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Autore: Novenoe    05/10/2023    0 recensioni
"Se quest’isola è un piccolo sogno in una piccola mattina d’estate, cosa succede al sogno quando si smette di sognarlo? Rimane sospeso e probabile e annidato nelle ombre della stanza, finché non si va a fare colazione."
James e Marlene sono solo bambini. E tutti i bambini amano rincorrere l'avventura. Soprattutto se gli adulti sono impegnati, il pomeriggio è lungo e le leggende sono a portata di mano. Ma attenzione, perché l'avventura ama prendere svolte inaspettate. Prima della guerra, prima di Hogwarts, due bambini, un lungo pomeriggio d'estate in cui nulla è impossibile, ma solo improbabile, e le preoccupazioni degli adulti sono ancora solo ombre chiuse nei cassetti.
[Questa fanfiction partecipa all'iniziativa "Pieno di ricordi", indetta dalla pagina Facebook L'Angolo di Madama Rosmerta. Il pacchetto che ho scelto, Tokio, prevedeva una kidfic che facesse riferimento a un ricordo, una ricorrenza, un anniversario o una prima volta.]
I personaggi appartengono a J.K.Rowling, questa fanfiction non è stata scritta o pubblicata a scopo di lucro.
Genere: Avventura, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Charlus Potter, James Potter, Lily Evans, Marlene McKinnon
Note: Kidfic, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Stuff as dream are made of…

“We are such stuff as dreams are made of, and our little life is rounded with a sleep.”

William Shakespeare, La Tempesta

I romanzi di avventura non mentono mai. I romanzi di avventura sanno che per ogni principessa c’è un drago e per ogni pirata c’è una nave, i romanzi di avventura sanno che ogni X su una mappa aspetta solo di essere cercata e mai trovata, i romanzi di avventura sanno che la vera avventura è tornare a casa e avere una storia da raccontare davanti a una tazza di tè e biscotti ancora caldi. I romanzi di avventura non mentono, mai.
Però magari ogni tanto sbagliano,
penso in un penosissimo sospiro, l’undicentesimo, che appanna le finestre cancellate dalla nebbiolina tenue, scorre sulle righe della pagina che continuo a rileggere, e precipita sotto la suola delle mie scarpe per poi guadagnarsi la libertà attraverso le crepe del pavimento scricchiolante.
Raggomitolato e stropicciato sul davanzale come il gatto di casa, ricomincio a leggere il paragrafo, senza cogliere niente di più che un guizzo d’inchiostro fuggitivo.

Le basi per una bella avventura c’erano tutte, quella mattina.
L’isola dipinta di salsedine, il Sole stinto dalla nebbiolina, i sentierini di campagna disegnati fino a sparire nella brughiera (ammiccando dietro l’ultima curva per invitare a seguirli), il mare schiumoso e pigro che in un romanzo come si deve avrebbe fatto da scenario a un bel naufragio.
C’era persino un vecchietto dalla barba ispida e gli occhi luccicanti che in una risata catarrosa mi aveva fatto il saluto militare mentre mi divertivo a spaventare gli albatri sul molo saltellando al seguito di zio Charlus. 
(Lo zio è il cugino di papà, ed è il mio zio preferito in assolutissimo perché, anche se passa tutto il giorno al Ministero a convincere quei musoni a fare la cosa giusta, non è un musone anche lui, ha gli occhi brillanti di un ragazzino, scuri scuri come quelli dei cerbiatti che vengono a curiosare sul portico di casa quando lascio lì le mele che mamma mi costringe a mangiare ogni giorno a pranzo). 
Zio Charlus, la riga corvina mai spettinata dal vento, aveva ammiccato dietro gli occhiali di corno, guardandosi attorno come un turista svagato (ma vestito meglio di qualsiasi altro turista): Oggi avrò un po’di lavoro da fare, d’accordo? Ma domani, potremmo andare a vedere quella famosa Fortezza delle Ombre, la nebbia si solleva dai picchi solo in questo periodo dell’anno. La piccola Marlene sarà felice di vederti, chiede di te tutte le volte che mi vede. Ricordati le mie raccomandazioni: sbucciati le ginocchia, rimpinzati di gelato alla ciocconocciola e arrampicati su tutti gli alberi, d’accordo? 
E spettinandomi i capelli avevo ammiccato dietro gli occhiali storti, la maglietta gonfiata dal vento come una vela: Te l’ho mai detto che sei il mio zio preferito, vero? 

“Così provochi una mareggiata, Jamie!” in un balzo furtivo da pirata, Marlene piomba sul davanzale in uno sbuffo di sabbia e polvere, i lunghi capelli chiari da sirena, fruscio di risacca “Sei arrivato al punto in cui il Capitano N…” 
Le tappo la bocca con la mano, il guizzo divertito dei suoi occhi azzurri, ha la risposta incoccata nell’arco delle sopracciglia. 
“Non me lo dire! Non l’ho mai letto!” protesto, e probabilmente ho l’espressione da coniglietto furibondo perché sento la sua risata tra le dita “Non puoi dire a qualcuno come finisce una storia. Altrimenti la storia finisce. E se la storia finisce…A me non piacciono i finali!” 

Una candela illumina il Tempo, segna le rughe sul viso di mio padre (i papà degli altri bambini non hanno rughe, il mio papà è carta stropicciata, il mio papà è sabbia che scorre piano piano), la candela illumina il Tempo e vorrei che il Tempo scorresse piano piano, è sera e non ho mai voglia di dormire, costruisco una tenda indiana con il lenzuolo e ci accampiamo dentro, per non farci scovare dalla mamma e dal ticchettio della sveglia di domani, ma mamma lo sa, e la sveglia non ticchetta, scappa dal comodino ondeggiando buffa.
La candela nella tenda illumina il Tempo, il poster dei Cannoni di Chudley, la mia collezione di manga e l’enciclopedia di Trasfigurazione impilati alla rinfusa, il modellino di Camelot. La candela illumina le rughe sul viso di mio padre. Abbiamo lo stesso naso lungo, i gomiti e le ginocchia appuntite, i capelli ordinati di papà sono ancora ricci, ma sottili sottili e già slavati, li studio incuriosito e mi chiedo se anche io quando sarò vecchio come lui avrò i capelli di zucchero filato. La candela illumina le pagine di un libro che sembra più antico del Tempo, tutti i bambini hanno una copia di quel libro, ma la nostra copia è di pergamena sottile scritta a mano, un saluto attraverso i secoli.
Non è tardi, non devi ancora andartene, non sento nemmeno l’orologio. Resta. Il mio sorriso largo, a cui mancano gli incisivi. Resta con me un altro po’.
Il sorriso pacato di papà, reprime uno sbadiglio: Fino alla fine di questa storia. Ma poi, a dormire. Qual è il tuo preferito, tra i tre?
Tutto fiero per aver preso tempo, faccio finta di pensarci su: Mhhh… Il primo finisce male… il secondo pure… il terzo. Il terzo mi piace. Se deve esserci un finale per forza, quello è il più bello. Non mi piacciono i finali bui e tristi, ma con una vecchissimissima amica accanto credo che sarebbe davvero bello, non sarebbe come essere tutti soli, sarebbe un’avventura.

Marlene sposta la mia mano dalle sue offesissime labbra, anche se è estate indossa una giacca blu da bucaniere di tre taglie più grande (l’ha sgraffignata a un marinaio di passaggio al pub del porto e progetta di crescerci dentro), con la punta del dito che sporge dalla manica indica l’altro lato del salone, l’accento scozzese marcato dalla frustrazione del capitano appiedato: “Avrai tutto il tempo del mondo per finirlo. Quelli parlano, parlano, e noi facciamo la muffa!”
Attorno al grande tavolo di legno sbilenco gli adulti prendono il tè in un servizio di porcellana scompagnata, non sembra lavoro, ma il signor McKinnon è serio e concentrato (come papà quando rivede i bilanci) mentre ascolta l’altro signore del Ministero, quello alto dai capelli rossi e l’aria da buon principe valoroso: “Nessuno chiede una liberalizzazione delle Arti Oscure. Su questo siamo tutti d’accordo. Non possiamo lasciare che chiunque metta mano in questioni così pericolose e delicate. La Magia Oscura richiede un livello di conoscenza e consapevolezza che non tutti possiedono. Quello che chiedono è di lasciar svolgere i loro studi a chi ha già dimostrato…” 
“E tu credi che quelli verrebbero a render conto dei loro progressi accademici come bravi bambini a Hogwarts? Lo sai meglio di me, i Maghi Oscuri amano che la loro professione resti un mistero per i non addetti ai lavori, credi forse che si farebbero controllare da noi del Ministero? Non lo accetterebbero mai.” gli occhi color mare del signor McKinnon prendono una sfumatura temporalesca, sotto il cipiglio ironico “E poi non tutti i maghi oscuri impiegano le Arti Oscure a fini accademici. Dovremmo forse scegliere caso per caso? È la legge, e la legge è universale. O tutti o nessuno.”
Il signore dai capelli rosso tramonto si infiamma tutto, un re che si preoccupa per il suo regno nei Tempi Bui: “Sono il Direttore dell’Ufficio d’Applicazione della Legge Magica, so cos’è, la legge. La legge non è uno sterile regolamento. È spirito. Ho sempre creduto che quando due parti sono disposte a scendere a compromessi, sia già una mezza vittoria. Il mio lavoro è tenere in bilico la bilancia.”
Il signor McKinnon sventola la mano con aria bonaria, come chi ha sentito un amico parlare della stessa cosa per la centesima volta di seguito: “Certo, certo, Prewett. Il Grande Moderatore. L’artefice della distensione tra il Ministero e Le Sacre Famiglie.” E poi l’azzurro dei suoi occhi diventa un po’triste e meno giovane, anche se l’ombra che sembra guardare appartiene al futuro, un’ombra di quelle che i grandi ripiegano nei cassetti per nasconderle ai bambini “Questo funzionava alla fine della guerra, vent’ anni fa. Il mondo è cambiato, amico mio, noi siamo invecchiati…” 
Zio Charlus si sistema i capelli, appena spolverati di grigio: “Adesso diventi sentimentale? Appunto, i tempi cambiano, e siamo fortunati ad avere tre, quattro, scusa Lu, quattro cervelli ragionevoli seduti allo stesso tavolo.” sorride alla moglie del Direttore, una signora simpatica dal visetto paffuto e gli occhioni castani. Vestita di tartan rosso, e in quel salotto tutto pietra grezza, legno scuro e tende azzurre, assomiglia a una fiammella in fondo al mare.
Lei sfodera un sorriso dolce mentre culla la sorellina più piccola di Marlene, che le disegna una stellina sul viso costellato di lentiggini.
“Pensa alle posizioni di Barthemius, ecco, quella è cattiva politica.” continua lo zio mentre alle sue spalle una nave dipinta continua a navigare di quadro in quadro “Non si costruisce una casa senza fondamenta.” 
Il signor McKinnon incrocia le braccia, dietro di lui la nave sfuma dietro una mareggiata d’acquerello, non riesco a capire se è una nave della Reale Marina o dei pirati: “Lui ti direbbe che le fondamenta sono marce e che bisognerebbe ricostruirle da capo.” 
Zio Charlus si toglie gli occhiali, l’asticella di corno tra le labbra assorte: “E questo, che ci piaccia o no, la sbilancerebbe eccome, la bilancia. Il Ministero ha il dovere di rappresentanza dell’intera popolazione, e se una parte di essa non si riconosce in esso…” 
Marlene, seduta accanto a me, sfoglia il libro abbandonato, i pensieri che mulinano più veloci dello scacciapensieri, schegge di conchiglie e luce. Dal ballatoio che circonda il salone di pietra ruvida sentiamo le gonne fruscianti di altre due ragazzine infiocchettate come alberi di Natale (Marlene ha troppe sorelle, e solo un fratello, purtroppo). 
Volete giocare? sillaba uno dei due alberelli smorfiosi mostrando un coniglio di pezza. 
Marlene solleva due dita e le fa camminare nell’aria, le due signorine si dileguano con un saluto militare.
“Il Ministero rappresenterà pure tutta la popolazione, ma voi siete un po’ di parte, amico mio.” il signor McKinnon accenna in direzione dell’uomo alto e principesco “Altrimenti perché avreste tanto a cuore queste faccende accademiche? Milady sappiamo che vostro fratello…” 
La signora dai capelli castagna e dai grandi occhioni luminosi tira il mento all’infuori, nel modo di un capitano di Quidditch, ha una grande stellina disegnata su metà del viso: “Non ha niente a che vedere con tutto questo! Così come Dorea. O vostra moglie. Non è una questione di famiglia.”
C’è una crepa nell’aria salmastra, Marlene la percepisce e chiude il libro di botto, i piedi scalzi e sottili in bilico sul davanzale, basterebbe poco per scavalcare la finestra e volar via nella brughiera, e nella crepa si incastra un pensiero di quelli che potrebbe svoltarci il pomeriggio, o forse no. Annuisco e lei si prepara a saltar via in punta di dita.
“Tutto è una questione di famiglia.” Il signor McKinnon tira fuori l’orologio dal taschino, e lo scuote per riuscire a sentire il ticchettio che si è fermato, quello ricomincia allegramente “Siete d’accordo?”
La signora continua a cullare la piccola di casa, che gioca con le piume da bimba sperduta nella sua treccia: “Io posso essere o non essere d’accordo con quello che mio fratello fa o non fa, ma i suoi studi e quelli di mia cognata sull’estrazione mnemonica post-mortem hanno fatto molto comodo al Ministero, vero?” un formidabile sopracciglio inarcato, e il rotolante accento di un’altra parte di Scozia, questa signora simpatica ora sembra più grande, come sembra più grande Marlene quando fa scappare i cattivi che tirano le trecce alle sue sorelline “E inoltre… mio fratello non ha mai strappato l’anima a nessuno in nessun modo, mentre mi pare che ad Azkaban non sia mai stato un problema, giusto?” 
Per un attimo il silenzio è pesante, fruscio di tende leggere e di mare, mi dico che vorrei essere altrove, tra i prati soleggiati e la nebbia, mi dico che anche i grandi giocano a fare i bambini sperduti e i pirati, anche se è difficile sapere chi sono i pirati. I grandi lo sanno chi sono, i pirati? 
E Marlene mi tira per la manica stropicciata, e so che lei è davvero un pirata, e su questo si può sempre contare.
Il signor McKinnon annuisce, dopotutto anche se è un adulto, ogni tanto sembra saggio quasi come un bambino: “Un punto per voi, milady. Giustizia pietosa, non giustizia crudele.”
La signora ritrova la sua espressione dolce, e una piccola ombra di malinconia all’angolo delle labbra: “È l’unica giustizia umana. E abbiamo bisogno di restare umani. Abbiamo bisogno di un’anima.” la piccola McKinnon scoppia in una risatina spumeggiante mentre disegna un’altra stellina sul viso della signora, che le parla con la vocetta che i grandi usano sempre per i bambini piccoli, chissà se ha dei bambini anche lei e se sono simpatici “Oh, scusa passerotto, sei bravissima.” 
“Papà, papà!” Marlene salta su, le mani giunte e il bel sorriso fra le lentiggini leggere “Possiamo andare da Mary? La strada è dritta, e devo far vedere a James la Coperta delle Fate dei McDonald. E Mary ha avuto un nuovo pony, e voleva farmi vedere quanto è diventata abile! Faremo i bravi!”
Zio Charlus e il signor McKinnon alzano gli occhi al candelabro di ottone allo stesso tempo, e mi dico che Jim Hawkins mica ha dovuto chiedere il permesso alla mamma per andare a cercare l’Isola del Tesoro, è poco dignitoso.
“NON DA SOLI!” esclama la signora spalancando gli occhioni e saltando su dalla sedia con la piccola stretta in braccio “Li fate andare davvero da soli?”
Il marito prende la bambina tra le braccia e posa un bacio sorridente sulla fronte della moglie: “La mia ragazza dagli occhi caleidoscopici… Qui non è come a Londra o a Edimburgo. Sono al sicuro. È proprio uno di quei posti a misura di ragazzino come quelli che si sognano da piccoli.”
Se quest’isola è un piccolo sogno in una piccola mattina d’estate, cosa succede al sogno quando si smette di sognarlo? Rimane sospeso e probabile e annidato nelle ombre della stanza, finché non si va a fare colazione. Un sogno improbabile, senza scendere mai a colazione.
“La conosco bene, l’isola, ma se lei ha paura, può accompagnarci!” le concede Marlene attraversando il salone a passi dignitosi “Siete mai stata nella brughiera? C’è da scarpinare!”
“Quindi potremmo andare soli, non si scomodi, ha fatto un viaggio lungo” mani dietro la schiena, rincaro la dose, sperando che preferisca stare a intrecciare reti da pesca sotto il portico ombroso, oppure a giocare con gli alberelli infiocchettati umani. 
La signora, in un gesto molto poco da nobildonna, solleva l’orlo della gonna per scoprire un paio di stivaletti comodi, e infrangere le mie speranze: “Spedizione paleontologica sui Monti Grampiani, mille novecento sessantatré, credo di poter scarpinare per qualche collinetta! Hanno mai ritrovato scheletri di draghi da queste parti?” aggiunge molto speranzosa “Anche una piccola viverna?” 
Mi chiedo se questa sia il tipo di strega che fa incantesimi cattivi, ma riconosco la stessa passione di papà per i francobolli.
Marlene si illumina tutta, come una stella marina: “No, ma abbiamo i mostri marini, e le ammoniti. E nella baia c’è una famiglia di kraken, con un piccolo…” forse anche lei sta pensando quello che penso io, perché esita davvero per un momento, guancia tra i denti, libro stretto in braccio “Voi non fate male ai kraken, vero?” 
La signora le accarezza i capelli color foglia d’autunno con una mano paffutella: “No, piccola, no. È un bel libro, quello?” 
Marlene lo solleva come un tesoro dalle pagine spiegazzate e la copertina smangiucchiata dalla salsedine: “Ventimila leghe sotto i mari. Lo avete letto, signora?” 
Lei inforca la porta e sorride con un sorriso di chi la sa davvero lunga, le andiamo al seguito come spiritelli saltellanti, salutando gli altri con un cenno distratto.
“Molte volte, alla vostra età. Il mio preferito era Viaggio al centro della Terra, però. A Edimburgo passavamo pomeriggi estivi molto lenti, i nostri genitori erano sempre impegnati, e non potevamo andare spesso dai nostri cugini a Londra, con i bombardamenti babbani…” la signora ci fa strada attraverso il giardino di erica e sabbia, vediamo mamma McKinnon passeggiare su una duna, il vento le sgualcisce la gonna sul pancione, e Marlene la saluta con la solita parodia di riverenza marinaresca “Se non ci era concesso di uscire, allora dovevamo andar via in un modo diverso. A mio fratello non piace leggere ad alta voce, però per me lo faceva, e io disegnavo i personaggi. E quando finivamo le storie, io le scrivevo e lui le rilegava. Chissà se le ha conservate…” 
Questa rischia di essere una storia troppo lunga per un pomeriggio troppo corto (le storie del genere di mia mamma riguardano sempre zie noiose e nonni eccentrici) e quindi taglio corto, per sapere cose più interessanti: “Fa cose pericolose, vostro fratello?” 
La signora reprime un sorrisetto divertito, come di chi condivide uno scherzo spassoso: “Ma certo che sì. È un libraio.”
“Un libraio?” la delusione nella mia voce, di sicuro questa signora ci prende in giro.
“Più o meno. Oh, laddie.” Continua lei, mentre inforchiamo il sentierino fra le dune e Marlene inizia a correre avanti, i capelli d’autunno agitati dal vento salato “Quando crescerai capirai che anche i tuoi romanzi possono essere pericolosi. Le storie sono potenti, ragazzino. Soprattutto se ci credi abbastanza per renderle vere. Quindi, cerca di credere sempre nelle storie impossibili.”
Sei cose impossibili prima di colazione, e magari anche dopo, e perché no? 
Mi lancio giù per il sentiero, la polvere a macchiare scarpe e il fondo dei pantaloni, nella baia in un tentacolo pigro attorcigliato a un relitto ci saluta prima di sparire negli abissi, il faro ammicca nella nebbiolina soleggiata, e se c’è un’avventura è solo alla prossima curva della strada. Raggiungo Marlene, mentre la signora si affretta a seguirci sollevando la gonna voluminosa, la lasciamo indietro, mentre le ombre del futuro e dei discorsi degli adulti sfumano nei nostri pensieri, è estate, e non ci sono cose impossibili, solo improbabili. 

Arrampicata sulla scogliera c’è una villa incrostata d’edera, e arrampicato al cancello c’è un campanello arrugginito. Marlene ci si aggrappa e lo fa suonare con lo stridio delle catene di un fantasma.
“Potete lasciarci qui!” incalzo all’indirizzo della signora, sperando che colga il suggerimento, e intanto mi diverto a colpire il campanello con i sassolini, per l’irritazione dei gabbiani poggiati sul muretto. 
La signora si siede sulla radice sporgente di un melo, con un gesto da passerotto: “Non finché non siete dentro, voi due. Raccontami la storia di questa Coperta delle Fate, mentre aspettiamo.”
Questa interessa anche a me, anche se spero non sia una storia romantica da ragazzine sdolcinate. Marlene, portamento da capitano e mani dietro la schiena, inizia a raccontare: “Si dice che un antenato dei McDonald avesse sposato una regina delle fate. Una fata come la Regina Titania, non come quelle sciocchine che mettiamo sugli alberi di Natale, sono due esseri completamente diversi, anche se gli chiamiamo con lo stesso nome.” il cipiglio irritato da catalogatrice di conchiglie “La regina e il nobile si amavano molto, anche se appartenevano a due mondi diversi. Furono molto felici ed ebbero un bambino. Ma la fata non apparteneva al mondo dei mortali, e non poteva viverci per molto. Prima di tornare con il suo popolo, il suo ultimo regalo per il figlio fu una coperta magica. I McDonald dicono che se avessero bisogno di aiuto nel loro momento peggiore, il popolo delle fate tornerebbe ad aiutarli, guidato dalla loro fata regina-nonna. Non so se è una storia vera, ma grazie a questa i McDonald non sono stati disturbati in nessuna guerra fra clan fino ad oggi.” 
Questa è una storia che piacerebbe a papà, con una coperta che assomiglia a quel suo mantello sottile come un’ombra e decorato come la rugiada del mattino.

Fai attenzione, con questo mantello, ti terrà al caldo e al sicuro nelle tue scorribande, ma non è nostro, prenditene cura e conservalo per i tuoi bambini, un giorno lo restituiremo alla sua proprietaria.
Chi è, papà? 
Una vecchia amica! 
Ma per il momento questo mantello lo tengo IO. E quando incontrerò quella signora, sarà fiera di come l’ho conservato bene. E le racconterò tutte le avventure che ho avuto nel frattempo… A proposito, non aprire il cassetto della scrivania, potrebbe o non potrebbe esserci una rana dentro!

La signora ascolta assorta, il mento tra le dita paffute: “Non dovrebbero raccontare questa storia a tutti, soprattutto di questi tempi.” E quell’ombra chiusa nel cassetto degli adulti le offusca gli occhioni castani per un momento “Ma è molto bella. Forse c’è un fondo di verità, come in tutte le storie. L’amore dei genitori ci protegge anche quando non ci sono più…”
Come un mantello, come una storia o un incantesimo penso, in un velo di nostalgia e un brandello di paura per qualcosa che non è ancora successo, mentre l’ennesimo sassolino abbatte la teiera portata dall’adunco, impassibile elfo maggiordomo che è venuto ad aprire il cancello munito di kilt e servizio da tè.
“Era un buon lancio?” chiedo, dando troppa attenzione ai rami di melo sopra la mia testa. “Abbastanza per il Pride of Portee, signorino.” risponde l’elfo, tono basso e grave da pendolo, aggiusta la teiera in un gesto delle mani ossute mentre la zuccheriera, come tutte le zuccheriere, si dà alla fuga verso l’ignoto “Devo annunciare voi signorini a madamigella McDonald?”
“Si, grazie, Jenkins. Bel kilt, comunque.” Mi affretto ad aggiungere, acchiappando la zuccheriera prima che decida di suicidarsi buttandosi da un sasso coperto di muschio, ho dei riflessi niente male. Jenkins con un buffo mezzo inchino ci tiene il cancello aperto, posa l’interrogativo sguardo verde bosco sulla signora che ha tanto insistito per accompagnarci: “Devo annunciare anche voi, madama?”
La signora si raddrizza con fare meno impacciato, e mi dico che anche se è molto gentile, deve essere abituata a dare ordini: “Non sarà necessario, sono qui solo per accertarmi che loro arrivassero sani e salvi, non sta bene andare da soli di questi tempi. Per il loro rientro, se ne occuperà Charlus Potter o il signor McKinnon, tuttavia, sarebbe gentile da parte vostra porgere a Lady McDonald i miei ossequi. Grazie mille.” dalle profondità della borsetta di tappeto tira fuori un bigliettino da visita e lo porge a Jenkins che accenna una reverenza molto profonda.
Poi la signora si china su di noi e ci stringe la mano come farebbe con degli adulti, sempre con quel suo scherzo all’angolo delle labbra: “È stato bello fare la vostra conoscenza, io e mio marito dovremo partire per Edimburgo stasera stessa, se passerete da noi un giorno o l’altro vi mostrerò la mia collezione di fossili e ammoniti e i miei dipinti.” a Marlene luccicano gli occhi, sta imparando a disegnare ad acquerello, e i suoi paesaggi marini adesso sembrano più simili al mare in tempesta che a macchie d’inchiostro, fa progressi velocemente “Mi ricordate tanto i miei nipotini, sapete?”
Chissà se sono simpatici? Decido che la signora ci sta facendo un complimento.
“Grazie, per tutto.” Marlene mi spinge dentro con un po’ troppa fretta, e con la coda dell’occhio colgo la signora che s’inoltra attraverso il bosco, una macchiolina rossa, e mi ricordo una favola babbana, ma la signora è una strega e le streghe sono sempre al sicuro, nelle fiabe “E fate attenzione a non perdervi, non conoscete i percorsi.”
Il maggiordomo elfo ci guida tra i sentieri fioriti di cardi, e riconosco subito le tende rosa confetto della stanza di Mary, così accese sulla facciata scura, intanto Marlene continua a spingermi sempre un po’più fuori dal sentiero, e quella crepa nel pomeriggio, e quell’avventura promessa sono solo a un passo: “Signor Jenkins, porga anche i nostri saluti a Mary, e le dica che un esperto in mantelli come me avrebbe senz’altro apprezzato la sua trapunta fatata…”
In un balzo da cervi siamo fuori dal sentiero, fra i cardi e le querce, e Marlene, il ghigno da pirata sul viso stellato di lentiggini, fa strada fino a una porticina nascosta nel muro, e la libertà e le scogliere, e i relitti, e i pirati, e i vichinghi, e tutta l’avventura che quest’isola di nebbia ci ha promesso.

“Cos’è questa Fortezza delle Ombre?” chiedo con un ghigno da folletto, seguendo Marlene che si inerpica veloce attraverso un intreccio di radici scure e tentacolari, un marinaio tra le sartie. Abbiamo bisogno di una meta, anche se già vagare a vuoto sembra come arrivare da qualche parte. Il Sole è tenue e sonnolento tra i rami, e il mondo è ancora una mappa da studiare tutta per noi, bastava davvero poco, per essere altrove, re e regine di uno spazio infinito senza brutti sogni. I brutti sogni sono solo draghi che si dissolvono al mattino, ora. 
Marlene mi guida fuori dall’intreccio, uno spiritello dell’aria, e brandisce un rametto come una spada: “Questa è una storia che a te piace di sicuro, non c’è nessuna fata romantica! La Fortezza delle Ombre è il luogo mitico dove la regina-strega guerriera Scáthach addestrava i migliori guerrieri gaelici contro le forze dei britanni invasori.”
Incrocio le braccia, offeso solo per gioco, i rametti fra i capelli: “Io SONO un britanno invasore, McKinnon! Non sarei abbastanza per questa super-favolosa regina guerriera?”
E la mia immaginazione è già partita, mi immagino eroe vittorioso, nonostante la diffidenza iniziale dei compagni gaelici, di cui guadagno l’ammirazione stupendoli con le mie favolose doti guerriere, immagino la regina che mi fa cavaliere con una pacca di spada sulle spalle (o di lancia), immagino di combattere per chi non può combattere da solo e i cattivi che scappano alla mia sola vista, immagino le folle adoranti e una bella damigella… e a questo punto non immagino più niente perché Marlene mi schiocca le dita in faccia e sventola la mano davanti al mio viso, spocchiosa come le sue sorelline: “Forse saresti abbastanza, si dice che la regina sia immortale e abiti ancora la sua fortezza, magari glielo chiediamo, mh? Solo i più audaci e valorosi l’hanno trovata.”
Il pensiero s’impiglia nei suoi occhi e anche nei miei, e tutte le premesse per una bella avventura ci cascano addosso: “E noi siamo audaci e valorosi, ma bonnie lassie. Com’è l’accento?” 
Marlene mi passa il bastoncino e lo impugno, una spada immaginaria.
“Rozzo. Provinciale. E parli col naso.”

Non siamo mai arrivati alla Fortezza delle Ombre.
Il pomeriggio scorre piano, sabbia nella clessidra. Vediamo un piccolo cimitero di pescatori, lapidi di legno e ancore a decorarle. Accanto a una di queste c’è una ragazza china con un mazzo di gigli e denti di leone in mano. È giovane e pallida, dai capelli rosso sangue e gli occhi verdi, verdi e infinitamente austeri e gentili, porta un mantello leggero come un’ombra, decorato come la rugiada del mattino, ci saluta, un sorriso ossuto, e vorrei fermarmi a fare quattro chiacchiere con lei, ma c’è da vivere quest’avventura, prima.
Ogni tanto incrociamo una chiesa abbandonata, ormai rovine e pietra.
Una di queste ha ancora un nocciolo fiorito nel piccolo cimitero, i rami dipingono il cielo.
“Fermati qui, un momento.” dico a Marlene mentre oltrepassiamo il muretto facendoci strada tra le tombe sbilenche, l’assenza di qualcosa ha catturato la mia attenzione “Non ci sono i nomi sulle lapidi… è un Campo del Vasaio.”
Ce n’è uno anche al Cimitero di Godric’s Hollow, mamma mi ci porta a spolverare le tombe e a piantare i fiori, le cose piccole, tristi e abbandonate sono quelle che hanno più bisogno di cura, e le più difficili da amare. Le persone non ci vanno perché hanno paura, e invece se si passa un po’ di tempo fra quelle pietre scolorite, è un bel posto, gli spiriti si svegliano e raccontano le loro storie, e più che un cimitero, sembra un ritrovo di amici che non si vedono da tempo. Risate e saluti attraverso un velo. 
E anche questo cimitero sembra triste e abbandonato, poco amato.
“Cos’è un campo del Vasaio, Potter?” Marlene spolvera le foglioline cadute da una lapide e ci si siede sopra, con la sua giacca blu assomiglia a una polena.
Con il rametto sposto le foglie cadute, e quelle schizzano ovunque, non c’è niente che abbia tanto senso dell’umorismo quanto una foglia caduta: “È il posto dove seppellivano le streghe annegate o mandate al rogo, i ladri, gli impiccati…e cose così. Non avevano il diritto a stare con gli altri, e nessuno si prende cura delle loro tombe. Invece dovrebbero… Nessuno va dimenticato così. Qui poi, sembra tutto abbandonato.”
Marlene rifila una pacca affettuosa alla tomba sotto di lei, e poi sfodera le sue conoscenze specifiche in Assedi e Saccheggi, vol.1: “I vichinghi, mio caro. Depredavano i monasteri sulle coste come questo.” Scuote la frangetta bionda “Qui ci sono un sacco di famiglie che discendono da loro. Anche noi! Per questo papà dice che ho l’acqua salata nelle vene e sono un pirata! Anche se lui lo dice un po’esasperato.” 
“Le tue sorelline ti fanno fare sempre la sirena, e secondo me ti viene bene” ridacchio per il gusto di punzecchiarla.
Per tutta risposta, lei mi strappa di mano il rametto: “Non voglio giocare alla sirena! Tu puoi fare il contadino che si difende dai vichinghi! Io farò la vichinga!”
“NON SONO UN CONTADINO! SONO IL GUERRIERO INTREPIDO!” stacco un ramo dal nocciolo e parto all’assalto in una risata “Ma voi siete una damigella e non è cavalleresco sfidarvi!”
La bacchettata che mi fa cadere gli occhiali mi convince che in questo caso le regole della cavalleria non valgono.
“Voi siete un codardo, messere!”
“Fammi prendere gli occhiali, prima! Non vedo niente!”
“Scusa! Sotto quel sasso! Pronto?”
Lottiamo per gioco, in assalti, finte e parate, e questo cimitero non deve aver visto tante risate e confusione da quando il campanaro decideva di farsi un boccale di troppo. E la guerra è solo un gioco, è tutto ancora un gioco. E le ombre degli adulti sono chiuse in un cassetto.
E poi, giochiamo troppo e il gioco diventa troppo vero, uno sgambetto, e l’onda marina della risata di Marlene si infrange in uno strillo.
“TI PRENDO, TI PRENDO!!” il suo polso sottile che mi sfugge tra le dita, ho i riflessi buoni ma non abbastanza, non abbastanza per fermare la caduta. Le foglie secche che ricoprivano la fossa ora volteggiano verso il fondo, potrebbe essere profonda fino al centro della Terra.
Sicuramente cade fino al centro della Terra, ed è tutta colpa mia.
È il tramonto, e un lieve ticchettio nel mio cervello mi dice che forse saremmo dovuti restare a casa. O andare da Mary a studiare piumini fatati.
Sul fondo buio della buca, i chiari capelli sparsi, Marlene sembra una stellina acciaccata caduta dal cielo.
Ho paura che si sia fatta male di brutto (la magia accidentale non funziona mai quando serve), ma lei sbuffa via capelli, polvere e terra smorta in mugugno combattivo: “E così, Potter, sei diventato un pirata!”
“Non ancora!” sorrido piano per scacciare la mia paura e la sua, steso sul fianco della buca, cerco di raggiungerne il fondo cupo con un ramo più robusto “Ce la fai ad arrampicarti? Io cerco di tirarti su!” 
Marlene si tira su in un guizzo ostinato, il giaccone infangato e le ginocchia graffiate, cerca di stare nell’angolino di luce non ancora inabissato nel tramonto, e affetta il ramo per come può, e per quanto mi senta strappato come una marionetta dai fili troppo tirati, non riesco proprio a cavarla fuori di lì. Questo è uno di quei momenti in cui ci sarebbe bisogno di un eroe forte e valoroso armato di spada, e non di un ragazzino armato di un rametto patetico.
Marlene riesce solo a sfiorare la punta delle mie dita, e le sue sono fredde e sudaticce, e mi ricordo che ha paura del buio e che una fossa lugubre (abitata forse da spettri di pirati sanguinari, da spettri di feroci briganti o, peggio ancora, da spettri di professori saccenti che vogliono costringerci a studiare) non è un bel posto.
“Riesci a volare, per caso?” chiedo speranzoso, cercando di prenderla per mano.
“Non credo.” risponde lei in un sorrisetto desolato e un saltello piuttosto pesante come il silenzio e le macchie di notte attorno a noi “E lo sai, se non ci si crede non si vola. E mi fa male dappertutto. Stupida forza di gravità! Devi andare a chiamare aiuto.”
“Ma è tardi, e sta facendo buio, e se non ti ritrovo e diventi vecchia lì dentro?”
E lei mi afferra le dita così forte che quasi sento gli ossicini separarsi, i suoi occhi grandi e tristi: “Io non voglio diventare vecchia in uno stupido buco! Io voglio sapere se avrò un altro fratellino o una sorellina. E se non torno a casa, chi darà da mangiare al pesciolino rosso? E voglio andare a Hogwarts, dicono che ci sia anche una piovra nel lago!”
“Leggende da pescatori!” cerco di distrarla come mi riesce meglio, mentre in una fitta di malinconia penso che mamma McKinnon aveva preparato la torta di melassa da mangiare dopo cena “Ma sarà bello! Giocheremo a Quidditch! Io voglio fare il Cercatore! E vinceremo la coppa. E perderemo un sacco di punti, e andremo in giro ad esplorare!” 
Mamma e papà parlavano sempre delle loro giornate a scuola, di quel castello grande e maestoso, delle avventure tra le querce della foresta proibita e le serate piovose in Sala Grande, di come il tramonto illuminasse gli stendardi della torre dei Grifondoro e delle serate passate a ridere dietro boccali di Burrobirra offerti dal burbero barista amante delle caprette. Nei loro racconti sembrava un pezzo di casa, e forse se mi perderò abbastanza fra quei corridoi, troverò un loro pezzo di anima. O forse la mia. Una X su una mappa.
“Ma non farai niente di tutto questo se rimani appeso qui! Io ce la posso fare a stare al buio da sola, i capitani coraggiosi non mugugnano quando la nave affonda. E io sono coraggiosa!” la bambina più coraggiosa che conosco, ma è buio, e nessuno resta nel buio da solo “Voglio uscire da qui, e diventare grande e imparare a navigare a vela nella baia come i pescatori, e fare l’Auror come mio fratello e papà, e sposarmi e avere dei bambini…”
La guardo in un modo curioso, è strano pensare a lei come una signorina cresciuta e non come a una bambina non ancora cresciuta per il suo stesso cappotto: “Ohi, con chi?”
“Non con te!” ribatte lei arricciando le labbra spocchiose e io fingo di tirar fuori la lingua per il disgusto.
“Nemmeno io con te!” rido, e una fatina (una di quelle sciocchine degli alberi di Natale) si posa sulla punta del mio naso troppo lungo prima di prendere il volo “Non so con chi, ma… Potrebbe essere come… come mamma e papà o come la regina-fata e il nobile del tuo racconto. Non appartenevano allo stesso mondo, era impossibile che stessero insieme, ma loro ci hanno creduto abbastanza, si volevano bene ed era qualcosa di più forte di quello che gli ha separati. È molto coraggioso.”
“Ma non è una storia che finisce bene.” dice piano Marlene, per non rompere il silenzio attorno che fa quasi male alle orecchie “Lei non torna.”
“È rimasta fino alla fine della storia.” Una fogliolina caduta dal melo si impiglia nei miei capelli, non ci bado “E rimane il bene che si volevano. E quando ci sarà bisogno di lei, tornerà. Non finisce bene, ma è una bella storia. Anche se non dire a Mary che te l’ho detto! Non c’è nemmeno una spada o una roccia!”
Un gufo borbottante stride alle nostre spalle, la notte è così densa che il fruscio delle sue ali smuove il nulla, i gufi scambiano troppo spesso i miei capelli per un nido, e cerco di scacciarlo brandendo il rametto, ma non vedo oltre il mio naso.
“Jamie…” fa Marlene, pianissimo. E nonostante sia un pirata scozzese coraggioso, sfrega il naso contro la manica della giacca “Ora è davvero buio.”
“Sono qui! Guarda!” il rametto tra le dita, come se fosse una bacchetta di quella che hanno i maghi potentissimi, ma anche meglio, perché la punta si illumina di luce azzurrina e dilavata, abbastanza per scacciare il buio liquido “Ed è solo il mio primo tentativo!”
Marlene allora scoppia davvero a ridere, seduta a gambe incrociate sul fondo della fossa, i capelli le insabbiano il viso, e la risata è luce viva.
Perdiamo la misura del tempo, che diventa solo fruscii d’ali, risacca lontana e foglie scricchiolanti. Ogni tanto sembrano fruscii di fantasmi, risacca di battaglie e ossicini scricchiolanti. E ci diciamo che quando torneremo a casa il giorno dopo, e ci accoglieranno da eroi in trionfo, la nostra impresa sarà proprio degna di un racconto d’avventura, se uno di noi due avesse mai voglia di scriverlo, oppure ne potremo ricavare un bel racconto da locanda, una volta che l’avremo infiocchettato un pochino. E penso che se tutto il mondo non esiste perché sta ripiegato sul fondo di un cassetto, anche noi e queste cose che ci raccontiamo per farci coraggio siamo nascosti nelle pieghe.
Il mondo si riduce alla punta azzurrina di un rametto e una buca, una stellina sperduta in un oceano spento. Non ci sono stelle nel cielo, altrimenti potremmo contarle e indovinare i loro nomi, esprimere un desiderio o calcolare la nostra posizione. A Godric’s Hollow il cielo estivo è limpido e fiorito di stelle.
Marlene cerca piume e foglie cadute e le ammucchia, cerca di farne un vortice o un paio d’ali, per ricavare solo una pioggia autunnale. Si sente come un’ancora, lei non è fatta per volare, ma per navigare. E fischietta un motivetto nel dormiveglia, come fanno i pirati nelle notti di tempesta, e mi unisco a lei, finché quasi non riusciamo a immaginare di essere naufraghi su un’isola sperduta alla ricerca di un tesoro, quasi, perché nessuna isola dei nostri giochi è scura e fredda sul serio: “Sing me a song of a lass that is gone. Say, could that lass be I? Merry of soul, she sailed on a day. Over the sea to Skye. Billow and breeze, islands and seas. Mountains of rain and sun. All that was good, all that was fair. All that was me is gone. Give me again, all that was there…
Se ho troppo sonno, la luce vacilla e sembra di stare nelle fauci di un drago, e allora, per tenermi sveglio, penso a come potrebbe continuare il libro che ho lasciato a metà, a quanto mi piacerebbe andare a vedere le rovine del castello di Tintagel, e alla canzone sui trichechi di quel gruppo di scarafaggi che passano sempre alla radio, e che i Cannoni di Chudley non vincono mai il campionato, ma non si sa mai. A mamma e papà non penso, perché basta uno solo tra noi con il magone.

E poi forse mi addormento davvero, o forse no, perché quando sento i passi gentili venire verso di noi, è come svegliarsi dopo un lungo sonno.
Lo zio Charlus, bacchetta illuminata dietro l’orecchio e redingote immacolata senza nemmeno una macchiolina di fango, si cala nella fossa e ci sparisce dentro per quanto è alto (molto) e un po’di più, e anche in cappotto di sartoria e occhiali di corno, è più formidabile di qualsiasi valoroso cavaliere nei romanzi: “Vedo che avete preso le mie raccomandazioni alla lettera, voi due. Vieni qui, sirenetta. Ti riporto sulla terra ferma.”
Marlene si issa sulla sua spalla, pallida e inzaccherata, ma troppo curiosa per ricordarsi di avere tanta paura: “Come avete fatto a trovarci?”
Zio Charlus mi scompiglia i capelli e mi prende sotto il cappotto, non mi ero accorto di avere freddo: “Non siete certo i primi malandrini con cui ho a che fare. Quando sono venuto a prendervi dai McDonald, ovviamente non vi ho trovato. Allora ho pensato che era un diversivo niente male, e che di sicuro non avevate preso i sentieri principali. Stavo per scendere al porticciolo dei cacciatori di foche, quando mi sono ricordato che avevo promesso a questo giovanotto di portarlo alla Fortezza delle Ombre. Ho preso la strada principale, pensando di incontrarvi già sul posto” un guizzo ironico delle labbra sottili “O piuttosto, conoscendo voi terremoti, sulle rovine del posto. Per strada ho incontrato una signorina dai capelli rossi a cavallo, e lei mi ha detto che se cercavo due ragazzini smarriti, allora mi conveniva deviare verso la chiesa di Saint Maelrubha, dovreste proprio ringraziarla, se la rincontreremo. Ma guardatevi… avete l’aria di chi ne ha passate delle belle, volete raccontarmi?"
Calcio un sassolino, con un po’ troppo interesse per i lacci della mia scarpa sinistra: “Beh… Potrei forse averle fatto quasi accidentalmente lo sgambetto…” e poi mordo le labbra forte “Colpa mia.”
“PERÒ POI È STATO CON ME AL BUIO TUTTO IL TEMPO.” Marlene si dibatte in spalla allo zio, come un pesciolino nella rete, e gli storce gli occhiali per la foga “Anche se gli avevo detto di correre a casa. E mi ha fatto luce, è stato coraggioso, vero?”
Zio Charlus annuisce, serissimo e senza aggiustarsi gli occhiali: “Molto. Lo credo anche io.”
Allora sorrido, ostentando fieramente la finestrella del primo molare (la Fatina dei Denti è un altro essere completamente diverso dalle fate degli alberi di Natale e dalle fate delle leggende che vivono nel Regno oltre la crepa del Muro), e anche se non sono un prode cavaliere, o un coraggioso pirata, e ora mi sento solo un ragazzino un po’ smarrito, avrei preferito passare l’intera notte a far luce a un’amica nel buio pesto, piuttosto che correre a casa al sicuro da solo, ma tutte le cose belle sono un segreto, e perciò questo non lo dico, mi spettino un po’ così magari nascondo meglio il pensiero: “Sono troppo stanco per lasciarvi credere il contrario! Domani andiamo davvero da Mary a prendere il tè e a vedere quel famoso Plaid delle Fate, non voglio vedere una Fortezza nemmeno in cartolina.”
Lo zio, bacchetta dietro l’orecchio, e chiavi tra le dita, ci fa strada fino alla sua macchina babbana rossa ed elegante parcheggiata davanti al cancello arrugginito del cimitero, accende i fari con uno schiocco di dita, pochi ragazzini possono andare tanto fieri del proprio zio: “È una bellezza, vero? L’abbiamo comprata negli anni trenta per le scampagnate, quindi attenti quando ci salite, c’è un ombrellone e un cestino di vimini, dietro. Marlene, non fare irruzione dal finestrino, c’è la portiera.”
“Ma dal finestrino è più divertente!” ridacchia lei sgusciando dentro come un pesciolino.
La seguo (dalla portiera) e ci ricaviamo un angolino tra il cesto da pic-nic, l’ombrellone e le riviste di giardinaggio e di teatro, un paio di scarpe dal tacco a spillo della zia sono naufragate in fondo, con una collana di perle e quello che resta di una bottiglia di champagne francese molto costoso. Mia zia è bella e radiosa, dal caschetto d’oro e gli occhi grigi di pioggia e mi sorride da un’istantanea che fa da segnalibro a una copia di Sogno di una notte di Mezza Estate, indossa una corona di violette e margherite, e sembra davvero la regina delle fate (le fate quelle che vivono nel Regno oltre la crepa del Muro, non quelle degli alberi di Natale o la Fatina dei Denti).
Spingiamo tutto sul fondo e, mentre lo zio ingrana la marcia e la brughiera nebbiosa si srotola fuori dal finestrino, ci raggomitoliamo in quell’angolino che sa di cuoio, sabbia e libri ingialliti al Sole. E a ogni curva ci lasciamo alle spalle un carico d’inquietudine sempre più leggero del precedente, fino a ondeggiare di nuovo nel dormiveglia (il viso nei capelli di Marlene che russa un po’ e le gambe troppo lunghe accartocciate contro il sedile), e alla radio zio Charlus fa il pendolo fra la radio locale di musica gaelica e notiziari del Ministero (e quello che dicono i notiziari è un’ombra che si spiega in un cassetto chiuso male), e un pensiero ronzante nel retro del mio cervello mi dice che un bagno, una lavata di capo e una punizione non ce le leva nessuno, ma non ancora, e dopotutto, è parte del divertimento anche quella. Non c’è gusto a giocare ai pirati, se poi i ragazzi sperduti non li vanno a cercare, e si dovrebbe fare a turno, oggi noi siamo i bimbi sperduti, e i pirati ci vengono a cercare, domani giochiamo ai pirati, e i bambini sperduti non si fanno mai trovare. E forse tutti i pirati erano bimbi sperduti una volta, e i bimbi sperduti quando giocano ai pirati... 
Il mio pensiero si avvita su se stesso e sfuma nel buio, mentre nella nebbia si intravede il profilo slavato di un castello medievale sulla scogliera, una fortezza d’ombre, che nel sonno scompare.

Gli adulti, com’è ovvio, decisero che due ragazzini stanchi e infreddoliti andassero anche puniti, sopportammo la loro decisione stoicamente, facendo scorta di biscotti al burro e accampandoci nella camera delle sorelline di Marlene.
Essendo in punizione, le nostre bravate dovevano servire da monito e quindi temo che avessimo il dovere morale di raccontarle alle piccole McKinnon per metterle in guardia. Ci divertimmo un mucchio, e ogni volta che la raccontavamo, aggiungevamo qualcosa, e quelle bambine infiocchettate aggiungevano altre cose anche loro, e alla fine abbiamo ottenuto un racconto degno della miglior locanda (ma nessuno di noi ha mai avuto voglia di scriverlo, e lo abbiamo dimenticato), la parte preferita di Marlene è l’attacco delle sirene pirata, la mia quella delle impossibili prove della regina delle ombre. Le sue sorelline hanno insistito per avere almeno una principessa perduta e le abbiamo accontentate, a patto che avesse anche una spada.
Abbiamo anche giocato con i conigli, e non è stato così brutto, e mi ricordo che c’è una macchia a forma di coniglio sulla Luna. E forse allora i conigli diventano mannari con la Luna Piena? E le sorelline di Marlene protestano stringendo il loro pupazzo preferito, e allora mi dico che questo è un mistero per un altro giorno. E che sarebbero conigli davvero simpatici.
E visto che siamo in punizione, non possiamo andare assolutamente da Mary.
E perciò è Mary che, a cavallo del suo pony nero inchiostro e scortata da tata altolocata e maggiordomo armato di tazze di tè, viene a trovarci e ci racconta tutte le versioni della sua storia di famiglia che ricorda, e con le trecce rosse e gli stivali di vernice infangati, è una principessa delle fate quanto lo sono io.
E quando al tramonto mamma McKinnon spazza via la sabbia dai pavimenti e il primo temporale della stagione costringe tutti a riporre i costumi e a rispolverare i maglioni, io e Marlene stiamo in bilico sul davanzale di tartan azzurro, al riparo delle tende celesti, e i vasi d’erica blu alla finestra, e ci diciamo che una spedizione alla ricerca di quella fortezza la faremo l’anno prossimo, il Tempo scivola in pioggia pesante e nebbia leggera, e non siamo tristi nemmeno un po’ di starcene al riparo.
Inchiostro e pergamena, ricopio la mappa dell’isola, tracciando solo le cose importanti (gli approdi per le barche, le scorciatoie di campagna, la posizione di un cimitero medievale in cui ci promettiamo di tornare per sistemarlo a dovere, un molo su cui un vecchio marinaio dagli occhi brillanti racconta storie e dà da mangiare agli albatri, la pasticceria preferita di Mary, l’emporio del tartan, e quel negozietto di scope di seconda mano) e la mettiamo in una bottiglia da nascondere fino al prossimo anno. Il sorriso sfavillante di Marlene mentre la nasconde sotto un’asse incrostata di conchiglie nel davanzale: Ci meritiamo un romanzo d’avventura.
E fra la pioggia e la nebbia, uno sbuffo dorato, niente ha senso dell’umorismo come una foglia caduta, e qualcosa forse finisce, il signor McKinnon al piano di sotto ascolta la radio e mugugna, mamma McKinnon accarezza cauta il pancione, zio Charlus sfoglia in fretta il giornale, qualcosa finisce, ma è solo l’Estate.

Dodici anni dopo…

“L’ha lasciato per te… Non ha scritto niente… Non ne ha avuto il tempo… Ma non credo che ci sia bisogno di dire niente.”
Lily, una scatola stretta in grembo, ce l’ha consegnata Silente questa mattina, e per tutta la mattina abbiamo trattenuto le lacrime, le lacrime sanno di sale come il mare, e forse non dovremmo fermarle, perché Marlene amava il mare “Aprilo… quando te la senti. Io, credo che scriverò quella lettera a Sirius… Mi farà bene, scrivere.”
“E a lui farà bene leggere. Gli scriverai del vaso di Petunia, vero?”
“Scherzi?! Come potrei non farlo?”
Lily mi posa un bacio leggero sulla fronte, e la trattengo un momento di più, troppo poco, ma so che ha ragione, le farà bene lasciar scorrere i suoi pensieri sulla pagina, il fantasma del suo sorriso pallido, passa una mano sulla mia guancia, tracce di sale, e poi lascia il salone con un ultimo sguardo ad Harry acciambellato nel lettino, stretto stretto al suo cervo peluche preferito.
La scatola di Marlene è blu a stelle marine, c’è solo un post-it nella sua calligrafia tondeggiante, X Jamie.  E non so perché esito tanto ad aprirla, seduto al tavolo non sembra il posto giusto, lei ne riderebbe, il posto giusto sarebbe quel cimitero abbandonato in cui amavamo rifugiarci e giocare al riparo dagli adulti, ma ora siamo noi gli adulti.
Allora vado a sedermi sul tappeto, scalzo e a gambe incrociate, la schiena contro il lettino di Harry, che non dorme, ma guarda la scatola in una curiosità perplessa, e allora sorrido anche io, perché avere lui qui mi rende decisamente più coraggioso: “Che ne dici, vediamo cosa c’è?”
Harry borbotta qualcosa che può essere lo sbuffo di una caffettiera, decido che è un sì.
X Jamie, la X segna un pezzetto di anima da ritrovare, ogni amico è un pezzetto di anima, qui c'è un po' della mia e della sua. Se apro la scatola lei entrerà correndo, mani in tasca, saluto militare, la risacca della sua risata, mi scompiglierà i capelli, come si divertiva a fare, prenderà Harry in braccio (pesciolino, un giorno zia Marlene ti insegnerà a nuotare) e a passo di marcia schioccherà un bacio sulla tempia di Lily, mentre entrambe ridono e mia moglie aggiunge un P. S. alla lettera (qualcosa che fa sghignazzare quelle due e fa arrossire Sirius come una donzella vittoriana. Sei una scaricatrice di porto, McKinnon). Se apro la scatola… allora lei è andata via davvero e nessuno più mi chiamerà Jamie, e quanti pezzetti di anima possono andare in fumo e in cenere prima di bruciare del tutto?
Harry batte la manina sulla mia spalla, e mi chiedo se si senta ancora un po' selvatico, se senta ancora le ali che pizzicano le scapole, e capisca ancora la lingua degli uccelli, come raccontava uno dei miei libri preferiti (l'ha scritto qualcuno che si chiama come me e che talvolta gioca ad essere un pirata, talvolta è un ragazzino perduto, e ora lo so, bisogna stare attenti quando si gioca ai pirati, altrimenti si rischia di diventare pirati davvero). E vorrei sapere tutto quello che sa Harry, perché crescerà in fretta e volerà via da quel davanzale in un battito d'ali, e il Tempo mi sembra sempre una candela consumata. E vorrei sapere tutto quello che sapevo anche io da bambino.
La voce di Lily arriva dall'ingresso, sta canticchiando qualche canzone babbana per riordinare i pensieri, il fiume dei suoi capelli di sangue cupo, e gli occhi verdi, gentili e austeri e profondi, il suo profilo riflesso nello specchio alla parete, e il riflesso scheggiato del Sole me la fa immaginare da vecchia, con i capelli slavati e le belle rughe sorridenti e pensose sotto gli occhi e attorno alle labbra, gli occhi velati ma verdi e magnifici come il primo giorno, i movimenti più lenti, e le mani affusolate e gentili sottili come petali, e sarà bello e dolce, e il Tempo non avrà più significato. E immagino me stesso, secco secco, i ricci sfoltiti e innevati, gli occhiali storti, le macchie di Sole sulle dita, e una ragnatela di rughe per il tempo all'aperto. E Harry adulto, il portamento fermo e lieve di sua madre, il suo stesso modo di aggrottare le sopracciglia e sistemarsi i capelli, sorride come me e come me arriccia il naso quando pensa, e ripone le nostre foto sul camino, mentre qualcuno che lo ama porta le sue cose nella stanza accanto, e dei bambini forse ridono al piano di sopra, e il Tempo non importa, perché non sarà come andare via davvero, sarà come il prossimo capitolo dopo la fine della storia. Un saluto attraverso un velo.
I miei genitori sorridono da una foto alla parete, e i miei romanzi cavallereschi condividono lo spazio con quelli gotici di Lily nella libreria troppo piccola per contenerli tutti, e la scopa di Harry alla parete, cose piccole, cose belle, leggere come denti di leone.
"Ci meritiamo un romanzo d'avventura." apro la scatola, e senza saperlo, senza volerlo, non è il sale delle lacrime che mi stringe la gola, ma la mia risata da bambino, che non sentivo più da troppo tempo "Tu… Filibustiera che non sei altro. Guarda, Harry!"
Una nave in bottiglia, le onde si gonfiano sotto la brezza invisibile, una fotografia di due bambine e un ragazzino gracilino seduti sul molo, mentre un vecchio marinaio dagli occhi brillanti e il suo amico albatro raccontano una storia, il biglietto di filigrana della festa di compleanno di Mary (richiesto il nero ed elegante. Non le uniformi da Quidditch, sapete a chi mi riferisco. M. McD.), una conchiglia iridescente che ci era costata un ginocchio sbucciato a testa e un raffreddore, e una mappa, la prima mappa prima di tutte le altre, la calligrafia infantile, e la piccola magia che fa increspare le onde. Una mappa da pirati per bambini sperduti (a cos'altro serve una mappa?), e un ramo di nocciolo sottile da un vecchio cimitero.
"Marlene ha sempre avuto paura del buio, vero? Ha dormito con una luce accesa per tutta la vita, anche a Hogwarts, sai?" Lily si appoggia allo stipite ed indica col mento, l'orgoglio e l'affetto in fondo allo sguardo lontano "Quel rametto… Sai è una delle cose che apprezzo di più di te… Non puoi lasciare nessuno che abbia bisogno di te al buio da solo. Le tue parti migliori sono sempre state incredibilmente silenziose, considerando quanto sei chiassoso, è un miracolo."
E rido, e forse arrossisco, mentre lei prende Harry in braccio e si viene a sedere al mio fianco, non mi chiede quella storia, quella rimane tra due ragazzini e un'unica piccola luce ripiegata nel buio, ricordo: "Sua madre mi raccontava che, anche quando era poco più grande di Harry, illuminava il soffitto di stelline e non c'era verso di spegnerle. È per questo che voleva diventare un Auror, poter essere la luce nel buio di qualcuno, lo è stata anche per me. Guarda, si diverte a giocarmi scherzi anche ora, la canaglia!"
Sventolo sotto il naso di Lily un vecchio libro dalla copertina corrosa di sale, un bigliettino segna l'ultimo capitolo, in lettere tonde e sarcastiche: leggilo fino alla fine."
"Allora finisci la storia, no? Inizia dal principio e quando arrivi alla fine, fermati."
Lily si sposta i capelli dietro le orecchie in ascolto, e apro il libro alla chiusura, sa ancora di sabbia e salsedine e di un pomeriggio in cui le ombre degli adulti erano ancora ripiegate nei cassetti, un pomeriggio in cui niente era impossibile, ma solo altamente improbabile, un pomeriggio qualsiasi nella marea di tanti pomeriggi qualunque, quando sapevamo distinguere tutti gli esseri reali o immaginari che chiamiamo fate, e non cercavamo niente di più di una scusa per correre via nella brughiera, fino alla curva della prossima avventura.
Lily accende il rametto per farci luce, accanto al lettino sembra di stare sotto una tenda, ed Harry ride e cerca di acchiappare la luce. E se è vero che le storie rimangono sottopelle come un incantesimo, questa è ancora qui, e anche se ora i pomeriggi sono lenti e non ci possiamo permettere di andar via, non vorrei essere in nessun altro posto in tutto il mondo. E non vorrei mai. Fino alla fine.

Note dell'autrice: 

Salve miei 24 lettori e tre quarti, grazie per essere arrivati... fino alla fine. Prima di tutto: l'idea di questa fanfic è nata quando un'amica mi ha proposto di partecipare al concorso Pieno di Ricordi dell'angolo di Rosmerta. Altrimenti non avrei mai pensato di spedire James e Marlene a spasso per le colline di Scozia. A lei il mio ringraziamento per questo e per parecchio altro fangirling.
Un po' di trivia ed Ester egg:

  • il cognome McKinnon è quello di un clan dell'isola di Skye, in Scozia, il loro motto di famiglia è "Audaces fortuna iuvat", la fortuna aiuta gli audaci. Sembra piuttosto adeguato per una famiglia di Grifondoro, quindi non ho mai avuto scrupoli a rendere Marlene scozzese. Skye è anche l'unica isola di Scozia ad avere ancora abitanti di discendenza vichinga (e una colonia di foche).
  • La Fortezza delle Ombre è un luogo mitico che si dice abitato dalla regina Scàchat, una potente dea guerriera maestra degli eroi del cosiddetto Ciclo dell'Ulster (ma per praticità e per la trama, l'ho resa una dea celtica che combatte i Romani).
  • Skye è conosciuta anche come L'Isola della Nebbia, perciò anche d'estate la immagino piuttosto lugubre. San Mahelruba è il patrono dell'isola.
  • Anche il clan McDonald è originario di Skye, da qui l'idea di rendere Mary e Marlene amiche d'infanzia. Non ho inventato la storia della Coperta delle Fate, è una leggenda che i McDonald di Skye raccontano ancora e la Coperta (o come direbbe James, il plaid) è ancora esposta nel loro castello. Ogni generazione fa in modo che venga tramandata alla successiva, in modo simile al Mantello dell'Invisibilità.
  • La continua seccatura di James e Marlene riguardo la classificazione delle fate deriva dalla differenza nel folklore tra le fae, (donne umane o umanoidi dotate di poteri magici, per esempio Morgana, le fate madrine nelle favole, e le fate shakespeariane) e le fairy, esserini con le ali più simili a insettini o folletti (i pixie, le fate di Peter Pan o quelle di Cicely Mary Baker). In italiano i due termini si sovrappongono sempre in fata.
  • Per quanto riguarda Charlus, non sappiamo il suo rapporto di parentela con Fleamont, ma renderlo il cugino mi sembra adatto.
  • La canzone che Marlene e James cantano per farsi coraggio è la Skye Boat Song, una canzone giacobina riguardante il Bonnie Prince Charlie, ma oggi è più famosa come tema di Outlander. Perciò ho usato quella versione del testo.
  • Marlene non parla gaelico (perlomeno non in questa storia) ma qui e lì c'è qualche espressione tipica come lassie e laddie, ragazzo e ragazza. Bonnie vuol dire bello/bella.
  •  Ci sono anche vari riferimenti a Peter Pan e Uncino, la frase "niente ha senso dell'umorismo come una foglia caduta" deriva da Peter Pan nei giardini di Kensington, così come le riflessioni di James sui bambini /uccellini. C'è anche un richiamo a una famosa citazione di Amleto, e diverse ad Alice nel Paese delle Meraviglie. Ma se cercate troverete anche accenni a Stardust e Il figlio del Cimitero di Neil Gaiman. Ho saccheggiato la letteratura per ragazzi con Stevenson e Verne (e inoltre, James condivide il nome anche con il protagonista de L'Isola del Tesoro, è naturale che fosse un mappatore nato). Undicentesimo non è un errore infantile, James sta usando il sistema di numerazione usato dagli Hobbit ne Il Signore degli Anelli.
  • La macchia a forma di coniglio sulla Luna (che noi europei intendiamo più spesso come un volto) è alla base di una leggenda orientale. Anche Usagi/Sailor Moon sfoggia una pettinatura da coniglietto in omaggio a questa credenza, e il patronus di Luna Lovegood è un coniglio.
  • James cita un gruppo di "scarafaggi", e siamo in pieni anni 60… La ragazza con gli occhi caleidoscopici compare in una loro famosa canzone.
  • Per quanto riguarda il bel Prewett dai capelli rossi, avrete capito chi sono lui e la sua dolce e paffutella moglie dai grandi occhioni scuri (e se non l'avete capito, guardate l'albero genealogico della famiglia Black, e capirete anche chi sono i cugini londinesi). Anche in questo caso, mi sono presa la libertà di piazzare i personaggi a Edimburgo sulla base del cognome. Melania McMillan, la mamma di Lucrezia, ha un cognome di origine edimburghese, e in quella città la Rowling ha iniziato a scrivere la saga. Mi piaceva l'idea di richiamarla in qualche modo. Inoltre, i McMillan sono famosi editori britannici quindi Orion Black nella mia interpretazione non è esattamente un libraio in senso stretto, per quanto a sua sorella piaccia scherzarci su. I Prewett dovrebbero avere invece origini gallesi.
  • Per quanto riguarda il fratello di Marlene e le sue due sorelline (tre, con quella che dovrà nascere e cinque in totale), l'idea è che i McKinnon siano uno specchio della famiglia Weasley, ma con un solo figlio maschio maggiore invece che un’unica figlia minore. E infine… Chi è la misteriosa damigella dai capelli rossi? A voi l’interpretazione.
   
 
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