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Autore: FrancyT    30/09/2023    2 recensioni
9-10 Novembre 1939, Germania
All'interno dell’hotel Rheinischer Hof, due individui si accingevano a discutere di argomenti di notevole importanza. Seduti comodamente in una di quelle stanze, i due uomini discussero a lungo, arrivando a prendere un importante decisione. Quel loro incontro stabilì una direttiva che non ammetteva obiezioni.
Quella che noi oggi ricordiamo come “Notte dei cristalli”, scaturì l’inizio di questa storia.
Durante quella stessa notte numerose azioni violente si riversarono contemporaneamente nella città, seminando il panico generale. Alcuni individui iniziarono allora ad abbandonare le città, in cerca di un posto migliore dove poter vivere. Fra di essi troviamo la figura di Inuyasha, un giovane locandiere che, in seguito a quella notte, si è ritrovato costretto ad abbandonare la propria abitazione.
La “notte dei cristalli” segnò l’inizio della sua storia, quella di un ibrido alla ricerca della libertà.
Nel suo lungo viaggio il ragazzo incontrerà persone che tenteranno di aiutarlo, che lo sosterranno nella fuga, che lo proteggeranno dai generali tedeschi ma...
Inuyasha riuscirà davvero a raggiungere il confine?
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Miroku, Naraku, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Germania, Maggio 1939
Ore: 23:00

La luna era alta nel cielo ormai da qualche ora, apparendo come un sorriso beffardo in quella fredda notte. Infreddoliti, centinaia di mezzo demoni dormivano all’interno delle baracche, senza neanche una coperta con la quale potersi riparare. Probabilmente qualcuno di loro non avrebbe retto la notte, troppo stremato per il duro lavoro o perché si ritrovava nella sua notte più debole. E poi c’erano loro: un gruppo di soldati semplici che avvolti dal tepore del fuoco chiacchieravano delle rispettive giornate di lavoro.

Erano passate ormai settimane da quando il giovane soldato Kuhn aveva raggiunto il campo di Dachau per terminare il suo addestramento. Ogni giorno svolgeva le sue mansioni affiancato dal tenente Wolf senza batter ciglio. Il suo giro iniziava all’alba, quando insieme al suo responsabile irrompeva nelle baracche a loro assegnate. Con un’espressione severa in volto ispezionavano i letti dei mezzo demoni, accurandosi che non nascondessero nulla nel loro giaciglio di paglia. Successivamente supervisionava il lavoro dei carcerati, li intimoriva schioccando la frusta verso il terreno e, quando non ne poteva far a meno, li colpiva con essa in piena schiena.

La sua ultima mansione si svolgeva nel Bunker. Dopo la sua prima discesa in quel luogo, Wolf gli disse che avrebbero fatto regolarmente visita al detenuto dell’ultima cella, per un qualche motivo gli avevano affidato il compito di ripulire le ferite del debole uomo. Quando udì quell’ordine, si sentì più sollevato. Quel semplice gesto lo spronava a non cedere, come se prendersi cura di quelle ferite potesse in qualche modo alleggerire il fardello che si portava addosso.

Durante quelle notti aveva iniziato a parlare con Miroku della sua famiglia ormai morta. Delle sue speranze di ritrovare la sorella in vita una volta che tutto questo fosse finito. Raccontò aneddoti divertenti di quand’era bambino ed espose in maniera più dettagliata il giorno del suo reclutamento.

Solo dopo diversi incontri Miroku gli rivolse nuovamente la parola, anche se solo per chiedergli di stare zitto e lasciarlo riposare. Più i giorni passavano, più le ferite che trovava sull’uomo erano profonde. Sembrava che non importasse più che quel debole umano rimanesse in vita per “parlare”, come se fosse lì per il semplice divertimento dei militari e quel giorno ne ebbe la conferma.

Mentre osservava fuori dalla finestra del dormitorio, ascoltava distrattamente le conversazioni fra i suoi compagni di addestramento. Quella sera in particolare il gruppo si era diviso in due diverse fazioni: da una parte c’erano coloro che affermavano di essere fortunati ad essere stati affidati al campo, mentre dall’altra si trovava chi sosteneva che sarebbe stato più sicuro essere affidati alle pattuglie della città.

In ogni caso, Kohaku pensava che se i piani alti avessero avuto bisogno di carne da macello, avrebbero comunque richiamato dei semplici soldati umani. Perché tanta fretta di formarli altrimenti?

“Invece di discutere ancora di queste scemenze, devo dirvi cosa ho sentito oggi durante il mio turno di sorveglianza.” Quell’affermazione fece zittire tutti, pronti ad ascoltare la notizia interessante. Alle volte facevano anche questo: raccontare conversazioni o eventi accaduti durante i loro turni di lavoro. Ciò che fece rizzare le orecchie a tutti, però, fu un fondamentale dettaglio. Il soldato che aveva richiamato l’attenzione di tutti era stato affidato ad un sottotenente che si occupava della sorveglianza dei laboratori.

“Pare che due giorni fa sia venuto qua il generale Banryu e abbia portato ad analizzare un particolare oggetto.”
Al nome del generale, un brivido corse lungo la schiena di Kohaku. Quello che aveva fatto alla sua famiglia rimaneva inaccettabile e seguire l’addestramento sotto la sua direzione non era affatto un gioco divertente.

“A quanto ne so, hanno sospeso ogni tipo di esperimento per analizzare questo oggetto e poco prima che il mio turno terminasse hanno chiesto che due mezzo demoni fossero portati giù nei laboratori per degli accertamenti. Secondo me hanno trovato quello che gli serviva e vogliono testarlo su quella feccia.”
Una risata divertita uscì da un giovane demone topo. Il suo nome era Simon Böhm ed era stato annesso alla sezione dei soldati umani per via della sua debolezza fisica.
“Le tue sono solo supposizioni. Volete sentire una storia vera?”
Il gruppetto si avvicinò allora al demone e lo accerchiò in attesa che iniziasse il suo racconto.
“Sapete che mi hanno affidato ai piani alti, no? Bene, questo pomeriggio al mio colonnello è arrivata una comunicazione da parte del generale No Taisho. Avete presente l’umano che ha portato qua? Questa notte, verso le due, verrà giustiziato.”

Kohaku sussultò a quella frase. La sua attenzione si spostò al demone topo, sperando di leggere nel suo viso un qualche segno di menzogna. Contro le sue speranze, Böhm sembrava sincero e questo avrebbe portato ad una sola conseguenza: avrebbe dovuto far fuggire Miroku quella sera stessa.

“Sentite questa invece: girano voci che alcuni membri della resistenza si stiano infiltrando nell’esercito.”
Resosi conto del tempo che stringeva, Kohaku si issò in piedi e osservò ancora una volta il gruppo di colleghi, tutti intenti a dire la loro su quell’ulteriore notizia.
“Pensate che anche qui al campo ci sia qualcuno? Böhm tu che ne pensi?”
“Fin ora nessuno ha denunciato al colonnello comportamenti sospetti.”
“Quindi pensi siano frottole?”

Tornando ad ignorare quella conversazione, il giovane soldato Kuhn fece strada verso la porta del dormitorio. Proprio mentre era arrivato in prossimità di essa, la voce del soldato Böhm lo fece arrestare.
“Vai nel Bunker? Sei fortunato Kuhn, per via delle mansioni del tuo tutore puoi andare a divertirti quasi ogni sera.”

Kohaku borbottò una risposta, dopodiché varcò la pesante porta in legno. Con calma e discrezione scese le scale dell’edificio arrivando al piano inferiore. In silenzio oltrepassò la sala da pranzo, dove i militari con il grado maggiore si riunivano ogni sera per bere alcolici e vantarsi del loro operato giornaliero. Mentre faceva strada per la cucina, le voci dei demoni rimbombavano forti fra le pareti. Ma due in particolare attirarono la sua attenzione. Non era in grado di associarle ad un volto, ma quel breve scambio di battute non fece altro che confermare il racconto di Böhm.

“Ho sentito che questa notte ci sarà festa.”
“Ci sbarazzeremo finalmente di quel peso.”
“Sai a chi hanno affidato l’incarico?”
“Al tenente Wolf.” Quella risposta generò una brutta sensazione nel petto di Kohaku.

Superata anche la cucina, il giovane uscì nel cortile che lo separava dal bunker e, senza attendere com’era solito fare l’arrivo di Wolf, oltrepassò la grata in ferro e scese le ripide scale. Nonostante l’assenza di luce, Kohaku proseguì spedito verso la sua destinazione. Passò dinanzi le quattro porte in ferro, mantenendo lo sguardo verso la cella posta in fondo al corridoio. Anche quella sera era possibile udire lamenti e pianti soffocati, accompagnati dal rumore di schiaffi e frustate. Tutto sembrava come al solito e il giovane soldato si rese conto di quanto si fosse pian piano abituato nell’udire quei suoni.

Giunto dinanzi la cella di Miroku, Kohaku prese da uno sgabello posto al fianco della porta il secchio con dentro le garze e l’unguento, dopodiché entrò nella stanza. La scena che gli si parò davanti era molto simile al loro primo incontro.


Miroku aveva entrambi i polsi incatenati alla parete e il viso rivolto verso il pavimento. Stava inginocchiato per terra, impossibilitato a muoversi per via delle catene alle caviglie. La sua schiena era ricoperta del suo stesso sangue, nascondendo i grossi ematomi che Kohaku aveva visto il giorno prima. Sospirando, il soldato si avvicinò all’uomo, notando con immenso dispiacere che le ferite questa volta non si limitavano solo alla schiena. Quel pomeriggio lo avevano frustato anche sul petto e sulle braccia, e non avevano esitato a riempire di pugni il suo viso.

“Mi dispiace ragazzo, ma avevo ragione io.” La sua voce uscì debole e stanca. Miroku non aveva più le forze di resistere. Voleva solo morire e far terminare quello strazio.

“Non è ancora finita.” Deciso a non arrendersi, Kohaku iniziò a ripulire per l’ennesima volta le ferite di Miroku, fasciando come meglio poteva i segni più profondi. Dopodiché prese le chiavi delle manette e liberò l’uomo da quella scomoda posizione. Sostenendolo per la vita lo aiutò ad alzarsi e provò a rassicurarlo.
“Questa sera riuscirò a farti fuggire.”

Proprio mentre pronunciava quella frase, lo stridio della porta in ferro che si apriva fece sobbalzare Kohaku. Con occhi sgranati, il giovane soldato osservò l'alta figura richiudere la porta e farsi strada nella semi oscurità.
“Chi dovresti far fuggire, ragazzo?”
Riconosciuta la voce, Kohaku provò a sembrare fermo e risoluto, ma la sua voce iniziò a tremare e si ritrovò incerto sul come giustificarsi. “T-Tenente W-wolf.... Io...”
Wolf lo osservava con sguardo severo. Aveva gli occhi ridotte a due fessure e le sopracciglia contratte. “Sull’attenti soldato.”
Sobbalzando a quell’ordine dal tono duro, Kohaku portò di scatto una mano alla fronte e rispose con voce incerta. “Si signore.”
A quella scena il tenente Wolf non resistette e iniziò a ridere. “Fattelo dire, sei proprio patetico.”
Sconvolto, Kohaku osservò il tenente. Certo di essere finito in guai seri, non poté far altro che ammettere la sua colpa. “Mi dispiace signore.”

Dopo quella frase cadde il silenzio. Kohaku stava ancora sull’attenti, in attesa di un qualche ordine da parte di Wolf. Miroku, allo stremo delle forze, si era poggiato alla parete nella speranza di riuscire a reggersi in piedi. Il tenente osservava quella scena consapevole della tensione del giovane soldato. Dopo una veloce analisi si avvicinò con passo lento e, come era solito fare quando voleva rassicurarlo, gli strinse leggermente una spalla. “Devi affinare la tua tecnica, fattelo dire. Per essere uno che vuole opporsi al regime lasci in giro troppe tracce. Sai quanto mi hai fatto faticare per nascondere le tue dimenticanze.” Come a voler sottolineare la questione, Wolf picchiettò la fronte di Kohaku. “Devi ricordarti che questo posto pullula di demoni dai sensi molto più sviluppati di voi umani.”

Kohaku rimase interdetto, trovava tutta la questione così surreale. Era appena stato beccato dal suo superiore e quest’ultimo gli consigliava di fare più attenzione invece che denunciarlo?

“Scusate l’interruzione. Posso richiedere che almeno la mia morte sia rapida? Dopo mesi di torture vorrei finalmente un po’ di pace.” Spezzante e sarcastico, Miroku si intromise in quella conversazione. L’uomo non riusciva più a tollerare quello stupido teatrino. Pensava fosse logico che Wolf fosse arrivato per giustiziarlo. Una parte di lui era anche dispiaciuta che quel giovane soldato fosse stato beccato nel pronunciare quella frase tanto assurda. Era logico che non sarebbe riuscito a farlo fuggire e, onestamente, non ci aveva neanche sperato.

“Non avete ancora capito che questa notte non morirà nessuno?” I due uomini guardarono il demone sconvolti. Il viso di Wolf aveva perso ogni sfumatura di ilarità.
“Tenente, non capisco.”
“A voi umani bisogna spiegare tutto eh?” Mente pronunciava quella frase, Wolf schioccò le dita e il suo aspetto cambiò rapidamente forma. I suoi occhi dapprima scuri divennero verdi, mentre i capelli grigi assunsero un colore rossiccio. Il cambiamento più radicale avvenne nella coda, che da singola divennero sette.

Miroku sgranò gli occhi e, anche se dolorante, fece qualche passo verso quel demone. “Fai parte della squadra di Aaron?” Questa volta, sorpreso dalla situazione, Miroku non riuscì a tenere a freno la lingua. Avrebbe potuto essere un’ultima tattica per farlo parlare prima di ucciderlo, ma non avrebbe detto nient’altro.
“Esatto. Ora, prima che arrivi qualcuno e ci veda, che ne dite di proseguire con il piano di fuga?” Mentre poneva quella domanda, il demone volpe iniziò a frugare nelle tasche della sua divisa alla ricerca di una particolare boccettina.
“Perché proprio io? Ci sono così tante persone qui dentro.” Quella domanda da parte di Miroku lo sorprese. Pensava che avrebbe accettato l’offerta senza fiatare.
“Non posso salvare tutti, purtroppo. Il mio compito non è far fuggire i prigionieri. Mi sono infiltrato per cercare di capire come fermare Naraku. Nei laboratori hanno trovato qualcosa di interessante che potrebbe ribaltare le sorti di questo paese. Devo far in modo di impossessarmi dei risultati di queste ricerche.”
Ancora perplesso, Miroku fece un ulteriore passo verso il demone. “Perché salvare me allora? Non mi reggo più in piedi. Salva qualcun’altro.”
Il “tenente Wolf” sospirò e poggiò delicatamente una mano sopra la spalla ferita di Miroku. Lo guardò dritto negli occhi e in quello sguardo stanco vi lesse un piccolo barlume di speranza. Anche se molto in fondo, Miroku voleva ancora vivere. Se avesse voluto morire, non avrebbe lottato nel tenersi in vita.
“Aaron non ti avrebbe lasciato morire. Potevi dire al tuo amico di fuggire e rimanere a Berlino a gestire la tua locanda, ma non l’hai fatto. Avresti potuto rivelare i nomi delle famiglie con cui ha collaborato Aaron e aver salva la vita, ma hai preferito farti martoriare piuttosto che parlare. Avresti potuto lasciare il paese molto tempo fa, ma hai preferito rimanere in Germania per aiutare noi a scortare altri mezzo demoni fino al confine. Adesso è il tuo turno di fuggire.”

Rimasto senza parole, a Miroku non rimase altro che annuire. Sentì la stanchezza avvolgerlo totalmente. Stava per finire. Quello strazio stava per terminare una volta per tutte. Certo, avrebbe portato con sé innumerevoli cicatrici, molte delle quali invisibili, ma avrebbe avuta salva la vita. Si sentì improvvisamente egoista. Quante persone che aveva conosciuto avevano perso la vita in quei mesi? Innumerevoli. Però, per una volta, voleva pensare a sé stesso e si sentì grato verso quel demone volpe che decise di salvare proprio lui.
“Quando il teletrasporto sarà terminato dovrai subito incamminarti. Segui il fuoco fatuo, ti condurrà in un luogo sicuro. Intanto prendi questa, è una pozione che ti aiuterà a sentire meno dolore.”
Wolf passò la boccettina a Miroku che, prendendola fra le mani l’aprì e ingoiò il contenuto. Intanto, il demone prese dalla tasca un ulteriore oggetto. Aveva la forma di un poliedro con 20 facce, sulle quali erano incisi dei segni demoniaci. Dopo aver toccato alcuni di essi, che assunsero un colore bluastro, si voltò nuovamente verso Miroku allungando la mano verso l’uomo. “Adesso è ora. Non possiamo perdere altro tempo.”
Miroku annuì nuovamente ma, prima di afferrare la mano del demone, osservò un’ultima volta Kohaku e lo ringraziò con lo sguardo. Il ragazzo, fino ad allora rimasto sbalordito ad osservare la situazione, annuì a quello sguardo. “Se durante la fuga incontri mia sorella, dille che sto bene e che presto ci rivedremo.” Miroku non ebbe il tempo di rispondere. Wolf gli afferrò velocemente la mano e tutto divenne improvvisamente bianco.

Quando con fatica riaprì gli occhi, Miroku si ritrovò ad osservare le fronde degli alberi sotto la quale stava disteso. Rimase così per qualche secondo, ispirando l’aria pulita e fredda della notte. Tutto in torno a lui taceva, l’unico rumore che riusciva a percepire era il fruscio delle foglie.
Finalmente era libero.

Quella stessa mattina
In una casa sperduta fra le montagne, Inuyasha combatteva contro l’accumulo di pensieri. Erano trascorsi ormai tre giorni da quando lo avevano portato in quell’abitazione e le sue ferite stavano pian piano rimarginandosi. Fermo, in posizione supina sul letto, aveva trascorso quelle giornate ispezionando con lo sguardo la stanza, annusando l’aria per provare a distinguere il numero di persone che occupavano la casa e ascoltando conversazioni che avrebbe fatto a meno di sentire.

In quei lunghi mesi di fuga era stato costretto a rimanere vigile per evitare brutte sorprese, ma in quel preciso momento gli mancava possedere la capacità di isolarsi dal mondo e non badare a ciò che lo circondava. Gestire e vivere in una locanda lo aveva portato a controllare i suoi sensi sviluppati in maniera tale da non impazzire, ma adesso sembrava non esserne più capace.

Ovviamente, in quei giorni non mancarono i suoi colpi di testa. Erano trascorse almeno dodici ore dal suo arrivo quando si ricordò effettivamente il motivo per il quale aveva lottato con Sesshomaru. Suo fratello aveva preso con sé la piccola Rin e la stava portando in un posto sperduto. Istintivamente si issò in piedi, stringendo i denti alla forte fitta alla spalla, e si avviò verso la finestra. La spalancò e fece per uscire, ma prima che potesse anche solo provare a saltare giù da essa, Kagome sbucò in stanza e lo fece desistere da quel tentativo. Ancora una volta gli cambiò le fasciature, nuovamente sporche di sangue, e lo costrinse a rimettersi a letto. Frustrato, Inuyasha sperò che il suo sangue demoniaco si desse una mossa e che, come gli aveva comunicato la piccola Rin, Sesshomaru fosse davvero buono con lei.

Di certo, durante quel soggiorno non mancarono i pensieri intrusivi e l’ora dei pasti si rivelava sempre la più drammatica. Nonostante Kagome gli portasse zuppe dall’odore appetitoso, lui non riusciva a mangiare senza che la nausea lo colpisse. Ogni volta che la donna entrava in quella stanza per medicarlo e portargli del cibo, non poteva far altro che ripensare al gesto disumano che aveva compiuto. In momenti come quello si ritrovava schiacciato dalla paura. Terrore che si accentuava ogni qual volta ripensava al militare che aiutava Kagome. Inuyasha non aveva la certezza che riuscisse a mantenere la calma in sua presenza e questo lo portava a temere una nuova perdita di umanità.

La notte si rivelava invece il momento durante il quale ripensava al passato. Quando tutti nel rifugio andavano a dormire e non poteva distrarsi commentando fra sé e sé quelle strambe conversazioni origliate, ricordava la sua vita a Berlino. La sua locanda che con tanto impegno aveva gestito in memoria dei suoi genitori ora era solo un mucchio di vetri rotti e schegge di legno. Di quel luogo che aveva chiamato casa, non rimanevano altro che vecchi ricordi, ma di certo la locanda non era l’unica cosa che aveva perso.

Ritornando a quella mattina, Inuyasha si destò dal sonno quando Kagome entrò a portargli la colazione. Dopo aver posato la ciotola sul comodino, la donna controllò lo stato delle sue ferite. Mentre fasciava nuovamente le spalle del mezzo demone, Kagome lo aggiornò sul suo stato. I buchi sulle spalle si erano quasi del tutto rimarginati e, finalmente, Inuyasha ebbe la certezza di potersi alzare dal letto senza provare un dolore lancinante. Appresa quella dichiarazione, il mezzo demone era certo che il giorno dopo le ferite sarebbero sparite del tutto e avrebbe finalmente proseguito per la sua strada.
Quello che più lo sorprese in quella mattinata e che lo portò a combattere contro l’accumulo di pensieri, fu il suggerimento di Kagome. La donna, infatti, aveva portato con sé dei vestiti puliti e, dopo averli poggiati sopra una consolle in legno, suggerì al mezzo demone di farsi un giro dell’abitazione.

Rimasto nuovamente solo, Inuyasha si mise a sedere sul letto e fissò il cambio accuratamente piegato che era stato lasciato nella sua camera. Titubante, si alzò dal letto e si avvicinò al mobile in legno posto di fianco la porta. Giunto in prossimità di esso, Inuyasha non riusciva a credere ai suoi occhi.
Lo specchio, posto sopra la consolle in legno, rifletteva una figura con la quale Inuyasha non riusciva proprio a identificarsi. Si avvicinò ulteriormente alla superficie riflettente e si portò una mano al viso. Cominciò allora a voltarsi leggermente a destra e sinistra, scrutando attentamente quel volto.
Era decisamente diverso dall’ultima volta che si era osservato. Il viso scarno, eccessivamente magro, appariva stanco e svuotato mentre i suoi occhi, ora incavati, trasmettevano tristezza. I suoi capelli avevano perso lucentezza, apprendo ora sporchi e di qualche tono più scuri. Fra di essi spiccavano le sue orecchie che, per via dei capelli appiattiti, sembravano ancor più grandi. Istintivamente le portò indietro, appiattendole più che poteva, cercando di farle risultare meno appariscenti.
Con un sospiro, Inuyasha fece un passo indietro e diede un'occhiata al resto del suo corpo. Nonostante le fasce che ricoprivano la parte superiore del suo busto, era possibile notare quanto effettivamente avesse perso peso. Aveva sempre avuto un fisico asciutto, ma la situazione in cui si era ritrovato sembrava averlo stravolto. Nonostante il suo sangue demoniaco, infatti, lo stress e la mal nutrizione a cui si era sottoposto in quegli ultimi mesi si notava: il suo addome ora era talmente magro che era possibile vedere ad occhio nudo la parte finale del costato. “Non mangiare ha effettivamente portato dei cambiamenti” borbottò, mentre prese i vestiti dalla consolle e andò a cambiarsi.

Finalmente in abiti puliti, Inuyasha uscì dalla stanza che lo ospitava e si ritrovò in un lungo corridoio. Osservò a destra e sinistra, prendendo mentalmente nota del numero di camere che occupavano quel piano, dopodiché girò a sinistra, superò la porta del bagno e si diresse verso le scale che avrebbero portato al piano di sotto. Scese con calma i gradini, affinando i sensi per cercare di percepire la presenza di qualcuno. Un brusio proveniva dal piano di sotto, voci che aveva imparato a conoscere ma alla quale non aveva ancora collegato un volto.

Arrivato al piano, Inuyasha si ritrovò in una spaziosa stanza adibita a salotto. Al centro di essa era presente un grande tavolo da pranzo che poteva ospitare ben diciotto persone. Dietro di esso un grande divano marrone ospitava tre bambini che giocavano con delle bambole, mentre alla loro destra una donna stava seduta su una poltrona, intenta a controllarli. Alla sinistra del divano, invece, stava una grande finestra che dava sul giardino.
Incerto sulla strada da prendere, Inuyasha si guardò ancora intorno, notando due differenti porte. Quella alla parete alla sua sinistra era chiusa e sembrava portare verso lo spazio esterno. La porta alla destra delle scale, invece, era semi aperta e sbirciando in essa il mezzo demone riuscì a scorgere un tratto di cucina. Ancora insicuro inspirò l’aria e, individuato l’odore di Kagome, decise di entrare nella stanza alla sua destra.

Quando Kagome lo vide lo salutò con un sorriso e lo prese per il braccio trascinandolo verso un gruppo di tre persone. Uno di loro era piuttosto anziano, sull’ottantina se avesse dovuto ipotizzare. La seconda era una donna piuttosto giovane, dimostrava l’età di Kagome e portava i capelli legati in una coda di cavallo. La terza persona era in realtà un mezzo demone cervo, le corna sulla sua testa non potevano mentire riguardo la specie di appartenenza. Kagome indicò con le mani le tre persone e si rivolese al mezzo demone. “Allora Inuyasha, loro sono mio nonno, Sango e Eitan! Se avrai bisogno di qualcosa, potrai chiedere a noi quattro.” Il mezzo demone annuì, rimanendo fermo sul posto.

“Per essere qui, deduco che le tue ferite si sono rimarginate. Eravamo tutti molto preoccupati quando ti abbiamo visto in quelle condizioni. Devi assolutamente ringraziare Eivor per essere intervenuto tempestivamente.” Questa volta a parlare fu il mezzo demone. Eitan dimostrava circa trent’anni, aveva una corporatura snella e un viso dai bei lineamenti. La particolarità di quel mezzo demone però risedeva nella sua gamba destra leggermente più corta dell’altra che lo portava a zoppicare.
“Eitan non elogiarlo così tanto. Sai che Eivor ha sbagliato ad agire da solo, doveva prima avvertirci.” Kagome aveva in volto un cipiglio e osservava severa il mezzo demone cervo.
“Non essere così protettiva Kagome! Non è più un ragazzino!” Alla risposta di Eitan, l’uomo anziano si fece sfuggire un sospiro afflitto. Deciso a rimanere fuori da quella discussione, oltrepassò i due e uscì dalla cucina. Nonostante il vecchio gli avesse suggerito di seguirlo, proprio mentre gli passava di fianco, Inuyasha decise di rimanere in quella stanza. Osservava il gruppetto leggermente incuriosito. Questo individuo di nome Eivor sembrava essere colui che lo aveva trovato dopo lo scontro con Sesshomaru.

Intanto, battendo nervosamente un piede sul pavimento, Kagome ribadiva il suo punto di vista: “Eivor è un ragazzino.”
“Devo forse ricordarti che i ragazzi alla sua età vengono richiamati per l’addestramento militare?”
Fu dopo quella domanda che seguirono attimi di silenzio imbarazzante. Eitan sembrava essersi accorto di quella frase solo dopo averla pronunciata. Kagome era su tutte le furie, mentre la donna con la coda di cavallo sembrava essersi improvvisamente rabbuiata. A spezzare quel silenzio ci pensò Eitan stesso: “Scusami Sango.” La ragazza annuì e dopo qualche istante, durante il quale Kagome insultava Eitan, uscì in fretta dalla stanza.
Confuso, Inuyasha guardò interrogativo Kagome. Sperava che la donna potesse dargli una qualche spiegazione riguardo ciò alla quale aveva assistito. Perché si era passati da parlare del ragazzo che lo aveva salvato a “quello”? Kagome però non soddisfò la sua curiosità. Dopo aver dato un’ulteriore occhiataccia a Eitan, dedicò qualche secondo a Inuyasha. “Ti ribadisco, sei libero di girovagare in casa. Per qualsiasi domanda chiedi a lui o aspettami più tardi, adesso devo risolvere questa situazione.” Detto ciò, anche lei uscì fuori dalla stanza.

“Inuyasha, giusto? Scusa per quello a cui hai assistito.” Il mezzo demone tornò a posare lo sguardo su Eitan, che sembrava davvero dispiaciuto. Incerto su come rispondere, annuì solamente. Intanto, Eitan si sedette su una delle quattro sedie che circondavano il piccolo tavolo in legno, dopodiché riprese a parlare. “E che spesso Kagome si dimentica che Eivor non è più un bambino e che il suo aiuto ci sarebbe molto utile.” Il mezzo demone cervo si passò stancamente una mano sul volto. “In ogni caso. Hai bisogno di qualcosa? Vuoi che ti mostri la casa?”
Inuyasha scosse la testa in risposta. In quel momento solo una cosa gli interessava sapere. “Posso chiederti dove posso trovare questo Eivor?”
Eitan si portò due dita sotto il mento con fare pensieroso. “Questa è una bella domanda, puoi provare in giardino.”

Borbottando un ringraziamento, anche Inuyasha lasciò la cucina, facendosi strada verso il giardino. Oltrepassata la porta d’ingresso, la luce del sole lo colpì in pieno. Istintivamente si portò una mano agli occhi, cercando di proteggerli dalla luce accecante. Una volta fuori ebbe conferma dei suoi sospetti.

La casa era immersa nel verde e circondata da ghiaia ed alberi. La caratteristica principale del giardino, che sorprese non poco Inuyasha, fu l’ordine e l’armonia delle forme e degli elementi naturali. Quella quiete suggerita era però rotta da piccoli mezzo demoni che scorrazzavano fra gli alberi, intenti a dar voce alla loro immaginazione. Proseguendo sul viale in ghiaia, Inuyasha scorse un orto dalle discrete dimensioni nel quale poteva scorgere alcune delle verdure e degli ortaggi che in quei giorni aveva mangiato. Curioso, Inuyasha continuò a seguire il percorso, giungendo sul retro della casa, proprio lì si trovava un piccolo pozzo attorno al quale crescevano diverse piante medicinali. Questa disposizione a spirale risultava molto efficiente e permetteva di sfruttare al meglio gli spazi e l’acqua di irrigazione. Affascinato da quella disposizione, Inuyasha si avvicinò alla piccola recinsione che proteggeva le piantine e si appoggiò ad essa. Istintivamente annusò l’aria, riuscendo a identificare dall’odore buona parte di quelle coltivazioni.

Improvvisamente si sentì osservato e uno spostamento d’aria sospetto attirò la sua attenzione. Scattato sull’attenti, Inuyasha cercò di identificare la direzione dal quale proveniva. Un ulteriore spostamento d’aria, questa volta più intenso, lo sorprese alle spalle. Si girò di scatto pronto a parare un qualche attacco ma quando si voltò le sue orecchie furono travolte da una voce allegra.
“Ehi! Ciao! Vedo che stai bene!” Il proprietario di quella voce lo sorprese: era un giovane che dimostrava all’incirca diciassette anni. “Scusa per quello che è successo l'altra notte. Non volevo farti del male, ma è stato il mio primo salvataggio.” Il sorriso spensierato sul volto del giovane divenne leggermente tirato, sembrava seriamente dispiaciuto dell’accaduto. Fu in quel momento che Inuyasha finalmente capì: il ragazzo che si ritrovava davanti era Eivor. Appresa quell’informazione, il mezzo demone iniziò a scrutarlo da capo a piedi, incerto sulle reali dinamiche di quel fortuito incontro.
"Oh, quindi i graffi e i buchi alle mie spalle...”
“Si perdonami! Eri privo di sensi quando ti ho trovato e con queste...” Imbarazzato, Eivor dispiegò le sue grandi ali nere. “...non potevo trasportarti e volare contemporaneamente.” Negli occhi bicromatici di Eivor, Inuyasha lesse lo stesso imbarazzo che nasceva in lui ogni qual volta gli osservavano le orecchie. Però, se per Inuyasha l’essere mezzo demone gli aveva donato due orecchie canine sulla testa, il fato non era stato molto clemente con Eivor. L'essere nato da una coppia mista aveva dato al giovane evidenti deformità: nonostante avesse il volto umano, molto nel suo aspetto somigliava ad un corvo. Al posto delle braccia possedeva due grandi ali, mentre le sue gambe sembrano le zampe di un uccello. Molta della superficie del suo corpo era inoltre ricoperta di piume, lasciando scoperto solo il viso e parte dell’addome.
"Quindi ho provato ad afferrarti con, beh si, le mie zampe. Non volevo ferirti davvero. Ho provato a non stringere forte ma scivolavi e ho solo finito con il farti cadere.”
Quelle parole interruppero l’analisi Inuyasha, che si ritrovò a fissare negli occhi il giovane mezzo demone. "Mi hai fatto cadere?"
Il volto di Eivor si imbronciò leggermente: “Ma ti ho afferrato al volo! Dopo un paio di tentativi non andati esattamente a buon fine.” Commentò, abbassando di molto il tono della voce nella parte finale della frase.
Inuyasha si chiese se quel giovane avesse ben compreso da quale razza di demone discendesse. Anche se avesse sussurrato quella frase dentro casa, lui l’avrebbe ugualmente percepita. Con un cipiglio in volto, Inuyasha collegò i vari elementi e continuò la frase di Eivor con la sua deduzione. “E quindi hai deciso di infilzarmi i tuoi artigli per non farmi cadere nuovamente."
“Esatto! Sono stato bravo vero?" Lo sguardo di Eivor sembrava voler elemosinare complimenti. Il giovane si aspettava davvero che lo ringraziasse per aver peggiorato la situazione in cui si trovava?
“Mentre ero in fin di vita... Nella mia forma umana...” Il tono di voce di Inuyasha si abbassò di molto mentre pronunciava quelle frasi. Kagome gli aveva preannunciato che quelle ferite se le fosse procurate durante il viaggio, ma non aveva specificato che fosse stato proprio il suo collaboratore più giovane a procurargliele. Volontariamente.
Intanto, Eivor lo fissava curioso con la testa leggermente inclinata sulla destra. “Amico tutto bene?”
Decisamente turbato, Inuyasha rincasò come una furia, lasciando il povero Eivor perplesso.
“Dove cazzo sono finito...?”

Qualche ora dopo
Il giovane mezzo demone, convinto di aver fatto la cosa giusta, raccontò a Kagome il suo incontro con Inuyasha. Contro le sue aspettative, però, Kagome non sembrava affatto soddisfatta.

“Sei andato a parlarci? Che ti avevo detto?” Con braccia incrociate e tono da ramanzina, la donna osservava il giovane con un cipiglio in volto. Quell’atteggiamento nei suoi confronti gli fece deviare lo sguardo. “Che avrei dovuto aspettare te.” Con gli occhi puntati verso il pavimento, Eivor iniziò a giocare con i ciottoli di ghiaia, spostandoli leggermente con la zampa sinistra.
"Quindi perché non mi hai ascoltato?”
Eivor non rispose. Continuava spostare quei ciottoli senza dar segno di ascolto. Indispettita, Kagome fece per avvicinarsi al giovane, ma Eitan l’afferrò per un braccio fermandola. “Dai Kagome, lasc-”
“Non intrometterti Eitan, è una discussione fra me e mio figlio.”

Le piume di Eivor si rizzarono e infastidito si rivolse a Kagome: “Non sono più un bambino mamma! Sono in grado di assumermi le mie responsabilità!” Lo sguardo della donna si posò su quello del ragazzo. Sapeva che Eivor voleva soltanto aiutare, ma non era ancora pronto ad agire da solo. “Eivor ti rendi conto che la tua decisione di fare da solo gli ha fatto perdere una quantità di sangue incredibile? Per non parlare della forte botta in testa che ha preso quando ti è scivolato precipitando al suolo.”
“Ma mamma, dovevo agire in fretta! Se quel generale fosse tornato per-” Eivor provò a dare una spiegazione alle sue scelte. Non era di certo impazzito! Aveva calcolato i rischi, conosceva benissimo quei boschi e i turni di ronda, sapeva che avrebbe potuto farcela. Eppure, Kagome sembrava non voler riconoscere i suoi meriti. Piuttosto, gli parlava con tono autoritario e non voleva star a sentire le sue spiegazioni. “No Eivor. Non hai scuse. Quante volte ti ho detto di non fare di testa tua?” Il mezzo demone non rispose, infastidito dalle parole della madre spiegò le sue grandi ali nere.

“Eivor, dove stai andando. Eivor non ti azzardare a volare via.” Ignorando quelle parole, il giovane si alzò in volo, indirizzando volontariamente una leggera folata di vento verso le due figure che gli stavano di fronte. Quando lo spostamento d’aria terminò, Eivor era già parecchi metri sopra le loro teste. Kagome gli urlò di tornare indietro, ma oramai il mezzo demone corvo era troppo lontano per udire quelle parole.

Su tutte le furie, la donna tornò dentro l’abitazione, seguita a ruota da Eitan. “Kagome, lascialo stare. Sai che vuole tanto aiutarci, sei troppo severa con lui.” La donna sospirò e, voltandosi verso il suo compagno, ammise le sue preoccupazioni. “So che è capace, ma deve capire che non può fare come vuole. Se avesse beccato una ronda notturna? Se lo avessero visto portare qua Inuyasha? Hai visto com’è entrato nel panico l’altro giorno. É tornato a casa tutto agitato e con le piume rizzate solo perché un militare aveva intuito il luogo dove si nascondeva.” Kagome si passò stancamente una mano sul volto. Eivor aveva un grande cuore. Voleva davvero aiutare tutti coloro che si trovavano nella sua stessa situazione, aveva deciso di creare questo rifugio proprio per il suo volere. Non poteva permettere che per una scelta non ponderata accadesse qualcosa a lui o al rifugio. Eivor doveva capire che non poteva salvare tutti.
“Hai ragione, scusami.” Dopo aver annuito alle parole di Eitan, Kagome ritornò sulla sua strada.
“Dove vai ora?”
“Vado a parlare con Inuyasha. Sai, non penso sia stato tanto carino apprendere che chi ha provato a salvarti ti ha procurato quelle belle ferite volontariamente.”

Quando Kagome entrò nella camera che aveva affidato a Inuyasha, lo trovò seduto vicino la finestra, intento a guardare il giardino sottostante con sguardo pensieroso. Si avvicinò a lui con passo regolato, colpevole di avergli nascosto le reali dinamiche del suo salvataggio. “Ti devo delle scuse” disse la donna, fermandosi a pochi passi dal suo interlocutore.

Percepita la presenza di Kagome, Inuyasha distolse lo sguardo dal giardino per guardarla prima di proferire parola. “Non devi scusarti. Mi hai nascosto la verità per paura che perdessi nuovamente il controllo, lo capisco. La nostra prima interazione non è stata fra le più tranquille.”
Era consapevole che la sua reazione a quella scoperta era stata piuttosto istintiva, ma era certo che non avrebbe perso il controllo per una cosa del genere. Ovviamente Kagome non poteva certo saperlo, solo poche ore prima era stata costretta a somministrargli del tranquillante per evitare che il suo sangue demoniaco lo dominasse.

Piuttosto avrebbe dovuto ringraziare quel ragazzino. Effettivamente, Eivor gli aveva salvato la vita mettendo a rischio la propria. Volare trasportandolo con sé avrebbe potuto attirare l’attenzione di qualche gruppo di ronda, eppure il mezzo demone aveva deciso di rischiare. “Ammiro il coraggio di quel ragazzo. Avrebbe potuto lasciarmi lì a marcire.” confessò con rimorso Inuyasha. Quell’esperienza gli aveva ricordato quanto fosse stato codardo in passato.

“É solo uno sciocco ragazzino che vorrebbe salvare tutti.” Kagome pronunciò quelle parole con voce stanca.
“Perché dovrebbe essere sciocco? Temi possa mettere a rischio questo luogo?” Inuyasha osservò Kagome stropicciandosi il volto, prima di sedersi sul bordo del letto. Sembrava che la donna autoritaria e sicura di sé che in quei giorni gli aveva impedito di fare pazzie fosse sparita nel nulla. L’ombreggiatura scura sotto i suoi occhi indicava quando effettivamente riposasse poco quella donna, quanta responsabilità gravasse sulle sue deboli spalle.

“Il punto non è questo. Eivor deve capire quando è il caso di agire e quando è meglio lasciar perdere. Mi dispiace dirti queste cose, ma è la realtà dei fatti. Alle volte per salvare una manciata di persone, è il caso non soccorrerne la metà.”
Quelle parole, dette con sincerità, lo aiutarono a comprendere lo stato d’animo di Kagome. Anche lei aveva delle morti sulla coscienza, così come lui, così come quel generale che ha ammazzato il signor Bayer ma che protegge questo rifugio nascosto fra le montagne. “Un po’ come quel demone lupo.” Nonostante tutto, non riuscì a trattenere il tono sprezzante.

“Ho provato a spiegartelo l’altro giorno. Koga non odia la tua gente, adora Eivor come se fosse suo figlio. Vuole soltanto poterci tenere al sicuro, quindi non giudicarlo per il modo in cui ha deciso di agire.”
Dopo qualche attimo di silenzio, Kagome si issò in piedi e, dopo essersi lisciata la gonna, si avvicinò nuovamente ad Inuyasha poggiando una mano sulla sua spalla. “Fra due giorni partirà una spedizione per l’America. Grazie alla soffiata di Koga e una serie di accordi che abbiamo, possiamo far fuggire tutti coloro che sono in grado di muoversi. Va con loro, approfitta di questa opportunità, è la via più sicura che posso offrirti.” Detto ciò, Kagome si ritirò, lasciando che Inuyasha riflettesse su quella proposta.

Quella notte
Tutto al rifugio sembrava tranquillo, un leggero chiacchiericcio si propagava dalla cucina, dove Eivor sembrava raccontare ad Eitan come avesse giocato con alcuni militari durante quei giorni. Il mezzo demone corvo sembrava molto divertito mentre descriveva le espressioni allibite di due demoni dal naso fine che non riuscivano a non capacitarsi come fosse possibile che le sue piume non emanassero alcun odore. Effettivamente questo particolare risultava parecchio interessante.
Eivor, nonostante fosse un mezzo demone, sembrava non emanare il tipico odore di sangue misto. Perfino ad un essere dal naso fine come Inuyasha risultava difficile riuscire ad identificarlo. Era un'abilità piuttosto particolare, che suscitò la curiosità del mezzo demone cane.

Fu proprio per soddisfare quest’ultima che Inuyasha iniziò ad annusare profondamente l’aria che lo circondava. Grazie al suo olfatto riusciva chiaramente ad identificare la posizione di ogni singolo individuo presente in quella casa, eppure, se non fosse che sentiva chiaramente la voce di Eivor provenire dalla cucina, avrebbe affermato che non fosse in casa. Non nel tutto contento del risultato ottenuto, Inuyasha chiuse gli occhi e provò a concentrarsi. Annusò ancora una volta l’aria e cercò di accantonare tutti i vari odori che lo circondavano. Improvvisamente l’odore del sangue misto ad un altro che ben conosceva attirò la sua attenzione.
Come una furia uscì dalla sua camera e corse in fondo alle scale. Aprì la porta e non riuscì a credere ai suoi occhi.
“Miroku!”

 


 

FrancyT:

Ciau personcine!
Non sono sparita, sono ancora viva quindi oggi vi beccate il mio aggiornamento.
Come ogni volta vi sorbirete la mia analisi per punti! Ma prima vorrei ringraziare chiunque legge e commenta questa storia.

Ora torniamo all'analisi:
1) Finalmente vediamo un po' di cose all'interno del campo. Nulla di eccezionale, ma quello che bastava per andar abanti con la trama 😂 Sappiamo che Bankotsu ha portato ad analizzare la boccetta rubata a Rin ma effettivamente non sappiamo ancora se è servita per gli scopi di Naraku. Nella prima parte vediamo anche un "nuovo" personaggio. Chi si aspettava che in realtà Wolf fosse un demone volpe infiltrato? In ogni caso, è riuscito a far scappare Miroku, chissà dove andrà 😂
2) Di questa seconda parte voglio commentarvi solo il mio bellissimo Eivor. Amo questo personaggio, di cui vi mostrerò anche un disegno probabilmente più avanti! Ah si, vi aspettavate che Kagome avesse già un figlio?
3) Bhe non ci è ancora dato sapere come andrà l'incontro fra Miroku e Inuyasha, però vi anticipo che nel prossimo capitolo approfondiremo la questione delle piume di Eivor ❤️

Per oggi è tutto, adesso scappo!
Aspetto un vostro commento❤️

   
 
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