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Autore: Dani85    17/09/2023    2 recensioni
Dal prologo:
«Ancora nessuna notizia di Luca?»
Barbara scuote la testa perché no, non ha nessuna notizia di Luca. Niente, zero, non una telefonata né un messaggio. Alla faccia del "mi tengo in contatto io" con cui l'aveva salutata quel pomeriggio. E non è servito a nulla nemmeno tempestarlo di telefonate, visto che sono andate tutte a vuoto, squillo dopo squillo perso nei meandri di una segreteria telefonica. Barbara non sa spiegarsi il perché, ma quel silenzio la inquieta, è come un formicolare dietro il collo, il presentimento fisico di qualcosa che sta per andare molto molto male.
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What If? a partire da DdP11x02. Luca non muore ma, per tantissimo tempo, non vive nemmeno.
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Storia completa, capitoli postati il sabato e il mercoledì.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Gori, Elena Argenti, Luca Benvenuto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NdA: Siamo più o meno a metà della storia ed è arrivato il momento delle domande e delle risposte. La storia è completamente scritta, i capitoli saranno pubblicati il sabato e il mercoledì. Buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me


Cap. 4 - I can tell you the truth

And you could say it's not true
You can tell me I'm lyin'

And I can tell you the truth
Well the truth ain't kind
[Everything is Fine - Noah Reid]

 

Luca guarda l'orologio sulla parete contare i minuti che sembrano non passare mai e, intanto, tamburella sul bordo del tavolino con un foglietto piegato in due. Stamattina, subito dopo colazione - e prima della quotidiana sessione di tortura con Marcello - Luca ha strappato una pagina dalla Settimana Enigmistica che giaceva sul suo comodino e ci ha scarabocchiato sopra tre nomi con altrettanti punti interrogativi. Non è che gli serva un promemoria, le domande gli sono sin troppo chiare, da settimane ormai ospiti fissi nella sua mente, è solo che lo fa sentire un po' più se stesso quello appuntarsi le cose, mettere nero su bianco le idee come quando era un poliziotto e preparava le domande di un interrogatorio o stilava i punti di un'indagine. Non è la stessa cosa, adesso, ne è consapevole: è solo una piccola innocua illusione di cui rivestire le sue ansie. Hai voglia a dire e ridire che in fondo sono solo domande e che lui ne ha fatte già a migliaia nella sua vita, la sua ansia se ne frega bellamente. Le risposte che spera di ottenere sono ancora un grumo di apprensione che non lo fa respirare. Una meraviglia, insomma. Il fatto che questa constatazione, poi, risuoni nella sua mente con il tono di voce e il sarcasmo di Elena è una cosa su cui Luca dovrebbe interrogarsi. Gli manca giusto sentire le voci, come se non avesse già abbastanza problemi così come sta. E magari non è un'allucinazione post coma ma solo assuefazione ai troppi vocali audio che lei gli manda. In ogni caso, che casino!

Luca è in questo meraviglioso e pacifico stato d'animo quando Vittoria entra nella sua camera senza il suo solito caloroso sorriso, al suo posto una smorfia che di sorriso ha ben poco. Un po' se lo aspettava.

«Buongiorno, Luca.» Vittoria è sempre calma, tranquilla, ma oggi il suo tono sembra quasi guardingo, come se si trovasse davanti un animale selvatico da non spaventare. A lui non sembra un inizio promettente ma, per ora, decide che non è importante.

«Ciao, Vittoria» e, nonostante tutto, il suo sorriso è quello di sempre, sincero e malinconico.

«Allora, come va?»

Luca sa qual è il rituale di questi incontri, conosce a memoria le domande di routine, le frasi di circostanza e le piccole inutili chiacchiere spese a riempire il suo silenzio. Ogni tanto, tutto quello gli dà fastidio ma mai con Vittoria. No, con lei è come entrare in una dimensione alternativa in cui tutte le sue ansie si ritraggono sottopelle e in superficie resta solo la calma degli occhi allegri di Vittoria e i suoi gesti pacati e tutto il bene che gli vuole.

«Va bene» le dice, e anche quello fa parte della routine. Certe volte è un po' una frase fatta, altre è una specie di verità.

«Mmm, che va bene fisicamente lo vedo» precisa lei, le mani che gli si infilano tra i capelli corti e poi gli stringono il viso in una carezza. «Ma qui dentro come va?» chiede ancora e gli picchietta un dito contro la tempia.

Luca ride, colto di sorpresa dal gesto. «C'è una gran confusione,» ammette e Vittoria lo guarda comprensiva, come se non si aspettasse nulla di diverso.

«È il momento delle domande, eh? Oggi non scappa mi sa»

«Te lo ha detto Barbara?»

«Certo che me lo ha detto Barbara, Lu'! Ha pensato che servisse anche a me un po' di tempo per prepararmi a questa conversazione.»

Luca la studia con attenzione cercando un segnale qualsiasi per farsi un'idea di quanto sarà doloroso parlare. «E ti è servito davvero questo tempo?»

«Ovvio che sì! Sono passati più di dieci anni Luca e, che noi lo ammettiamo o no, sono successe tantissime cose. È normale che tu voglia sapere ma è anche normale che per noi sia difficile parlare.»

«Perché?» si intromette Luca, breve e diretto.

«Perché la verità è difficile da dire e da accettare» Vittoria è altrettanto diretta e Luca accetta la cosa con gratitudine. Finalmente un po' di chiarezza.

Vittoria appoggia la borsa sul letto, trascina una sedia accanto a quella di Luca e si ritrovano così ai due lati opposti del tavolino.

«Avanti, chiedi pure.»

Luca aspetta questo momento da settimane, eppure è strano adesso avere il via libera. Ci mette qualche secondo a trovare il punto da cui partire. Apre il bigliettino di carta giusto per avere qualcosa da fare e scorre con gli occhi i tre nomi, poi lo richiude con una piega in più facendolo diventare un quadratino di carta stretto nel pugno. Annuisce piano a sé stesso, da qualche parte deve pur cominciare, tanto vale farlo da quello che gli sembra il minore dei mali.

«Mia madre.»

«Tua madre…» Vittoria gli fa eco con un'espressione di stupore che a Luca sembra fuori posto. Cioè, a lui sembra inevitabile chiederne vista la sua situazione. Non è stupido, sa benissimo che quando una persona non è capace di decidere per sé, c'è bisogno di qualcuno che lo faccia al suo posto. Per esempio il marito, o la moglie, o i genitori. Luca non ha né marito né moglie quindi è chiaro che la responsabilità deve essere ricaduta su sua madre, l'unico genitore che gli resta. È solo che c'è una parte di lui - quella che lei non ha accettato quando lui era solo un ragazzino - che non si spiega come l'abbiano convinta. Quindi via il dente, via il dolore, no?

«È lei che paga per tutto questo?» e tutto questo sottintende la clinica e i dieci anni passati ad aspettare che lui si decidesse a vivere o a morire una volta per tutte.

«Perché vuoi parlare di soldi, Luca?»

Luca si stringe nelle spalle. Non sa bene come chiedere tutto il resto, ovvero se a sua madre importa di lui oppure no. Quindi perché non buttarla sui soldi? È impersonale quanto basta perché lui riesca a parlarne. Vittoria sospira e ha la sensazione che lo farà ancora un sacco di volte prima che questa giornata sia finita.

«Luca, sei stato ferito sul lavoro. Lo so che non ti sei dimenticato come funzionano le cose nel nostro campo. Lo sai che c'è l'equo indennizzo e la pensione privilegiata e altre mille cose quando viene riconosciuta la causa di servizio. Ecco come tutto questo, come lo definisci tu, vieni pagato. Non devi niente a nessuno, tanto meno a tua madre.» Vittoria si ferma per riprendere fiato. «Chiedi cosa vuoi sapere davvero.»

«Mi ha messo lei qui dentro?»

«Si, è lei che ha deciso di portarti qui. C'era bisogno di un familiare che decidesse per te e lei è tua madre.»

«È mai venuta a trovarmi?» Luca sa già la risposta, ha solo bisogno di sentirselo dire da qualcun altro. Forse è un po' masochista o magari è solo la ricerca di qualcosa che sia rimasto uguale. Anche se fa schifo.

«Senti Lu', tu vuoi la verità e io ti dirò la verità, ma non mi piace per niente, voglio che questo sia chiaro. Quest'intera discussione non mi piace, l'idea di vederti stare male non mi piace, ci siamo capiti?»

Vittoria mette le mani avanti e Luca annuisce, pronto alla prima batosta della giornata.

«È venuta in ospedale una volta, quando bisognava prendere decisioni su di te e i nostri distintivi non bastavano più. Nessuno di noi sapeva cosa fare con lei, è stato strano ed imbarazzante, perché noi eravamo disperati e lei si chiedeva se tu fossi ancora "malato" come quando sei andato via da casa.»

Luca sbuffa una mezza risata tra i denti, tipico di sua madre mai brillare per tatto e delicatezza. Gli occhi di Vittoria sono inquieti ma lui le fa un cenno con la mano e la incita a proseguire. Non è nulla di nuovo per lui.

«Non è stato facile avere a che fare con lei e abbiamo odiato l'idea che fosse lei a decidere per te.» Non ha intenzione di raccontargli di com'è andato davvero quell'incontro con la madre, tutto quello che lei ha detto e come lo ha detto, piena di disgustosa omofobia e crudele distacco. Non ha intenzione di dirgli come Ingargiola sia stato a tanto così dal cacciarla via a calci e che non l'ha fatto solo perché temevano che fosse lei a cacciare loro. No, tutto questo non glielo racconterà. Anche perché sospetta che lui in fondo lo sappia già. Il sorriso di Luca è il più amaro del mondo. «Alla fine l'abbiamo convinta a delegare la responsabilità a me e a Giuseppe. Siamo stati noi a prenderci cura di te, Luca. Noi e basta.» Luca sente le lacrime premere ai lati degli occhi, il cuore riempirsi d'affetto. Va bene così. Il primo nome sul bigliettino è andato.

«Seconda domanda.»

«Vai!» Vittoria si sistema meglio sulla sedia, pronta al secondo round.

«Anna.»

«Anna?»

«Anna, sì!» Sembrano due pappagalli mentre si palleggiano quel nome e cosa vogliono ricavarne non lo sa nessuno dei due. Forse Vittoria vuole guadagnare tempo ma Luca non ha chissà che aspettative su quella questione. Vuole solo togliersi un dubbio, piccolo ma insistente.

«Sa quello che è successo? Ha mai chiesto qualcosa di me a qualcuno?» Luca lo chiede masticando le parole, la frase quasi si accartoccia su se stessa, un po' come se l'avesse fatta contro la sua volontà.

«Sì che lo sa, Luca e sì, ha chiesto di te. Ovvio!»

Ovvio? Luca sgrana gli occhi ed inarca un sopracciglio, più stupito di così non si potrebbe. Ovvio è l'ultima parola che avrebbe mai usato per descrivere il suo rapporto con Anna, o almeno quello che restava del loro rapporto morto più di dieci anni fa tra una segreteria telefonica e una lettera.

«Ma ovvio de che, Vitto'?» Luca è talmente stupito da suonare divertito.

«Ovvio, sì, Luca! È Anna! Come puoi pensare che non si preoccupi per te?»

«Ho la mente un po' incasinata, eh, lo ammetto, ma la mia vita di prima me la ricordo Vittoria. Mi ricordo com'è finita con Anna. Non c'era più niente alla fine. Non so nemmeno perché te lo sto chiedendo, forse solo per farmi del male o per capire se c'è ancora qualcosa uguale a dieci anni fa. Non lo so, magari sono solo masochista e visto che la mia prima domanda è stata su mia madre, potrebbe essere.»

È il discorso più lungo ed articolato che Vittoria gli abbia sentito fare da quando si è risvegliato ad oggi. Non la stupisce che il soggetto sia Anna e, d'altronde, anche lei si ricorda qual era il loro rapporto. Non ha mai saputo tutti i dettagli della fine, solo che da qualche parte si erano interrotti in modo brusco e doloroso. Ricordava chiaramente come ad un certo punto Luca fosse diventato ruvido e scostante e, poi, solo molto, molto triste. Ma da qui a pensare che, in questi anni, lei si se ne sia fregata ce ne passa.

«Quando ti hanno sparato sono stata io stessa a chiamarla. Non mi sono fatta domande, Luca, se vi parlavate ancora, se non lo facevate più… Non lo sapevo e non mi interessava. Sapevo solo che dovevo avvertirla perché lei aveva il diritto di sapere e, per mettere le cose in chiaro, ero convinta che chiunque ti volesse bene avesse il diritto di sapere. Così, esattamente come Barbara aveva avvertito noi ex Decimo Tuscolano ancora qui a Roma, io ho chiamato Elena, ho chiamato Raffaele e ho chiamato Anna.»

Luca ascolta in silenzio immaginando quei primi attimi di frenetica attesa. Lui ricordava giusto il rumore lontano degli spari e l'impatto dei colpi contro il suo corpo, poi più niente, ma non è difficile immaginare come deve essere stato per i suoi amici. C'era passato anche lui e ricordava il disagio di un corridoio d'ospedale quando l'unica cosa che puoi fare è condividere la paura dell'ignoto. «E poi?» chiede, giusto per far andare il discorso da qualche parte, mica perché è curioso.

«E poi abbiamo pianto, Luca! È arrivata due giorni dopo. Stava a pezzi… Si è fermata quanto ha potuto, poi è tornata a Trieste ma ha continuato a tenersi informata su di te fino ad oggi.»

Luca proprio non ce la fa a non apparire dubbioso. Perché come si fa a riconciliare questa verità con quella che ha vissuto lui? Con quelle telefonate a vuoto e una lettera che era stata una porta in faccia e una felicità di cui lui non poteva più fare parte in nessun modo? Non ha senso.

«Fino ad oggi, sì! Nessuno di noi ha fatto un passo indietro in questi anni, Luca. Nemmeno lei.»

«E allora dov'è lei, adesso? In questi mesi ho sentito tutti o quasi e lei non c'è mai stata, quindi c'è qualcosa che non torna nella tua storia.»

«All'inizio è stato perché i medici avevano detto di non assillarti. Eravamo troppi ed eravamo sconclusionati ed ingestibili. Non ti faceva bene averci tutti intorno, te lo ricordi? Cioè, giustamente, tu andavi in panico perché era tutto un gran casino e noi andavamo in panico perché ti facevano star peggio, quindi siamo diventati tutti molto bravi a seguire quello che dicevano i medici. Dopo, a mente fredda, non lo so, forse lei non ha trovato più il coraggio di venire a trovarti o di chiamarti o di contattarti in qualche modo. Anche perché, se te lo ricordi tu come avete chiuso dieci anni fa, se lo ricorda anche lei. Forse è solo in imbarazzo e non sa da che parte cominciare.»

Luca non sa cosa pensare, figuriamoci cosa dire. Non si aspettava una risposta del genere quando ha chiesto di Anna. Voleva solo togliersi un dubbio e confermare un altro piccolo pezzetto della sua vita e, invece, una delle poche certezze con cui si è risvegliato, ovvero la sua assenza, si è appena disfatta in modo rovinoso.

Vittoria lo osserva come se stesse valutando se è il caso di continuare a parlare, come se ci fosse qualcos'altro da dirgli ma non ne fosse proprio sicura. Deve però leggere qualcosa nei suoi occhi e nella confusione del suo viso perché alla fine si decide. Si allunga verso il letto, afferra la borsa e comincia a frugarci dentro finché non ne tira fuori un un mucchietto di buste. Lettere tenute insieme da un nastrino colorato.

«Sono di Anna. Ti ha scritto una lettera ogni anno, a volte era per il tuo compleanno, a volte per Natale. Credo fosse un modo per mantenere un contatto diretto con te.»

Luca ride ma un po' vorrebbe piangere, la frustrazione è un nodo alla gola. Perché che razza di circo è la sua vita? Lettere, ancora lettere. Ci deve essere un'ironia da qualche parte o il divertimento perverso dell'universo, non lo sa, fatto sta che Luca ricorda perfettamente l'ultima lettera di Anna e non muore dalla voglia di replicare l'esperienza.

«Secondo me, dovresti leggerle. Poi, decidi cosa vuoi fare: se vuoi lasciare le cose così come stanno, aspettare che lei trovi il coraggio di fare il primo passo o magari farlo tu, il primo passo. Non lo so.» Vittoria si stringe nelle spalle. Gli ha detto la verità è gli ha anche detto come la pensa, ora devono vedersela loro. Lei non può fare nulla, anche se vorrebbe tanto chiuderli dentro una stanza e obbligarli a parlare. Peccato però che sia qualificabile come sequestro di persona e, veramente, meglio evitare.

Le lettere sono appoggiate sul tavolino e Vittoria le spinge con un dito verso Luca e le sue mani incrociate. Lui le guarda. Non le prende ma nemmeno le allontana. Vittoria lo conta come un successo e Luca fa lo stesso. In fin dei conti, anche il secondo nome del bigliettino può essere depennato.

Vittoria aspetta paziente l'arrivo di un'altra domanda. Se ha fatto bene i suoi conti manca la peggiore di tutte. Un po' vorrebbe finirla qua ed evitare così di dover affrontare quel discorso, ma Luca è deciso ad andare fino in fondo. Si schiarisce la gola, spiega il foglietto davanti a sé - le pieghe che si disfano una dopo l'altra - e accarezza l'ultimo nome scritto.

«Lo sai di chi voglio chiederti.»

«Lo so! Antonio?»

«Antonio» conferma Luca e la sua voce è un pigolio dismesso, come se una parte di lui sapesse già cosa lo aspetta e ne fosse terrorizzato.

«Luca, se in questi mesi non non hai mai visto né sentito Antonio c'è un unico motivo possibile, lo sai, vero?»

«Antonio è morto.» Non è una domanda ma un'affermazione, una verità che Luca si scolla a fatica del palato con parole che bruciano come acido sulla sue labbra.

«Sì, Antonio è morto due anni fa.»

A Luca manca la terra sotto i piedi e, se non fosse seduto, sarebbe crollato a terra lungo disteso. Perché una cosa è immaginare il peggio, un'altra è vederselo confermare. Vittoria si allunga sul tavolino e gli afferra le mani tra le sue e lo ancora ad una realtà che improvvisamente fa più schifo del solito.

«Va tutto bene,» gli dice stringendo la presa, «respira.»

È come all'inizio, con lo stesso senso di panico che gli monta nel petto ma, stavolta, le parole di Vittoria non servono a nulla. Stavolta non ha idea di come le cose possano andare bene. Antonio è morto, come si risolve questa cosa? Come ci si rassegna a questa assenza? Come può giustificarla quando il suo ultimo ricordo è una telefonata in cui gli dice del suo trasferimento a Torino e gli chiede che ne pensa cercando rassicurazioni ed incoraggiamenti? Come fa a dare un senso ad una mancanza che sarà per sempre, quando per lui il tempo non è avanzato che di sei mesi? Come può accettare che Antonio non ci sia più quando deve ancora accettare tutto il resto? E come fa a rimettersi in piedi in un mondo che è andato avanti senza di lui e che si è preso il suo tempo e una delle pochissime persone che gli aveva donato? Semplicemente, come fa?

Panico e confusione battagliano nella mente di Luca: domande, dubbi ed incertezze che si affastellano e che diventano lacrime agli angoli degli occhi. Lui non fa niente per bloccarle e piovono lente e disperate a bagnare il foglietto di carta, il nome di Antonio e le sue mani in quelle di Vittoria. È una disperazione così profonda che si pente di aver chiesto. Si pente di aver voluto sapere. A volte, l'ignoranza è più misericordiosa. Invece no, lui si è intestardito e ha voluto la verità a tutti i costi. Bell'affare.

«Non è giusto» riesce a dire, un sibilo sofferente attraverso i denti stretti, «non è giusto.»

«No, Lu', non è giusto. Questi ultimi dieci anni non sono stati giusti… perché come può esserlo un ragazzo di trent'anni che rischia di morire solo perché sta facendo il suo lavoro? Non lo è e non è giusto che tu ci abbia rimesso dieci anni della tua vita e che niente sia più davvero come te lo ricordi. Mi spezza il cuore vederti soffrire, Lu' e, credimi, se potessi fare qualcosa per cambiare questa realtà lo farei. Ma non posso cambiare il fatto che Antonio è morto e non posso riportartelo indietro. Però, posso raccontarti di tutto il tempo che ha passato con te. Posso raccontarti delle ore che ha passato qui seduto accanto al tuo letto a ricordare i giorni felici del Decimo e i tuoi primi tempi da poliziotto e tutto quello che abbiamo passato insieme. Posso raccontarti il modo in cui ti salutava ogni volta che se ne andava, di come ti ripetesse sempre - sempre - che ti voleva bene e che credeva in te. Posso raccontarti questo, sì, posso dirti che lui ha creduto in te dal primo all'ultimo giorno e che è sempre stato sicuro che ti saresti svegliato. Ne era assolutamente certo e aveva ragione. Ti sei svegliato, no? Ora devi ricominciare a vivere e devi riprenderti la tua vita. Lo devi fare anche per lui. Devi fare pace con tutto quello che hai perso.»

Le parole di Vittoria sono un lungo e accorato flusso di pensiero, sensazioni e ricordi ed emozioni. C'è dentro di tutto ma, adesso, Luca è troppo addolorato per dare un senso alle cose. Riesce solo a pensare, ancora e ancora, che Antonio non c'è più, che un'altra persona se n'è andata dalla sua vita senza che lui potesse fare nulla per impedirlo. All'improvviso il mondo fa così schifo, e lui è così stanco, che il pensiero di farla finita è pericolosamente confortante. Le mani di Vittoria che lo tengono fermamente nel qui ed ora sono allo stesso tempo un'ancora di salvezza e la più terribile delle torture.
 

  
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