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Autore: Nina Ninetta    15/09/2023    4 recensioni
Anita è una studentessa di 16 anni che vive un profondo disagio sociale e se ne sta fin troppo spesso per conto proprio. Completamente sola, all’inizio del terzo anno, si trasforma nella vittima perfetta di un gruppetto di bulli che la vessa con dispetti e insulti di ogni genere. Il peggiore fra tutti, secondo Anita, è Stefano: un ragazzo scaltro e intelligente che sa usare fin troppo bene le parole, cosa in cui anche lei è brava! Qualsiasi altra persona, al posto di Anita, si sarebbe lasciata avvilire da questa situazione, ma non lei, poiché non si sente affatto sola, c’è il suo migliore amico a darle man forte: ȾhunderWhite! Un ragazzo con cui chatta ormai da tempo e che ha conosciuto in rete, su un sito per giovani scrittori come lo sono loro! Sebbene vivano nella stessa città, Torino, non si sono mai incontrati di persona, fin quando ȾhunderWhite non sente il desiderio di vederla dal vivo...
Questa storia partecipava alla challenge “Gruppo di scrittura!” indetta da Severa Crouch sul forum “Writing Games - Ferisce più la penna” - aggiornamenti ogni 15 giorni.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ȼapitolo Տei
 “Տcommettiamo?!”


 
 
 
«PAAALLAAA!!!»
Urlò qualcuno un attimo prima che il pallone la colpisse in pieno volto.
«Che sfigata!» Ridacchiò Fabio, piegato sulle ginocchia per prendere fiato.
Anita si ritrovò con il sedere sul pavimento di PVC scuro della palestra della scuola, stordita e confusa. Vedeva doppio poiché gli occhiali le si erano spostati a causa del colpo ricevuto.
«Stai bene?» Barbara “Barbie” Scala l’aiutò a rialzarsi aggiustandole le lenti sul naso.
«Ehi, quattrocchi, hai il culo sporco!» Questa volta alla battuta di Fabio risero anche altri liceali, tra cui Stefano Parisi.
«Smettila Fabio!» Barbie lo guardò male, realmente dispiaciuta per la compagna che intanto tornava al suo posto spolverandosi distrattamente le chiappe. «Potevi romperle gli occhiali e farle male!»
Fabio Morini sollevò le spalle, lasciando intendere che la cosa non lo interessava. Giulia Mazza, in squadra con lui, si aggrappò alla rete di pallavolo e accennò un ghigno malizioso verso la biondissima Barbie, sua vicina di banco:
«Guarda che ce n’è anche per te» disse.
Barbara le fece una smorfia e trottò al suo posto, lanciando un sorriso mesto ad Anita che, tuttavia, non ricambiò. Da quando era accaduto il fattaccio del foglio hot, l’atteggiamento di Barbara nei suoi confronti era mutato. Molto probabilmente si sentiva in colpa, sia perché si era resa partecipe di un episodio di bullismo, sia perché aveva avuto delle ripercussioni a livello più ampio, ossia la sospensione della professoressa Dell’Arco.
Intanto, Elia Morales batteva le mani per richiamare all’ordine i suoi alunni e annunciare che la pausa era finita, poi guardò di sottecchi la collega di italiano, la quale a sua volta lo fissava a braccia conserte e l’aria desolata: il loro piano non stava funzionando.
Anita Lentini si scostò il ciuffo di capelli dietro l’orecchio, mettendosi in posizione. Non era arrabbiata con Fabio – sebbene da quando fosse iniziata la partita non aveva fatto altro che prenderla a pallonate – o con il resto della classe. Quei risolini li conosceva bene, giorno dopo giorno ci stava facendo il callo (la cosa peggiore era proprio il fatto che si stava abituando a quella routine, quando invece avrebbe dovuto ribellarsi). Se non riusciva a respingere i colpi di Fabio era anche colpa sua, poiché erano sì schiacciate volte a metterla in difficoltà, ma non precise o imprendibili per una che se la cavava bene in quella disciplina, avendo frequentato per anni il corso di pallavolo. Poi, crescendo, non era più riuscita a conciliare gli allenamenti con lo studio e fra i due aveva sacrificato i primi.
Fabio, invece, era una vera schiappa in quello sport – così come Barbara, per dirne una! –, lo si capiva dalla posizione di braccia e gambe, dai movimenti scoordinati. Dunque, se non riusciva a controbattere tutti i palloni che Morini le indirizzava, e comunque parecchi di quelli era riuscita a trasformali in ottime occasioni di punto, la colpa era solo sua. Era distratta da un pensiero che dalla sera prima non la lasciava in pace, ma tornava a riaffacciarsi nella mente nei momenti meno opportuni: Ⱦhunder le aveva fatto scommettere che se fosse stato promosso a pieni voti lo avrebbe incontrato. Non era stata una richiesta schietta e diretta come le precedenti, dalle quali era sempre riuscita a sgusciare via, simile a un girino. No, questa volta era una specie di sfida, un azzardo divertente. Anita aveva comunque tentato di evitarlo, scrivendo all’altro che un giorno si sarebbero conosciuti di persona, ma addirittura scommettere le sembrava un’esagerazione. Ⱦhunder, però, sapeva essere convincente e l’aveva fatta sembrare una cosa lontana, quasi irrealizzabile, giacché la sua promozione era in bilico.
 
“Così avrò un motivo in più per impegnarmi a scuola”
“Mi stai dicendo ke sono responsabile di una tua eventuale bocciatura?”
“Sì” 
 
   
 
Così, alla fine, Anita aveva dovuto accettare e adesso non riusciva a pensare ad altro. Come se non bastasse, il professore di spagnolo quel giorno aveva avuto la brillante idea di inscenare una partita di pallavolo senza un motivo apparente. La vera sorpresa, tuttavia, era stata la presenza della professoressa Dell’Arco, sospesa per una settimana a causa di quella ricerca sul sesso orale.
Elia Morales aveva presentato la partita come un’opportunità di crescita collettiva e aggregazione, così lui e Giovanna avevano diviso gli alunni in due squadre, i cui membri evidentemente non erano stati decisi a caso. Separare Stefano Parisi da Fabio Morini, ad esempio, era stata una scelta ponderata. Eppure, a nessuno dei ragazzi venne in mente che tutto quello era stato organizzato per la questione bullismo nei confronti di una compagna di classe, anche perché stavano continuando a prenderla di mira. Non a caso, per l’ennesima volta, Giulia alzò la palla e Fabio la schiacciò con forza colpendo Anita al seno sinistro, distogliendola ancora una volta dal fantasticare sull’incontro con il suo amico virtuale.
«Ma sei scemo?!» proruppe Barbara, vederla sbottare era un evento più unico che raro.
«Tanto non c’ha nulla lì: è piatta! Povera sfigatella
Risolini generali.  
«Così però non si può giocare!» Si lamentò qualcuno.
«Possiamo tornare in classe?» Chiese qualcun’altra.
Elia Morales batté i palmi un paio di volte e annunciò cinque minuti di pausa, poi si accostò a Giovanna – che intanto era andata a sincerarsi delle condizioni di Anita – e, prendendola per un gomito, si allontanarono di qualche metro.
«Così non va» sospirò lui.
«Me ne sono accorta. Cosa possiamo fare?» Giovanna Dell’Arco lo osservò speranzosa, mentre lui rifletteva con una mano sotto il mento e gli occhi scuri che scrutavano gli alunni in cerca di risposte, contornati da lunghe e folte ciglia nerissime.
Solo due notti prima si era presentato a casa di Giovanna, sostenendo di avere un’idea sensazionale per aiutare la Lentini.
In realtà, il suo obiettivo era meno nobile: voleva far colpo sulla collega di letteratura italiana. Giovanna Dell’Arco non era una persona particolarmente estroversa, ma molto riservata e professionale. E proprio quella sua professionalità l’aveva portata a non restare indifferente di fronte a ciò che stava accadendo in quella classe. Forse perché lei conosceva quei ragazzi fin dal primo giorno di liceo, li aveva visti crescere, trasformarsi da ragazzini a veri adolescenti, più vicini all’età adulta che agli anni dell’infanzia. Elia non conosceva altri modi per avvicinarsi a quella donna che non riusciva a togliersi dalla testa, sebbene avesse provato più volte ad invitarla per prendere un caffè insieme, nonostante avesse sentito commenti poco garbati su di lei da parte dei colleghi. Ovviamente, era anche consapevole della differenza di età che li separava e che per qualcuno sarebbe potuto essere un ostacolo, ma non per lui, al quale non era mai interessato se la sua partner – anche occasionale – fosse più anziana. Anzi, le aveva sempre preferite alle ragazze più giovani o della sua stessa età, forse perché le trovava più mature mentalmente, meno superficiali. Per questo motivo, comunque, quando la mattina della sospensione aveva incontrato Giovanna nell’aula professori e lei gli aveva detto che se voleva davvero aiutarla avrebbe dovuto farsi venire un’idea per la questione bullismo, Elia l’aveva fatto. Era tornato a casa, un monolocale fuori città, e aveva telefonato a un suo caro amico di Madrid, laureato in sociologia, parlandogli dell’intera questione Anita Lentini (omettendo di proposito l’infatuazione per la collega). Alla fine, era venuto alla conclusione che il miglior mezzo di aggregazione sociale era lo sport di squadra: lottare per il raggiungimento di un obiettivo comune unisce, si rema dalla stessa parte. Inoltre, giocare una partita sarebbe stato divertente per i ragazzi.
Ecco quello che mancava! Accidenti a lui, come aveva fatto a dimenticarsi quel passaggio? L’obiettivo! Quei giovani stavano sì facendo una partita di pallavolo divisi in due squadre, ma non avevano obiettivi da raggiungere! Non c’era alcun premio per cui valesse la pena unire le forze e stare dalla stessa parte.
«Ci sono!» Esclamò all’improvviso e il volto di Giovanna si illuminò di sollievo, mentre lo seguiva a ruota, diretto al gruppetto che intanto stava battendo la fiacca.
«Si torna in campo» disse, fra i dissensi generali.
«Prof, possiamo almeno mischiare le squadre?» Chiese Fabio, tenendo un braccio intorno alle spalle dell’amico e compare Stefano.
«No, ma questa volta in palio ci sarà un premio» A quelle parole la curiosità degli alunni si ravvivò. «La squadra che vincerà il set sarà esente da sostenere il prossimo e ultimo compito in classe di spagnolo.»
«E come determinerà i voti?» Domandò Stefano.
«Da una base di sette» rispose il professore, consapevole che pochi in quella classe arrivavano alla sufficienza e il brillante Stefano Parisi non era tra questi. Non gli avrebbe fatto uscire un’insufficienza in pagella poiché era un ragazzo che si impegnava e gli avrebbe rovinato la media, ma le lingue straniere non erano il suo forte.
«Ma sei impazzito?» Giovanna si voltò a guardare il giovane collega con gli occhi sgranati. Era contro le regole della scuola, del Ministero dell’Istruzione addirittura, se lo avesse saputo il preside ci sarebbe stato il licenziamento immediato, se non peggio. Forse non avrebbe mai più potuto insegnare in Italia.
«E chi perde?» Continuò Giulia Mazza, un’altra che arrancava nella sua materia.
«Dovrà fare il compito in classe» sorrise Morales.
«Ma non è giusto!» Si lagnò qualcuno.
«Allora impegnatevi per vincere. Pronti?» Lo spagnolo si porto il fischietto alle labbra, quando Anita gli rivolse l’unica domanda inerente alla gara:
«Professore, il set da quanti punti è?»
«Quindici»
«Un tie break, allora» Anita sembrò più che altro parlare fra sé e sé, muovendosi a testa china per prendere la sua posizione di libero. Non era un ruolo fondamentale, ma perfetto per lei, dal momento che non richiedeva una particolare attenzione alla gara. Inconsciamente si tastò il seno che ancora le doleva per il colpo precedente, non era un dolore forte, ma c’era ed era continuo. Forse le sarebbe uscito un livido.
Quando passò alle spalle di Stefano, questo la chiamò, sbalordendo tutti:
«Ehi, Lentini» non c’era inganno nella sua voce, né derisione. Lei alzò la testa per guardarlo in faccia: che voleva adesso? «Mettiti qui» con un cenno della testa indicò la sua destra, era il posto dell’alzatore, uno dei giocatori più importanti di tutta la squadra. Se non quello principale…
«E io?» Fece il compagno di Stefano, anzi, uno dei suoi compari, che diversi giorni prima aveva trattenuto Anita per lo zaino mentre Fabio vi rovesciava all’interno la borraccia con l’acqua.
«Ti sposti indietro» Stefano non lo stava neanche guardando, teneva gli occhi fissi davanti a sé. «Questa partita la voglio vincere e Sfigatella qui sa il fatto suo.»
«Ti stai bruciando il cervello tu e lo studio» continuò l’altro, toccandosi la tempia con un indice, poi accennò al gesto di voler aggradire Anita, la quale d’istinto si coprì la testa con entrambe le mani, poi prese posto al fianco di Stefano, aveva il cuore che andava a mille. Chiuse gli occhi e lo pregò di calmarsi.
«Ehi, non addormentarti! Voglio vincerla!» Le bisbigliò lui, in modo che nessuno potesse sentirli. Dietro di loro Barbara li guardava con mestizia: non aveva mai pensato che tra quei due potesse nascere qualcosa perché ovviamente erano diversi come l’acqua e il fuoco, perché sembravano detestarsi, ma se invece proprio la loro diversità li avrebbe portati a completarsi?
Gli opposti si attraggono, le diceva sempre sua mamma.
Chi disprezza vuol comprare, era invece solito recitare suo padre.
Anita Lentini riaprì gli occhi, Fabio li osservava con attenzione mentre Giulia gli parlava direttamente all’orecchio. Cosa stavano architettando ora?
«Stai messo così male in spagnolo?» Disse poi.
Stefano Parisi la scrutò dall’alto, provando l’istinto irrefrenabile di risponderle a tono e di dire a Fabio di riempirla di pallonate in faccia. Quel suo modo che aveva di rivolgerglisi con sarcasmo lo irritava, forse perché era dannatamente simile a lui quando i suoi genitori gli facevano qualche domanda. Era una forma di protezione, ma lui era troppo giovane e ignorante in materia per comprenderlo. Inoltre, era l’unico a cui parlava più o meno normalmente, rispetto agli altri del suo gruppetto che la ragazza sembrava temere molto.
«Pronti?» La voce del professore Morales mise tutti sull’attenti.
«Facciamo una scommessa» disse Stefano e ad Anita quasi venne un infarto. Alzò gli occhietti vispi e schermati dalle lenti su di lui, le dava almeno quindici centimetri, se non di più.
«Che-che hai detto?» Balbettò incredula. Per un attimo era come se Ⱦhunder avesse avuto voce e non fosse stato solo delle frasi scritte tramite chat.
«Che faccia, sfigatella!» rise Parisi, prima di aggiungere: «Nessuna proposta indecente, tranquilla. Semplicemente: se vinciamo la smettiamo di prenderti in giro.»
«E se perdiamo?»
«Continueremo a prenderti in giro» La canzonò con un sorriso sghembo e Anita scosse il capo, ancora incredula per la coincidenza.
«Ci stai?»
«Ho scelta?»
«Sei troppo divertente, sfigatella
Elia Morales fischiò e fin dall’inizio tutti compresero che la musica era cambiata.
Fabio Morini non riusciva più a raggiungere Anita con le sue pallonate, sia perché il ruolo di lei era cambiato e quindi non si trovava più in campo aperto ma sotto la rete, sia perché lo stesso Stefano aveva cominciato a giocare come sapeva. E, se qualche volta capitava che Fabio riuscisse a indirizzare una schiacciata violenta verso Anita, allora ci pensava Stefano a intercettare il pallone e piazzarlo in modo che la compagna di squadra potesse trasformarlo in una battuta per l’altro schiacciatore. A ogni punto segnato da Stefano Parisi, il quale si era eretto a leader indiscusso e capitano della squadra, rivolgeva ad Anita un cinque che lei non tardava a battere. Seppur, la prima volta, era rimasta interdetta a fissare quel palmo spalancato e Stefano aveva dovuto richiamarla per smuoverla.
 
Giovanna Dell’Arco osservava la partita seduta sui gradoni della palestra, ogni tanto Elia si voltava indietro per sorriderle e lei si sentiva bene. Se la sua sospensione sarebbe servita a far tornare il buon umore in quella classe, a farli unire e a donare sollievo a una ragazzina di 16 anni, allora se ne sarebbe beccata anche altre cento. Elia Morales era stata una vera sorpresa, sia perché aveva avuto la brillante idea di organizzare quella gara di pallavolo, sia perché si era messo in gioco rischiando personalmente il suo posto di lavoro. Semmai fosse successo qualcosa, Giovanna si sarebbe sacrificata pur di salvare la carriera del giovane iberico. Seduta su quelle scale, con in sottofondo le grida dei suoi cari alunni e l’odore tipico del pavimento in PVC delle palestre, osservò meglio Elia, il quale adesso le dava le spalle. Cominciò proprio da quelle: aveva spalle larghe; le braccia non erano muscolose come chi fa palestra abitualmente, ma si vedeva che erano forti e toniche; così come le gambe ben piazzate. I capelli corvini erano un ammasso indefinito di riccioli morbidi. Di tanto in tanto, andava avanti e indietro seguendo la traiettoria della palla, facendo cenni di assenso o diniego con la testa.
L’aveva invitata più volte a prendere un caffè, ma lei aveva sempre rifiutato, convinta che volesse attaccare bottone. Eppure, guardandolo adesso, vedendolo davvero, si diede della stupida: come aveva potuto credere che un bel ragazzo come lui, di soli ventotto anni, potesse provare interesse per una donna di quarantadue anni come lei? Forse, il suo intento era stato solo quello di scambiare quattro chiacchiere con una collega o imparare meglio una lingua che non era la sua, l’italiano appunto, essendo lui di Madrid.
Invece, lo aveva tenuto alla larga, spesso rispondendogli in modi sgarbati che poi erano tipici della sua indole bisbetica. Avevano ragione i suoi colleghi quando le davano della zitella incallita o la definivano frigida. Forse, lo stava diventando sul serio…
Elia sollevò un pollice nella sua direzione per farle sapere che stava andando tutto per il verso giusto e lei lo imitò di rimando, pregando in cuor suo che la scelta avventata di Morales non gli si sarebbe rivoltata contro.
 
Il punto della vittoria della squadra di Anita e Stefano giunse relativamente presto. Non c’era mai stata partita in realtà e quindi nessun colpo di scena.
Il giovane professore richiamò ancora una volta all’attenzione i suoi alunni, mentre Giovanna lo raggiungeva restando pochi metri più indietro, felice come non lo era da tempo. Emozionata, anzi.
«Oggi avete capito cosa significa fare gioco di squadra, remare tutti dalla stessa parte, essere uniti. Se un compagno è in difficoltà va aiutato.»
«”Non si lascia indietro un commilitone ferito”» recitò Fabio con voce grossa, prendendo spunto da un vecchio film di guerra che aveva visto di recente. Elia Morales lo indicò soddisfatto:
«Esatto! Questo è lo spirito che da oggi in poi vogliamo vedere in questa classe, ok?»
«Occhei!» Risposero in coro gli altri, mentre Anita chinava il capo, comprendendo solo allora il motivo di quella partita: l’avevano fatto per lei. Ma, appena il professore disse di tornare in classe, si formarono i soliti gruppetti e lei rimase comunque da sola.
Giovanna Dell’Arco stava cercando delle cose nella sua grande borsa di cuoio, quando Barbara Scala le si avvicinò, chiedendole di poterle parlare un momento.
«Dimmi cara» fece l’insegnante.
«Volevo scusarmi con voi» cominciò la ragazza. «È colpa mia se siete stata espulsa, io non pensavo che…»
«Fai tesoro di questa lezione» Giovanna la interruppe quando si rese conto che l’alunna era in evidente imbarazzo. Non c’era bisogno che si umiliasse tanto. «Io so perfettamente come sono andate le cose. So che non l’hai fatto con cattiveria e neanche i tuoi compagni di classe» guardò per un momento Stefano ridere e scherzare con Fabio. «Ma Anita è più sensibile, ed è sola. Un’amica le farebbe comodo» Così dicendo chiuse il discorso e si allontanò, chiamando poi a sé Stefano Parisi e Anita Lentini. Questi ultimi, che stavano tornando in classe con tutti gli altri, si fermarono e attesero che la professoressa li raggiungesse, quindi allungò a entrambi una classica busta da lettera, con il proprio nome riportato alla voce “destinatario”:
«Vi ricordate quel concorso nazionale di racconti al quale vi chiesi di partecipare?» Cominciò Giovanna. «Ebbene, le vostre opere sono state selezionate fra le prime dieci. Complimenti!»
I due alunni la guardarono sbalorditi: incredibile!
«Questi sono gli inviti ufficiali della serata di premiazione che si terrà agli inizi di settembre a Sorrento, in provincia di Napoli» Giovanna Dell’Arco ampliò il sorriso e gonfiò il petto. «Io sarò la vostra accompagnatrice ufficiale, ma poiché siete in due penso che chiederò a un collega di venire con noi. Domande?»
Anita cominciò a leggere la lettera che era indirizzata a lei, definendola “gentile signorina Lentini”. Wow! Un suo racconto era stato selezionato a livello nazionale fra quanti? Mille? Diecimila? Era incredibile, comunque.
Ah, se solo avesse potuto dirlo a Ⱦhunder!
«Non ho capito bene se abbiamo vinto» fece Stefano.
«Non ancora, nel senso che le vostre opere sono arrivate fra le prime dieci. Poi, a Sorrento, verranno decretati i vincitori, che credo saranno tre. Ma è già un enorme risultato, eh?! Inoltre, è la prima volta che due partecipanti provengono dalla stessa classe. Sono così orgogliosa di voi!» La professoressa strinse ad entrambi una spalla con le dita, poi disse che dovevano andare in aula.
Ovviamente, lei non poteva passare per l’entrata principale della scuola, perciò sarebbe uscita da quella di servizio della palestra. Ma, prima di andare via, raggiunse Elia Morales per chiedergli se per caso avesse finito.
«Sì, questa era l’ultima ora di lezione per oggi» confermò il giovane.
«Prendiamo un caffè insieme?» Giovanna gli sorrise con sincerità.
«Sì, sì certo.»
«Ti aspetto ai cancelli allora» continuò la professoressa, prima di aggiungere: «Ah, Elia, sei impegnato i primi di settembre?»
L’insegnante di spagnolo corrugò la fronte, non capiva il senso di quella domanda e Giovanna ridacchiò divertita, aggiungendo che gli avrebbe spiegato tutto dopo.
 
Finalmente in classe, mancava solo un’ora alla fine della giornata scolastica. Anita Lentini stava rileggendo l’invito ricevuto per la terza volta. Non riusciva ancora a crederci. Osservò di sottecchi Stefano, impegnato come al solito a giocherellare con i suoi amici, non curante del prestigioso invito.
Fabio Morini circondò il collo dell’amico, parlandogli a una spanna dalla guancia e obbligandolo quasi a guardare Anita, quest’ultima con il naso piantano nella lettera.
«Ma che c’è scritto su quella cosa che avete ricevuto?» Chiese.
«Ma niente, è un invito per una specie di serata letteraria.»
«E ci andrete insieme tu e la sfigatella… eh?! Eh?!» Fabio lo scuoteva mentre parlava, entrambi sorridevano.
«Smettila, idiota!» Aggiunse poi Stefano, scrollandoselo di dosso.
«Le facciamo qualche scherzetto quando usciamo da scuola, che dici?» Morini indicò Anita con un cenno del capo e Stefano si voltò appena a guardarla, incrociando l’occhiata furtiva di lei che subito distolse lo sguardo.
«Non oggi» rispose.
«Come? E dai!»
«Oggi no, ho detto.»
«E perché?» Si lagnò Fabio.
«Perché una scommessa è una scommessa».   



 
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