Cap. 20: My curse is my
redemption
I'm on my way
The way from unforgiving hell, but still, it stays
My never ending farewell for thousand memories
I still can feel the reflection a thousand times
My curse is my redemption
Only a stranger (only a stranger)
In a world that is strange to me
Oh, I wish I'd understand
I try to run away from here
So I can rise above the blackened skies to forgotten lands
I'm on my way
The way from unforgiving hell, but still, it stays
My never ending farewell for thousand memories
I still can feel the reflection a thousand times
My curse is my redemption!
(“My curse is my redemption” – Xandria)
Mellish e Saltzmann ritornarono nella loro
stanza ma, mentre il tedesco era euforico e sperava di riprendere dal punto in
cui si era dovuto interrompere, il giovane americano continuava a sembrare
combattuto e indeciso, anche adesso che una decisione l’aveva presa. A parte le
battute, Reiben non aveva tutti i torti e lui aveva davvero difficoltà a fare
una scelta precisa, per questo aveva cambiato idea così velocemente. A quel
punto era chiaro che non sarebbe andato a Treviri e che sarebbe rimasto al
Quartier Generale dello SCHAEF con Saltzmann, cercando di rendersi comunque
utile come poteva. Non avrebbe cambiato idea per l’ennesima volta, però sentiva
che sarebbe stata dura veder partire i suoi compagni… e non andare con loro. Il
Capitano Miller era diventato più di un padre, per lui, e gli altri compagni
erano la sua vera famiglia, quelli con cui aveva condiviso tutto nell’ultimo
anno, l’addestramento e poi l’esperienza traumatica dello Sbarco in Normandia e
la perdita di Caparzo e tanti altri episodi. Come avrebbe fatto a separarsi da
loro? Come si sarebbe sentito senza Upham, Wade, Jackson, Reiben? In quei mesi
devastanti e terribili erano stati sempre insieme e avevano affrontato tutto
insieme. Adesso loro sarebbero andati in Germania, forse avrebbero rischiato la
vita, e lui non sarebbe stato accanto ai suoi amici, i suoi fratelli, quelli
che considerava più vicini dei suoi stessi familiari.
In camera, Mellish iniziò silenziosamente a
riporre le borse e quello che aveva tirato fuori dai cassetti per preparare i
bagagli. Non ne aveva più bisogno e non sapeva se esserne contento o no.
Saltzmann si accorse che il ragazzo stava nuovamente
passando un brutto quarto d’ora, così aspettò che avesse finito di mettere a
posto le sue cose e liberato il letto, poi si sedette con lui sul materasso,
passandogli un braccio attorno alle spalle.
“Stan, io vedo che tu non felice. Cosa
succede? Tu pentito di avere scelto di restare per me?” gli domandò, senza
prendersela. Ormai sapeva che il giovane che amava era tormentato e combattuto
e, anzi, lo amava anche per quello, gli faceva tenerezza quella sua indecisione
da ragazzino.
“No, no, non devi pensare questo” rispose
Mellish. “Davvero, non è per te, anzi, ti ho detto che non avrei potuto fare
diversamente, che non posso rinunciare a te. Il problema è che… è che non
riesco a rinunciare neanche ai miei compagni, ecco!”
“Quindi adesso tu volere partire con loro?
Per me tutto va bene, Stan, per me basta essere insieme” gli disse dolcemente
l’uomo, stringendolo a sé.
“No, no, ormai ho deciso, noi restiamo qui”
ribadì Mellish. “Solo che non riesco a separarmi dai miei amici a cuor leggero
e… beh, probabilmente nei prossimi giorni potrò essere anche più antipatico del
solito, nervoso, brusco, ma sarà perché loro mi mancheranno e perché sarò
preoccupato. Te lo dico fin d’ora, tu sei sempre buono e paziente con me, ma mi
sa che io diventerò insopportabile.”
Saltzmann sorrise intenerito e si sentì
ancora più felice: non era stato facile per Mellish scegliere lui invece dei
suoi compagni, era stata una decisione difficile e sofferta e sicuramente il
ragazzo ne avrebbe risentito nei giorni successivi, ma era anche un segno
ancora più grande del suo amore per lui. Il tedesco non poteva capire fino in
fondo il legame di Mellish con i suoi compagni perché tra lui e i commilitoni
non c’era mai stato niente del genere: prima di tutto perché lui era stato
costretto ad andare in guerra e quindi per molto tempo aveva fatto solo quello
che gli ordinavano, senza mai scambiare una parola con gli altri soldati; poi
perché i soldati che aveva conosciuto erano o fanatici nazisti, con i quali non
voleva avere niente a che fare, o altri disgraziati come lui che facevano il
loro dovere per forza e non avevano voglia di stringere amicizia. Tuttavia,
sebbene non lo avesse sperimentato personalmente, comprendeva quanto il giovane
americano si fosse invece affezionato ai suoi compagni e al suo Capitano,
addirittura più che ai suoi familiari, e di conseguenza quanto soffrisse
all’idea di lasciarli andare in Germania senza di lui, correndo comunque dei
rischi. Perciò la sua scelta di restare con lui assumeva ancora più valore,
Mellish non gli aveva mai detto ti amo,
ma a quel punto non ce n’era bisogno, perché era chiaro che il sentimento che
provava per lui era addirittura più profondo di quello che lo legava ai suoi
amici.
E c’era anche un’altra ragione per la quale
Saltzmann era felice che, alla fine, Mellish avesse deciso di restare al
Quartier Generale. Sì, certo, lui lo avrebbe seguito dovunque, ma l’idea che il
suo ragazzo si trovasse di nuovo al fronte lo spaventava, anche se il compito
suo e della Compagnia Charlie non sarebbe stato quello di combattere ma di
assistere le truppe e curare i feriti. Era tutto molto bello, ma era anche vero
che in Germania c’era ancora la guerra e sarebbe potuto accadere qualcosa di
terribile, magari qualche soldato tedesco poteva riuscire a infiltrarsi nelle
linee Alleate e… e Josef non poteva dimenticare quello che aveva visto quando
aveva salvato Mellish. Anzi, ancora peggio, se Mellish si fosse trovato a dover
affrontare nuovamente un combattimento corpo a corpo con un nemico, allora sarebbe
stato costretto a ricordare il
dolore, l’orrore della baionetta che lo trafiggeva lentamente, e avrebbe potuto
bloccarsi per lo shock. Senza contare che, molto probabilmente, la baionetta
era riuscita a scalfire leggermente il suo cuore e avrebbe potuto causargli
complicazioni, era comunque una piccola cicatrice sul cuore, mica scherzi!
Abbracciò più stretto il suo soldatino e gli
accarezzò il viso e i capelli.
“Tu non preoccupare” gli sussurrò, “io capire
tuo affetto per tuoi amici e tua paura per loro. Io felice di stare qui con te
e anche accettare momenti che tu nervoso o arrabbiato, per me va bene, io
contento di essere insieme e che tu al sicuro, niente pericoli.”
“Non avrei combattuto, comunque, il mio
compito sarebbe stato organizzare i rifornimenti alle truppe e aiutare i
feriti, come farò anche qui e come spero che faranno anche i miei compagni”
obiettò il ragazzo. “Teoricamente non ci sarebbe stato pericolo…”
“Questa è cosa vera, ma per te… vedi, Stan,
tu ora dovere essere attento a tua salute, tu non più come prima, più debole,
infatti anche qui tu non dovere stancare troppo per tuoi impegni” non poté
evitare di dire Saltzmann.
Mellish si staccò dal suo abbraccio e lo
fissò con i profondi occhi scuri, l’aria improvvisamente seria.
“Di che parli? Io sto bene e posso fare tutto
quello che fanno gli altri, sono sempre un soldato, un Ranger” replicò.
Il tedesco cercò di stringerlo di nuovo a sé.
Sapeva quanto Mellish detestasse anche solo sfiorare l’argomento, ma prima o
poi avrebbe dovuto affrontarlo, non aveva scelta.
“Certo, Stan, ma io parlato con tuo amico
dottore Wade e anche lui detto che baionetta lasciato cicatrice su tuo cuore,
non troppo grave ma…”
“Smettila! Non è vero! Tu non sai niente e
non lo sa neanche Wade, lui non era là! Tu hai sparato al soldato SS mentre mi
stava accoltellando, è vero, ma la baionetta è entrata pochissimo nel mio
petto, forse solo un centimetro o due, e di certo non è mai arrivata al cuore!
Io sto bene e tu devi smetterla di dire queste cose!” gridò il giovane, preso
all’improvviso dal panico e dall’angoscia. Ogni volta che qualcuno menzionava
quel combattimento corpo a corpo e il momento in cui il tedesco aveva iniziato
a trafiggerlo con la baionetta, Mellish ritornava lì, in quel luogo, in
quell’istante, sentiva la voce del soldato che gli diceva di stare calmo e le
sue suppliche disperate perché lo risparmiasse, gli ansiti, i respiri spezzati…
e quel dolore acutissimo, straziante e devastante quando l’arma gli aveva
raggiunto il cuore, scalfendolo con la punta. Cercò di allontanarsi da
Saltzmann, ma il tedesco non glielo permise, anzi lo abbracciò più stretto
facendogli sentire il calore protettivo del suo abbraccio e parlandogli con
tenerezza.
“Va bene, va bene, Stan, ora tu non pronto a
parlare di questa cosa. Io capisco, questo è momento difficile per te. Sappiamo
tu dovere ricordare prima o poi, ma non adesso se tu non pronto e io sono con
te sempre per questo” sussurrò, baciandogli la fronte e le guance morbide. “Calmo
ora, io non insistere, parleremo quando tu pronto, ora tu tranquillo, mio Stan,
liebling*, amo tanto te, voglio te
felice…”
Lo baciò piano, con dolcezza, su tutto il
volto e poi sulla bocca morbida, sentendo il calore pervadergli il sangue; lo
distese sul letto ancora una volta in mezzo a bagagli disfatti e biancheria in
disordine, baciandolo ancora e ancora, respirando l’odore della sua pelle,
facendo scorrere le dita fra i suoi capelli, premendo il corpo contro quello di
lui. Gli sollevò la maglietta, gli slacciò i pantaloni, si liberò dei propri
abiti e finalmente poté sentire il contatto con il ragazzo, pelle contro pelle;
iniziò ad accarezzarlo piano, insinuando le mani ovunque per godere di quel
corpo tenero e giovane, di quella pelle liscia e morbida. Lo strinse di più a
sé finché ogni centimetro del suo corpo fu premuto contro quello di lui e lo
baciò più profondamente e languidamente, perdendosi nel suo sapore, nella sensazione
che provava quando riusciva a raggiungere il massimo dell’intimità con il suo Stan. Infine si insinuò dentro di
lui e ancora una volta vi si perse, totalmente e completamente. Sentì il
giovane americano emettere suoni dolci e disperati dal profondo della gola e
questo lo eccitò ancora di più, i baci divennero più profondi e il calore tra
loro si fece più esplosivo, devastante, quasi selvaggio. Gli attimi divennero
eternità mentre i loro corpi si avvolgevano insieme e diventavano una cosa
sola, a lungo, più a lungo che mai, il tempo non aveva più significato e si
dilatava all’infinito. Il bisogno e il desiderio erano così travolgenti da
consumarli, l’amplesso si prolungò all’infinito e solo alla fine giunsero all’apice,
con onde di amore, tenerezza, dolcezza, piacere e calore che li assalirono e li
svuotarono di tutto il resto, mentre Mellish soffocava i singulti e gli ansiti
contro il petto di Saltzmann. Inebriati e disfatti dal potere puro e
sconvolgente delle loro emozioni e del loro amore, Josef e Mellish rimasero
abbracciati anche dopo, stretti l’uno all’altro, incollati, anche perché
Mellish gli era praticamente collassato tra le braccia e pareva incapace di
muoversi. Erano abbracciati nel caldo appagamento dopo l’amore, nella pace e
nella gioia, sentendosi infinitamente bene, completi, vicini, indivisibili.
Mellish aveva perso ogni appiglio con la
realtà mentre faceva l’amore con Josef, e ora stava lentamente riprendendo
coscienza del mondo attorno a sé. Nella poca lucidità riacquistata si rese però
conto che tutto quello che lo straziava e che lo spaventava, la preoccupazione
per i compagni che sarebbero andati in Germania e anche il dolore che gli trafiggeva
il cuore ogni volta che tentava di ricordare quello che era successo con il
soldato SS e la baionetta, tutto ciò che era negativo e doloroso scompariva
quando era con Saltzmann. Tutto sembrava facile e possibile, persino riuscire,
prima o poi, ad accettare quei ricordi terribili, affrontare l’orrore e
finalmente superarlo. Era qualcosa che non aveva mai provato prima e che non
credeva neanche potesse esistere, quindi… forse era vero? Forse anche lui amava
quell’uomo, quel tedesco che lo aveva salvato e che lo faceva sempre sentire
così bene?
“Josef, io…” iniziò a dire, con la voce
ancora rotta e incerta, “sì, prima o poi credo che dovremo parlare anche di
quella cosa, non sono ancora pronto ma sento che, con te, un giorno ci
riuscirò. E credo… ecco, mi sembra che forse anch’io mi sto innamorando di te,
sul serio.”
Il cuore di Saltzmann si riempì
improvvisamente di una gioia profonda, meravigliosa e inesprimibile. Sì, lui
aveva capito da tempo che Mellish, nonostante il suo carattere, la sua giovane
età e le sue insicurezze, in fondo lo amava senza rendersene conto, ma adesso
glielo aveva praticamente detto, gli aveva detto che lo amava, magari in un
modo un po’ indiretto e strano, ma glielo aveva detto!
Gli prese il volto tra le mani, lo guardò per
un attimo negli occhioni scuri e si perse in quella profondità, poi lo baciò
ancora e ancora, si godette le sue labbra rosee e piene, la sensazione dell’unione
delle loro bocche e dei loro respiri, ed era tutto perfetto e splendido.
“Mio Stan, mio Stan, io amo tanto te, e tu
ami me, e questa è cosa bellissima” mormorò tra un bacio e l’altro. “Io e te
insieme per sempre, io e te ci amiamo, io e te come coppia di sposi!”
L’entusiasmo di Josef era così veemente che
tracimò, e i baci divennero più appassionati, il desiderio lo assalì di nuovo,
ancora una volta si perse dentro Mellish e sperò di liquefarsi in lui, nella
morbidezza del suo corpo, di dissolversi nel piacere dei loro corpi uniti,
inebriato e travolto da onde di piacere e gentilezza e dolcezza infinite,
sempre più eccitato dai gemiti sconvolti e teneri del giovane, fino a
ritrovarsi entrambi al culmine dell’estasi, i corpi sempre incollati e
appagati, il mondo reale dimenticato e disperso nelle profondità dell’oblio.
Sembrava proprio, insomma, che ormai
Saltzmann e Mellish fossero diventati una coppia di innamorati a tutti gli
effetti e che, insieme, avrebbero potuto superare qualsiasi problema e
difficoltà con la forza del vero amore!
Fine capitolo ventesimo
* Espressione
per dire “caro”, “tesoro mio” in tedesco.