Film > Salvate il soldato Ryan
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Autore: Abby_da_Edoras    21/09/2023    3 recensioni
È buffo scrivere in un fandom in cui praticamente nessuno ha mai scritto o letto, ma io questa storia me la porto dietro da più di vent'anni, da quando vidi il film la prima volta, e anche a distanza di tanto tempo, per quanto assurda e impossibile sia, ci credo e ci sogno, tanto che adesso posso finalmente anche metterla in ordine e pubblicarla (e finire alla neurodeliri definitivamente!). Dunque, io sono quella che nelle ff salva tutti i personaggi e si inventa le ships più improbabili, no? Ed ero così anche vent'anni e più fa, per cui ecco a voi la mia follia: il soldato tedesco che Miller decide di liberare (e che qui ha un nome e una storia) non è un ingrato, bensì lo ritroveremo a Ramelle e arriverà in tempo per salvare Mellish! Quindi Miller e i suoi decideranno di prenderlo sotto la loro protezione e... e lui pian piano inizierà a provare qualcosa proprio per Mellish, il soldatino che ha salvato.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori del film Salvate il soldato Ryan.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 19: A thousand letters

 

A last embrace, last words to say
Before the war took their fate away
Before to kill became his forced task
And bleeding fields were covered with sins
His wounded heart is crying out for home

Away away my love to where all darkness will be gone
Away away to our land
Away away my love to where all darkness will be gone
Away away to our land
Where you will be forever in my arms again

Tell the wind I'll survive just to feel you again
I will fight 'till the end to lay my promised love
Forever in your hands!

(“A thousand letters” – Xandria)

 

La Compagnia Charlie, che adesso contava anche James Ryan, si preparava dunque alla partenza, ma non a quella che era stata decisa per loro dai superiori, non si sarebbero imbarcati per tornare a casa: il Capitano Miller, infatti, aveva parlato con i Generali e ottenuto da loro il permesso di tornare al fronte, in Germania, non più tanto per combattere, quanto per l’assistenza logistica ai soldati che stavano per vincere la guerra. A dirla tutta, i Generali non erano stati così entusiasti della richiesta del Capitano, visto che, dopo tutto quello che era stato fatto per cercare il soldato Ryan e riportarlo a casa, mandarlo al fronte pareva assurdo, anche se non andava per combattere un incidente poteva sempre capitare e allora… ti saluto alla bella figura di fronte alla povera madre che aveva già perso altri tre figli! Tuttavia Miller fece notare che Ryan, con la sua decisione di onorare il sacrificio dei fratelli restando accanto ai compagni fino alla vittoria, avrebbe dato molto più lustro all’esercito americano, perciò alla fine i Generali avevano concesso la loro benedizione alla nuova missione di Ryan e della Compagnia Charlie.

I soldati facevano quindi i bagagli, ma la destinazione era ben diversa da quella alla quale avevano pensato negli ultimi mesi; del resto, tuttavia, la decisione di tornare al fronte era stata la loro e Miller, nonostante la preoccupazione, era anche fiero del coraggio e dell’altruismo mostrato dai suoi soldati. Ancora una volta, com’era stato a Ramelle, si rendeva conto che erano proprio questi atti spontanei e generosi a rimediare all’odio, alla distruzione e all’orrore che la guerra portava con sé. Il Generale Montgomery aveva fissato la loro partenza per l’America per il 15 marzo, ma la Compagnia Charlie sarebbe partita invece il 10 per Treviri, dove si trovavano gli accampamenti Alleati pronti ad attraversare il Reno e a invadere la Germania.

C’era stato, però, un cambiamento rispetto a quello che Reiben e gli altri ragazzi avevano chiesto al Capitano…

Mellish, sulle prime, era stato uno dei più entusiasti all’idea di raggiungere le truppe Alleate a Treviri e dare loro sostegno e appoggio, soprattutto perché, dopo aver visto i filmati sui lager nazisti, non riusciva più a togliersi dalla testa le mostruosità compiute in quei luoghi ai danni di tanti innocenti e, soprattutto, degli Ebrei che Hitler voleva eliminare totalmente dalla faccia della Terra. Si era accordato con i compagni, avevano parlato al Capitano della loro idea e tutto quanto e… e solo dopo si era ricordato dell’impegno preso con Saltzmann e del fatto che lui non avrebbe potuto né restare da solo a Versailles, nel Quartier Generale dello SCHAEF, né andare in Germania con loro, con il rischio di essere riconosciuto come traditore e ucciso dai suoi compatrioti. Certo, è chiaro che al tempo non c’era Internet, non c’erano Facebook e Instagram e non è che le foto di Saltzmann circolassero tra le truppe tedesche con la scritta traditore, insomma, non era così matematico che potesse essere riconosciuto dai commilitoni che aveva rinnegato. Tuttavia il rischio esisteva comunque, anche solo perché qualche soldato tedesco avrebbe potuto vederlo, sentirlo parlare e fare due più due. Non era assolutamente il caso di mettere in pericolo l’uomo che aveva salvato Mellish e Upham e a cui era stato promesso asilo politico in USA.

Dal canto suo, tuttavia, Saltzmann aveva rifiutato decisamente di restare a Versailles senza il suo Stan e si era dichiarato prontissimo a rischiare, partendo con lui per la Germania. Non era stata presa una decisione vera e propria e, nei giorni successivi, del problema non si era più parlato, forse pensando che si sarebbe risolto da solo in qualche modo. E, in effetti, accadde proprio così.

Il 9 marzo, la sera della vigilia della partenza per Treviri, i soldati della Compagnia Charlie, Horvath e Miller, erano nelle loro stanze per preparare l’occorrente. Upham, delicato e sensibile come al solito, aveva deciso di preparare le sue cose nella stanza di Wade per lasciare soli Mellish e Saltzmann e dare loro un’ultima occasione di parlare chiaramente e di risolvere la faccenda nel modo migliore.

Josef, in realtà, non aveva fatto una piega. Aveva detto fin dal principio che non si sarebbe separato dal ragazzo che amava per nessuna ragione al mondo, pertanto in quel momento preparava i suoi bagagli esattamente come stavano facendo gli altri. Era come se avesse messo da parte tutti i suoi sogni e progetti di ricostruirsi una vita in America con Mellish: quello che contava per lui, in quel momento, era stare accanto al giovane americano, e i sogni e i progetti avrebbero aspettato che finisse la guerra.

Anche Mellish era nella stanza e avrebbe dovuto sistemare le sue cose per la partenza, ma in realtà non aveva fatto quasi niente e aveva trascorso la maggior parte del tempo a fissare Saltzmann con sguardo triste. Sentiva tante emozioni che si scontravano nel suo cuore e non riusciva a capire quale fosse la scelta giusta e nemmeno che cosa volesse fare lui. Non lo sapeva più. Da un lato voleva andare a Treviri, voleva dare il suo contributo per vincere la guerra contro quei maledetti nazisti che avevano sterminato in quel modo atroce la sua gente, voleva stare accanto ai suoi compagni che, ormai, considerava come la sua vera famiglia e non avrebbe mai sopportato di perdere ancora uno di loro, come era successo all’inizio con Caparzo. Eppure… dall’altro lato non voleva mettere a rischio la vita di Saltzmann, anche lui era diventato un suo punto di riferimento, una parte essenziale della sua vita, anche se in modo del tutto diverso rispetto ai suoi commilitoni. Come avrebbe mai potuto perdonarsi se fosse successo qualcosa a Josef, una volta in Germania? Come avrebbe mai potuto vivere senza di lui, a dirla tutta, anche se non se ne rendeva conto fino in fondo?

E, alla fine, si fece coraggio e prese una decisione definitiva. Andò verso Saltzmann, impegnato a sistemare magliette e biancheria nella sacca che avrebbe usato per partire, si schiarì la voce e gli parlò.

“Josef, senti… puoi anche smetterla di fare i bagagli” disse.

Il tedesco, sorpreso, si fermò e si voltò a guardare il ragazzo.

“Perché tu dire questo, Stan?”

“Perché… perché noi non andiamo a Treviri con la Compagnia Charlie” buttò fuori tutto d’un fiato. “Ci ho pensato e io non posso, non posso lasciarti qui da solo, e comunque tu non ci vuoi restare, e allo stesso tempo non posso neanche farti venire in Germania mettendo a repentaglio la tua vita. Non posso, ecco. Noi non partiamo.”

Per Saltzmann non era sempre facile capire quello che Mellish voleva dire, in parte perché il giovane americano era spesso confuso, contradditorio e incasinato e in parte anche per via delle difficoltà linguistiche che non gli permettevano di comprendere le sfumature… ma in quel caso, anche guardando il volto imbarazzato e intimidito del ragazzo, iniziò a provare una gioia incontenibile per quello che aveva detto e anche per quello che non aveva detto ma che traspariva dal suo evidente disagio. Mellish non voleva più andare a Treviri con i suoi compagni perché non voleva lasciarlo solo né metterlo in pericolo… quindi Mellish lo amava!

L’uomo prese le mani del giovane, poi gli accarezzò il viso e volle guardarlo dritto negli occhi.

“Tu vuoi dire che ami me, Stan, che ami me come io amo te e che tu non volere noi separati?” esclamò, pieno di entusiasmo e felicità.

Mellish cercò di sfuggire a tutto quell’entusiasmo, ma ormai aveva scoperchiato il vaso di Pandora e non era facile tornare indietro.

“Io… sì, è vero che non voglio che ci separiamo e non voglio neanche che ti succeda qualcosa, quindi non posso lasciarti qui e non posso portarti in Germania. Resterò qui con te, troverò il modo di rendermi utile lo stesso, ci sono tante cose che posso fare anche qui, quello che so è che non posso rischiare di perderti. Io… io… non ce la farei senza di te, non posso rinunciare a te e non posso starti lontano, non so perché ma è così!”

Josef era al colmo della gioia.

“Perché tu ami me, Stan, e io così felice! Io faccio tutto quello che tu volere, mio Stan, io aiuto te qui se tu chiedere a me, io amo tanto te e anche io non voglio separare mai me da te!” riprese il tedesco, stringendo Mellish tra le braccia e cercando di baciarlo, ma il giovane aveva ancora qualcosa da dire.

“Senti… aspetta, io volevo spiegarti… ecco, per me è difficile lasciar partire i miei compagni e non andare con loro, ho perso il mio amico Caparzo e ho tanta paura che possa succedere qualcosa di brutto anche a loro, però… però ho delle responsabilità anche verso di te e ti sono legato e non voglio che succeda niente neanche a te” cercò confusamente di chiarire, ottenendo l’effetto opposto. “La Compagnia Charlie non andrà a Treviri per combattere, ma per aiutare le truppe, curare i soldati feriti, occuparsi degli approvvigionamenti di cibo e armi, però qualcosa di brutto potrebbe sempre accadere, in fondo saranno vicini al fronte. E io sono in pena per loro, ma non posso portarti là, perché non sopporterei mai che ti succedesse qualcosa. Quello che fanno loro, io potrò farlo comunque da qui: mi occuperò dei soldati feriti che vengono rimandati dal fronte, aiuterò a organizzare le partenze delle camionette con i rifornimenti e tutto quello di cui ci sarà bisogno. Mi renderò utile e, allo stesso tempo, non metterò a rischio la tua vita.”

“Io posso aiutare te e tuoi compagni, posso aiutare quelli che tradurre messaggi in tedesco, come Upham, visto che lui parte. Io rendo utile per truppe americane insieme a te, Stan” si offrì Saltzmann. Era così emozionato e contento per ciò che il giovane gli aveva detto che, se avesse potuto, sarebbe andato direttamente a sparare in testa a Hitler! Sì, era decisamente meglio che non mettesse più piede in Germania, per i tedeschi in quel momento avrebbe vinto l’oro, l’argento e il bronzo alle Olimpiadi dei Traditori…

Mellish era ancora più confuso e imbarazzato dalla reazione dell’uomo.

“Sì, bene, allora… allora magari troverai anche tu il modo di renderti utile, così sarà come se fossimo anche noi a Treviri, ma senza mettere in pericolo la tua vita” riuscì a dire, prima che Saltzmann lo interrompesse stringendolo di nuovo a sé e baciandolo, sollevandolo da terra e distendendolo sul letto, in mezzo ai bagagli disfatti, a camicie e biancheria. Si mise sopra di lui, accarezzandolo e continuando a baciarlo, rubandogli il respiro e avvolgendolo in un bacio lento e pieno di passione; fece aderire completamente il corpo a quello morbido del giovane e strofinò l’erezione pulsante contro l’inguine di lui attraverso il tessuto dei pantaloni. Desiderando godere il più possibile quel giovane corpo tenero, iniziò a sollevargli la maglietta e a slacciargli la cintura dei pantaloni, mentre continuava a divorarlo lentamente e dolcemente con il bacio più intimo, intenso e prolungato possibile.

Mellish era completamente stravolto da quello che Josef gli stava facendo e anche da quello che lo aveva scatenato, dalle parole che lui stesso aveva detto e che avevano causato una reazione del genere! Tuttavia, in qualche modo, riuscì a riprendere un briciolo di dignità e a scostarsi per un attimo dall’uomo che pareva deciso a prenderlo lì e subito.

“Aspetta, senti, aspetta, Josef… io… ora dobbiamo andare dal Capitano Miller e dagli altri e spiegargli che noi non partiremo con loro domattina, gli spiegherò le motivazioni, sono sicuro che capirà” mormorò con voce spezzata. “Dobbiamo andare a dirglielo subito, adesso.”

A dirla tutta, Saltzmann avrebbe preferito fare tutt’altro in quel momento: era così felice perché Mellish aveva ammesso di amarlo, di non poter fare a meno di lui (anche se non aveva usato esattamente quelle parole, ma il concetto si capiva!) e desiderava stringerlo a sé, sentirlo e possederlo completamente e perdersi in lui. In quei giorni aveva avuto qualche dubbio, specialmente quando Mellish era sembrato dimenticarlo, preso dalla frenesia di partire con i suoi compagni, ma adesso era tutto diverso, adesso il suo Stan aveva scelto lui, aveva deciso di restare al Quartier Generale con lui e quindi lo amava, ormai non c’erano più dubbi. Tuttavia sapeva che era giusto avvertire subito il Capitano Miller e così, con uno sforzo enorme, si staccò da Mellish e lasciò che si alzasse dal letto.

“Va bene, noi andare a dire a tuo Capitano” concordò.

Poco più tardi, Mellish e Saltzmann si trovavano nella sala comune dove Miller, Horvath e gli altri soldati della Compagnia Charlie, terminato di fare i bagagli, si erano radunati per fare il punto della situazione e organizzare la partenza del giorno dopo. Miller aveva già capito quello che il suo giovane soldato gli avrebbe detto, lo leggeva nel suo viso imbarazzato e nel sorriso beato di Saltzmann accanto a lui… tuttavia lasciò che fosse il ragazzo a parlare.

“Signore, mi dispiace, ma io… io ho deciso di non partire con voi domattina” iniziò a dire Mellish. “Spero di non darle una delusione, signore, e le assicuro che non è per vigliaccheria, anzi sono molto addolorato di non poter essere con voi, però… però mi sono reso conto del fatto che ho assunto una responsabilità nei confronti di Josef Saltzmann e non posso quindi né lasciarlo qui da solo né portarlo in Germania, dove rischierebbe di essere riconosciuto e ucciso come traditore.”

Miller sorrise. In realtà non era affatto deluso da Mellish, al contrario, proprio la sua decisione di restare per non mettere in pericolo Saltzmann gli faceva capire che il ragazzo era cresciuto, era pronto a rispettare gli impegni presi e questo lo rendeva fiero di lui. Nei giorni precedenti, la situazione di Saltzmann era rimasta indefinita e lui non aveva fatto o detto niente per suggerire una soluzione a Mellish perché voleva metterlo alla prova, voleva capire fino a che punto il giovane tenesse al tedesco che lo aveva salvato e quanto fosse disposto a mettersi in gioco per lui. Adesso aveva la sua risposta e ne era soddisfatto.

“Non sono deluso, Mellish, anzi mi fa piacere che tu comprenda e riconosca l’impegno che ti sei assunto decidendo di aiutare Saltzmann e di portarlo in America quando ci torneremo” replicò dunque il Capitano. “Come ti avevo già detto, quello che faremo noi e gli altri soldati in Germania può farlo chiunque, ma solo tu puoi creare un legame con Saltzmann che mostri il mondo nuovo per il quale combattiamo: un mondo in cui non contano la nazionalità o la razza o che so io, ma che si fonda su affetto, amicizia e collaborazione.”

Mellish, ancora una volta, fu toccato e commosso dalle belle parole del suo Capitano… Reiben, invece, non pareva altrettanto soddisfatto.

“Insomma, Mellish, quante volte ancora vuoi cambiare idea? Prima volevi tornare a casa, poi volevi andare a combattere i nazisti, poi volevi aiutare le truppe al fronte, ora invece vuoi restare qui col tuo tedesco… Si può sapere quando prenderai una vera decisione?” brontolò, mentre gli altri soldati scoppiavano a ridere.

“Non è il mio tedesco!” protestò il giovane, arrossendo. “Però lui mi ha salvato e io mi sento in dovere, adesso, di ripagarlo; non posso abbandonarlo qui da solo o portarlo in Germania, dove potrebbe essere in pericolo di vita. Ti assicuro che non starò qui con le mani in mano, mi renderò utile come posso, magari aiutando a medicare i feriti, visto che Wade viene con voi, e contribuendo a organizzare i rifornimenti per i soldati al fronte.”

“Ma certo, potrai renderti utile anche qui e sarà come se fossi con noi” lo rassicurò Miller. “Tu, Reiben, per una volta, potresti evitare di lagnarti? La cosa inizia a diventare fastidiosa.”

Reiben mise il broncio mentre i compagni ridevano di lui, questa volta. Miller guardava la sua squadra e sperava davvero con tutto il cuore che sarebbe andata bene, sia per loro che sarebbero partiti per Treviri, sia per Mellish che avrebbe fatto il suo dovere al Quartier Generale e accanto a Saltzmann.

Fine capitolo diciannovesimo

 

 

   
 
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