Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Sailorkyoko    28/09/2023    6 recensioni
Un incontro casuale, in un momento di svolta. Il ritrovarsi di due anime così diverse eppure così simili. Il sogno di una vita è ancora lì, imprescindibile guida, eppure un nuovo sentimento si fa strada e sembra pian piano dare un senso a ogni cosa.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Incontro

Luna svoltò a sinistra e imboccò la Säbener Straße. Una brezza frizzantina le diede un leggero brivido. Il marciapiede del grande viale era così ricco di alberi che i tiepidi raggi di sole di quel pomeriggio di fine settembre filtravano appena. Ma a lei piaceva camminare a piedi, e le piaceva quella strada, così ricca di vegetazione da far dimenticare di essere in una grande città come Monaco. Una delle più belle città della Germania, così aveva sempre saputo. E man mano che la conosceva meglio lo stava constatando di persona.
Si ritrovò a passare davanti all’impianto sportivo di proprietà del Bayern Monaco: non vi era mai entrata, ma sapeva che la struttura e i negozi presenti all'interno erano visitabili da chiunque, e anche il campo di allenamento era accessibile al pubblico in determinati giorni. Alcune ragazze vestite di bianco e rosso, i colori del Bayern, lanciavano urletti e risatine tenendo d’occhio la porta d’ingresso, in evidente attesa dei loro idoli.
Luna sistemò indietro una ciocca lasciando che i lunghi capelli neri le ricadessero sofficemente sulle spalle e si lasciò andare ai ricordi. Ripensò alla scuola dove si era diplomata pochi mesi prima in Giappone, il Paese dov’era nata. Era un istituto famoso proprio per la sua squadra di calcio, ed era abituata a vedere ragazzine petulanti in estasi per i propri beniamini alle partite e agli allenamenti.
L’incupirsi del cielo la riscosse da quei pensieri; affrettò il passo e oltrepassò i diversi edifici e spazi aperti che costituivano la struttura calcistica del Säbener Straße. Dopo un paio di minuti un’ampia area verde si profilò alla sinistra del marciapiede su cui procedeva; un parco simile si apriva anche sulla destra, dall’altra parte della strada.
La zona era deserta, a parte un ragazzo in tuta grigia e berretto con visiera coordinato, intento a correre poco distante. Fece per scendere dal marciapiede per attraversare il viale, ma un’imprecazione urlata in giapponese la fece voltare verso il tipo in grigio: accasciato per terra, si teneva il polpaccio facendo smorfie di dolore. Accorsa presso il ragazzo, cercò di inquadrare la situazione per capire come poteva essere utile, e lo sentì inveire ancora in giapponese.
– Dannazione! Ci mancava solo il crampo!
– È un crampo? Se è solo questo posso aiutarti io. Aspetta… togliti la scarpa…
E nel dire questo sfilò lei stessa la scarpa dal piede del giovane e prese ad allungargli la gamba spingendo con delicatezza ma sicurezza la punta delle dita verso di lui.
– Non preoccuparti! – continuò lei sorridendo. – So quel che faccio. Ho anche seguito un corso base di fisioterapia!
– So che è la manovra giusta… –. Il ragazzo sembrò rasserenarsi un poco, ma la sua espressione restò sospettosa e accigliata. – Parli la mia lingua… Sei giapponese? – le chiese scrutandola, probabilmente cercando di riconoscere nei delicati lineamenti della ragazza qualche tratto caratteristico della sua etnia.
– Sì, per metà! E anche tu, a quanto pare! Quando ti ho sentito parlare non riuscivo a credere di aver trovato un connazionale qui a Monaco!
Luna parlava sorridendo entusiasta, senza smettere di armeggiare con la gamba del ragazzo.
– Va meglio, ora? 
– Sì, grazie…
– Bene!
Una sensazione di freddo bagnato la colpì sulla mano.
– Oh, no, lo sapevo: sta cominciando a piovere!
Tirò fuori dalla borsa a tracolla un ombrellino pieghevole di colore rosa e lo aprì sopra la testa di entrambi mentre si rialzavano da terra. Per un attimo restò stupita per l’inaspettata statura del ragazzo, accorgendosi che la sovrastava di almeno quindici centimetri. Poi si riprese e ricominciò a parlare a raffica, sempre col sorriso sulle labbra: – Sei senza ombrello? Vieni, forse ci conviene metterci più riparati, che ne dici di quel muro? Almeno avremo le spalle coperte dal vento.
Il ragazzo seguì in silenzio le sue indicazioni sovrappensiero, come frastornato. Raggiunsero il muro di un edificio, l’unico nelle vicinanze in quel viale alberato, e presero a studiarsi cautamente, alternando gli sguardi fra loro al panorama piovoso che avevano intorno.
Lei ruppe il silenzio per prima: – Che sfortuna: ero quasi arrivata a casa!
– Ti conviene andare, allora: potrebbe durare per un bel po’ e le strade presto si allagheranno e diventerà difficile camminare, – disse guardando le semplici scarpe di tela di lei.
– E tu? Non posso mica lasciarti sotto la pioggia: non vedo ripari qui vicino!
– Stai rimanendo qui per me? Guarda che non sei obbligata!
– Ma fino a poco fa non riuscivi neanche a camminare! Non mi sembra carino lasciarti qui a bagnare: siamo anche connazionali! – rispose Luna.
Lui la guardò contrariato, infilando prima una mano e poi l’altra nelle tasche posteriori dei pantaloni, nell’evidente ricerca di qualcosa. – Forse è meglio se chiamo qualcuno per farmi venire a prendere. Prese a tastarsi la felpa e finì con l'esclamare: – Maledizione! Ho dimenticato di prendere il cellulare!
 
Genzo era uscito dal Säbener Straße in preda alla confusione: aveva pensato di andare fuori a correre per schiarirsi le idee e riflettere sulla proposta ricevuta, e nella fretta aveva dimenticato di prendere con sé il telefonino. Dopo il crampo, ci si era messa anche la pioggia… La città di Monaco gli sembrava ostile: forse era il segnale che non doveva accettare la proposta del Bayern, o forse era lui che non lo voleva e inconsciamente stava facendo di tutto per convincersi che fosse meglio rimanere fedele all'Amburgo, o restare in Giappone e dedicarsi solo alle gare nazionali.
–  C’è qualcuno che può venirti a prendere? – La domanda di Luna scosse Genzo dai suoi pensieri. – Puoi chiamarlo col mio cellulare! Reggi un attimo l'ombrello, però…–. Armeggiò nella borsa e tirò fuori un piccolo cellulare con la cover rosa e un ciondolino a forma di luna che penzolava da un laccetto appeso a un angolo. – Tieni, usa questo, – e gli porse il suo telefono facendo a cambio con l'ombrello che nel frattempo gli aveva appioppato.
–  Grazie…
Compose il numero che fortunatamente ricordava a memoria. Una voce maschile rispose in tedesco. Genzo cominciò a parlare: – Karl, scusa, sono io, Genzo…
– Genzo?! Dove diavolo sei finito? Ti ho cercato dappertutto, si può sapere perché sei sparito così? Non hai neanche salutato il presidente!
– Hai ragione Karl. Scusami tu con il presidente, ma avevo bisogno di restare solo e riflettere. Il problema è che ho lasciato giacca, borsa e cellulare al centro, ma non mi va di tornare lì, adesso… Poi sta anche piovendo a dirotto…
Sospirò rassegnato, prima di avanzare la sua richiesta a denti stretti: – Potresti venire a prendermi in macchina? –
 
Pur continuando a guardare per terra e in giro, per non sembrare invadente, Luna nel frattempo ascoltava ogni parola della conversazione dei due. Al sospiro di lui, alzò lo sguardo incuriosita. Indubbiamente era un bel ragazzo, ma l'espressione corrucciata gli induriva il volto e lo rendeva scostante. Dall'altro capo del telefono, Luna sentì le parole di risposta di questo Karl: – Va bene! Sai dirmi dove ti trovi? –. – Non molto lontano dal Säbener Straße, poco più avanti sullo stesso lato della strada, in un parco… –. Si sporse per cercare un cartello o la targa di qualche numero civico, e Luna d'istinto fece altrettanto, ma nessuno dei due riuscì a trovare niente di utile, a parte i bidoni per la raccolta dei rifiuti di fronte. – Va bene, credo di aver capito: fra cinque minuti sarò lì. Ti porto le tue cose, così dopo andiamo direttamente a casa mia. E parliamo. – Genzo sospirò nuovamente. – Va bene, ti aspetto, grazie, – e restituì il telefono a Luna, sempre con un'espressione tetra dipinta in viso: – Tieni –. Luna prese il telefono e lo ripose nella tasca più esterna della borsa, mentre lui si mise a fissare punti indefiniti dell'orizzonte come se tutto il peso del mondo gravasse sulle sue spalle.
Indecisa se intromettersi com'era solita fare (a fin di bene, si giustificava sempre lei) in faccende che non conosceva e non la riguardavano, o fare finta di niente, Luna si decise per una via di mezzo: – Tu vivi qui a Monaco?
Genzo si voltò un momento verso di lei e poi tornò a guardare il vuoto, come se dovesse pensare bene a cosa rispondere, e rispose secco: – No.
– Ah, quindi sei di passaggio? Parli bene il tedesco, però.
Lui la guardò torvo, probabilmente realizzando solo in quel momento che con la telefonata di poco prima una sconosciuta aveva avuto accesso a una parte, seppur infinitesimale, della sua vita privata. Non sembrava il tipo da lasciarsi coinvolgere facilmente in conversazioni improvvisate, né pareva avere problemi ad essere brutalmente diretto, a costo di apparire come minimo maleducato o insensibile. Eppure c’era qualcosa di gentile in lui, di raffinato forse: un’eleganza innata che cozzava con i suoi modi rudi. E un tormento inespresso che traspariva da quegli occhi risentiti e malinconici.
Afferrò l'ombrello e lo posizionò più in alto, sorreggendolo con presa sicura; poi con fare arrendevole, sicuramente più per senso di gratitudine che per desiderio di conversazione, rispose all'implicita domanda della ragazza: – Vivo in Germania da quando avevo 12 anni. Ad Amburgo, però.
– Caspita! Tanto tempo, quindi…
Lei lo guardò fissa con aria interrogativa e Genzo specificò, aspro: – Da dieci anni.
Luna fece il conto dell’età silenziosamente: ventidue anni, quattro più di lei.
– Oh! E ti trovi bene, qui in Germania? Vivi con la tua famiglia?
– Cos'è, un interrogatorio?!
– Ma no, scusa! È che mi sono appena trasferita qui, per frequentare l’università: dato che sei giapponese, m’interesserebbe conoscere la tua esperienza, sapere come ti sei trovato a vivere in questo Paese… Io sono qui da due settimane e già mi manca il Giappone!
Genzo si rabbonì un poco e Luna continuò a parlare: – E dire che non sono neanche sola: c’è mia sorella Robi con me! Però ho lasciato i miei amici… Poi qui fa freddissimo! E l’università sembra impegnativa e competitiva. E in più sono una straniera. Ti hanno mai trattato da straniero, qui? In senso negativo, intendo.
Genzo sembrò perdersi nuovamente nei suoi pensieri prima di rispondere.
– Solo un po’, all’inizio. Ma mi sono fatto rispettare.
Una macchina sfrecciò dal viale lampeggiando coi fari su di loro.
– È il mio amico, vieni. – E la guidò verso l'auto che aveva accostato poco distante da loro, continuando a reggere l’ombrello sulla testa di entrambi. – Sali anche tu, dai.
– Eh?! – Luna si fermò indecisa davanti allo sportello.
– Hai detto che casa tua è qui vicino, no? In macchina faremo in un attimo ed eviterai di inzupparti tutta.
Le aprì lo sportello del sedile posteriore tenendo su l’ombrello per ripararla, e quando fu entrata si riparò lui stesso fino a che raggiunse il sedile accanto al guidatore.
Karl guardò stupito l'ospite inattesa.
– E tu chi sei?
– Ehm, scusa per l'intrusione. Io mi chiamo Luna.
– Grazie per essere venuto subito, Karl. Ho avuto un crampo e questa ragazza mi ha aiutato: se non fosse stato per lei mi sarei anche bagnato completamente. Ha detto che abita qui vicino: possiamo darle un passaggio a casa?
– Nessun problema. Hai detto che ti chiami Luna, giusto? Dove ti devo portare?
Luna ripeté l’indirizzo che aveva ben memorizzato da giorni e Karl mise in moto assicurandole che conosceva la strada. Il ragazzo si girò completamente verso di lei per guardare indietro e fare manovra con l'auto e Luna poté osservarlo bene in viso. Quei capelli biondi, gli occhi azzurro ghiaccio, un borsone con lo stemma del Bayern Monaco lì sul sedile accanto a lei… – “Karl” – ripeté quel nome fra sé e sé e a un tratto non poté fare a meno di esclamare entusiasta a voce alta: – Ma tu sei Karl Heinz Schneider?! Il “Kaiser” della nazionale di calcio tedesca?! Non ci posso credere!
– Mi conosci?
Karl non sembrava particolarmente stupito, ma Genzo sì: – Lo hai riconosciuto?! Come fai a conoscerlo?
– Beh, seguo un po’ il calcio… Ho visto alcune partite dei campionati mondiali giovanili, ovviamente tifando Giappone, perciò l’ho riconosciuto! Conosco i giocatori più famosi… e della nazionale giapponese li conosco praticamente tutti, – concluse Luna con orgoglio.
– Ah, ma sei giapponese? Quindi conoscevi anche lui?
– Eh?! Dovrei? 
Luna guardò timidamente il ragazzo incontrato al parco, che sembrava trattenere una inspiegabile irritazione, mentre Karl, a questo punto divertito, insisteva indicandoglielo con un cenno del capo.
– Genzo Wakabayashi. Lui non lo riconosci?
Luna si sentiva sinceramente confusa e cercava di mettere a fuoco possibili occasioni dove avrebbe potuto aver conosciuto quel ragazzo.
– Riconosci Karl e non me?! – Genzo infine sbottò. – Faccio parte anch’io della nazionale giapponese.
– Ehm, mi dispiace, non mi ricordo di te… In effetti non conosco proprio tutti quelli che stanno in panchina… – cercò di giustificarsi Luna. – Vediamo, oltre a Ishizaki c’è Sorimachi…
Karl ormai se la rideva apertamente, mentre Genzo sembrava trattenere a stento la collera: – Io sono un titolare! 
Sempre più confusa, Luna azzardò un'ipotesi: – Effettivamente non ho visto tutte le partite… In che ruolo giochi?
Genzo le rispose fra i denti, sempre con in sottofondo le risatine soffocate di Karl: – Sono portiere! Ho giocato solo le prime partite perché poi mi sono infortunato e ho dovuto abbandonare il campo!
– Portiere? Ma allora tu sei… ‘quel’ Wakabayashi?! Il famoso portiere paratutto?! Ho sentito molto parlare di te, ma non avendoti mai visto non potevo riconoscerti, e avevo rimosso il tuo nome!
– Lui, però, lo hai riconosciuto subito, – esclamò Genzo ancora piccato, accennando all'amico, e aggiunse, come fra sé e sé: – Conosce persino Ishizaki!
Luna stava per ribattere, quando Karl si intromise nella conversazione: – Mi sembra che siamo arrivati: è questa casa tua?
Il ragazzo accostò accanto all’ultima villetta in fondo a una strada senza sbocco che dei dissuasori pedonali separavano da un grande spazio verde. Sì, è questa! – fece Luna, ora dispiaciuta di essere già arrivata.
– Il tuo ombrello ce l’ho io. Vieni, ti accompagno al cancello.
Luna si rivolse a Karl: – Grazie mille per il passaggio! È stato un piacere conoscerti!
– Figurati! È stato un piacere anche per me, – rispose lui sorridendo cordialmente.
Genzo aprì e poi richiuse lo sportello da dove uscì Luna e la accompagnò fin davanti il cancelletto esterno. Aspettò che la ragazza aprisse con le chiavi, poi le restituì l'ombrello: – Buona fortuna per i tuoi studi qui a Monaco.
– Grazie! Mi dispiace non averti riconosciuto…
Il ragazzo emise un suono indefinito, si sistemò il cappuccio sopra la testa e corse a sedersi in macchina.
 
 Trovò Karl pronto a canzonarlo: – A quanto pare sono famoso anche nel tuo Paese… al contrario di te! Duro colpo per il tuo ego, eh?
– Piantala! – rispose seccato Genzo. Karl tornò serio, e dopo pochi secondi riattaccò: – Allora, si può sapere che cosa ti ha preso? La proposta del Bayern è ottima. Non dirmi che hai delle remore per una questione di fedeltà all'Amburgo: lo sai che lì sei sprecato. Con noi due in squadra, il Monaco sarà imbattibile nella Bundesliga e in tutta Europa: cos’hai ancora da pensarci? O ce l’hai con me per l’incidente?
– Ma no, questo non c’entra niente, lo sai.
Ripensò ai primi tempi in Germania, quando qualcuno lo chiamava 'muso giallo', e ai primi difficili giorni in cui aveva cominciato a militare nella squadra dell'Amburgo. Solo Hermann Kaltz e Karl Heinz Schneider lo avevano trattato da subito amichevolmente, e tutt’ora erano due dei suoi più cari amici, nonostante la rivalità sempre accesa con Schneider. Proprio Karl aveva tanto insistito da subito, perché passasse anche lui al Bayern Monaco, e dopo l’esclusione dalla formazione titolare dell’Amburgo, lui aveva cominciato a prendere seriamente in considerazione quella proposta, nonostante il debito di fedeltà che lo legava alla squadra in cui aveva militato per ben dieci anni.
Guardò le strade che correvano al di là del finestrino bagnato dalla pioggia, come a cercare un segno, un qualcosa per farlo decidere definitivamente. Karl continuava a parlare, ma lui lo ascoltava a stento. Poi ad un tratto, in cielo, da dietro i nuvoloni neri, la luce argentata di una mezza luna particolarmente brillante rischiarò quella sera piovosa. Non seppe spiegarsi il motivo, ma d’un tratto gli sembrò che anche il suo animo fosse improvvisamente illuminato dalla luce della speranza di un nuovo, promettente cammino.
 
 
 
Note di fine capitolo: ringrazio Google Maps, Tripadvisor e il Web in generale XD! Ehm, ciao, è la primissima storia che pubblico e sono decisamente emozionata (ed imbarazzata) a questo riguardo ^^. Non so nemmeno se qualcuno la leggerà, ma se doveste farlo fatemi sapere cosa ne pensate! I ringraziamenti veri vanno ai miei beta reader, le uniche persone a cui finora ho confidato di avere questa storia nel cassetto da moltissimi anni e che mi hanno incoraggiato a buttarmi: mio marito, mia figlia (ragione per cui il rating è giallo, più sul verde XD) e le mie amiche S. e L. E a tutti voi se vorrete darmi una possibilità!
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Sailorkyoko