzo. In quell’istante la fatina comprese che davanti a lei, ora c’era il suo mondo, la sua felicità, il suo amore, tutto ciò che aveva sempre sognato. La strinse a sé e le donò anche lei un suo bacio. Era la prima volta che una principessa baciava una fata…. Non molto lontano, al castello, Re Stefano e la Regina Leah si disperavano nella grande sala. Non si davano per nulla pace dopo l’inspiegabile scomparsa della figlia. La sovrana era seduta sul suo trono. Stanca si sorreggeva il capo, mentre era in preda a un altro pianto isterico. Suo marito, invece, era furibondo, camminava avanti e indietro, su e giù, per la tortuosa scalinata decidendo come procedere le ricerche. Era scomparsa da mesi e nessuno sapeva nulla. Si era volatilizzata come un perfetto fantasma. Le guardie del palazzo continuarono a cercarla finché sfiniti si arresero al volere del sovrano. Il Re Stefano non trovando più alcuna soluzione, fece chiamare le tre fate. Fauna, Flora e Serenella che avevano avuto il compito di proteggere la piccola principessa fin dalla tenera età, giunsero impacciate e accaldate di fronte al loro sovrano. Si inchinarono davanti al suo cospetto. «Buongiorno, vostra maestà. A quale onore dobbiamo il suo inaspettato ricevimento?» Domandò Serenella Stefano le scrutò con sguardo serio e imperturbabile, gli occhi ridotti a due tetre fessure d’odio e collera. «Dov’è finita Aurora?» Domandò imperterrito, scandendo bene ogni singola parola. Le tre creature si scambiarono occhiate impaurite. «Ehm… Non lo sappiamo», confessò Serenella. «Come sarebbe a dire “non lo sapete”. Vi avevo ordinato di prendervi cura di lei, di proteggerla e vegliare su di lei fino…» Si bloccò, tastandosi le tempie che pulsavano per l’irrequietezza. «Siete al corrente che le piace combinare spesso pasticci! Non riusciamo sempre tenere a freno la sua curiosità!» Continuò Serenella. Il Re li rivolse uno sguardo scuro e minaccioso. «Trovatela!» Urlò. Le tre fatine indietreggiarono spaventate. «Trovatela Subito!» Ordinò loro. «Sì, vostra maestà. Promettiamo di trovarla e di riportarla a palazzo il prima possibile», disse Fauna. Il Sovrano con un cenno le congedò. Le fate lasciarono alle loro spalle il castello. Viaggiarono intorno al regno alla ricerca della principessa. Attraversarono le colline brulicanti, dai dolci e sinuosi pendii. Sorvolarono interminabili fiumi scroscianti e placidi laghi dalle acque limpidissime. Perlustrarono ogni bosco fino a giungere in cima alle alte montagne. Stanche e stremate, senza più alcuna speranza, pensavano già al loro castigo, quando udirono la sua voce. Sorprese, andarono a nascondersi all’ombra di un ramo d’abete. Scorsero un drappo del suo abito rosa svolazzare al vento. Si sporsero, cercando di non farsi scoprire e fu così che la videro in compagnia di una giovane fanciulla brutta e sgraziata. Ebbero un conato di disgusto davanti a tanta bruttezza. «Ma chi è quella!» Esclamò inorridita Serenella. «Non lo so…» Pronunciò Fauna. All’improvviso videro sopraggiungere Malefica. Urlarono di terrore. «Forza, andiamo via da qui, prima che ci scopra!» Fauna strattonò le sue compagne e insieme ripresero il volo verso casa. «Abbiamo visto Malefica», confessò Flora, tutta agitata. «L’ha rapita Malefica!» Aggiunse Serenella. «Sì è vero, è proprio così. È in compagnia di Malefica e di un’altra fanciulla», affermò Fauna. Re Stefano si alzò con impeto dal suo trono e andò verso quest’ultima. Si pose di fronte al suo minuscolo faccino. «Ripeti con chi si trova», sibilò. Fauna tremò di paura. «Mia figlia!» Sbraitò furioso. «Con Malefica…e…e…e….poi…con…u…n…a fan…ciulla.» «Dovrebbe vederla. Non è una fanciulla, è un mostro!» Sbottò Serenella. Il Sovrano digrignò i denti. Lui sapeva… «Andate. Non mi siete più d’aiuto.» Le tre fatine fecero una riverenza e abbandonarono il castello di corsa, piuttosto scosse. Era una faccenda di cui doveva sbrigarsela da solo. Stabilì, in segreto, un incontro con la Fata Delle Montagne. Nella notte Re Stefano e Malefica si incontrano nelle segrete del palazzo. «Bene, bene», parlò la fata, avvolta nelle tenebre. «Ovunque tu sia, mostrati a me», disse Stefano che teneva una lanterna in mano. «Malefica uscì allo scoperto, rivelando i suo occhi ambrati. «Dopo anni eccoci di nuovo insieme.», rise maliziosa, mostrando il suo candido sorriso. «Perché mi hai convocata?» Chiese, cambiando tono della voce, che si era fatto più serio. «So che hai la mia Aurora tra le tue grinfie. L’hai rapita? Non è forse così?» «La tua Aurora?» Lo incalzò. «Lo sai che abbiamo stretto un patto, non puoi scioglierlo, pena la morte.» Si avvicinò a lei, puntandole il suo sguardo adirato contro. «Riportala a casa o è la volta buona che vi uccido!» «Mi stai per caso minacciando?» Lo sfidò. «Sciocco da parte tua. Ricorda che sono una fata, ricorda chi ero un tempo, ricorda ciò che eravamo noi, ricorda che Aurora non è solo tua figlia e ricorda che non è la tua sola figlia.» Il sovrano si ritrasse. «Lo sai cosa avevamo deciso…» «Non avevamo deciso un bel niente! Hai sempre agito da solo. Ti sto ricambiando con la stessa moneta.» «Vattene», cercò di tagliare corto. Sapeva che aveva ragione… «Non ti è mai importato niente di lei, vero? Hai preferito portarti via Aurora, la figlia più bella, quella che ti assomigliava di più, di Nereide non ti è mai importato nulla, perché è nata fragile, sgraziata e brutta, senza alcuna magia che la rendesse speciale.» «Mi dispiace…», provò a dire. «Non, non ti dispiace affatto.» La sua voce si incrinò. «Nereide è anche lei tua figlia. Sono l’unica che sta provando a salvarla dal suo pietoso stato.» «È sempre stata una debole, una nullità. È impossibile salvare un’anima così malata come lei. Nemmeno Aurora ci riuscirà…» «Io ho fiducia in mia figlia. Io ho fiducia nelle mie due figlie.» «Io no», abbozzò un lieve sorriso beffardo. «Quindi…» Si schiarì la voce. «O mi riporti Aurora a casa entrò il calar del sole o verrò a prenderla con le mie mani e vi ucciderò entrambe, come avrei dovuto fare sedici anni fa!» Urlò. «Sono sfinito Malefica! Voglio indietro la mia Aurora! Mi serve dannazione. Il regno ha bisogno del suo potere…» «Ah è così! Tu la vuoi solo usare. La vuoi usare per i tuoi soliti scopi.» Alzò la voce, in collera. «Non sei cambiato affatto. Se sempre e lo sarai sempre il solito uomo orgoglioso che pensa solo a sé stesso! Non hai un briciolo d’amore dentro al tuo insignificante cuore!» Con il volto rigato di lacrime, scomparve nell’oscurità, lasciando il Re solo. Malefica turbata e in lacrime ritornò in fretta alla sua dimora. Aurora, in camera sua, sentì che stava piangendo un’altra volta. Uscì dalla stanza, ritrovandosi la fata seduta al suo solito posto, tremante, singhiozzante e priva di forze, chinata con il viso affondato tra le braccia. «Dove sei stata? Perché piangi?» Chiese preoccupata. Malefica sussultò. «Tuo padre sa che sei qui, con me.» Aurora si avvicinò a lei. La fata la guardò negli occhi e le prese per mano. «Devo dirti una verità che non ti è stata mai raccontata.» La fanciulla la osservava incantata. «Tanti anni fa, ho conosciuto tuo padre qui in mezzo al bosco. Lui era a caccia e io ero a passeggio. Ci incontrammo per puro caso. Fu subito amore, ma poi…» Aurora si sedette vicino a lei. Malefica si asciugò il viso. «Un giorno, senza dirmi niente, ha deciso di abbandonarmi. Non si è fatto più vedere, né sentire. Pochi giorni dopo, mi sono sentita male e…» Si bloccò. Aurora le strinse di più la mano. «Sono qui. Vai avanti.» «Ho scoperto di essere incinta.» La principessa non batté ciglio. «Erano due gemelle, una bionda e bella, l’altra invece era…» Le si spezzò la voce. «Nereide», sussurrò appena la giovane. «Sì», rispose sospirando. «Re Stefano lo venne a sapere e una notte mi portò via…» Aurora sgranò gli occhi. Si alzò dalla sedia e indietreggio come spaventata. Si portò una mano alla bocca. L’aveva intuito… «Aurora tu sei mia figlia», copiose lacrime rigarono di nuovo il suo sciupato viso. «Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto di non avervi potuto salvare tutte e due. Vostro padre non vi ha mai amato veramente. Ti ho rapita perché sei l’unica salvezza per Nereide. Ti ho rapita per salvarti da lui. Ti vuole con sé solo per usarti, per i suoi orgogliosi scopi.» Aurora tremava davanti a quell’agghiacciante rivelazione. Quella che guardava era Malefica, la malvagia Fata delle Montagne, la sua vera madre. Aveva il volto arrossato, bagnato di pianto. «Non merito il tuo perdono, ma per favore non abban…» La principessa si gettò fra le braccia della fata. Malefica l’accolse con sé. Senza indugiare, la strinse al suo petto, accarezzandole la nuca. «Ti voglio tanto bene. Non ti ho mai smesso di pensarti, di volerti qui con me. Non ho mai smesso di amarti. Sei la mia cara, buona e dolce Aurora.» «Ti voglio bene anch’io, mamma.» Malefica pianse altre lacrime, ma questa volta erano di gioia. Finalmente Aurora era di nuovo a casa, fra le sue braccia come avrebbe sempre dovuto essere. «Non voglio andarmene. Voglio restare qui con voi. Non voglio abbandonarvi.» Stretta fra le braccia della fata, realizzò che non avrebbe mai lasciato Nereide, perché era innamorata di sua sorella e anche se, adesso, non le sembrava giusto, ormai non poteva farci più nulla. Non si più controllare l’amore, specialmente se è diventato così forte e potente come il loro. Il giorno dopo, Re Stefano, non vedendo sua figlia far ritorno al castello come aveva prestabilito, al tramonto, con a seguito il suo esercito iniziò la marcia e la cavalcata verso le montagne. Aurora, Nereide e Malefica stavano giocando all’aria aperta, quando quest’ultima sentì il sovrano uscire dal bosco armato, insieme ad altri suoi fedeli uomini. La fata impaurita ordinò alle figlie di chiudersi in casa, ma era già troppo tardi. Il resto dell’esercito le accerchiò. Erano in trappola. «Bene Bene. Eccovi qui», scese da cavallo. «Tutte e tre. Splendido!» Malefica era già in lacrime. «Per favore, non farci del male. Sono anche tue figlie.» Nereide guardò la madre accigliata. «Ti avevo avvisata. Un accordo è un accordo.» «No!» Urlo la fata adirata. Re Stefano si avvicinò alle fanciulle per osservarle meglio. «Tu sei sempre uguale, assimigli tutta a tua madre: brutta, sgraziate, indifesa, sola, gracile. Un fiore appassito.» Si concentrò su Aurora, la sua figlia prediletta. «Tu invece sei la mia luce, la mia speranza in questo mondo che sta cadendo lentamente in rovina. Tu, adesso, lasci qui tua madre e tua sorella per venire al castello con me.» «Lei non ritorna a casa con te, Stefano! Non hai il diritto di portarmela via ancora!» Gli gridò furiosa. Si sentiva così impotente e di nuovo sconfitta da quell’uomo che un tempo l’aveva amata. «Mi dispiace Malefica, ma Aurora deve venire via con me.» Prese la figlia per un polso. «No!» Urlò la fanciulla. «Lasciami andare!» Il sovrano la consegnò in mano a una coppia di soldati. «Montatela in sella a uno dei vostri cavalli e portatela presto a palazzo.» «Non puoi farmi questo!» Gridava, mentre veniva strattonata con forza e portata via. «Nereide! Nereide! Nereide!» Chiamò invano più volte la sorella, senza ricevere risposta. La povera e sgraziata fatina aveva stampato nel suo volto un’espressione di misto terrore e disgusto verso quell’uomo a lei sempre stato sconosciuto. «Nereide, non sarai mai abbastanza bella e buona come tua sorella. Non sei nata per essere una principessa.» Si voltò di spalle. «Lasciatele libere.» Stefano salì sul suo cavallo e si inoltrò nel bosco seguito dal suo esercitò che si allontanò, scomparendo agli occhi delle due fate. Nel volto di Nereide era scesa di nuovo la malvagità delle tenebre. I suo occhi erano neri come l’inchiostro e carichi di rabbia. Scioccata e terrorizzata, faceva fatica a respirare. Sua madre, anche lei turbata, tentò di cercare un contatto. «Tesoro…» Le si ruppe la voce. «Io…», iniziò a piangere. «Mi dispiace…» «L’hai rapita perché pensavi potesse guarirmi.» «Era l’unica soluzione», rispose con il cuore affranto. «Perché?» «È tua sorella Nereide, lo è sempre stata.» «Lei lo sa?» Chiese, anche se aveva timore di sentire la risposta. «Le ho raccontato tutto ieri sera.» «E io, invece, non sapevo nulla.» Le puntò gli occhi contro. «Come al solito!» «L’ho fatto per il tuo bene! Non volevo che soffrissi.» Fece un passo verso di lei. «Per favore…» La giovane indietreggiò. «Sono sempre quella che viene esclusa da tutto!» Gridò frustrata. «Tesoro mio», provò a tranquillizzarla. «Perché sono quella imperfetta, quella troppo debole.» «Non è vero.» Le appoggiò una mano sulla spalla. Ma la figlia continuò «Quella che non bisogna fare arrabbiare altrimenti diventa cattiva.» «Nereide, quello che stai dicendo non è assolutamente vero! Smettila!» Quelle sue parole le stavano facendo male. «Quella che è più facile odiare che amare!» Nereide, infine, scoppiò in un pianto disperato. Non riusciva più a guardare la madre in faccia. Malefica tentò di abbracciarla, ma lei si scansò subito e fuggì via, verso la boscaglia. «Nereide!» Urlò il suo nome, cadendo in ginocchi a terra. Aveva perso ancora una volta. Aveva fallito e credette che questa volta sarebbe stato per sempre… Un lampo illuminò la dimora e un fragoroso tuono squarciò il cielo plumbeo. Un violento temporale era in arrivo… La pioggia picchiava sulle vetrate delle finestre. La stanza era illuminata solo dalla luce fievole delle candele appese ai muri. Aurora era sdraiata sul letto con la testa affondata nel cuscino, i cappelli dorati e ondulati le accarezzavano la schiena. Le mancava da morire. L’amava con tutto il suo cuore, voleva riaverla con sé, voleva chiederle scusa e riabbracciarla per non lasciarla mai più, ma questa volta, suo padre l’aveva rinchiusa a chiave nella sua camera per paura che potesse tentare la fuga. Ed era proprio quello che la principessa desiderava: scappare via e andarla a cercare, perché la sua assenza era troppo straziante. Per la prima volta Aurora seppe cosa volesse dire soffrire per amore. Si asciugò il viso e si ridestò. Andò alla finestra. L’apri e guardò giù: era troppo in alto, avrebbe rischiato la vita. Era una principessa intrappolata nella sua torre, solo che nessun principe sarebbe venuta a salvarla… Doveva farlo da sola, con le forze che le erano rimaste. Attese il momento giusto. Quando calò la sera, una governante le portò la cena. La fanciulla aprì la porta e si fiondò nel corridoio, scappando via come una furia verso le segrete del castello, verso i tunnel sotterranei, verso l’uscita nascosta, verso l’aria aperta. Pronta a correre e a ritornare da sua sorella. Corse a per di fiato verso le alte montagne, fino a giungere davanti alla dimora di Malefica. Bussò con insistenza, ma nessuno rispose. Entrò dentro. La fata sorpresa si ridestò dalla sua tribolazione. Le andò in contro. La scrutò come se avesse visto un fantasma. «Come è possibile?» Chiese più a sé stessa che alla giovane. «Sono riuscita a scappare.» Le prese e le strinse le fredde mani. «Voglio stare con te mamma, voglio stare con Nereide.» Malefica abbassò lo sguardo, si morse il labbro, cercando di trattenere le lacrime. «Non è ancora tornata a casa…chissà dove si sarà cacciata con questo tempaccio…», iniziò a singhiozzare. «Non riesco a trovarla…» Si gettò tra le braccia della figlia. «Ho fallito.» «No, la troverò io, ho promesso. Ricordi?» La madre la lasciò andare. «La troverò e la riporterò a casa sana e salva.», disse molto sicura di sé. Malefica le accennò un sorriso d’incoraggiamento e le diede un bacio sulla fronte. «Stai attenta, mia piccola e dolce Aurora.» Dopodiché la fanciulla si dileguò in fretta e si inoltrò nel bosco. Intanto l’atmosfera dentro al castello si ritrovò di nuovo in subbuglio. La governante annunciò al sovrano la fuga della figlia. Adirato più che mai, mobilitò di nuovo l’esercito per andarla a cercare. Sapendo già dove poteva trovarsi. Questa volta si promise che non sarebbe stato affatto indulgente. Le avrebbe uccise tutte e tre! La coraggiosa Aurora, tra la furia della tempesta, non riusciva a darsi per nulla pace. Disperata e bagnata fradicia continuava a cercare Nereide dietro ogni pianta, albero o grotta, fin quando uscì dal bosco per prendere un po’ di fiato, e fu così che la ritrovò. Era rivolta di spalle, in procinto di un ripido burrone. La vide fare un passo in avanti. «No!» Urlò la principessa. La fatina sussultò e si girò di scatto, notò la sua bella e dolce sorella che la osservava con espressione terrorizzata. «Vieni via da lì, è pericoloso!» La invitò ad arretrare. «Io voglio solo morire.» Nereide fece un altro passo in avanti, pronta a cadere nel vuoto. Chiuse gli occhi, assaporando i suoi ultimi attimi di vita, ma Aurora la prese appena in tempo, abbracciandola stretta a sé. «Sei venuta a salvarmi. Non dovevi… Io non merito di essere salvata.» «Non dire sciocchezze, io ti salverò sempre.» La strinse più forte a sé. «Scusami se ti ho abbandonata.» La fatina si lasciò andare tra le sue braccia in un pianto disperato. «La tua mancanza mi stava uccidendo l’anima.» «Anche tu mi sei mancata troppo.» Si scostò da lei per guardarla meglio. «Ma adesso siamo di nuovo insieme. Questo è l’importante.» Le asciugò il viso bagnato e le regalò un tenero sorriso rassicurante. «Forza, dobbiamo tornare a casa da nostra madre. Sarà molto preoccupata.» Le prende e le stringe la mano. Piano piano ritornano verso la loro dimora. Giunsero alla loro casetta, ma ad attenderle trovarono Malefica in catene sotto il controllo di Re Stefano. Aurora sgranò gli occhi spaventata e si pose davanti alla sorella, cercando di proteggerla. Suo padre si accorse della sua presenza e le rivolse un sorriso perfido e malizioso. Rise compiaciuto. «Vedo che sei riuscita a trovare Nereide. Molto bene.» Si avvicinò cautamente alla figlia. «Non azzardarti a farle del male. È mia sorella! Non hai alcun dritto di toccarla.» Il sovrano si bloccò, mostrando il suo sguardo più crudele. «E tu mocciosa, non hai alcun diritto di dare ordini a tuo padre, al sovrano del tuo regno! Verrai punita per questo, verrete punti tutte e due!» Aurora guardò il padre con aria di sfida, tenendo ben nascosta la fatina dietro di sé. Il padre indietreggiò voltandogli le spalle. «Arcieri!» Li richiamò all’ordine. «Uccidetele adesso, tutte e due!» «No!» Gridò Malefica, mentre un tuono squarciò il cielo. La prima freccia partì, dritta verso il petto dell’innocente Aurora. Nereide si scansò e allontanò la sorella che cadde a terra. Aurora si ritrovò distesa sull’erba. Si tastò il copro. Non era ferita. Venne distratta da un gemito provenire alla sua destra: Nereide era inerme, distesa, con un freccia conficcata nel cuore. «No! Nereide!» La madre gridò impotente, mentre la figlia stava morendo davanti ai suoi occhi. Pervasa dalla rabbia, non voleva perdere sua figlia, quindi concentrò tutte le sue forze e la sua magia su di sé per liberarsi dalle catene di ferro. Urlò forte, provocando un enorme boato e un impetuoso soffio di vento che fece indietreggiare e cadere l’intero esercito. Liberata dalle catene prese ad attaccare tutti i soldati e uno a uno riuscì a farli scappare tutti. Re Stefano si strisciava sul terreno fangoso, impaurito dalla sua potente magia. Malefica lo seguiva con sguardo maligno e imperturbabile. «Ti avevo avvisato.» Con una mano gli prese il collo e lo sollevò in aria. Iniziò a stritolarlo con forza. Al sovrano le si gonfiò il viso, sfumandosi di viola. «Per…favore…» la implorò agonizzante. «Risparmiami… Vi lascerò per sempre in pace.» Non riusciva più a respirare. Malefica lo strinse nella sua morsa. «Promettimelo!» «Lo giuro! Lo prometto. Lasciami andare…» La fata lo fece cadere a terra. Re Stefano si girò di schiena e come un serpente prese a strisciare via dalla fata per poi pian piano rialzarsi in piedi e fuggire via in mezzo al bosco, scomparendo per sempre dalla sua vita. Malefica si voltò e vide Aurora che teneva stretta fra le sue braccia il copro cereo della sorella. «Questa volta ti ho salvata io», le sussurrò, mostrandole mezzo sorriso. «Posso essere buona anch’io, posso essere uguale a te.» Aurora strinse gli occhi per trattenere altre lacrime. «Per favore, non mi lasciare.» «Non meriti di vivere come te.» La sua coscienza cominciò a vacillare. Nereide chiuse lentamente gli occhi. Aurora prese a singhiozzare. Le accarezzò il viso sempre più diafano. «Io ti amo Nereide, ti amerò sempre, non mi è mai importato delle tue cattiverie. Per me sei la fata più bella di tutte. La più preziosa. La più importante, perché sei mia sorella. Ti amo e ti accetto per come sei. Non devi cambiare per me, non devi cambiare per nessuno. Per favore non abbandonarmi.» «Ormai è toppo tardi. Non puoi più salvarmi.» La fatina di lasciò andare. Il suo cuore smise di battere. Malefica corse verso di loro e si inginocchiò davanti a Nereide. Aurora ruppe in singhiozzi e singulti agonizzanti e strazianti. Le accarezzò il viso per poi chinarsi su di lei e stamparle un ultimo bacio sulle labbra. Aveva perso il suo amore… Rimase lì a cullare il suo corpo privo di vita. Intanto la tempesta iniziò a placarsi. Il cielo cominciò a schiarirsi, fino a che un raggio di sole squarciò le nubi grigie. Aurora era ancora lì con il corpo della sorella adagiato tra le sue braccia. Una luce dorata illuminò la radura e riscaldò la pelle della fatina asciugandola dalle goccioline di pioggia. Le sue mani iniziarono a fremere e una a muoversi verso il suo petto. Nereide si staccò la freccia. Il suo cuore iniziò a pulsare più forte di prima. Percepì una strana sensazione di calore irradiarsi attorno al suo corpo. Riaprì con calma gli occhi. Osservò con compassione la madre che piangeva in silenzio. Poi spostò lo guardo davanti alla sorella. Tutto quel bagliore, proveniva dal suo corpo. Aurora era circondata da una strana aurea dorata, dietro di lei notò spuntare delle ali dorate. Le accarezzò il volto. «Sei una fata!» La fanciulla riaprì gli occhi. Sospirò scioccata «Sei viva!» Esclamò e la riabbracciò forte a sé. Malefica vide anche lei la strana magia che circondava la figlia. Si avvicinò di più a lei. Allungò una mano per toccarle le strane e trasparenti protuberanze che le fuoriuscivano dalle scapole. Erano così delicate… «L’ho sempre saputo che eri una fata proprio come noi.» Le accarezzò il viso. Aurora sorrise. Non era spaventata, era felice, felice di appartenere alla sua vera famiglia. «Mi hai salvato ancora una volta», disse Nereide. «Ti salverò sempre.» Le baciò la fronte. «Adesso sono io uguale a te. Sono la tua fata.» «Ti amo Aurora.» «Ti amo anch’io sorella mia.» «E io vi amo entrambe, figlie mie.» Malefica si protese e le strinse entrambi nel suo abbraccio colmo d’amore. Vissero per sempre felici e contente nella loro umile dimora, circondata dal bosco incantato. Malefica aveva sempre saputo che sua figlia era anche lei una fata proprio come la sgraziata Nereide, ma una fata diversa, piena di calore e di luce, più splendente del Sole, ecco perché la chiamò Aurora. Lei era la Fata della Guarigione, l’unica del bosco incantato. Quando Re Stefano lo venne a sapere, una notte gelida andò a rapirla dal la sua culla perché sapeva che i suoi poteri potevano esserli utili alla gente del suo regno e che una volta compiuti i sedici anni, Aurora si sarebbe trasformata e avrebbe mostrato il suo prezioso dono, ovvero quello di guarire con un solo tocco del suo amore ogni creatura del suo universo.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Disney / Vai alla pagina dell'autore: Laura_Ruetta