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Autore: Nocturnia    06/10/2023    1 recensioni
"Sto morendo, Al."
"No."
"Il Progenitore mi tiene in vita, ma allo stesso tempo consuma le mie risorse: i tessuti..."
"Ho detto di no."
"... non credo che la tua opinione abbia importanza per il virus."
"L'avrà quando renderò questo mondo sano - integro. Degno."

[Terza classificata al contest "Con orgoglio e lealtà siamo un'unica realtà", indetto da X:Rina:X sul forum Torre di Carta]
Genere: Angst, Dark, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker, Stuart
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
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"Her heart yearned to be buried with her brother."
- Jessica Marie Baumgartner -





Our bloody halo



2009.

1.

È tuo, le dice.
L'ho fatto per te, mormora con le labbra premute contro la sua tempia.
È finita, Alex, sussurra, spostandole una ciocca di capelli con il pollice.
Non può farti più alcun male, sospira, sollevandole il viso verso il suo.

"C'è stata un'esplosione, Master Alex."
"Lo so."
"Le notizie sono ancora frammentate, ma attorno alle sette di mattina, ora locale, l'Aeronautica Militare Italiana ha rilevato l'ingresso di un velivolo non autorizzato nello spazio aereo sopra Roma."

La guarda e Alex gli sfiora una guancia, raccogliendo fili di rosso e nero - sangue e Uroboros.

"Non vogliono renderlo ufficiale, ma sembra che l'agente Redfield sia morto in Kijuju."

Qualcuno urla, qualcun altro piange - una cacofonia di suoni e suppliche che si dischiude attorno a loro come l'ultimo assolo dell'umanità.

"Suo fratello ha vinto, Master Alex."

Il mondo muore e Wesker sorride.


2.

C'è un entusiasmo febbrile nei gesti di Wesker - nel modo in cui la trascina tra le guglie della Torre e indica il cielo.
"Guarda." la incita, mostrandole l'orizzonte.
"Nulla può fermarlo." aggiunge, rafforzando la presa attorno il suo braccio.
Alex si umetta le labbra, percepisce le dita di Wesker affondarle nella carne, lasciandovi impronte violacee e assorbendola nel proprio delirio, divorandola fino a renderli Uno e il Tutto.
"Io ne sono la mente." le dice, inclinando il mento verso di lei - negli occhi un baluginio estatico, che lo rende più giovane all'improvviso.
"Risponde a me e me soltanto." prosegue, aggrottando le sopracciglia confuso quando posa lo sguardo sul punto in cui le sta stringendo il braccio.
Si scosta appena, lisciando le pieghe che si sono create sulla manica del suo blazer bianco.
"È finita, Alex."

"Stiamo parlando di milioni di vittime."
"Miliardi, Ada."

"È finita." ripete, guardandola come si aspettasse una reazione - una qualsiasi.

"Non rimarrà niente, Al: il mondo sarà inghiottito dal tuo sogno di salvezza e potere."
"E per te sarebbe un problema?"
"... no."

Alex lo accoglie contro il suo corpo in silenzio.


3.

Il conto alla rovescia del mondo era cominciato il nove marzo 2009.
Alex dondola un piede oltre il bordo del letto, osservando in silenzio città e nazioni gorgogliare nel colore del sangue e infine spegnersi in un nero senza più voce.
"Si sta diffondendo in fretta."
Wesker socchiude un occhio, fissandola - una ferita rossastra nell'oscurità della stanza.
"L'Europa è sempre stata il focolaio perfetto per le pandemie." aggiunge, chiudendo il tablet e appoggiandolo sul comodino.
Un fruscio, dita lunghe e affusolate tra i suoi capelli, lungo la nuca.
Alex inclina il mento, guardandolo da sopra la spalla nuda.
"Basterà, Al?" mormora, quieta.
La pupilla di Wesker si restringe e l'Uroboros ruggisce.


4.

Stuart ne aveva intravisto i volti su vecchie foto sbiadite, il logo dell'Umbrella un marchio rosso e bianco nell'angolo in basso a sinistra - #12, #13.
Era graziosa, Master Alex; una bambina i cui occhi sembravano divorare l'ambiente circostante, scomponendolo e sezionandolo - le guance arrossate dal vento, i capelli biondi sciolti sulle spalle.
Era spietato, il dottor Wesker; un viso liscio e spigoloso, reso ancora più duro dalla determinazione con la quale fissava l'obiettivo - la mano sinistra ben stretta attorno quella di Master Alex.

Cling.

Solleva lo sguardo, incontrando quello del dottor Wesker - freddo, guardingo.
La disperazione di quei bambini aveva inghiottito il mondo senza rimorsi.


5.

Si erano sempre posseduti a vicenda.
Si appartenevano in quel modo viscerale e affamato che hanno tutte le cose rotte - spezzate e perdute.
Nel sangue versato misuravano la cifra della loro reciproca comprensione - di quanto fossero disposti a sopportare per amarsi.
Erano nati quando Spencer li aveva rubati, ma si erano tramutate nella bestia del mito sotto la sua egida - Zeus venuto a sconfiggere il Padre ed Era giunta per sgozzarlo come l'immondo titano che era.
Alex rovescia il viso verso l'alto, fissandolo da sotto in su - il capo sulle sue cosce, addosso pelle e Uroboros.
Wesker la bacia e il cielo si tinge di nero e rosso.


6.

Cade una neve gelida su Sushestvovanie, dura e aspra come le sue terre.
Alex la osserva scivolare lungo le vetrate del loft, tra le dita una tazza di caffè tiepido.
"Manca poco." la rassicura Wesker, percorrendole la linea delle spalle con l'indice.
"Forse un mese o due." aggiunge, sovrastandola.
"Nessuna malattia potrà più toccarti." mormora, sfiorandola con una gentilezza incerta, spaventata.

"Sto morendo, Al."
"No."
"Il Progenitore mi tiene in vita, ma allo stesso tempo consuma le mie risorse: i tessuti..."
"Ho detto di no."
"... non credo che la tua opinione abbia importanza per il virus."
"L'avrà quando renderò questo mondo sano - integro. Degno."

La gabbia aveva infine trovato il suo uccellino.


7.

È un pensiero che l'attraversa all'improvviso mentre lo osserva dormire - le dita sfiorargli le ciglia, il viso.
C'era stato un momento nel quale gli occhi di Albert erano stati uguali ai suoi - azzurri, trasparenti.
Li ricorda fissarla dalla parte opposta del laboratorio, seguirla per i corridoi dell'Umbrella - scivolare tra le sue cosce la prima volta che la curiosità era mutata in desiderio e infine in ossessione.
Li ricorda mutare - schiudersi in una corolla di rosso e oro, avvampando attorno a una pupilla sottile e nerissima.
Wesker respira, Alex si solleva insieme al movimento del suo petto - nuda, bagnata d'entrambi.
L'Uroboros ingoia il grido dell'ultimo uomo in silenzio.


8.

Poche migliaia di sopravvissuti: a questo si riduce la speranza.
Wesker raddrizza le spalle, allarga le gambe - indossa la prossemica del conquistatore.

Del predatore.

"La sorella dell'agente Redfield sta organizzando una resistenza a Chicago." annuncia Stuart, posando gli esiti degli esami richiesti sulla scrivania.
"Con lei ci sono anche l'agente Chambers e Kennedy." aggiunge, sistemandosi gli occhiali sulla punta del naso.
Wesker inclina il capo verso destra, accoglie i sussurri dell'Uroboros - voci e storie di gente (non)morta.

"C'è una corrispondenza al 50% nella sequenza genetica."

Chiude gli occhi, estende le propaggini del virus - vede, onnisciente e divino mostruoso.

"L'hai sempre saputo."
"Sì."
"Avresti potuto dirmelo."
"Avrebbe fatto qualche differenza?"
"No."

Alex intreccia le proprie dita alle sue e ascolta.


9.

Pallida, fredda: un viso spigoloso, che l'orrore aveva reso solo più intenso - vestita di bianco e oro come la principessa delle favole.
Osserva il mondo morire dall'alto della sua Torre in pietra e metallo, all'ingresso della sua prigione rifugio il drago in attesa del principe venuto a salvarla.
Ha gli stessi capelli biondi di cui tanto motteggiano i cantastorie, ma non c'è nulla di giusto o buono in lei - né pensiero, né atto.
Santa Madonna, l'avevano chiamata.
Santa Madonna, l'avevano invocata.
Santa Madonna urlavano adesso, sbattendo contro le porte della Torre e osservando terrorizzati l'Uroboros avanzare in un'onda nerastra e pulsante.
Alex solleva il mento, respira - paura e adrenalina, disperazione e rabbia.
Wesker chiude le dita a pugno e l'Uroboros si ferma.


10.

Le ha regalato un futuro non più a scadenza - una possibilità.

"Non sono compatibile."
"Lo sarai."

Ha spezzato una ruota che aveva sempre girato a suo sfavore, gettandone i pezzi ai suoi piedi come un'offerta e una confessione.

"Più del 90% delle malattie non esistono più; cancellate insieme ai loro portatori."

Ha divorato sette miliardi e mezzo di persone per concederle una speranza - per mettere a tacere la propria solitudine.

"È nel mio sangue, Alex: nel nostro."

Alex scosta la carta velina dal pacchetto che le ha posato sul letto, scivolando con l'indice lungo la glassa al cioccolato di un éclair.

"Il mondo era malato, Alex: marcio. Corrotto. Ma tu no. Oh no, tu no."

Solleva il viso, sulle labbra un sorriso morbido, fragile.

"Sei mia sorella."

Wesker le sfiora una guancia con le nocche della mano, nel suo gesto una tenerezza incerta, sotto la quale si nasconde una bestia uguale a lei.

"E se tu sei indegna allora questo cosa mi rende?"

Mio, sussurra tra i suoi pensieri la voce di Alex, alzandosi sulle ginocchia e cercandogli la bocca in un bacio languido, vorace.
Distruggere era l'unico modo che conosceva per proteggerla.


****


1994.

Siete fatti della stessa materia, aveva detto William.
E anche dello stesso sangue, aveva aggiunto ridacchiando.
Nero su carta bianca: alleli e geni che si sono sovrapposti per decretarne l'origine, la storia.

Gemelli. È tua sorella gemella, Al.

Non c'era stata alcuna sorpresa negli occhi di Birkin mentre la loro situazione continuava, un nodo di sangue e carne - un bisogno che bruciava e urlava e trovava pace solo in lei.
Nostra madre si chiamava Avreliya, mormora, baciandolo.
Nostro padre Vlasiy, sussurra, scivolando lungo la sua erezione in un movimento languido, elegante.
Wesker si alza sui gomiti, Alex gli prende il viso tra le mani - fratello, geme.

Invoca.

Il mostro che è in loro squarcia e sorride.


1995.

Ricorda una bambina che odiava gli omini di pan di zenzero.
Ricorda una bambina come lui: capelli biondi, quasi bianchi; occhi artici, animati da un baluginio crudele, selvaggio.

Affamato.

La ricorda mentre lo studiava in silenzio seduta al suo fianco nel salone principale di villa Spencer - biscotti con scaglie di cioccolato tra le dita e sulle labbra una piega un po' storta, arrugginita.
La ricorda, e quando incontra il suo sguardo è sempre la stessa bambina che gli sorride: un dolore uguale al suo nel cuore, la medesima disperazione con la quale distruggerà un mondo intero.

"Sei mia sorella."
"Sì."
"Di sangue. Gli esami di Birkin lo confermano."
"E hai scomodato William solo per questo?"

Alex si raggomitola contro il suo fianco e respira.


1996.

I piedi nudi sul tavolino in vetro e wengè, nell'aria arancio e argan.
È un attimo sospeso; un bicchiere vuoto sul bancone della cucina, il tic tic della stilografica sul foglio - un gesto nervoso, che faceva sempre quando qualcosa non la soddisfava nei risultati dei trial.
La luce di agosto si arrampica tra le fessure della tapparella abbassata, la spallina di una sottoveste bianca che le scivola giù per la spalla, fin quasi scoprirle il seno - piccolo, rosa.

Clic.

Alex si volta, fissandolo.
"Si è rotta l'aria condizionata." gli dice, indicando con un cenno del capo verso sinistra.
Wesker rimane immobile tra il corridoio e la sala, l'odore del dipartimento di polizia ancora addosso - cuoio, polvere da sparo e qualcosa di tipicamente maschile, di cui Alex aveva riso, definendolo il classico esempio di quello che si ottiene quando si mettono troppi alfa in una stanza.
"E hai finito la spremuta d'arancia." prosegue, sottolineando quel tu, come se non fosse stata lei a berla tutta in sua assenza.
La fissa in silenzio, studiandola e scoprendosi abituato alla sua presenza.
Le persone erano sempre state mezzi, strumenti: arti in più da usare, e poi buttare.
Alex stiracchia le gambe in avanti, appoggiando il fascicolo sul bracciolo e guardandolo a sua volta.
"Giornata difficile?" gli chiede, le guance leggermente arrossate dal caldo, i capelli umidi sulla nuca.
Wesker le si avvicina, sfiorandole il viso con la punta delle dita - un gesto intimo, riservato.
"Redfield ha di nuovo bruciato qualcosa negli archivi? Ha sbagliato il congiuntivo nel rapporto?" aggiunge lei, sollevandosi sulle ginocchia e sfregandogli tra il pollice e l'indice il colletto della camicia.
"Ha fatto tutte e due le cose?" conclude, e quando la bacia ha il sapore di una quotidianità aliena, mostruosa.

Sua.

Sulla bocca di Alex ritrova sempre ciò che manca.

1997.

Sono un accostamento singolare.
Intelligenti, spietati: gli enfant prodige di un dio morente e avido - la visione distorta di una famiglia in cui i figli muoiono per il Padre e diventano gli alfieri del suo delirio.
Le accarezza una guancia mentre dorme, osservandola istintivamente afferrare la sua mano e distendersi verso di lui - cercare il suo calore, la sua presenza.
Sul comodino il distintivo della S.T.A.R.S. giace inerte, opaco; a pochi centimetri di distanza una tessera magnetica dell'Umbrella Corporation - dottoressa Fayer, livello di autorizzazione 4.
Si china su di lei, percorrendole in punta di dita la curva del seno e sfiorandole con il pollice un capezzolo - piccolo, rosa.
Il respiro di Alex si spezza, un istante tra il sonno e la veglia in cui non sono né mostri né uomini.
Apre gli occhi, un sorriso disarmante sulle labbra: crudele nella sua sincerità, doloroso nel suo amore.
Wesker la bacia mentre fuori la neve diventa rossa e rossa.


1998.

Tutto è rosso.
Tutto esplode - si scioglie dietro le sue palpebre, nella sua mente, tra i pensieri, dove il virus trascende, rendendolo dio e mostro.
Tutto pulsa e in mezzo a quella cacofonia di denti e carne lei è – con lui.

Per lui.

Wesker - il Progenitore - urla, le ossa si rompono, accartocciandosi verso l'interno e prendendo nuova forma.

Tu sei mio fratello e io sono tua sorella.

Apre gli occhi e il mondo è ancora rosso e nero e rosso e...

Siamo una famiglia, Al.

Dita pallide gli sfiorano il viso, le labbra; il cielo si dilata, assumendo la tonalità violacea di una contusione: il primo pugno scagliato dai nuovi dèi contro quelli vecchi.

Noi siamo tutto ciò che conta: tutto ciò per cui vale la pena vivere, Al.

Alex lo bacia e il mondo piange.


1999.

Liscia, senza imperfezioni.
Questa la loro pelle, la storia che racconta.
Alfieri del nuovo mondo, bambini ibridati per essere migliori; più performanti, più efficienti.
Non c'è cicatrice che ricordi la loro sofferenza, sfregio che sia memoria e rimpianto.
Tutto tace fuori da loro - tutto urla dentro, dove sono un ammasso contorto di ferite e tagli, carne ricucita insieme dall'ambizione e grumi di sentimenti lasciati morire e poi imputridire.
Alex sfiora con l'indice il solco pallido delle sue unghie sul petto di Wesker, osservandolo scomparire respiro dopo respiro.
"C'è qualcosa che può farti male, Al?" mormora, circondandogli la vita con le cosce e percorrendo lo spazio dove prima c'erano i segni dei suoi graffi con la punta della lingua.

"Rimarrà qualcosa di noi, Al?"

Wesker intreccia le dita nei suoi capelli e geme quando Alex snuda i denti e affonda.


2000.

Sangue sotto la lingua, tra le sue cosce.
Alex mormora il suo nome, inarcando i fianchi contro la sua bocca - intreccia le dita nei suoi capelli, attirandolo a sé e strappandogli il respiro, la coscienza.
Lo bacia come se volesse divorarlo,

come se volesse essere di nuovo parte di lui - integra, completa.

lo guarda come se fosse tutto - l'inizio e la fine.
Mia sorella, mormora una voce tra i suoi pensieri.
Mia da possedere, distruggere, amare, ruggisce la stessa voce mentre si spinge in lei - ancora e ancora e ancora.
Il cuore di Alex sussurra le sue stesse parole.


2001.

Ti dona, vorrebbe dirle.
Alex muove le dita dei piedi nella sabbia, negli occhi un baluginio infantile, fuori posto.
Disegna un semicerchio con il tallone, raccogliendo una conchiglia sfumata nel colore del rosa.
"Patetico." afferma, ma le sue dita continuano a giocare con la conchiglia, sfiorandone la superficie a ogni passaggio tra le nocche.
"Non ho tempo per queste cose." prosegue, infilandosi la conchiglia in tasca e fissando il mare.
"Ed è tutto così appiccicoso." si lamenta, sedendosi sulla battigia e ridacchiando quando le onde si infrangono contro le sue caviglie.
Wesker l'affianca, inclinando il mento verso di lei e soffermandosi sulle labbra socchiuse in un'espressione quieta, serena.
Posa lo sguardo sull'anulare sinistro, dove una fascia in oro bianco e ossidiana cattura il riflesso del sole - la fede gemella bruciare sotto il guanto in cuoio nero e kevlar.
Il mare lambisce i piedi di entrambi in silenzio.


2002.

Una malattia senza cura; un'infezione che estendeva le sue propaggini in ogni anfratto del corpo, rendendolo suo - schiavo di un sentimento che si rifiutava di chiamare.
William l'aveva definita un'affinità di intenti e desideri.
Annette era stata meno aulica e aveva sancito che erano uguali, lui e Alex.

"Due stronzi che scopano bene insieme e manderanno all'inferno questo mondo di merda."

Daniel l'aveva fissato in tralice come se fosse stato lui l'idiota, mormorando un siete fatti della stessa materia e lasciando la frase sospesa lì, tra un monito e una verità.

Tump.

Wesker raccoglie il cuscino caduto a terra, fissando la schiena nuda di Alex - una gamba intrecciata alle sue e sul viso un'espressione quieta, distesa.
Tra i suoi pensieri - nelle sue cellule - il virus sussurra, instancabile.


2003.

"Da quanto?"
"Tre giorni." gli risponde Stuart, neutro.
Wesker raddrizza le spalle, la schiena - solleva il mento, assumendo la prossemica del comando.
"Ci penso io." ribatte, spostando il piede in avanti - stivali rinforzati in titanio e addosso un polimero di kevlar e cuoio per combattimenti militari.
Stuart apre la bocca, indeciso; osserva Wesker raggiungere Alex - affiancarla in silenzio.

"Devi mangiare, Alex."
"Me ne sono dimenticata."
"Bugiarda. Stuart ha detto di averti portato pranzo e cena ogni giorno."

Wesker si china su di lei, sedendosi alla sua altezza.

"... ho altro da fare."
"Morire?"
"Tra un impegno e un altro."

Stuart china il capo, dando le spalle a un momento intimo, privato.

"Aleksandra."
"È tanto che non mi chiami con il mio nome."
"Ed è un problema?"
"No. Mi piace. Ripetilo."
"Aleksandra."

Wesker posa la fronte contro quella di Alex e chiude gli occhi.


2004.

Lo perseguita.
Lo rende schiavo, vittima di un sentimento che non avrebbe mai voluto provare.
Lo bacia come se lo amasse davvero, gli offre un corpo che il sole di Sonido de Tortuga ha sbiadito nel tenue colore dell'oro: seni piccoli e rosa che può racchiudere nelle sue mani con una facilità imbarazzante - fianchi spigolosi, cosce morbide, mollemente intrecciate alle sue.
Lo tocca come se fosse reale - come se loro lo fossero.
Scivola con la punta lingua lungo il suo petto, aprendosi a lui come una promessa che sarà mantenuta - qualcosa che può essere suo e suo soltanto.
Wesker inclina il viso verso il basso,

"Sono tua sorella, Al."

oscenamente sensibile a tutto: il respiro di Alex, la sensazione umida e calda lungo la sua erezione, il suo odore sulla pelle - in lei - dove ciò che resta di loro esige, e reclama.

"Il dottor Wesker è suo fratello?"
"Tra le altre cose."

Il desiderio negli occhi di Alex è anche il suo.


2005.

A volte la paura la conquista.
A volte Alex cede al dubbio e l'orrore la travolge: i muri si riempiono degli occhi delle sue (loro) vittime e i cadaveri urlano, conficcandole le unghie nella carne e trascinandola nella bocca nerastra in cui lei stessa li aveva gettati.
Per lui non ha alcuna importanza; sono solo incubi - riflessi inquieti che può spegnere con una torsione del polso.
Per Wesker nulla è come loro e mai lo sarà; nessuno è davvero degno.

Tranne lei.

Alex rifugge dal suo sguardo e Wesker comprende - percepisce.
Tende le braccia verso di lei come quando erano piccoli e morbidi e innocenti - lascia che gli si raggomitoli addosso, nascondendogli il volto nello spazio tra il collo e la spalla.

Posso dormire con te, Al?

Contro il suo petto non è mai stata lo spietato Overseer della storia, ma solo Alex.


2006.

Infanti rubati, adolescenti cresciuti come armi e strumenti - bestie da monta e riproduzione, animali da lotta e competizione.

Costretti a evolversi e diventare migliori - più performanti, più efficienti.

Mostri-adulti che dovevano immolarsi per il Padre - aiutarlo a trascendere mentre loro morivano e rinascevano ogni volta come scudo e spada del suo sogno.

"Tu, un dio?"

Wesker fissa il corpo di Spencer, tra le dita bave di sangue e carne - sotto la suola delle sue scarpe ossa e polvere.

"Non essere ridicolo, padre."

"Lo ucciderò, Alex: te lo prometto."

Tra i suoi ricordi quei bambini non hanno mai smesso di urlare.


2007.

È un peso, un arto morto.
È indegna, secondo i parametri dell'Uroboros, eppure il Progenitore l'ha scelta comunque - lui l'ha scelta comunque.
È fragile e debole e mortale e...

"Non lo mangi?"
Wesker sbatte le palpebre una, due volte: segue lo sguardo di Alex verso il suo piatto - un risotto allo zafferano - riportandolo poi sul suo viso.
È giovane senza trucco; un ovale pallido e nel quale gli occhi spiccano come ferite.
Lascia piccole gocce d'acqua sul tavolo, i capelli ancora umidi, le guance arrossate dalla doccia.
Lo fissa, alzando un sopracciglio in un'espressione interrogativa.
"Perché io ho ancora fame." aggiunge, tendendo la mano verso il piatto.

È rotta, Alex. Come lui.
È sottile e potrebbe spezzarla con niente - dovrebbe strapparla via, reciderla come un fiore secco, avvizzito.
È una delle regole della medicina: amputare l'arto morente per salvare il resto corpo.

Se la ritrova sulle cosce, i piedi intrecciati ai suoi polpacci e la forchetta già nel piatto, a raccogliere il riso rimasto.
Sa di argan e sangue, un retrogusto di limone e lui - maninka e cuoio e voglia.
Le circonda la vita con le braccia, percependo il battito del suo cuore, il fruscio del suo respiro - sulla spalla i segni dei suoi morsi, violacei.
"Mi fai il solletico, Al." mormora quando le posa la fronte contro la schiena, baciandole la pelle nuda.
Il suo corpo, in fondo, le è sempre appartenuto.


2008.

Il sole africano la bagna d'oro e rosso, rendendo i segni dei suoi morsi ancora più evidenti, profondi: fili di sangue che le scendono tra i seni, lungo il collo.
Wesker percorre con la punta dell'indice la sottile linea abbronzata poco sopra il monte di Venere - la segue con lo sguardo come incantato, strappandole una risata esangue, che si spegne in un gemito quando posa la bocca tra le sue cosce.
La stanza è fredda – loro lo sono – ma quando la bacia bruciano, un disastroso groviglio di pelle e sussurri e bisogni che gli scavano dentro, facendogli venire voglia di aprirla e squarciarla e riposare tra le sue ossa e il suo sangue e...

"A volte vorrei vedere cosa c'è qui dentro."
"Nella mia mente o nel mio petto?"
"Entrambi."

Alex lo accoglie in lei e diventano infine ciò che sono sempre stati: Uno in Tutto.



****


0.

Il mondo come l'avevano conosciuto cessa di esistere il 20 maggio 2010 - un anno e due mesi dopo che dal cielo era piovuta una creatura nata dalla disperazione e dalla paura.
Alex osserva l'ultima luce sul planisfero spegnersi - lampeggiare frenetica un paio di volte sopra il Giappone, lasciando poi cadere la stanza nella penombra.
Rimane a fissare lo schermo qualche altro secondo, sfregandosi l'anulare sporco di zucchero sul labbro inferiore, assorta.
Si inclina all'indietro, picchiettando con le dita sulla spalla nuda di Wesker.
"Al." lo chiama, piano.
"Al." ripete quando non riceve risposta, voltandosi.
Wesker inspira, e tutto il suo corpo sembra riprendere vita - il virus renderli più simili a dei (non)morti che a delle persone.
Sbatte le palpebre un paio di volte,

"Da quanto non dormi, Al?"

mettendo a fuoco l'ambiente attorno a sé.

"Non lo ricordo."

Ruota su un fianco, afferrandole il polso e rovesciandole la mano con la quale l'aveva svegliato verso l'alto - sui polpastrelli tracce di cioccolato e vaniglia.
"È finita, Al." mormora, scostandosi quel tanto che basta per mostrargli la cartina geografica spenta.
"È finita." ripete, quasi un sussurro - nella sua voce un'inflessione felice, appagata.

"Solo noi resteremo, Aleksandra. Noi e questa isola."

Wesker si solleva sul gomito, inclinando il mento verso sinistra e guardandola - tra i suoi pensieri il virus chiedere, incerto, ansioso.

"E credi che l'Uroboros possa curarmi?"
"No; ma ci darà tempo."
"Quanto?"
"Abbastanza da salvarti."

Alex intreccia le proprie dita alle sue, sospirando e stropicciando un angolo della carta azzurra del sacchetto di dolci tra il pollice e l'indice.
"Immagino che non ci sarà più nessuno là fuori in grado di fare degli éclair oltre Stuart, uhm?"

"Non sei l'eroe di questa storia, Al: non lo sei mai stato."
"Non ho mai preteso d'esserlo: non per il mondo, almeno."
"... sei inquietante quando provi a essere romantico."

"No, penso proprio di no." le risponde, traendola a sé e rovesciandola tra le lenzuola sgualcite - strappandole un ansito e un sorriso.

"Ucciderai miliardi di persone per salvarne una: ne vale la pena, Wesker?"

Tra le sue braccia Alex è l'unico futuro in cui abbia mai voluto credere.




"A superhero defends what is just; a villain defends what is theirs."
- Drew Hayes -






   
 
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