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Autore: Parmandil    07/10/2023    1 recensioni
Le porte del Multiverso sono aperte! Per tre anni gli avventurieri della Destiny hanno vagato tra le realtà, cercando di ritrovare la propria. Ma tutto ciò non era che il preambolo del vero conflitto.
Catapultati in un sistema stellare costruito artificialmente, assemblando pianeti ghermiti dal Multiverso, i nostri eroi iniziano a comprendere il diabolico piano degli Undine. Divisi dopo una fallita infiltrazione, dovranno scegliere tra la filosofia federale – il bene dei molti conta più di quello di uno – e la propria – tutti per uno e uno per tutti. Riusciranno i naufraghi a sopravvivere sul pianeta Arena, dove i più formidabili guerrieri del Multiverso si affrontano in lotte all’ultimo sangue? Quali segreti si nascondono sulla stazione a forma d’icosaedro? Chi è realmente il Viaggiatore? E soprattutto, di chi ci si può fidare? Tra stargate e monoliti, tra gli Aracnidi di Klendathu e i Vermi di Dune, le differenti realtà si contaminano come non mai. La posta in gioco è più alta, i nemici più agguerriti e le lealtà personali saranno messe alla prova come non mai. Anche radunando i campioni del Multiverso, c’è una sola certezza: stavolta non tutti i nostri eroi si ritroveranno sani e salvi.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Il Viaggiatore, Nuovo Personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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 -Capitolo 6: Viaggiatore
 
   Come una marea implacabile, gli Aracnidi si gettavano a ondate contro il fortino, incuranti delle perdite. Le loro carcasse ammucchiate giungevano quasi alla sommità delle mura, facilitando la scalata di quelli che sopraggiungevano. Creature volanti scendevano in picchiata, cercando di ghermire i difensori appostati sulle torrette. I grandi coleotteri soffiavano fuoco e prendevano a testate il cancello, che si deformava sotto la violenza degli impatti. Dal canto loro, i Magnifici Nove cominciavano a scarseggiare di munizioni, tanto che alcuni di loro avevano già dovuto gettare i calibri ormai inservibili. Tutti sapevano che da un momento all’altro gli Aracnidi avrebbero sfondato le difese e sarebbe stata la fine. Eppure continuavano a combattere, non avendo di meglio da fare.
   A un tratto si udì un boato profondissimo, che sembrava salire dal suolo stesso, e infatti il deserto si sollevò, formando una collinetta in rapido avvicinamento. La sabbia l’avvolgeva, impedendo di vedere con chiarezza la creatura in avvicinamento. L’unica certezza erano le sue dimensioni e la sua forza impareggiabile.
   «E questo che diavolo è?!» chiese Erzsébeth a Rico, che l’affiancava sulla torretta.
   «Non lo so... non ho mai visto niente del genere» ammise il Tenente, sconcertato.
   «Guardate! Non credo sia dei loro!» gridò Liara da un’altra torretta. L’arrivo della creatura aveva messo gli Aracnidi in agitazione. Sospesero l’attacco al fortino e si volsero contro il nuovo arrivato, scambiandosi avvertimenti nel loro linguaggio ticchettante. A giudicare dai loro movimenti frenetici, parevano spaventati.
   «Cosa può terrorizzare quei mostri?» mormorò Scorpion.
   «Il vero predatore Alfa di questo mondo sabbioso» rispose solennemente Yo’rek, che le era a fianco.
   In quella la creatura fu abbastanza vicina da apparire nella sabbia vorticante. Era un immenso Verme, dalla dura epidermide bruna divisa in anelli. Spalancò le fauci tripartite, rivelando una selva di denti cornei, lunghi e affilati come pugnali. E si gettò famelico sugli Aracnidi.
   Sebbene fossero una moltitudine, gli Aracnidi nulla poterono contro le dimensioni e la forza impareggiabile del Verme. Ad ogni morso ne furono inghiottiti, coi duri esoscheletri che si frantumavano sotto la pressione delle fauci titaniche. Dal canto loro, il massimo che gli Aracnidi ottenevano era graffiare il Verme sui fianchi, rendendolo ancora più furioso. L’essere levò la parte anteriore del corpo, innalzandola a decine di metri sopra il fortino, così che i difensori poterono ammirarlo nella piena luce del sole. E ricadde pesantemente al suolo, schiacciando altri Aracnidi sotto il suo immane peso. Aprì le fauci e inghiottì un intero coleottero, schiacciandolo come un croccantino, finché questo esplose in una fiammata. Il Verme non parve risentirne e attaccò gli altri coleotteri, ingoiandoli uno dopo l’altro, mentre le sue spire spazzavano via i Warrior Bug.
   Così facendo il Verme passò accanto al fortino, facendolo tremare e spazzando via una montagnola di Aracnidi morti. Era così spesso che, pur muovendosi per metà sotto la sabbia, superava l’altezza delle mura. I Magnifici Nove guardarono verso l’alto, meravigliati. Solo allora si avvidero che la creatura non agiva per proprio conto. Era diretta da due cavalieri, che stavano ritti poco dietro la sua “testa”, dirigendola con un ingegnoso sistema di corde e paletti che facevano da briglie. I cavalieri si reggevano alla corda per rimanere in piedi e al tempo stesso, tirandola da un lato o dall’altro, potevano dirigere a grandi linee il movimento del Verme.
   «Yu-huuu!» gridò il più giovane, chiaramente emozionato. Staccò un braccio dalla briglia e lo agitò verso Rivera, in segno di saluto.
   Il Capitano aguzzò la vista, cercando di riconoscerlo. Anche il misterioso cavaliere indossava una tuta distillante Fremen, ma ciò non significava necessariamente che appartenesse a quel popolo. Poteva benissimo averla trovata in un deposito, come Rivera, o anche strappata al legittimo proprietario. Ma tuta a parte, c’era qualcosa di stranamente familiare in quel giovane. Sembrava quasi... no, impossibile...
   «Ehilà, Capitano! Hai messo su una bella squadra! Vedo che siamo arrivati al momento giusto. Possiamo aggregarci?» chiese Talyn, dirigendo il Verme in un giro serrato attorno al fortino, per scacciare gli Aracnidi ancora in vita e disperdere i cadaveri di quelli morti.
   Rivera guardò appena l’altro cavaliere, un umanoide imbacuccato in fluenti vesti grigie. Chiunque fosse, doveva aver aiutato Talyn durante il viaggio. Quasi certamente gli aveva insegnato lui come domare il Verme. Tanto bastava per fidarsi a farlo entrare.
   «Credevo fossi morto, benedetto ragazzo!» gridò il Capitano, ancora incredulo. «Ma certo, vieni pure! Tu e il tuo amico siete i benvenuti!» aggiunse, intuendo che non potevano tenere a lungo il Verme così vicino alle mura.
   Udendo questo, Talyn e il suo accompagnatore si scambiarono uno sguardo d’intesa. Il primo a scendere fu l’El-Auriano, che lasciò la briglia e si calò con un’altra corda lungo il fianco del Verme, finché fu poco sopra gli spalti. Allora inspirò a fondo, si diede la spinta con i piedi e fece un gran salto, atterrando agilmente sul camminamento. Fletté le ginocchia per assorbire l’impatto e subito si voltò, per osservare il suo compare. Questi attese ancora qualche secondo e poi lo imitò, lasciando il Verme senza guida. Scivolò lungo il fianco della creatura, si dette la spinta e spiccò a sua volta un salto acrobatico, atterrando in un turbine di vesti grigie.
   Rimasto senza conducente, il Verme smise di costeggiare le mura del fortino e allargò il percorso a spirale, dando la caccia agli ultimi Aracnidi. Sembrava particolarmente ghiotto dei coleotteri, mentre si limitava a schiacciare gli altri sotto le immani spire. Allora gli Aracnidi fuggirono con tutta la velocità delle loro zampe, lasciandosi dietro un terreno sconvolto e irrorato del loro sangue colloso. Il Verme li inseguì, continuando a decimarli, fino a svanire in lontananza. Poco a poco il suolo smise di tremare e il boato si placò, mentre anche la sabbia si depositava sul campo di battaglia. Allora vi fu un lungo silenzio.
 
   I Magnifici Nove erano rimasti ammutoliti da quella grandiosa entrata in scena, che aveva ribaltato le sorti della battaglia. Il primo a riprendersi fu Rivera, che corse da Talyn e lo abbracciò con forza, come per accertarsi che non fosse un’allucinazione. «Credevo d’averti perso» confessò, profondamente commosso. Si scostò un poco, osservandolo con incredulità. «Ti ho visto cadere senza paracadute. Come hai...?» lasciò in sospeso.
   «Anche i paracadute sono caduti coi frammenti della paratia. Ne ho preso uno a mezz’aria» rivelò l’El-Auriano, abbozzando un sorriso. «È nel deserto che me la sono vista brutta. Non me la sarei cavata, se non fosse stato per la mia guida».
   Rivera lasciò finalmente il giovane amico, che si avvicinò al suo accompagnatore. I due scambiarono qualche parola, poi Talyn lo presentò agli altri. «Capitano, lui è Klaatu. Vive qui da molto tempo, conosce il territorio e i suoi abitanti. Mi ha offerto riparo da una tempesta di sabbia e poi mi ha insegnato a domare il Verme con cui vi abbiamo raggiunti».
   «In tal caso siamo doppiamente in debito con lei, signor Klaatu» disse Rivera, stringendogli la mano. Solo allora poté osservarlo da vicino, notandone l’aspetto umanoide... ma era proprio Umano o ci somigliava solo? E perché si era tanto prodigato per loro?
   «Una buona azione non sarebbe tale, se si fondasse sulla pretesa di un compenso. Lei e i suoi compagni di viaggio non mi dovete niente» rispose Klaatu, rasserenato nel constatare che erano tutti illesi. Si guardò attorno, osservando i Magnifici Nove che scendevano dalle torrette e si avvicinavano a loro. «Capitano, lei ha riunito tutti questi campioni?» chiese con vivo interesse.
   «Abbiamo accettato di collaborare, nella speranza di lasciare questo mondo» chiarì Yo’rek. «Siamo in marcia verso la mia nave, sperando che coi suoi sensori potremo rintracciare quella del Capitano, ancora nello spazio. Volete aggregarvi a noi?».
   «La Destiny, già...» fece Talyn a disagio.
   «Siamo già stati sulla tua nave, mio buon Yo’rek» disse Klaatu, mostrando di conoscerlo. «È stata il nostro rifugio durante la tempesta di sabbia. Sfortunatamente non abbiamo rintracciato la Destiny» rivelò.
   «Dev’essere ancora occultata... e non abbiamo osato inviare segnali» aggiunse Talyn.
   «Come?! Dunque il nostro viaggio è inutile?!» insorse Azrael. Anche gli altri campioni dettero segni d’irrequietezza.
   «Non è inutile, dato che siete vivi, mentre da soli sareste morti» disse Klaatu, come se conoscesse le loro vicissitudini. «E comunque è presto per arrendersi. Ci sono ancora vari modi per lasciare Arena, se avrete la pazienza di tentarli. La vostra esperienza di oggi non vi ha insegnato niente? Solo unendo le forze siete sopravvissuti agli Aracnidi. E solo restando uniti sopravvivrete alle prossime sfide» ammonì.
   «Dunque qual è la prossima mossa?» chiese Naskeel.
   «Tornare alla nave di Yo’rek, che è un rifugio migliore di questo» rispose Klaatu, osservando il fortino semidistrutto. Le mura erano deformate dagli smottamenti, gli spalti anneriti dalle fiammate. Ma soprattutto il portone era semidistrutto dall’attacco dei coleotteri, e non c’era molto con cui puntellarlo. Un altro attacco del genere e sarebbe stata la fine. Per non parlare delle munizioni, che erano quasi finite. Questi pensieri attraversarono la mente dei Magnifici Nove, che dovettero arrendersi all’evidenza.
   «D’accordo, questo forte non è più difendibile» ammise Master Chief a malincuore. «Guidateci da quest’altra nave e vi seguiremo».
   «Dateci solo il tempo di fare i bagagli» aggiunse Liara, pensando a quanto potevano portarsi dietro in termini di provviste e munizioni.
   «Sì, certo...» fece Klaatu, stranamente assorto. Continuò a fissare i Magnifici Nove, mentre lasciavano il camminamento e scendevano dalla scala a chiocciola, radunandosi nel cortile centrale. Quando furono tutti lì, la sua espressione si era fatta decisamente corrucciata.
   «Qualcosa non va?» chiese Talyn, che in tanti giorni di vicinanza non l’aveva mai visto così preoccupato.
   «Temo di sì, mio giovane amico» disse Klaatu, dardeggiando lo sguardo. «C’è malevolenza fra noi. Uno dei presenti non è ciò che sembra, bensì qualcos’altro. Qualcosa di ostile» rivelò.
   «Intendi che è un traditore, o...».
   «No, credo sia proprio un alieno sotto false sembianze».
   «Ehi, un momento... lei è telepatico?!» volle sapere il Capitano. La sua mano corse al phaser, nel caso l’avvertimento fosse esatto e tra loro si annidasse un pericolo.
   «Telepatico è un termine... impreciso, Capitano» rispose Klaatu. «Diciamo che sono consapevole di molte cose. La mente è uno strumento formidabile, quando lo si usa appieno. Ma nemmeno io so tutto, naturalmente. Ad esempio non so dirle chi sia la minaccia. So solo che c’è» disse, continuando a osservare i combattenti. Istigati dall’accusa, anche questi si scrutarono a vicenda con sospetto.
   «Per me, questo racconta balle!» sbottò Scorpion.
   «No, le percezioni extrasensoriali sono vere» obiettò inaspettatamente Rico. «Il mio amico Carl è così. A volte percepisce qualcosa, ma non sempre vede i dettagli».
   «Se costui è uno psyker, i suoi avvertimenti non vanno sottovalutati» convenne Azrael.
   «E va bene, diamogli credito» sospirò Rivera, per quanto detestasse la situazione. «Mannaggia... proprio adesso che la squadra cominciava a ingranare la marcia, siamo di nuovo al punto di partenza!» si disse, notando come i campioni si sorvegliavano l’un l’altro. Se fosse stato solo per le accuse di Klaatu, l’ultimo arrivato, non gli avrebbe dato peso. Ma Talyn si fidava di lui, e il Capitano a sua volta aveva imparato a fidarsi dell’El-Auriano. «Del resto conosco questi tipi da pochi giorni. Molti di loro vivono qui da tempo... può ben darsi che uno di loro sia stato sostituito da qualcos’altro» ragionò.
   «Allora, come staniamo questa... Cosa?» domandò Scorpion.
   «Per cominciare, gettate le armi!» ordinò il Capitano, impugnando il phaser e arretrando di qualche passo per avere tutti sotto tiro.
   «Seriamente?!» fece Erzsébeth, alzando gli occhi al cielo. «Abbiamo appena combattuto fianco a fianco... e dubiti ancora della nostra lealtà?! Solo perché te l’ha detto questo spaventapasseri?» accusò, indicando Klaatu. La Nietzscheana aveva un’espressione delusa. No, peggio ancora, ferita.
   «Klaatu non è un tipo qualunque!» lo difese Talyn. «Non ho tempo di spiegare, e francamente non credo che capireste, ma... io mi fido di lui. Ti chiedo di fare altrettanto, Capitano» disse in tono accorato.
   «Lo farò» promise Rivera, ormai risoluto ad andare in fondo alla questione. «Gettate le armi, svelti. Tutti, nessuno escluso!» intimò, tenendo sotto tiro i campioni assembrati. Il primo a ottemperare fu sorprendentemente Naskeel, che gettò il fucile polaronico. Seguirono Liara e Yo’rek, che lasciò cadere la lancia Jaffa. Allora anche Scorpion e Rico deposero i mitra, più malvolentieri. A quel punto i renitenti erano in minoranza e sembravano aver qualcosa da nascondere, per cui anche loro dovettero arrendersi. Prima Erzsébeth, poi Master Chief, infine Azrael deposero le innumerevoli armi, ammucchiandole davanti a sé. Arretrarono tutti quanti contro una parete del fortino, dove il Capitano poteva tenerli d’occhio.
   «Pensi davvero che uno di noi sia un impostore?» chiese Erzsébeth, guardando dubbiosa gli altri.
   «Perché no?» fece Scorpion. «Dalle mie parti ci sono Cylon umanoidi maledettamente difficili da riconoscere. Se qui c’è uno di quei lavori in pelle, dobbiamo stare attenti!» disse, osservando gli altri con sospetto.
   «Potrebbe essere un parassita Goa’uld che ha assunto il controllo della sua vittima» suggerì Yo’rek. «In tal caso, potremmo rimuoverlo... a patto di trovare le giuste attrezzature mediche».
   «Qualunque cosa sia, resterete disarmati finché il problema non sarà risolto» avvertì il Capitano. Al suo cenno Talyn prese a raccogliere le armi dal centro del cortile, facendone una gran pila presso uno degli angoli.
   «E perché devi rimanere l’unico armato? Se fossi proprio tu la Cosa che cerchiamo?» insinuò Azrael.
   «E se fosse Klaatu, che appena arrivato ci ha messi l’uno contro l’altro e ora ci ha pure disarmati, pur non adducendo uno straccio di prova alle sue accuse?!» aggiunse Erzsébeth, fissandolo con acredine.
   «Ormai sapete tutti che nel Multiverso abbondano gli impostori, i parassiti e persino i mutaforma» rispose Klaatu senza scomporsi. «Alcuni sono così scaltri che persino i loro conoscenti più stretti stentano a riconoscerli. Non sarà un male se accertiamo le nostre identità, prima di proseguire questo viaggio assieme».
   «E come dovremmo fare?» chiese la Nietzscheana.
   Rivera pensò a un modo che fosse rapido, fattibile con le loro risorse, e abbastanza affidabile da sciogliere ogni dubbio. D’un tratto gli tornò in mente l’ultimo discorso del tecno-prete: «Può venire l’ora in cui ti troverai circondato dai nemici, e non ti fiderai nemmeno degli amici. In tal caso ricorda che le persone mentono, ma il sangue non mente. Solo il sangue rivela chi sei!». Quelle parole gli suonarono improvvisamente profetiche.
   «Se il colpevole non vuol farsi avanti, allora sarà il suo sangue a smascherarlo!» dichiarò il Capitano. Si rivolse a Master Chief e Liara, i padroni del fortino. «Avete un po’ d’attrezzature mediche? Mi occorrono siringhe e piattini per le analisi. Non serve il microscopio, userò il mio tricorder».
   «Sì, le abbiamo» confermò l’Asari. Entrò nella baracca che fungeva da infermeria e in breve ne uscì con quanto richiesto. Poi, su istruzione del Capitano, allineò i piattini sul tavolo del cortile. Posò anche le siringhe. Infine tornò a disporsi coi compagni lungo il muro.
 
   «Tocca a te, Talyn» disse Rivera. «Prendi i campioni di sangue, a cominciare da me» ordinò, sapendo che doveva passare il test se voleva che gli altri gli obbedissero ancora.
   «Preleva anche a me» disse Klaatu, mettendosi in linea con gli altri e offrendo il braccio. «Ho creato io quest’agitazione, è giusto che non mi sottragga all’esame» riconobbe.
   Mentre il Capitano continuava a tenere sotto tiro il resto della squadra, l’El-Auriano passò da un soggetto all’altro, prelevando il sangue con le siringhe. Ogni volta riversava il campione raccolto in uno dei piattini, contrassegnandolo col nome del proprietario. Prima di passare al successivo aveva l’accortezza di cambiare siringa, per evitare che il sangue della Cosa infiltrata fra loro contaminasse i campioni successivi. Non ebbe problemi con Rivera e Klaatu, i più disponibili al test, e nemmeno con Scorpion, Rico ed Erzsébeth. Anche Liara si lasciò prelevare il sangue blu. Yo’rek si sfilò il bracciale dell’armatura quando fu il suo turno, permettendo a Talyn di raccogliere il campione. Allora anche Azrael e Master Chief dovettero fare lo stesso, scoprendo le braccia muscolose. L’El-Auriano ebbe un bel daffare per raccogliere il sangue dell’Ultramarine, la cui pelle era resistentissima e tendeva a piegare gli aghi. Alla fine, comunque, i nove piattini furono colmati. Talyn ne aggiunse un decimo, che riempì con un campione del suo stesso sangue, per non essere esentato dalla prova.
   «E lui?» chiese Erzsébeth, indicando Naskeel.
   «Io non ho il sangue» rispose il Tholiano.
   «Allora andremo per esclusione» intervenne Azrael. «Se noialtri passeremo il test, vorrà dire che la Cosa sei tu».
   «Accusare qualcuno per esclusione degli altri sospetti è un criterio meno affidabile dell’accusarlo per l’effettiva presenza di prove» commentò Naskeel. «Non trova, Capitano?» aggiunse.
   Improvvisamente tirato in ballo, Rivera esitò. Si era impegnato a fondo per riavere la fiducia del Tholiano, dopo che erano naufragati. Poteva buttare tutto alle ortiche, solo per un vago sospetto? E poi, Naskeel era sempre rimasto al suo fianco; quando mai la Cosa poteva averlo sostituito? «Forse è accaduto la prima notte, quando mi ha vegliato mentre dormivo» ricordò a un tratto. Poiché il Tholiano attendeva una risposta, il Capitano gli si rivolse. «Lo so, ma è il meglio che possiamo fare, date le circostanze» mugugnò.
   «E al colpevole, quale che sia, cosa accadrà?» chiese ancora il Tholiano.
   «Questo dipenderà da cosa ci troveremo di fronte» concluse Rivera, sempre più teso per la situazione in cui si erano cacciati. «Avanti, comincia le analisi!» ordinò a Talyn.
   «Io... ehm... stavo pensando che non sarà così facile» esitò l’El-Auriano, già col tricorder in mano. «Alcuni mutaforma riescono a imitarci a livello cellulare. Servirebbe un medico esperto per levare ogni dubbio» avvertì. Guardò Klaatu in cerca di consiglio.
   «Potrei aiutarti, ma se trovassi il colpevole, proprio io che ho dato l’allarme, qualcuno penserà che me lo sono inventato» disse questi. «Serve una prova incontrovertibile. Facciamo così... prendi un saldatore, accendilo e immergilo nei piattini. Se le cose vanno come penso, ne vedremo delle belle» disse enigmatico.
   I Magnifici Nove lo guardarono come se fosse matto, ma Talyn seguì il consiglio. Del resto erano arrivati troppo avanti per rinunciare all’esperimento. Se lo avessero fatto ora, i sospetti reciproci avrebbero continuato ad avvelenarli. Serviva una verifica, per quanto inconsueta. Così l’El-Auriano prese un saldatore dall’officina, lo accese e mise la fiammella a contatto col primo piattino. Era il sangue di Rivera, che sfrigolò per il calore e basta.
   «Test superato, suppongo» disse Talyn, ancora esitante. «Come si suppone che debba comportarsi il sangue della Cosa?!» si domandò. L’annuncio diminuì leggermente la tensione, dato che il Capitano era l’unico armato. Ma la partita era tutta da giocare.
   L’El-Auriano passò ai piattini successivi, sempre facendo in modo che tutti potessero osservare la reazione – o piuttosto l’assenza di reazione – dei campioni sanguigni. Ad ogni prova annunciava il nome del soggetto appena scagionato.
   «Klaatu... libero!».
   «Il sottoscritto, Talyn... libero!».
   «Kara Thrace... libera!».
   «Johnny Rico... libero!».
   Ad ogni annuncio la persona scagionata si rilassava, sentendosi al sicuro dai sospetti, ma gli altri si facevano più tesi, sapendo che la resa dei conti si avvicinava.
   «Yo’rek... libero!».
   «Liara... libera!».
   «Master Chief... libero!».
   «Azrael... libero!».
   «Che cosa vi aspettavate, che diventassi un demone?» ridacchiò l’Ultramarine.
   «Già, questo test è assurdo e anti-scientifico» convenne Erzsébeth. «Quando saremo tutti scagionati, il colpevole sembrerà Naskeel, ma solo per esclusione. E tutto per le accuse di costui!» disse, puntando il dito contro Klaatu. «Propongo di finirla qui, prima di demonizzare uno di noi per niente. Chi è d’accordo?!» esclamò. Si guardò attorno in cerca di sostegno, ma ormai erano tutti in attesa dell’ultima verifica.
   Come aveva già fatto per nove volte, Talyn immerse la fiammella del saldatore nel sottile strato di sangue sul piattino. «Erzsébeth... liber-AH!» gridò l’El-Auriano, balzando indietro per lo spavento. Perché stavolta il sangue non si era limitato a sfrigolare, ma era balzato fuori dal piattino, come una cosa viva che cercasse di sfuggire alla fiamma. Al tempo stesso aveva cambiato colore, facendosi violaceo.
   Rivera fissò Erzsébeth, come fulminato. Tutti quelli allineati con lei si ritrassero, chi da una parte e chi dall’altra, come se fosse un’appestata. E la traditrice fissò il Capitano con aria fatalista. «Se avessi ignorato quell’uccellaccio del malaugurio, sarebbe stato tutto più facile» disse accennando a Klaatu. «Ma tant’è... questa è la cosa, Capitano... io sono la Cosa» ammise.
   A quelle parole il corpo di Erzsébeth subì un’improvvisa, orribile metamorfosi. Le sue membra divennero violacee, s’ingrandirono e si deformarono, stracciando gli abiti. Le unghie divennero artigli, gli occhi s’ingiallirono, le chiome nere furono riassorbite dal cranio. La patina di umanità con cui s’era rivestita si consumò, come una candela al fuoco, rivelando l’orrore sottostante. In pochi secondi non restava nulla della Nietzscheana. Al suo posto torreggiava una creatura raccapricciante con tre zampe, lunghe braccia brancolanti e la testa incorniciata da una cresta ossea. Le pupille cruciformi si fissarono su Rivera, che riconobbe la specie: era un Undine. Ma apparteneva a una casta mai vista prima, che sembrava ancor più orientata al combattimento. Sulle braccia aveva conservato i rostri ossei dei Nietzscheani, come ulteriore arma.
   «Come temevo, è un Infiltratore» disse Klaatu con calma surreale.
   A quelle parole la creatura gli si avventò contro, come se lo ritenesse l’avversario più pericoloso, mentre tutti gli altri indietreggiavano sgomenti. Se fossero stati armati, i Magnifici Nove avrebbero sparato; ma le loro armi erano ammucchiate in un angolo del cortile. Solo Rivera aveva conservato le proprie, e infatti aprì il fuoco. Ma servivano molti colpi a piena potenza per uccidere un Undine. E il phaser del Capitano era così scarico, dopo la battaglia con gli Aracnidi, che il suo debole raggio non ustionò nemmeno l’Infiltratore.
   «NO!» gridò Talyn, vedendo la creatura che si scagliava contro l’indifeso Klaatu. Il giovane afferrò il fucile polaronico di Naskeel, che aveva tenuto posato sul tavolo, e corse in aiuto dell’amico. Gli fece scudo contro la mostruosità aliena e aprì il fuoco, colpendola a bruciapelo. Ma come il phaser, anche il fucile aveva quasi esaurito la carica, tanto che l’Undine se la cavò con una piccola bruciatura.
   L’attimo dopo la creatura sferrò un colpo d’artigli, sbalzando il fucile polaronico di mano a Talyn e gettandolo lontano. In un lampo reiterò l’assalto, conficcando i tre rostri ossei del braccio nel costato dell’El-Auriano. I rostri perforarono la tuta distillante, facendo sgorgare l’acqua raccolta nelle sacche interne, e affondarono in profondità nella carne sottostante.
   Trafitto dalla triplice arma, il giovane lanciò un urlo straziante, che risuonò nel cortiletto bruciato dal sole. Dalle ferite promanava un bruciore tremendo, che gli attanagliava il petto e gli mozzava il respiro. In pochi attimi le forze lo abbandonarono ed egli cadde all’indietro, esanime. Il sangue sgorgava dalle ferite, mischiandosi all’acqua della tuta. Klaatu lo prese tra le braccia e lo accompagnò dolcemente a terra, osservando gli squarci con un orrore senza precedenti. «Non dovevi, figliolo» gli sussurrò all’orecchio, inginocchiandosi accanto a lui. Cercò di tamponargli l’emorragia, lottando con le sue convulsioni. Poi alzò gli occhi all’Infiltratore che incombeva su di loro. «Non sai cos’hai fatto» disse.
   «Sì, invece» rispose la creatura. «Ti ho privato del discepolo, come ora ti priverò della vita». Scattò contro Klaatu, con tutta l’intenzione di farlo a pezzi. Ma i suoi artigli non giunsero a straziarlo, perché in quell’attimo Master Chief si frappose. Lo Spartan attivò un comando della corazza, che generò un campo di forza semisferico, proteggendo Klaatu e Talyn oltre a lui. Per un attimo gli artigli dell’Undine scivolarono sulla cupola d’energia, evidenziandone la trama esagonale. Poi la semisfera in espansione colpì l’Undine, scaraventandolo all’indietro di parecchi metri.
   La creatura emise uno stridio lacerante mentre si abbatteva al suolo, rotolando nella polvere. In un attimo fu di nuovo in piedi, pronta ad attaccare. E si trovò di fronte Yo’rek, che aveva recuperato la sua lancia. Il Jaffa sparò un colpo, che l’Undine arrestò con la mano, subendo una profonda ustione sul palmo. L’Infiltratore cercò di colpire, ma Yo’rek si gettò di lato e rotolò al suolo, sfuggendo all’attacco. Si rialzò fulmineo e sparò di nuovo, colpendo la creatura al ventre. Ma era ancora troppo vicino, tanto che al nuovo assalto dovette opporre l’asta della sua arma. Gli artigli alieni tranciarono in due la lancia Jaffa, fatta di leghe durissime, come se fosse un grissino. Tuttavia presero di striscio la sua corazza e vi scivolarono sopra, graffiandola, ma senza intaccare la carne sottostante. Ad ogni modo l’obiettivo dell’Undine non era Yo’rek, tanto che dopo averlo disarmato si limitò a scaraventarlo via con un calcio. E si avventò nuovamente contro Klaatu, ignorando gli attacchi di Scorpion, Rico e Liara. I proiettili rimbalzavano sulla pelle violacea della creatura, mentre le armi a energia la bruciacchiavano a stento.
   A un tratto però l’Infiltratore incespicò, trattenuto da qualcosa. Abbassò lo sguardo e si accorse che Rivera gli aveva avvolto la frusta neurale attorno alle gambe, trattenendolo. Per un attimo cercò di liberarsi, distraendosi dagli altri attacchi. E questo gli costò caro, perché Master Chief disattivò il campo di forza – che aveva durata limitata – e gli balzò addosso. A metà del salto, lo Spartan attivò un’arma straordinaria: una doppia lama fatta d’energia bianco-azzurra. Calò quella spada lucente sull’Undine, recidendogli il braccio destro all’altezza del gomito. La creatura stridette di dolore e cercò d’arretrare, ma il veterano di mille battaglie fu lesto a sferrare un altro colpo. Gli piantò la doppia lama nel ventre e spinse a fondo, finché le punte gli uscirono dalla schiena.
   «Sì!» gridò Master Chief, certo di avere la vittoria in pugno. Davanti a lui, l’avversario trafitto pareva in agonia. Ma lo Spartan aveva cantato vittoria troppo presto. L’Undine infatti gli afferrò il polso con la mano superstite e fece forza, costringendolo a estrarre la lama dalle sue carni. La ferita prese subito a rimarginarsi, mentre anche l’arto mozzato si rigenerava a vista d’occhio. Poi l’alieno sollevò lo Spartan e girò su se stesso come una trottola, trascinandolo nel movimento vorticoso. Raggiunta un’elevata velocità lo lasciò andare, scaraventandolo a grande distanza. Master Chief colpì una parete del fortino e da lì cadde a terra tramortito.
   «Patetici bipedi, come pensate di fermarmi?!» ringhiò l’Infiltratore, liberandosi anche dall’impaccio della frusta neurale.
   «COSÍ!» tuonò Azrael, calando su di lui come un angelo della morte. Sferrò un tremendo colpo con la spada-motosega, tranciando in due l’Undine, dalla spalla sinistra al fianco destro. Per un attimo l’alieno rimase in piedi, come congelato. Poi, con un suono repellente, la metà superiore del suo corpo scivolò su quella inferiore e cadde a terra. L’attimo dopo gli cedettero anche le gambe. Le due metà del suo corpo continuarono a sussultare, come code di lucertole, macchiando la sabbia di sangue viola.
   «È così che trattiamo gli xenos, dalle nostre parti!» ruggì l’Ultramarine, gloriandosi della vittoria.
   «Non ti muovere, creatura» disse Naskeel, puntando il fucile polaronico – appena recuperato – alla testa dell’Undine.
   «Fermi!» ordinò Rivera. Appurato che il suo phaser quasi scarico non era una minaccia per l’Infiltratore, prese la lancia dell’Alta Guardia e lo minacciò con quella. «Dimmi la verità, brutto mostro. Erzsébeth non è mai esistita?!» volle sapere.
   «Oh, ma certo che è esistita» rispose l’Undine, con un filo di voce. «Era davvero un Comandante dell’Alta Guardia, coraggiosa e piena di risorse. Lottò strenuamente quando l’attaccai, sebbene fosse sola. Così, dopo averla uccisa, decisi che da quel giorno avrei imitato il suo aspetto e i suoi atteggiamenti per infiltrarmi tra i gladiatori. Ha funzionato bene, non ti pare?».
   «Non abbastanza» rispose il Capitano, truce.
   «È come temevo, signore» disse Naskeel. «Per osservare gli scontri e imparare le nostre tecniche di combattimento, gli Undine s’infiltrano fra noi. Così ottengono una conoscenza più approfondita che se si limitassero a osservare tutto coi sensori».
   «E vuoi mettere il divertimento?!» aggiunse l’Infiltratore, per poi tossire sangue.
   Rivera guardò Talyn, che giaceva agonizzante. Klaatu aveva arrestato l’emorragia e gli stava suturando la triplice ferita, con l’aiuto di Liara. Anziché gli strumenti chirurgici del fortino, non molto avanzati, stavano usando quelli più progrediti presi dallo zaino del Capitano. A questi non sfuggì il fatto che Klaatu padroneggiava la tecnologia medica federale. Anche così, il fato del giovane El-Auriano era appeso a un filo.
   «Rispondi, carogna! Come salviamo Talyn?!» ringhiò il Capitano, puntando la lancia dritta in faccia all’Undine.
   «Non potete» rispose quello. «Anche se sopravvivesse alle ferite in sé, le mie cellule hanno già cominciato a divorarlo dall’interno. Se avete pietà di lui, ponete fine alla sua agonia con un rapido colpo» consigliò.
   Rivera ricordò quel che aveva letto sulla biologia Undine, e che Losira gli aveva confermato per esperienza diretta. Quando un Undine graffiava un altro essere vivente, le sue cellule contagiavano la vittima e si moltiplicavano nel suo corpo. In tal modo si espandevano come un cancro, fino a divorare il disgraziato. Questo era accaduto a Brokk, il precedente Ingegnere Capo, durante la loro prima avventura nello Spazio Fluido; Losira aveva dovuto sparargli per abbreviare l’agonia. La sola speranza di salvare Talyn era riportarlo subito sulla Destiny, così che Giely eliminasse le cellule Undine.
   «Se lo portiamo sulla mia nave, potremmo ancora salvarlo!» esclamò il Capitano, rivolto a tutti i presenti. Poi tornò a concentrarsi sull’Infiltratore. «Avanti, bastardo, dimmi come lasciare questo schifoso pianeta!» ringhiò.
   «Non potete fare neanche questo» ghignò l’Undine. «Non ci sono stargate, né vascelli funzionanti. Noi Infiltratori passiamo molto tempo sulla superficie, infine veniamo teletrasportati sull’Harvester per fare rapporto. Ma avrete notato che la stazione non c’è più!» disse, alludendo al fatto che la stella del mattino era scomparsa.
   «Dov’è andata?!» chiese Rivera, pur intuendo la risposta.
   «È tempo di mietere un altro raccolto. Un nuovo pianeta si aggiungerà alla nostra collezione, e voi non potete impedirlo» confermò l’Undine. «Come vedi, è tutto scritto. Presto il Supervisore manderà altri come me a finire il lavoro, e morirete tutti quaggiù. Mi spiace, Armando... eri simpatico, per un bipede. Sei stato una delle mie missioni più interessanti» lo canzonò, alterando la voce per suonare come la Nietzscheana.
   «Questo è per la vera Erzsébeth Moghul, che tu hai ucciso» sentenziò il Capitano. E gli sparò in faccia con la lancia dell’Alta Guardia che le era appartenuta. Lo colpì per venti volte di fila, fino a disintegrargli completamente la testa. Allora gli ultimi spasmi abbandonarono il corpo dell’Undine, che giacque finalmente morto.
 
   Eliminato l’Infiltratore, il Capitano gettò la lancia e si precipitò da Talyn, inginocchiandosi accanto a lui. Il giovane aveva perso molto sangue, che gli imbrattava la tuta, ed era privo di sensi. Klaatu aveva arrestato l’emorragia, stabilizzandolo nell’immediato, ma il problema era un altro. Dalle tre ferite stavano già cominciando a diffondersi gli orribili filamenti giallognoli di tessuto Undine. Era come osservare un tumore che cresceva a vista d’occhio.
   «Allora, quanto gli resta?!» chiese Rivera.
   «Il tessuto Undine prolifera in fretta. Se non lo estirpiamo, il nostro giovane amico non vedrà la prossima alba» rispose Klaatu con gravità. I Magnifici Nove – ora ridotti a otto – gli si radunarono attorno, affranti a quella notizia. Almeno loro stavano bene, compreso Master Chief, che si era già rialzato, con la corazza un po’ ammaccata.
   «Questi strumenti non bastano, ci vorrebbe l’infermeria della Destiny» mormorò il Capitano, angosciato. Sapeva che non sarebbe stato capace di sparare a Talyn, se il male fosse progredito. «Lei non può farci niente?!» chiese a Klaatu, quasi supplicandolo per la disperazione. L’unica cosa che sapeva con certezza sul suo conto era che Talyn si fidava di lui, al punto di farsi colpire al suo posto.
   «Beh, in effetti potrei tentare una cosa» rivelò Klaatu, meditabondo. «Ma sarà difficile e richiederà la vostra collaborazione. Intendo l’aiuto di tutti voi, nessuno escluso!» disse ai campioni assiepati.
   «D’accordo, che dobbiamo fare?» chiese Rivera, mentre anche gli altri borbottavano il loro assenso.
   «Non si tratta d’agire sul piano materiale» spiegò Klaatu. «Quel che mi occorre è il vostro sostegno, inteso come una comunione d’intenti. Dovete concentrare su di me le vostre volontà, il desiderio di guarire questo giovane. Vedete, io posso agire come una lente focalizzatrice e far sì che il vostro pensiero si realizzi. Ma perché ciò sia possibile, dovete accantonare lo scetticismo. So che non è facile, dato che ci siamo appena incontrati, ma dovete fidarvi, sia di me, sia gli uni degli altri. Se uno solo di voi non avrà fiducia, il nostro sforzo sarà compromesso e non potremo salvare Talyn. Allora, siete pronti?».
   I campioni si guardarono l’un l’altro, perplessi. «Lei ci chiede poco... e al tempo stesso ci chiede tutto» commentò Rivera.
   «Siamo tutti combattenti, qui. A tutti noi è capitato di vedere infrante la nostra fiducia e le nostre speranze. Ora non è facile fidarci di un estraneo che sembra usare la magia, più che la scienza» aggiunse Scorpion.
   «In anni di servizio, non ho mai visto la fiducia guarire una ferita» aggiunse Rico. «Forse ci prende in giro. E quando il suo abracadabra non funzionerà, potrà sempre rovesciare la colpa su di noi, dicendo che non ci fidiamo abbastanza».
   «Se siete combattenti, allora saprete che il primo requisito per vincere è credere che la vittoria sia possibile. Se partite dal presupposto di non farcela, siete sconfitti in partenza» disse quietamente Klaatu.
   «Un conto è la vittoria conseguita con armi e strategia, un altro è credere nel potere diretto della mente, che non ha validità scientifica» insisté Naskeel.
   «Vi trovate in un Universo parallelo, su un pianeta che ospita telepati e mutaforma. Forse è il momento di mettere in discussione i vostri preconcetti su ciò che è fattibile e ciò che non lo è» suggerì Klaatu.
   «Okay, un punto a favore» riconobbe il Capitano. «Ma prima di procedere, dobbiamo sapere chi è lei realmente. Niente giochetti, niente giri di parole: ci dica chi è!» lo esortò.
   A queste parole Klaatu, che finora era rimasto inginocchiato accanto a Talyn per prestargli soccorso, si alzò in piedi, rassettandosi gli abiti polverosi. «Io ho molti nomi e molti volti, Capitano. Klaatu è solo uno di essi. Ma forse lei mi conosce come... il Viaggiatore». E così dicendo, si trasfigurò.
 
   Una purissima luce bianca sgorgò dal volto del Viaggiatore, dalle sue mani, da tutte le sue membra, brillando attraverso le umili vesti. In quello splendore, il suo aspetto cambiò. Le sue dita si fusero, finché le mani divennero tridattile. I capelli s’ingrigirono e arretrarono, rendendolo assai stempiato; la barba svanì del tutto. Anche le sopracciglia sparirono, mentre le arcate sopracciliari si fecero più pronunciate. Quando la luminosità svanì, l’essere non aveva più sembianze umane, bensì pareva un nativo di Tau Alpha C. Quanto l’Undine suscitava orrore e spavento, tanto il Viaggiatore emanava un senso di pace e serenità. Si guardò attorno, lasciando che tutti i presenti lo osservassero a loro volta.
   «Sì, ho sentito parlare di lei, ai tempi dell’Accademia» ricordò il Capitano. «È l’essere che per tre volte contattò l’Enterprise-D, dando prova di strani poteri mentali. La prima volta gettò l’Enterprise dall’altro capo dell’Universo e la fece tornare indietro. La seconda salvò una persona che era rimasta intrappolata in una bolla subspaziale sul punto di collassare. La terza volta intervenne nella contesa di Dorvan V, la colonia federale reclamata dai Cardassiani, e infine reclutò un giovane cadetto affinché seguisse le sue orme. La Flotta Stellare ha sempre cercato di capire chi è, qual è il suo scopo e se ci sono altri come lei. Posso sperare che ora mi darà qualche risposta?».
   «Sono solo un viaggiatore che esplora luoghi, tempi e realtà diverse, cercando di apprendere da tutte» rispose l’alieno, allargando le braccia. «In fondo non è diverso da ciò che fa la Flotta, anche se io uso sistemi meno tecnologici e più mentali. Il mio scopo, oltre all’esplorazione in sé, è la difesa di quei cardini fondamentali che permettono al Multiverso d’esistere e fiorire. Ecco perché mi sono attivato quando gli Undine hanno cominciato a profanare le altre realtà. Quanto alla sua ultima domanda... sì, ci sono altri come me. Ma non siamo uniti dall’appartenenza a una stessa specie, o pianeta, o epoca. È piuttosto la comunione d’intenti a renderci ciò che siamo» rivelò, osservando Talyn con seria apprensione.
   «E quel discorso sul curarlo con le nostre energie mentali... è vero?» incalzò Rivera.
   «Ogni parola è vera» confermò il Viaggiatore, tornando a chinarsi sull’El-Auriano. «Il pensiero può alterare la realtà e io posso focalizzare i vostri, per curare il nostro giovane amico. Ma dubbi, sospetti e sfiducia possono far naufragare il tentativo. Sarebbe più facile se fossimo più numerosi... ma siamo in pochi, e quindi la minima discordanza sarebbe fatale. Allora, ve la sentite di tentare?» chiese a tutti i presenti.
   «Siamo più bravi a uccidere che a curare, e a sospettare più che a fidarci» ammise Azrael, appoggiandosi alla spada-motosega.
   «Eppure avete già accettato di collaborare per uno scopo comune, o non sareste qui» notò il Viaggiatore. «Vi chiedo solo di fare un altro passo. Del resto, chiedetevi perché avete combattuto nel corso delle vostre vite. Non è stato forse per salvare i vostri cari, la vostra gente? E allora converrete che il campione più grande non è colui che uccide più nemici, ma colui che salva più amici. Non colui che prende più vite, ma colui che ne protegge di più».
   «L’Imperatore protegge...» mormorò l’Ultramarine, ricordando un articolo del suo credo. «E va bene, Viaggiatore, avrai il mio contributo» decise.
   Ora che il più feroce tra loro aveva dato l’assenso, gli altri non poterono esimersi dal fare altrettanto. Uno dopo l’altro si fecero avanti, offrendo la propria collaborazione, finché furono tutti d’accordo.
   «Bene, allora cominciamo» disse il Viaggiatore.
 
   Di lì a poco sedevano tutti in cerchio attorno a Talyn, che era sdraiato al suolo, con le ferite scoperte. I filamenti alieni crescevano, allungandosi sul torace e affondando in profondità. Il Viaggiatore sedeva a gambe incrociate come gli altri, a occhi chiusi, come se meditasse. Si era posizionato in corrispondenza della testa di Talyn, mentre Rivera stava al capo opposto del cerchio, per tenerlo d’occhio.
   A un tratto il Viaggiatore si riscosse e aprì gli occhi, osservando quanti sedevano con lui. «È il momento» disse pacato. «Ora vi chiedo di focalizzare i vostri pensieri su di me. Datemi la forza di salvare questo giovane. Dovete credere, amici miei, che sia possibile salvarlo. Ricordate: ogni dualità è solo apparenza. Non c’è differenza tra spazio e tempo, materia ed energia, pensiero e realtà. Come la realtà influenza i vostri pensieri, così è possibile invertire il flusso e far sì che siano i pensieri ad alterare la realtà. Visualizzate le cellule aliene che svaniscono, lasciando solo i tessuti incorrotti. Pensate a Talyn come alla persona più cara che abbiate mai avuto, e che vorreste avere qui in questo momento. Fidatevi di voi stessi, nonché gli uni degli altri. Credete nella vita... la vita che trova sempre una strada. Non abbiate paura!».
   Rivera fece del suo meglio, anche se era un uomo d’azione più che di meditazione, e non si era mai affidato al soprannaturale. Tuttavia da quand’era iniziata quell’odissea aveva visto cose prodigiose, come lo Spazio Caotico, dove effettivamente i pensieri prendevano corpo. Così si sforzò di credere che il Viaggiatore potesse fare quanto promesso. Immaginò d’infondergli le sue energie, la sua volontà, ogni filo di speranza che gli restava. A un tratto gli parve davvero d’avvertire un flusso di... qualcosa che scorreva fra loro, sebbene potesse essere una suggestione. Si sentì anche stranamente debole, tanto che vacillò, pur essendo seduto a gambe incrociate. Guardandosi attorno, si rese conto che anche gli altri parevano nelle stesse condizioni. Alcuni avevano la fronte aggrottata o sudavano copiosamente. Il Viaggiatore stesso era il più concentrato di tutti. A tratti sembrava persino sofferente, come se stesse prendendo su di sé il male che attanagliava Talyn. Il Capitano lo vide portarsi la mano al costato, nello stesso punto in cui il giovane era stato ferito.
   D’un tratto accadde qualcosa di ancor più sorprendente. Il Viaggiatore divenne stranamente diafano, come se il suo corpo perdesse consistenza. I raggi del sole lo attraversavano, tanto che egli non proiettava più alcuna ombra al suolo. Sembrava un gioco di luce, un miraggio prossimo a svanire. «Ci siamo. Abbiate fede, amici miei» sussurrò, appena udibile.
   Rivera passò lo sguardo su Talyn, il cui respiro era faticoso e irregolare per via dei filamenti che gli opprimevano il petto. In quella però furono i filamenti a impallidire e svanire, come un brutto sogno spazzato via dal risveglio. La loro trama abbandonò la pelle di Talyn, che prese a respirare più agevolmente. Persino le tre profonde ferite, già suturate, si dissolsero senza lasciare la minima cicatrice. Adesso il giovane El-Auriano pareva sano, a parte il pallore, dovuto al fatto che aveva perso molto sangue.
   Strabiliato, il Capitano tornò a guardare il Viaggiatore e lo vide così trasparente che era sul punto di svanire. In quella però il processo s’invertì e l’alieno riprese consistenza. Il suo corpo tornò opaco, la sua ombra si proiettò di nuovo sul terreno. Infine il Viaggiatore riaprì gli occhi e parlò, stanco ma soddisfatto: «Vittoria, amici miei. Il giovane Talyn è salvo. Dormirà per il resto della giornata e per la notte; domattina si risveglierà di nuovo in forze. Grazie di cuore a ciascuno di voi. Senza il vostro contributo, non ce l’avrei mai fatta».
   I campioni si rialzarono, osservando meravigliati il giovane risanato e scambiandosi impressioni a mezza voce. «Credevo che solo gli Ascesi avessero un simile potere» disse Yo’rek.
   «Siamo tutti a qualche stadio d’illuminazione, chi più chi meno, anche se non è da tutti trascendere la carne» rispose il Viaggiatore con un mezzo sorriso. Il Jaffa, che gli era accanto, lo aiutò ad alzarsi, notando la sua debolezza.
   Intanto Rivera si era accostato a Talyn e lo esaminava col tricorder, in cerca di tracce dell’infezione aliena. Non ne trovò alcuna. Non solo le cellule Undine erano dissolte, ma non c’era nemmeno tessuto cicatriziale, né un aumento di globuli bianchi: nulla a indicare che poco prima il giovane era in fin di vita. Allora il Capitano si alzò e si rivolse al Viaggiatore. «La ringrazio; ora sì che sono in debito con lei» gli disse.
   «Come ho detto, una buona azione è la ricompensa di se stessa. Nessun debito, Capitano» rispose lui, sebbene apparisse provato.
   «Si sente male? Posso fare qualcosa?» si premurò Rivera.
   «Non si preoccupi. Qualche ora di riposo e anch’io ritroverò le forze» garantì il Viaggiatore, con un sorriso tranquillizzante. «Dopo vorrei parlarle di Talyn» aggiunse, facendosi serio.
   «Sì, dopo ne parleremo» convenne il Capitano, osservando l’El-Auriano ancora privo di sensi.
 
   Il Viaggiatore consumò un pasto leggero e si ritirò in uno dei dormitori, dove riposò per il resto della giornata. Intanto Rivera depose Talyn su un lettino, in un altro dormitorio, e restò a vegliarlo. Mille pensieri affollavano la mente del Capitano, ma al centro di tutto vi era il Viaggiatore. Aveva la sensazione che fosse lui il pezzo chiave del rompicapo, e si chiese quali sarebbero state le sue prossime mosse.
   Il sole era ormai tramontato quando Rivera si decise a lasciare il dormitorio, lasciando che fosse Yo’rek a sorvegliare il giovane. Uscito nel cortile del fortino, immerso nella strana penombra dello Spazio Fluido, il Capitano vide che il Viaggiatore era di nuovo in piedi.
   «Come sta il ragazzo?» chiese l’alieno.
   «Mi sembra che sia migliorato. Ha ripreso colore» rispose l’Umano. «E lei?».
   «Anch’io ho ripreso le forze. Le andrebbe di parlare?».
   «Certo, mi segua» lo invitò Rivera. Avrebbe tanto voluto chiedergli cos’era stato quel giochetto di sbiadire mentre curava Talyn, ma sentiva che era più urgente parlare del giovane. I due salirono la scala a chiocciola e raggiunsero gli spalti, dove potevano discutere più liberamente. Dalla loro posizione avevano la vista sia del cortile interno, ormai ripulito dai resti della battaglia, sia della pianura esterna, ancora ingombra dei resti degli Aracnidi.
   «Ebbene, immagino che avrà molte domande» disse il Viaggiatore.
   «Eccome! Ma ad una credo che lei abbia già risposto» fece Rivera. «Vede, continuavo a chiedermi perché Talyn. Voglio dire, lei è qui da molto tempo, sa chi si trova sul pianeta e credo che sia in grado di combinare un incontro con chi vuole. Con migliaia di persone a disposizione, lei ha scelto di prendere contatto proprio con Talyn. Non con noi! Se ci ha raggiunti è solo perché Talyn voleva ritrovarci, e lei lo ha accontentato. Non è così?».
   «Lei è perspicace, Capitano» riconobbe il Viaggiatore.
   «Dunque il suo interesse è tutto per Talyn. Lo ha salvato dalla tempesta di sabbia e da chissà quanti altri pericoli, lo ha ospitato nel suo rifugio, lo ha aiutato a ritrovarci, infine lo ha salvato dall’infezione aliena, a prezzo di un grande sforzo» notò l’Umano. «Per quanto lei sia generoso, questo indica un’attenzione speciale. Lei vede in Talyn un possibile discepolo... un successore. Anche l’Infiltratore lo ha detto».
   «Come le ho detto, noi Viaggiatori non siamo accomunati dalla specie o dalla patria, ma dal talento e dalla vocazione» confermò l’alieno. «E i doni di cui parlo sono estremamente rari. Ci sono interi mondi privi di un solo candidato. Ecco perché, quando finalmente ne troviamo uno, sarebbe incauto lasciarcelo sfuggire».
   «Quindi lei è un talent scout» ironizzò Rivera.
   «Tra le altre cose» ammise il Viaggiatore, abbozzando un sorriso. «Ho avuto diversi apprendisti, ma Talyn... lasci che glielo dica... ha il potenziale più elevato di tutti. Ormai ne sono certo. Potrebbe diventare un Viaggiatore più in gamba di me» rivelò.
   «Uhm... anche noi abbiamo sempre avuto la sensazione che avesse qualcosa di speciale» rimuginò il Capitano. «La prima a notarlo fu Losira, sua madre adottiva. In seguito Talyn ha spesso fatto cose che ci hanno lasciati di stucco. Premonizioni, psicometria... una volta rimase integro durante un fenomeno di scissione quantica che colpì il resto della nave e dell’equipaggio. Pensavamo che dipendesse dal suo essere El-Auriano... quel popolo ha capacità misteriose».
   «Sì, gli El-Auriani hanno una sensibilità straordinaria, e molte capacità di Talyn derivano certamente da quello» confermò il Viaggiatore. «Tuttavia ritengo che sorpassi anche il resto della sua gente. So d’essere indiscreto a chiedere, ma... potrebbe dirmi ciò che sa della sua famiglia? Dei suoi anni formativi? Con me il ragazzo è stato alquanto abbottonato su questi argomenti. È chiaro che è orfano, e che ha sofferto molto, ma devo saperne di più».
   «Le dirò quel che so... per quanto anch’io in realtà non conosca i dettagli. Forse Losira sa qualcosa di più» sospirò Rivera. Raccontare fatti così personali a un mezzo sconosciuto era un azzardo, ma si disse che il Viaggiatore aveva già dimostrato la sua buona volontà. Così nell’ora successiva il Capitano si sforzò di ricordare, e d’esporre nel modo più organico, tutto ciò che sapeva sulle origini di Talyn.
   Il Viaggiatore ascoltò con la massima attenzione, interrompendo solo occasionalmente per fare qualche domanda mirata. A interessarlo era soprattutto l’effetto che le vicissitudini potevano aver provocato sulla stabilità emotiva del giovane e sulla sua etica. In particolare fu colpito – in negativo – nel sapere che Talyn aveva la tendenza quasi cleptomane a rubacchiare, in seguito agli anni vissuti per strada, prima d’essere adottato. Anche sapere che di recente aveva ucciso alcune guardie per salvare Losira lo impressionò.
   «Questo è tutto, credo» concluse il Capitano. «Allora, che ne pensa?».
   «Uhm... avevo notato che Talyn ha vissuto esperienze drammatiche, ma forse ne avevo sottovalutato la portata» ammise il Viaggiatore. «È chiaro che reca cicatrici profonde, del tipo che nemmeno io posso curare».
   «Ha avuto una vita dura» convenne Rivera. «Da quand’è fra noi, abbiamo cercato di farlo sentire... come dire... di famiglia. Ma siamo una banda d’avventurieri ricercati, e negli ultimi anni abbiamo vagato nel Multiverso. La nostra vita è difficile e pericolosa, perciò lo è stata anche la sua».
   «Non ve ne faccio una colpa. Anzi, considerate le circostanze, avete agito in modo ammirevole» lo rassicurò l’alieno. «Resta il fatto che Talyn ha un bagaglio emotivo assai gravoso. Già in termini d’età anagrafica è maggiore rispetto a ogni altro apprendista che ho mai avuto. Di solito noi Viaggiatori cerchiamo discepoli più giovani, per evitare che abbiano un eccessivo attaccamento alla loro vita passata. Ma oltre a questo, Talyn porta anche il peso d’esperienze traumatiche. La perdita della famiglia, i giorni passati sotto le macerie di casa, gli anni vissuti come ragazzo di strada... e poi tutte le avversità che vi hanno colpiti. Per quanto possa elaborare i traumi, ne porterà sempre il peso» ragionò.
   «Quindi non desidera più prenderlo sotto la sua tutela?» chiese il Capitano, speranzoso.
   «No, lo desidero ancora» rispose inaspettatamente il Viaggiatore. «Anzi, potrebbe essere ancora più importante aiutarlo a trovare l’equilibrio».
   «Quindi vuole portarcelo via?» s’incupì Rivera. «Le ricordo che la vita di Talyn è con noi. Lei, con tutto il rispetto, lo conosce solo da pochi giorni. È poco per decidere di mollare tutto e partire all’avventura. Prima ha detto che lei cerca due cose, talento e vocazione. Accetto che Talyn abbia il talento. Ma la vocazione? Francamente io, che lo conosco da molto più tempo di lei, non credo che ce l’abbia. E mi auguro che non intenda portarlo via contro la sua volontà» disse, facendosi più severo. Forse aveva sbagliato a dirgli così tanto sul suo conto.
   «Si calmi, Capitano. Io non intendo “portare via” nessuno. Non accadrà mai che prenda un discepolo contro la sua volontà, sarebbe assurdo e inattuabile» promise l’alieno. «Se mai Talyn venisse con me, sarà per sua libera scelta. E se mai decidesse che questo cammino non fa per lui, io stesso lo riporterò da voi» s’impegnò.
   «Voglio crederle» disse il Capitano. «Ma resto convinto che Talyn non sarà incline a seguirla. E poi c’è un’altra faccenda» esitò.
   «Sì?» lo esortò il Viaggiatore.
   «Ecco, il fatto è che sulla Destiny abbiamo un equipaggio ridotto» confessò Rivera. «E Talyn è bravissimo come addetto a sensori e comunicazioni. Se andasse via, sentiremmo la sua mancanza. Anzi, diciamo pure che saremmo tutti ancor più in pericolo. Come ho detto, il ragazzo ha salvato l’intera nave più di una volta».
   «Quindi non volete rinunciare a lui» disse pacatamente l’alieno. Non c’era rimprovero nel suo atteggiamento, solo il desiderio di comprendere le loro ragioni.
   «In effetti è così. E poi Losira morirebbe di crepacuore se sapesse che se n’è andato a esplorare il Multiverso in modo tanto temerario» disse il Capitano. «Ora, non mi fraintenda: io non intendo vietare a Talyn di andare con lei, se questo fosse il suo desiderio. Non lo chiuderò in cella, né userò ricatti emotivi per tenerlo legato a noi. Però, come ha notato, Talyn è molto percettivo. Quindi sa che non vorremmo lasciarlo, per ragioni sia affettive, sia pratiche. E sapendo questo, non credo che ci pianterà in asso. Almeno non finché la nostra vita sarà così incerta e pericolosa».
   «Sì, il suo discorso è sensato» ammise il Viaggiatore. «È vero, Talyn è molto legato a voi. È il legame più sano che abbia mai stretto in vita sua, e io non vorrei pormi come colui che lo recide. Tuttavia credo che il suo destino, per quanto connesso alla vostra nave, non si esaurisca con essa. Prima o poi dovrà andare oltre».
   «Cosa intende con “andare oltre”?» s’inquietò Rivera. «In cosa consiste il vostro addestramento? Dov’è che vi radunate? Come funziona la vostra organizzazione? Chi prende le decisioni cruciali?!» incalzò.
   «Mi spiace, non posso rispondere a queste domande» fece l’alieno, scuotendo la testa. «Le dirò solo che il nostro addestramento permette d’esaltare le potenzialità individuali. Per questo è così importante trovare i candidati giusti. Coi nostri insegnamenti, chi è buono diventa migliore... e chi è cattivo diverrebbe peggiore. Così anche noi siamo posti davanti a scelte difficili. Ci è capitato più volte di non addestrare qualcuno, per timore che ne facesse cattivo uso, solo per scoprire che questi soggetti imparavano da autodidatti, divenendo pericolose mine vaganti. Ecco perché vorrei fornire a Talyn un metodo, e soprattutto insegnargli l’autocontrollo, anziché lasciare che sperimenti da solo le sue facoltà».
   «Forse è presto per prendere una decisione definitiva» suggerì Rivera. «Facciamo così: per adesso teniamo questa conversazione tra noi. Non carichiamo il ragazzo col peso di ulteriori aspettative. Siamo ancora dispersi su Arena, con gli Undine a darci la caccia. Concentriamoci sui bisogni immediati: tornare sulla Destiny, avvertire la Federazione. Se sopravviviamo a tutto questo, allora potremo ragionare sul futuro di Talyn».
   «Far passare altro tempo può essere sia un bene che un male» avvertì il Viaggiatore. «Ma lei ha ragione, al momento abbiamo necessità più pressanti. Dunque occupiamoci di quelle, e congeliamo il discorso su Talyn. Ne riparleremo quando i tempi saranno maturi» acconsentì.
   «Intesi» disse il Capitano. E si strinsero la mano per suggellare l’accordo.
 
   Talyn sbatté gli occhi, cercando di mettere a fuoco la vista, mentre la memoria gli tornava a sprazzi. Ricordò la cavalcata sul Verme delle Sabbie, l’arrivo in soccorso dei campioni assediati, la ricerca del traditore annidato fra loro. L’ultima cosa che ricordava erano i rostri ossei dell’Infiltratore che gli affondavano nelle carni, e il dolore lancinante della triplice ferita.
   «Gasp!» fece l’El-Auriano, alzandosi di scatto. Si tastò il costato, dove ricordava d’essere stato trafitto, ma non trovò né ferite né segni d’infezione. Era miracolosamente sano.
   «Calmati, sei al sicuro e sei fuori pericolo» gli disse una voce familiare.
   Talyn constatò di trovarsi su un lettino, in un dormitorio del forte. Finalmente la vista gli si schiarì tanto da permettergli di riconoscere Rivera, seduto accanto a lui. «Capitano, sta bene! E gli altri?» chiese subito.
   «Stiamo tutti bene» lo rassicurò l’Umano. «L’unico ferito eri tu, e ora è passato».
   «L’Undine mi aveva contagiato» ricordò il giovane, passandosi la mano sul costato. «Come avete fatto a curarmi, senza le attrezzature della Destiny?» volle sapere.
   Il Capitano si mosse sulla sedia, leggermente a disagio. «Dobbiamo ringraziare il tuo amico, il signor Klaatu» disse, usando il nome a lui familiare. «Il suo metodo è stato più... trascendente che tecnologico, ma per fortuna s’è rivelato efficace. Come ti senti?».
   «Bene... anche se sono incredibilmente affamato» confessò il giovane.
   «Non mi stupisce. Sei stato privo di sensi per tutto il pomeriggio e la notte» spiegò Rivera. «Ti abbiamo preparato da mangiare» aggiunse, indicando un tavolino apparecchiato accanto al letto.
   Erano le insipide razioni del forte, poiché non c’era altro, ma l’El-Auriano sentì comunque l’acquolina in bocca. Tuttavia non si gettò subito sul cibo. «Che ne è dell’Infiltratore?» chiese, ancora assorbito dai ricordi della lotta.
   «Lo abbiamo ucciso» rispose il Capitano, e osservò attentamente la reazione.
   «Meno male!» esclamò Talyn, mostrando sollievo. Si tastò ancora il punto dov’era stato colpito, ricordando il dolore e il terrore di quei momenti. Altri pessimi ricordi da aggiungere alla sua vita turbolenta. «Ma ce ne saranno altri come lui. Dovremo stare molto attenti a chi incontriamo. Non possiamo fidarci di nessuno» avvertì.
   «Tranne Klaatu, che ti ha guarito» puntualizzò Rivera, sempre interessato alla reazione.
   «Già, tranne Klaatu» convenne Talyn. Si guardò attorno, aspettandosi di vederlo, e restò un poco deluso nell’accorgersi che non c’era. «Gli posso parlare? Vorrei ringraziarlo per tutto quello che ha fatto» disse.
   «Certo, tra un attimo gli parlerai» assicurò il Capitano. «Prima però devo darti una notizia. Il tuo amico Klaatu è un essere dai molti nomi... e dai molti volti. No, non è un Undine, e nemmeno un Fondatore del Dominio» chiarì, prevenendo le domande. «Si tratta di una creatura del tutto diversa. Finora tu l’hai visto con l’aspetto che aveva preso per mimetizzarsi su Arena. Ma dopo il tuo ferimento ha ripreso quelle che, credo, sono le sue vere sembianze. Quindi non stupirti, se ti apparirà diverso da come lo conoscevi».
   «Senti, senti...».
   «Non sembri sorpreso».
   «Non più di tanto» confermò Talyn. «Ho sempre avuto l’impressione che nascondesse dei segreti. Era fin troppo esperto di tutto e di tutti».
   «Ma continui a fidarti di lui?» sondò Rivera.
   «Tutto sommato, sì. Non è stato lui a guarirmi?».
   «Oh sì, è stato lui» confermò l’Umano, tacendo la lunga conversazione che avevano avuto sul suo conto.
   «Capitano, c’è altro che vorrebbe dirmi su di lui?» s’insospettì l’El-Auriano.
   Rivera si riscosse, accorgendosi che il giovane era davvero perspicace. «Uhm, solo che ci ha chiesto di chiamarlo il Viaggiatore» rivelò. «A quanto pare, Klaatu era uno dei suoi pseudonimi». Ciò detto si alzò e andò alla porta, introducendo l’alieno che aspettava fuori.
   «Bentornato fra noi, Talyn» disse il Viaggiatore, facendosi avanti. Aveva ancora le sembianze aliene, con le mani tridattile e l’arcata sopracciliare pronunciata. Solo la voce serena e il caldo sorriso erano immutati.
   «Caspita, sei... diverso da prima» ammise Talyn, osservandolo meravigliato. Se il Capitano non lo avesse avvertito, non lo avrebbe riconosciuto; almeno non subito.
   «Mi spiace per questo piccolo inganno» disse il Viaggiatore, accomodandosi sulla sedia lasciata libera da Rivera. «Quando ci siamo incontrati ero per così dire in incognito. Ma poi l’Infiltratore mi ha riconosciuto lo stesso, quindi tanto vale mostrarmi nel mio vero aspetto. Spero che non me ne vorrai».
   «No di certo. Anzi, ti ringrazio per avermi curato» disse il giovane. «A proposito, come hai fatto di preciso?».
   «È una lunga storia... mangia, intanto» lo esortò il Viaggiatore, accennando al tavolino.
   Il Capitano, che fino a quel momento aveva indugiato sulla soglia, decise finalmente di uscire, lasciando che i due chiacchierassero in privato. Confidava che l’alieno avrebbe mantenuto la sua promessa, e non avrebbe cercato di reclutare Talyn. D’altra parte sperava che fosse l’El-Auriano a scoprire qualcos’altro sul suo conto.
 
   Tornato nel cortile, il Capitano notò un certo movimento. Liara aveva posizionato un piccolo telescopio e stava facendo delle osservazioni, scambiando commenti con gli altri campioni radunati attorno a lei. «Beh, che succede?» chiese Rivera, accostandosi al gruppetto.
   «Succede che l’Harvester s’è fermato ai margini del sistema» rispose la scienziata Asari, distogliendosi dall’osservazione. «Questo conferma le ultime parole dell’Infiltratore. Gli Undine si accingono a rubare l’ennesimo pianeta».
   «E stavolta tocca a Ferasa» concluse Rivera, pensando a che cataclisma sarebbe stato per la Federazione. Perdere un intero mondo avrebbe scatenato il panico. E una volta risucchiati nello Spazio Fluido, i poveri Caitiani che speranze avevano di tornare? Bisognava fare qualcosa, prima che fosse troppo tardi. Il primo passo, naturalmente, era tornare sulla Destiny.
   «È tempo di mettere il nostro amico Viaggiatore alle strette» disse il Capitano, facendosi cupo. «Uno come lui, sempre in viaggio tra i mondi, deve avere un modo per lasciare questo dannato pianeta. Scopriremo come fa e lo costringeremo a darci un passaggio, con le buone o con le cattive» decise.
 
   Di lì a poco Talyn e il Viaggiatore uscirono dalla baracca, chiacchierando allegramente. I loro passi si bloccarono e le loro voci si spensero quando videro i campioni schierati davanti a loro, in silente attesa. I loro volti erano severi, ed essi avevano le armi con sé, pur non impugnandole.
   «Beh? Capitano, che significa questo?» chiese Talyn, intimorito. «C’è un altro Infiltratore fra noi?!» si allarmò.
   «No» rispose seccamente l’Umano. «Il fatto è che l’Harvester ha raggiunto i margini del sistema e lì si è fermato. Tutto lascia intendere che gli Undine si apprestino a sequestrare un altro pianeta, con tutta la popolazione. Stavolta potrebbe toccare ai Caitiani, il popolo di Shati».
   «Mi spiace, ma... noi che possiamo farci?» chiese l’El-Auriano.
   «Forse poco, forse niente» disse Rivera. «Ma l’unico modo per saperlo con certezza è tornare sulla Destiny e fare il punto della situazione. Ora, il Viaggiatore ha ammesso di potersi spostare da un mondo all’altro anche senza l’ausilio di particolari tecnologie. La domanda è: che aspetta a farlo?».
   Tutti fissarono l’alieno, e anche Talyn lo guardò perplesso. «È la verità? Puoi ricondurci sulla Destiny?» chiese.
   «È più complicato di quanto crediate» avvertì il Viaggiatore. «Se non fosse occultata, e ne conoscessi la posizione, potrei farlo agevolmente. Il problema è che i vostri colleghi si stanno nascondendo piuttosto bene. Se la Destiny è ancora da qualche parte in questo sistema, posso cercare di rintracciarla; ma mi occorre il tuo aiuto» si rivolse a Talyn.
   «Io? Ma non ho strumenti... che devo fare?» chiese il giovane, perplesso.
   «Solo espandere la tua mente. Non temere, ti guiderò io. Voialtri, potreste sedervi per cortesia? Sì, tutti in cerchio, come ieri» raccomandò l’alieno.
   Mentre il resto del gruppo faceva come richiesto, il Viaggiatore prese Talyn da parte. «Se tutto va bene,  presto sarete a bordo» disse. «Ma è possibile che le nostre strade si separino, almeno per un po’» avvertì, malinconico.
   «Non capisco perché» disse il giovane. «Mi sembra di averti appena conosciuto, e so che avresti tanto da insegnarmi».
   «Il tuo apprendistato non deve passare necessariamente da me» rispose l’alieno, ricordando il patto con Rivera. «Forse basterà la tua vita sulla Destiny. Ma se desideri rivedermi, allora sarà così... quando i tempi saranno maturi».
   «E quando accadrà?» chiese l’El-Auriano, impaziente.
   «Come dicono i saggi Mondoshawan... il tempo non ha importanza. Solo la vita è importante» dichiarò il Viaggiatore. «Andiamo ora» aggiunse, dirigendosi verso il resto del gruppo.
   Talyn però restò fermo, scrutando l’interlocutore. «Ma insomma... tu chi sei?!» chiese ancora una volta.
   «Mio giovane amico, è il momento di cominciare a farti domande più importanti di questa. Non chiederti chi sono io, ma chi sei tu. Conosci te stesso e conoscerai anche il prossimo» raccomandò il Viaggiatore. «Su, vieni, i tuoi colleghi ci aspettano».
 
   Di lì a poco erano tutti seduti in cerchio, al centro del cortile, come il giorno prima. Il cerchio tuttavia era un poco più ampio, perché adesso Talyn sedeva fra loro, alla destra del Viaggiatore. Anche stavolta questi chiese ai presenti di focalizzare le loro volontà su di lui, immaginando di sostenerlo. «Avete già assistito al potere della mente. Ora è il momento di attingervi di nuovo. Non sentitevi sminuiti dal fatto di non essere telepati. Ogni essere senziente ha un potere straordinario, se solo impara a sfruttarlo» rivelò.
   Quando ebbe creato un clima di concentrazione simile al precedente, tuttavia, il Viaggiatore cambiò tecnica. Invece di chiedere ai presenti di pensare alla Destiny, si rivolse in particolare a Talyn. «Sarai tu la nostra guida. Quella nave ti è cara, non è così? Forse è il luogo più simile a una casa che tu abbia mai avuto» suggerì.
   «In effetti è così» ammise il giovane.
   «Allora concentrati su quel luogo e sulle persone che ci vivono. La tua madre adottiva, i tuoi colleghi, i tuoi amici. Cerca di percepirli attraverso le vastità dello spazio. Non importa se sono occultati... percepisci le loro menti, simili a focolari nell’oscurità. Ti sembra che siano ancora in questo sistema stellare?».
   Talyn aggrottò la fronte, che era imperlata di sudore, per il caldo e la concentrazione. Chiuse gli occhi, eliminando qualunque distrazione esterna. A un tratto la sua espressione si rasserenò. «Sì, mi sembra di sentirli. Sono ancora qui» confermò. «Si preoccupano per noi, ma... sono incerti su come intervenire. Questo pianeta è circondato dalle bionavi, che cercano di prenderli in trappola».
   «Non ci sarà alcuna trappola, se noi superiamo il blocco» lo rassicurò il Viaggiatore. «Ora pensa alla plancia della Destiny. Cerca di figurarla con gli occhi della mente. Riesci a vederla?».
   «Certo».
   «Eccellente» si complimentò l’alieno. «Adesso immagina che qui fra noi si apra un portale, un passaggio diretto che ci permetta di salire a bordo. Come lo stargate che avete visto sull’altra Destiny. Lo spazio si piega, la distanza si annulla, finché due punti coincidono. I due punti sono diventati uno solo. Dico a tutti voi... dovete credere che ciò sia possibile» si rivolse agli astanti. «Dovete credere che la mente abbia il potere di superare lo spazio e annullare le distanze. Dovete credere che si possa raggiungere ogni punto del cosmo... senza muoversi».
   Non fu facile, malgrado il miracolo a cui avevano assistito il giorno prima. Ma con la guida del Viaggiatore, Rivera e gli altri cercarono di figurarsi questo passaggio. Ed ecco, il Capitano vide materializzarsi qualcosa tra loro. Dapprima parve una distorsione luminosa, come un miraggio nel deserto. Poco alla volta si precisò, assumendo l’aspetto di un portale. A tratti sembrava un imbuto, come uno stargate senza l’anello metallico. In altri momenti pareva invece una porta alta e stretta.
   Ricordando l’esperienza precedente, Rivera osservò il Viaggiatore. Ed ecco, lo vide nuovamente farsi diafano. La sua figura impallidiva sempre più, come un ricordo sul punto di svanire. Poco alla volta gli oggetti retrostanti divennero visibili attraverso la sua sagoma. La sua ombra impallidì fino a sparire del tutto, mentre quelle altrui erano ancora ben delineate. Intanto la sua espressione era sempre più stanca e sofferente; anche la sua voce s’indebolì.
   Il Capitano sentì crescere il panico. Qualcosa non andava nel verso giusto, il Viaggiatore si stava stancando troppo. E dire che, rispetto al giorno prima, avevano Talyn a contribuire con la sua energia mentale non indifferente! Ma sembrava che aprire un portale costasse più fatica di quanta ne aveva richiesta la guarigione. O forse il Viaggiatore non si era ancora pienamente ripreso dallo sforzo precedente. Quale che fosse il motivo, si stava... consumando.
   «Resistete, amici miei. Uniti ce la possiamo fare» disse l’alieno con un filo di voce. Il suo corpo divenne quasi invisibile, mentre il portale al contrario era sempre più luminoso. D’un tratto si stabilizzò, apparendo come un ingresso che potevano varcare. «Ecco, la via è aperta! Affrettatevi, avete ancora molto da fare. E ricordate che la distanza tra noi non conta, finché saremo vicini nello spirito» sussurrò il Viaggiatore. Sorrise, emettendo un lento sospiro soddisfatto. E svanì del tutto, lasciando un posto vuoto nel cerchio.
   Allora anche gli altri astanti, fra cui Talyn, riaprirono gli occhi. Videro il portale aperto fra loro e ne furono entusiasti. Balzarono in piedi, pronti ad attraversarlo. «Ce l’abbiamo fatta!» esultò Talyn, volgendosi dove fino a un attimo prima c’era il Viaggiatore. E ammutolì nel vedere che era scomparso. Si guardò freneticamente attorno, pensando che si fosse allontanato di qualche passo. «Ma dov’è? Qualcuno l’ha visto?!» esclamò, sempre più confuso.
   «Il Viaggiatore è svanito» disse Rivera, per evitare che Talyn si attardasse a cercarlo.
   «Come sarebbe, svanito?!» fece il giovane, incredulo.
   «Ha fatto puff e s’è dissolto nell’aria, okay?!» rispose nervosamente il Capitano. «Già si era affievolito ieri, per guarirti. Oggi lo sforzo deve averlo spinto oltre il limite».
   «Stai dicendo che è morto?!» chiese Talyn, sempre più sconcertato. Si sentiva in colpa per averlo costretto a spendere così tanta energia per salvarlo. Senza di quello, forse adesso sarebbe stato ancora fra loro...
   «Tu non hai colpa» chiarì Rivera, intuendo i suoi pensieri. «Anzi, gli hai fornito un aiuto indispensabile. Ma lui ha fatto quello che doveva, conoscendo i rischi. Non so se sia morto... non so nemmeno se uno come lui possa realmente morire. Forse è solo tornato da dove proveniva. O forse non è mai stato realmente qui! In ogni caso dobbiamo attraversare quel portale finché è aperto, o sarà stato tutto inutile. Vieni, per l’amor del Cielo!».
   Siccome Talyn non si decideva a seguirlo, il Capitano lo prese per un braccio e se lo trascinò dietro. Svanirono entrambi nelle profondità azzurrine del portale. Allora anche gli altri campioni si affrettarono a seguirli, temendo che il varco si richiudesse, lasciandoli lì. Scorpion e Rico, Liara e Master Chief, Naskeel e Azrael attraversarono il vortice, abbandonando il cortile assolato. L’ultimo ad andare fu Yo’rek, che prese la lancia da combattimento appartenuta a Erzsébeth, in sostituzione di quella spezzatasi nella lotta contro l’Infiltratore. Pochi secondi dopo che il Jaffa era passato, il portale impallidì e si dissolse, senza lasciare alcuna traccia. Il fortino semidistrutto rimase deserto e silenzioso, come tanti altri ruderi su Arena. 
 
   
 
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