Anime & Manga > Candy Candy
Segui la storia  |       
Autore: acchiappanuvole    18/10/2023    3 recensioni
Erano davanti alla stazione, il treno che li aveva portati era già ripartito, una folla si accalcava ancora alle barriere: infermiere, soldati francesi e belgi, una vecchia vestita di nero con una stia di polli. Candy si voltò. In lontananza, come le aveva promesso il Dottor Martin, c’era la sua destinazione: Etaples.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

New York, Maggio 1915
Fin da bambina era sempre stata abile nel ricamo, e con particolare sorpresa di sua madre aveva una certa abilità nel ricamo libero, abilità che si era rivelata utile soprattutto i primi anni in cui aveva intrapreso il percorso della recitazione. Essere in grado di cucire e ricamare i propri costumi di scena adattandoli perfettamente alla sua figura e alla sua personale idea del personaggio si era rilevata una capacità vincente. Ma ora dopo pochi punti gli occhi le si appesantivano, il risultato le appariva sempre mediocre, non all’altezza di ciò che aveva in mente e questo la innervosiva. Il suo bambino avrebbe dovuto essere impeccabile, si diceva, ed invece quei vestitini che con tanta dovizia si era impegnata a terminare e che teneva nascosti nel cassetto del comò come il più prezioso dei tesori, le apparivano ora detestabili, mal rifiniti, sciatti. Li scagliò rabbiosamente in fondo alla stanza, sprofondando poi esausta la nuca nel grande cuscino del letto. La pendola segnava le undici del mattino e Terence non era comparso nemmeno una volta alla sua porta. Suonò il piccolo campanello con l’impugnatura d’avorio, di lì a poco la cameriera entrò nella stanza con un certo affanno, doveva aver corso dal piano di sotto temendo probabilmente un malore della sua irrequieta padrona. “Vi sentite bene signorina Susanna?” la ragazza annuì distrattamente “dov’è Terence?” chiese senza convenevoli.
“E’ uscito questa mattina presto e non è ancora rientrato signorina”
Susanna emise un profondo respiro sconsolato, avrebbe voluto scostare le coperte, alzarsi e uscire a cercarlo, supplicarlo di smettere di inseguire fantasmi ed echi di guerra che provenivano da oltre l’oceano. La cameriera avanzò nella stanza notando qualcosa a terra a pochi passi dal letto, Susanna impallidì e la fermò “lascia stare, raccoglierà più tardi mia madre” disse nella speranza che la giovane non facesse caso a cosa si trattasse, ma dal suo sguardo Susanna poté ben comprendere che la sua era stata una pia illusione. “Non farne parola alcuna Evelyn o sarò costretta a licenziarti!”
“ecco signorina in realtà lo so da tempo…”
Susanna se possibile divenne ancora più pallida “come?”
“come avrei potuto non notarlo, sono la vostra cameriera e mi occupo di voi quotidianamente…sarei stata cieca e superficiale per non rendermene conto”
“e hai…”
“no signorina non ne ho fatto parola alcuna, vorrei che vi fidaste di me”
Susanna sembrò allentare la tensione che le aveva irrigidito le spalle “perdonami Evelyn, mi rendo conto che mi sto comportando da bambina e sono ogni giorno più insopportabile. Mi sento prigioniera, vorrei uscire, respirare un po’ d’aria, vorrei che Terence non mi trascurasse a questo modo…” la voce le si inclinò “gli ho scritto una lettera perché non ho il coraggio di comunicargli a voce l’arrivo di questo bambino, ma sta nel fondo del cassetto ormai da troppo tempo, e più passa più fatico. Inoltre mi chiedo come abbia fatto a non accorgersene da solo…o forse lo ha fatto e non ne vuole parlare…” si stava chiaramente agitando e Evelyn si accostò al letto asciugandole una perla di sudore sulla tempia “gli uomini sono molto più ottusi in queste cose” sorrise la giovane “ma se il signor Terence sapesse sono certa che non vi lascerebbe un secondo. Dovete dirglielo quanto prima e smettere di angustiarvi” le rassettò le coperte “volete che vi porti qualcosa da mangiare?”
Susanna scosse il capo “ho mangiato molto a colazione e le nausee sono poi diventate insopportabili, mamma è stata tutta la mattina a cambiare il secchio…mi sento così misera”
“posso aiutarvi anch’io signorina, sono qui apposta. So bene che le nausee possono esser terribili, mia sorella Idith ne ha sofferto terribilmente durante la gravidanza. Ma voi signorina dovete aver ancor più cura di voi stessa, il vostro fisico è delicato e non dovete farvi riguardo a chiedere tutto l’aiuto di cui necessitate” Susanna non ebbe il tempo di ribattere, al piano di sotto qualcuno aveva suonato ed il cuore le fece un balzo, poteva trattarsi di Terence? “Evelyn ti prego vai a vedere chi è,” la domestica annuì e con la stessa rapidità con la quale era salita, ridiscese al piano di sotto per aprire. Susanna tese l’orecchio ma distinse la voce di una donna, non le riuscì di riconoscerla ma la sua delusione le era perfettamente dipinta in viso. Evelyn risalì poco dopo con le guance arrossate e il fiato corto “Miss Baker è al piano di sotto signorina e chiede di poterla vedere, volete che la faccia salire?”
Susanna si portò ambo le mani al viso “la madre di Terence…oh cielo sono così impresentabile ed in disordine…” Evelyn sorrise incoraggiante “sistemerò in un attimo e servirò il tè sul terrazzino se volete,” Susanna si riebbe e finalmente un sorriso di gratitudine le animò il viso “grazie Evelyn, ti prego di aiutare a sistemarmi e…” indicò la coperta decorata piegata sulla poltrona “se mi adagerai sulla carrozzella mi coprirò con quella in modo che…” Evelyn comprese ed in pochi minuti mantenne fede ai suoi propositi.
Eleanor si accomodò nella stanza, le finestre erano aperte e Susanna l’attendeva sul terrazzino, il sole era piacevole quel mattino e la temperatura invogliava lo stare all’aria aperta. La donna le andò incontro “Susanna tesoro come ti senti?” le baciò le guance pallide e la guardò con sguardo materno e benevole.
“Molto bene Miss Baker, sono lieta che siate venuta a farmi visita” Susanna sorrise con sincera emozione, “credevo che fossimo d’accordo mi avresti chiamata Eleanor”
Susanna arrossì “faccio ancora un po’ fatica…”
“mi farebbe molto piacere”
“va bene, Eleanor”
“così va meglio” si sedette al tavolino di ferro battuto allentando la sciarpa di seta color malva che le adornava il collo.
“Evelyn ci porterà il tè”
“eccellente” Eleanor si guardò intorno, la stanza di Susanna era una piccola bomboniera amorevolmente studiata in ogni dettaglio dal diligente gusto, talvolta un po’ antiquato, della signora Marlowe. La donna non poté fare a meno di paragonarla alla stanza di una casa di bambole che aveva visto nelle vie di Londra decenni prima.
“mi spiace che Terence non sia qui per salutarvi” ammise Susanna spostando lo sguardo azzurro e malinconico verso il viale alberato sottostante che adornava una poco affollata strada newyorkese.
“temo sia effettivamente colpa mia Susanna, gli ho dato un’incombenza che non sarei riuscita a sbrigare da sola e questo temo che lo terrà occupato tutta la mattina”
Susanna sbatté le palpebre sorpresa “oh…”
“come sai mi sto poco a poco ritirando dalle scene ma prima di darmi al completo oblio vorrei poter produrre io stessa uno spettacolo teatrale, ho chiesto a Terence di aiutarmi nell’organizzare quest’impresa. Oh lui era davvero riluttante ma so essere caparbia quando voglio”
Susanna annuì “capisco, ho più volte suggerito a Terence di riprendere a recitare, questo martirio dalle scene per causa mia non è certo quello che auspicavo per lui”
Eleanor sorrise “sono felice di sentirtelo dire, vorrei davvero il tuo aiuto per riuscire a convincerlo a recitare almeno in questo spettacolo, non potrei essere più orgogliosa di rivederlo nuovamente in scena”
“cosa rappresenterete?”
“La Commedia degli errori” e mentre lo disse Evelyn avanzò nel terrazzino posando il vassoio con il tè e un’alzata di tartine, “il vostro tè signore” annunciò orgogliosa della sua composizione facendo un breve inchino.
“grazie Evelyn” sorrise Susanna, una luce diversa le animava gli occhi, tornò a rivolgere attenzione ad Eleanor “adoro quella commedia” esclamò con entusiasmo “una volta la mettemmo in scena nel salotto di casa io ed alcune cugine, interpretavo entrambi i gemelli. Fu così divertente” la voce le divenne malinconica “non ricordo nemmeno quanti anni sono passati”
“E’ proprio il ruolo dei gemelli che vorrei per Terence, sarebbe una sfida così nuova per lui, stimolante di certo”
Susanna si limitò ad annuire “oh certamente, sono sicura sarebbe magnifico…non ho dubbi”
Eleanor si sporse in avanti con aria complice “e tu potresti essere Luciana”
A Susanna ci volle qualche istante prima di realizzare quanto la donna le stava dicendo, “cosa?”
Eleanor versò il tè, un delicato profumo di bergamotto si sprigionò dalle tazzine fumanti, rifinite di deliziose rose magenta “tu sai chi è Sarah Bernhardt?”
A Susanna tramarono leggermente le mani e dovette raccogliere tutte le sue forze per non lasciare che un capogiro prendesse il sopravvento “come potrei non saperlo” esordì “sono sempre stata una sua grandissima ammiratrice”
“Anch’io” ammise Eleanor, “quando ancora non ero nessuno e non avevo idea di che direzione avrei preso, vidi questo meraviglioso cartellone fuori dall’Hudson Theater, un solo nome a caratteri cubitali, Sarah Bernhardt, catturò la mia attenzione immediatamente! Non sapevo chi fosse, ero ancora così ignorante all’epoca. Ma acquistai il biglietto e quando la vidi sul palco ne rimasi folgorata. Interpretava la Signore delle Camelie e per me fu una rivelazione, capii in quell’istante cosa volevo” sospirò ironica “è passato tanto tempo da allora” sorseggiò il tè e tornò a specchiare i proprio occhi in quelli di Susanna “pochi anni fa ha avuto un incidente sul palcoscenico e le è stata amputata la gamba destra.” Susanna deglutì, aveva letto la notizia sui giornali e ne aveva pianto, chi più di lei poteva capire cosa la più grande attrice di tutti i tempi avesse provato in un simile frangente. Sorseggiò il tè a sua volta per sciogliere un nodo alla godo che di lì a poco avrebbe rischiato di farle scendere amare lacrime lungo le guance.
“Susanna tu sai che Sarah non ha mai smesso di recitare non è vero?” sporse la mano sfiorando quella della ragazza “sia che dovesse portare una gamba di legno sia che dovesse rimanere seduta per tutta la durata dello spettacolo non si è mai ritirata dalle scene. Capisci quel che sto dicendo?”
Susanna annuì ma ritrasse la mano “lo capisco sì” disse a voce strozzata “ma capisco anche di non essere Sarah Bernhardt, io ero poco più di un’esordiente e non avrei mai il coraggio di…” tremò più forte ed Eleanor si rese conto di aver osato troppo. “Susanna perdonami ti prego non volevo agitarti, sono stata indelicata,” la ragazza scosse il capo “al contrario voi mi mostrate possibilità che io non avrei mai nemmeno paventato, ma sono certa di non voler tornare sulle scene in nessun caso, ho imparato a convivere con questa decisione” si sforzò di sorridere “ma voglio che Terence torni al teatro, il suo è un talento troppo prezioso per essere sprecato ed io voglio dargli tutto il mio appoggio e fargli capire che sarebbe la mia gioia vederlo nuovamente sul palco” si premette la coperta sul ventre, le sue parole erano sincere e avrebbe voluto aggiungere altro ma la nausea stava riprendendo e mai come in quel momento lei stava dando prova di essere una brava attrice nel riuscire a dissimulare quel malessere. Eleanor si accorse tuttavia della fronte perlata di sudore e di quel pallore latteo “Susanna perdona se seguito ad essere indiscreta ma sono una donna e” fece una pausa “certe intuizioni ci caratterizzano in particolar modo, è qualche tempo che ti osservo e non ho potuto fare a meno di chiedermi se…forse tu…” si guardarono per un lungo istante ed infine Susanna sorrise annuendo “sono al secondo mese, è presto e non si nota anche se ho molto più appetito ed ho preso peso…” respirò profondamente “ammetto che nell’ultimo periodo però le nausee sono peggiorate. E’ strano vero? Mia madre dice che solitamente questo capita nelle prime settimane”
Eleanor si alzò ad abbracciarla commossa, non servivano parole perché quel gesto le fece comprendere quanto la madre di Terence le fosse vicina e di supporto. “Non l’ho ancora detto a vostro figlio, ed ora a maggior ragione non vorrei distrarlo dal proposito di rientrare nel mondo del teatro,” a quelle parole Eleanor le prese il volto tra le mani “non devi esitare bambina, Terence sarà felicissimo vedrai. Avrete un futuro roseo davanti a voi ne sono certa” fece qualche passo indietro per guardare meglio Susanna e poi rise “oh cielo sarò nonna! Sarà meraviglioso e vizierò questo bambino, mi spiace ma sarà così, voglio dargli tutto quello che non ho potuto dare a Terence e ti sarò vicina in ogni evenienza”
Susanna arrossì e sorrise commossa “grazie” riuscì a dire, d’improvviso le nausee sembravano più tollerabili, l’aroma del tè più intenso e piacevole ed il sole l’avvolgeva in un tepore completamente nuovo.
 
 
 
“Mia madre vorrebbe si tenesse all’Hudson Theater, non penso dovrebbero esserci problemi ad affittare il teatro per una stagione” disse Terence sorseggiando del whisky che Robert Hathaway aveva tanto insistito ad offrirgli.
“Di quante repliche parliamo?” domandò Robert sorseggiando in liquido ambrato a sua volta.
“una ventina” il tono di Terence non aveva alcuna inflessione particolare “mia madre vorrebbe solo produrre lo spettacolo.”
Ad Hathaway il whisky andò di traverso “stai dicendo che Eleanor non reciterà?”
Terence alzò le spalle “pare non ne abbia intenzione, per questo mi rivolgo alla tua compagnia, so che saprai mettere insieme il cast ideale per la rappresentazione de La Commedia degli Errori”
Robert Hathaway lo osservò per qualche istante “la compagnia Stratford è onorata di lavorare per una produzione di Eleanor Baker, ma c’è una condizione…” pose il bicchiere tenendo lo sguardo fisso in quello di Terence.
“Sei tremendo Robert, quale sarebbe la condizione? Parliamo di soldi?”
“mi fai davvero tanto venale!?”
Terence rise “è il primo pensiero che sorge in testa a chiunque danne atto”
“voglio che tu faccia parte del cast”
A quella richiesta schietta Terence si fece serio, i suoi occhi si incupirono “ho lasciato il teatro Robert e lo sai bene, credo tu possa rammentare il mio disastroso Amleto di qualche tempo fa…”
“eri in una fase distruttiva Terence, ma il tuo talento è innegabile e ne sei perfettamente consapevole anche tu, inoltre sarebbe un gran regalo per tua madre”
“no” buttò giù il whisky d’un fiato “sarei solo il figlio problematico che viene raccomandato dalla madre celebre”
“se è questo che ti angustia potresti usare uno pseudonimo e con il trucco nessuno ti riconoscerebbe, varrebbe solo il tuo immenso talento” la voce di Robert era paterna, Terence era consapevole di quanto l’uomo tenesse a lui e gli doveva il suo inizio carriera, senza Hathaway e Susanna forse non avrebbe mai avuto il reale coraggio di calcare le scene.
“So che ci tieni Robert e lo apprezzo, davvero. Ma ho preso la mia decisione, preferisco buttarmi su qualcosa di più pratico, ora sto racimolando con lavori saltuari, vivo a scrocco a casa Marlowe e di certo questo non è altro che il quadro patetico di un fallito”
“perché sei così severo con te stesso, stento a riconoscerti! Non sei mai stato tipo da piangersi addosso Terence, il senso di colpa ti ha logorato e non riesco a credere che tu non sia in grado di vedere il meraviglioso riscatto che sia tu che Susanna potreste avere. Torna a brillare a teatro Terence, garantisci una vita sicura alla tua compagna e liberati dall’ingombrante fardello di una suocera onnipresente, lo dico per esperienza diretta.”
“te l’ho detto vorrei qualcosa di più pratico…diventare un impresario ad esempio…non fare quella faccia so che è un mondo di squali ma il mio lato Granchester potrebbe rivelarsi redditizio.”
Robert sbuffò versandosi dell’altro whisky e accendendo un sigaro “sembri proprio uno di quei conta banconote con i quali ho a che fare ogni inizio settimana”
Terence rise e prese un altro goccio a sua volta “vuol dire che sono sulla buona strada” rigirò il liquido nel bicchiere, il profumo pungeva le narici “c’è un pensiero fisso che mi tormenta Robert”
“di cosa si tratta?”
“non dovrei preoccuparmi molto di mio padre dopo il modo in cui ha trattato me e mia madre ma…” bevve un sorso “è come se una parte del mio sangue si sentisse nel torto di non star combattendo in Europa. Dopotutto sono cresciuto in Inghilterra.”
Robert scosse il capo “Terence il tuo sangue non è un tributo che devi dare a questa follia, posso capire ciò che provi, ho sangue irlandese e lo sai. Tuttavia dovremmo ringraziare la buona stella che ci permette di vivere in un luogo in pace, mio padre mi raccontava spesso cosa è stata la guerra di secessione e dei suoi orrori. Ne rimanevo sconvolto. Quella che sta avvenendo in Europa è molto peggio, dar la vita per una croce in cambio. Dammi retta non sei meno uomo a rimanere qui, inoltre non è detto che tuo padre sia ancora in Inghilterra, può darsi si trovi qui già da diverso tempo. Non hai avuto sue notizie?”
Terence scosse il capo “no, ma probabilmente è come dici tu”
“per non parlare del dolore e della preoccupazione che daresti a tua madre e a Susanna, la vita le ha già dato tanti scossoni senza che tu ci aggiunga un ulteriore carico.”
Annuendo Terence scostò una ciocca di capelli dal viso, “hai ragione Susanna non reggerebbe una cosa simile”
Robert gli diede una pacca sulla spalla “animo ragazzo mio e piuttosto pensa a quanto in questo momento ci sia bisogno di distrarsi con buone storie, di portare speranza nel cuore della gente. Non voglio tu mi risponda subito ma pensa a quel che ti ho chiesto, devi far parte di questa rappresentazione!”
Sospirando Terence si alzò lentamente “sei uno che non molla l’osso tu, ma va bene ci penserò senza prometterti nulla. Ora è meglio che torni a casa, bere whisky al mattino e già la mia reputazione tornerà in rovina.”
“spalle alte e sguardo in avanti ragazzo, conferma a tua madre che la compagnia sarà ben lieta di essere prodotta da lei…spero di aver presto ulteriori buone notizie.”
“non ci contare troppo” indossando la giacca Terence fece un rapido segno di saluto, sentiva l’impellenza di uscire e camminare, il viso di Hathaway, le lusinghe e il richiamo del palcoscenico stavano minando la sua granitica convinzione di aver chiuso definitivamente con la recitazione. Uscì nel sole pallido della 34ttresima strada, era affollata e rumorosa, si strinse di più nella giacca camminando a passo rapido, il turbamento non lo abbandonava e sapeva che sua madre doveva averlo in qualche modo previsto. Rallentò il passo davanti ad un negozio di fiori cosa che non sfuggì ad un’esile fioraia dai capelli d’argento “vuole fare un regalo giovanotto?” Terence rimase in silenzio per qualche attimo, era uscito presto quella mattina passando silenzioso davanti alla stanza di Susanna senza nemmeno affacciarsi per chiederle come stesse o avvisarla di dove stesse andando, avvertì il proprio egoismo darle un lieve senso di nausea “sì voglio fare un regalo” disse avvicinandosi di più al tripudio di fiori che si affacciava dalla vetrina “è per una giovane signorina immagino” e senza aspettar risposta la donna gli pose un mazzo di rose antiche “le rose rosse ormai sono desuete, in questo periodo le rose antiche sono di gran lunga le preferite, hanno tonalità più morbide e sfumature affascinanti. Senta qui che profumo! Sono così romantiche e candide!” Terence le fissò sorpreso “candide…” mormorò sfiorando la corolla delicata di una rosa e una risata argentina e uno sguardo verde gli tornarono alla mente così come una voce che non era stato capace di dimenticare “il mio fiore preferito sono le rose. Sai Terence c’è né una che porta il mio nome, si chiama dolce Candy!”
“Allora signore cosa ne dice? Le prende?”
Terence parve tornare alla realtà, accennò un sorriso e scosse il capo “no, no le rose non sono il genere che cercavo…” si guardò intorno senza badare all’aria delusa della donna, illuminandosi indicò oltre le spalle della fioraia “ecco quelli!” esclamò e lei fu di certo sorpresa “ma ne è sicuro?” ed in risposta Terence annuì convinto. Degli splendidi girasoli spiccavano tra tutti gli altri fiori, la loro corolla gli aveva ricordato il colore dei capelli di Susanna, un fiore che segue fiducioso il sole così come Susanna gli aveva affidato la sua vita in un modo così devoto da essere quasi crudele.
“E’ una scelta interessante” commentò la fioraia “lo sa la storia del girasole è piuttosto triste”
Terence annuì fissandoli “è Clizia che continua a seguire Helios, un regalo ed una punizione “a quelle parole la fioraia sorrise malinconica “vedo che vi intendete anche di mitologia” commentò iniziando a preparare i fiori, “mi intendo solo di storie tristi” sussurrò Terence “potreste incartarmeli con della carta color lavanda?”
“santo cielo cos’altro mi chiedete! Girasoli in carta color lavanda!?”
“vedrete che staranno bene”
“parola mia non dite che li avete comprati qui o un simile azzardo mi costa la reputazione”
Il ragazzo rise “come volete.”
 
 
Susanna posò le posate, aveva mangiato il pranzo a fatica ma la visita di Eleonor le aveva comunque dato un nuovo vigore. Attese che Evelyn recuperasse il vassoio e quando fu sola riprese in mano i ricami come una determinazione del tutto nuova, talmente era assorta nel suo impegno non aveva sentito la porta aprirsi, percepì solo quando i passi diventarono abbastanza vicini al letto ma non alzò lo sguardo “Evelyn se vuoi corrompermi con della gelatina di frutta sappi che la mia risposta è no” disse divertita mentre l’ago passava agile sulla stoffa.
“Veramente avevo tutt’altro in mente” a quella voce Susanna trasalì nascondendo di colpo quel che stava facendo sotto il lenzuolo, la fretta era stata tale da farle pungere più volte le dita con l’ago.
“Terence…”
Il ragazzo si sporse baciandola sulla fronte per poi porle il magnifico mazzo di girasoli “per voi lady Marlowe”
Susanna fissò incredula i grandi fiori dal colore inteso “oh Terence sono meravigliosi” prese il mazzo tra le mani, il fruscio della carta, la bellezza del fiocco di decorazione “carta lavanda” Susanna sorrise “te ne sei ricordato”
“mi offende tu ne sia sorpresa” ridendo sedette sul letto “perdonami se non sono venuto a salutarti questa mattina ma sono dovuto uscire presto”
Susanna scosse il capo senza perdere il sorriso “non importa” guardò ancora con gioia i fiori quando Terence le prese delicatamente la mano notando che la carta lavanda era macchiata di piccole goccioline rosse “ti sei fatta male?”
Susanna la ritrasse con impaccio “una sciocchezza! Stavo giocherellando con ago e filo”
“ho visto infatti che hai nascosto qualcosa…un segreto?” e non perdendo il tono dolce e canzonatorio Terence scostò il lenzuolo “no non guardare!” Susanna lo ritirò verso di sé lasciando cadere i fiori e nel vedere lo sguardo smarrito di Terence se ne sentì mortificata “scusami ti prego è che è una sorpresa e non voglio tu la veda prima che…oh i fiori!” rammaricata se li riportò al petto “fortuna non si sono sciupati”
“dalli a me li metto in un vaso, sopra quel comò dovrebbero stare bene”
Susanna annuì, “sì lì sopra staranno bene così potrò vederli ad ogni risveglio”
Terence sistemò i fiori, si sentiva turbato e non riusciva a capirne chiaramente il motivo, osservò la propria immagine nel grande specchio posto sopra il comò, “sono un uomo che non sa ritrovarsi” pensò prendendo respiro come prima di entrare in scena, si voltò nuovamente sorridente verso Susanna “vuoi che andiamo al parco? Il sole è pallido ma la temperatura è gradevole”
Susanna ricambiò il suo sguardo per qualche istante cercando un coraggio che le veniva a mancare, strinse il lenzuolo e raddrizzò la schiena “c’è una cosa di cui vorrei prima parlarti Terence”
“certamente, di che si tratta?” il ragazzo si riavvicinò al letto sedendole di fronte “c’è qualcosa che ti turba?”
“stamattina è venuta tua madre a trovarmi, è stato davvero piacevole poter parlare con lei”
Terence si limitò ad annuire attendendo che proseguisse
“mi ha parlato della sua intenzione di ritirarsi dalle scene ma anche del progetto di una rappresentazione da lei prodotta, so che ti stai occupando dell’organizzazione”
“te ne avrei parlato non volevo certo nasconderlo, in realtà ho affidato il tutto alla compagnia Stratford, mi devo solo interessare dell’affitto del teatro e delle repliche previste”
“sai Terence” Susanna prese fiato “vorrei tanto che tu tornassi a recitare”
Le labbra di Terence si piegarono in una linea sottile, distolse lo sguardo in quel modo che Susanna conosceva bene, sapeva che quanto stava dicendo lo contrariava.
“è stata mia madre immagino a chiedertelo”
“a tua madre farebbe piacere di certo, ma è un pensiero che ho da diverso tempo Terence e te ne avevo già accennato se rammenti”
“ho già preso la mia decisione Susanna”
“ma l’hai presa per un motivo veramente sciocco!” incalzò lei “non recitare per il senso di colpa nei miei riguardi come credi mi faccia sentire!? E’ un tale spreco!”
Terence tornò a guardarla “non si tratta di questo Susanna, il fatto è che il teatro non mi trasmette più la stessa passione di prima, non provo il desiderio di recitare”
“sciocchezze!” Susanna aggrottò le sopracciglia perdendo la sua consueta placidità “sono un’attrice anch’io e so bene cosa significhi il richiamo del palcoscenico, ho dovuto rinunciarvi per cause di forza maggiore ma tu vi rinunci perché ti sei chiuso ad esso come in una punizione. Non sai quanto questo mi faccia soffrire”
Terence era colpito dalla risoluta caparbietà della compagna, era forse la prima volta che la sentiva parlare a quel modo, gli occhi azzurri mai esitanti puntati nei suoi “questo progetto di tua madre potrebbe essere una grande occasione per ritornare sulle scene, ed io sarei lì in prima fila ad applaudirti”
“se tornassi a recitare questo comporterebbe stare fuori casa per diverso tempo, sai bene cosa richiede la preparazione di uno spettacolo”
“potrei accompagnarti e supportarti, aiutarti nelle prove. Ho perso una gamba Terence ma non sono completamente paraplegica e non provo più alcuna vergogna a mostrare la mia condizione”
“perché non c’è alcuna vergogna nella tua condizione, non c’è mai stata!”
“bene ora che siamo d’accordo su questo direi che potremmo essere d’accordo anche su tutto il resto”
Terence scosse il capo alzandosi in piedi “non è così semplice, ricordo quanto sono stato disastroso le ultime volte, sono cose che la gente non dimentica”
“eri ubriaco” non fu semplice per lei dirlo “soffrivi a causa mia e del mio egoismo”
“no!” lui si riavvicinò e le prese le mani “ero solo uno sciocco Susanna, non sei mai stata egoista nei miei riguardi”
“oh lo sono stata” mormorò lei “lo sono stata e non voglio più esserlo, specialmente ora”
“se accettassi di fare parte della compagnia questo ci porterebbe via un sacco di tempo, ore ed ore spese a provare a comprendere personaggi che non so nemmeno se ho la voglia di comprendere”
Susanna sorrise rassicurante “sono limiti che ti poni ma sai benissimo che puoi superarli e poi…poi bisogna iniziare ad essere anche pratici”
Terence le lasciò lentamente le mani sedendole accanto “pratici?”
“non sarebbe meraviglioso trasferirci da qui? Voglio bene a mia madre ma per noi l’ideale sarebbe avere una casa nostra, magari fuori New York e con un bel giardino…mi piacerebbe tanto avere un giardino Terence. Riprendendo a recitare sono certa che il tuo successo esploderebbe e questo ci renderebbe anche più indipendenti”
Terence sbatté le palpebre ed un sorriso ironico e sorpreso gli ravvivò il viso “hai le idee piuttosto chiare…ma potrei ottenere la cosa comunque anche con un altro lavoro”
Susanna scosse il capo “richiederebbe più tempo e lo sai”
“hai fretta?”
“sì” ammise lei “ho una certa fretta” congiunse le mani stringendole tra loro, aveva l’aria di chi dovesse affrontare un grande salto “o meglio necessità più che fretta” trovò il coraggio di guardarlo ancora negli occhi, non capiva perché fosse così difficile, temeva la reazione, non sapeva che tipo di sentimento avrebbe suscitato in lui una simile notizia ma non poteva seguitare a tacere “aspetto un bambino.”
 
 
 
                                                                                              ***
 Etaples, 1917
 
Una linea di luce più chiara tagliava il cielo scuro, un gallo coraggioso in lontananza cantava il giungere del mattino. Flanny ripose la cuffietta da infermiera rattoppata ormai troppe volte, sciacquò il viso con l’acqua gelida rimasta e fissò la propria immagine in uno specchietto rotto che una delle infermiere più giovani aveva avuto l’insensata idea di sistemare sopra i catini per lavarsi, gli occhi erano cerchiati ed il colorito di un pallore quasi trasparente, sembrava molto più grande della sua età. Quella notte aveva perso altri quattro giovani, due inglesi, un canadese ed un francese di appena quindici anni, si era addormentato con un sorriso sghembo quasi trovasse ironico che un destino tanto crudele e beffardo gli fosse andato in sorte ancor prima di finire l’adolescenza. Flanny strinse i denti, la rabbia le consumava ormai l’anima come una marea incessante contro la roccia, sciolse la crocchia che custodiva i capelli scuri lasciandoseli ricadere sulla spalle, lo specchio le restituiva un’immagine ancora più spettrale, non aveva mai avuto alcuna vanità nella propria vita sebbene sua madre andasse orgogliosa di quella sua chioma scura lievemente ondulata che ora le raggiungeva metà schiena; il sorriso sghembo del ragazzino morto le riapparve alle mente come un monito impossibile da ignorare, la rabbia e quel senso di disperazione ed impotenza che da mesi ricacciava indietro le giunsero al petto, alla gola e agli occhi, ricacciò indietro quella debolezza e con gesto impulsivo afferrò le forbici abbandonate su di una mensola di fortuna e fissandosi allo specchio prese a tagliare con rapidità le ciocche corvine che caddero pesanti sul terreno scuro della grotta. Quando ebbe terminato i capelli le solleticavano appena la nuca, l’espressione tornata impassibile sfidò per l’ultima volta l’immagine riflessa, pulì gli occhiali e avvolgendosi in un cappotto consunto si diresse fuori dalla grotta oltre quello che restava del grosso platano, abbattuto per la necessità di legna, attraverso il prato arido fino alla roccia piatta dove era solita consumare vaghi pasti ogni qualvolta il turno terminava. Michael era già lì, una piccola lampada ad olio posata a terra lo illuminava appena facendolo sembrare un fantasma stagliato contro un’alba che tardava a venire. Scorse l’ombra di Flanny avvicinarsi e alzò la mano in segno di saluto, la ragazza si avvicinò rallentando il passo “dottor Bertrand” disse solo e l’uomo la corresse “Michael, eravamo d’accordo di chiamarci per nome, ricordi?”
Flanny non rispose e sedette sulla roccia, aveva con se un canovaccio con all’interno del pane nero, lo porse a Michael che lo rifiutò “mangiate voi Flanny, necessitate di nutrirvi ed io ho già avuto il mio rancio” Flanny non insisté ma sapeva bene in cosa consisteva ormai il rancio, brodo di radici ed una patata se si aveva fortuna. L’uomo le sedette accanto, avvolto nell’uniforme militare medica pareva ancora più dimagrito “come è stata la vostra nottata?” chiese mentre Flanny osservava il pane e lo stomaco le si richiudeva “quattro giovani sono morti a pochi minuti l’uno dall’altro, capita sovente di perdere vite anche in numero maggiore ma così vicine l’una all’altra è stata la prima volta. Credo di essere stanca se questo mi turba più di quanto dovrebbe ormai”
Michael le volse uno sguardo comprensivo “non abbiate paura della vostra umanità Flanny” pose la lampada tra loro per poterla vedere meglio “conservatela anche se fa soffrire” a quelle parole Flanny si morse le labbra “voi ci riuscite?” domandò impulsiva non nascondendo un lieve cedimento nella voce. “Ci provo…come voi” rispose l’uomo “dobbiamo restare umani nonostante tutto” si sforzò di sorridere ed indicò il pane “ne accetterò un pezzo a patto che iniziate a mangiare” Flanny avvertì le proprie spalle meno rigide, spezzò il pane dandone la metà a Michael e lui la ringraziò con lo sguardo “vi donano ad ogni modo” disse prima di mangiare, la ragazza si portò istintivamente la mano ai capelli ora così corti “sono più funzionali, avrei dovuto farlo prima” commentò senza nessuna particolare inflessione. Il cielo si stava a poco a poco schiarendo, un nuovo giorno che si ripeteva uguale all’altro, un logorante stallo di morte; Flanny volse lo sguardo oltre la trincea, non sapeva quanti cadaveri ci fossero impigliati al filo spinato, ogni giorno pregava perché regnasse il silenzio e nessuna delle due parti osasse attaccare. Come se avesse seguito il medesimo pensiero Michael volse lo sguardo a sua volta nella stessa direzione “prima di arrivare ad Etaples ero assegnato nel settore dell’Alta Francia, sessanta chilometri tra due caratteristici paesi, Lassigny ed Hébuterne di cui credo rimanga poco di quel tipico fascino francese” deglutì sentendo gli occhi di Flanny su di sé attenta al proseguo “ci fu una battaglia imponente a ridosso del fiume Somme, gli anglo-francesi tentarono un’offensiva che secondo i loro piani avrebbe dovuto creare le perfette condizioni per far avanzare la cavalleria e avere la vittoria. Fu un massacro, non ricordo nemmeno il numero dei caduti.” Flanny prese un profondo respiro “ricordo,molti feriti furono portati anche qui, ciò che avevano nello sguardo era indescrivibile”
“già…i tedeschi ressero piuttosto bene, con l’autunno il campo di battaglia si trasformò in un immenso pantano che rese impossibile ogni altro tentativo. Era solo fango gonfio del sangue di migliaia di giovani, ogni volta credo di aver visto l’inferno definitivo ed ogni volta c’è qualcosa di ancora peggiore” si pentì di quelle parole e rivolse lo sguardo a Flanny “eppure nonostante questo la fame di vita si fa in me più forte, il valore della vita acquista sempre più un maggior peso”
“siete coraggioso”
“non ho più coraggio di voi Flanny, anzi credo che voi ne abbiate molto più di me”
Flanny alzò le spalle “lo conservo in tasca ma talvolta anche le tasche si forano…” le labbra le si piegarono in un sorriso amaro “lo diceva mia madre, da quando la ferrovia è saltata nessuno di noi ha più notizie dei suoi cari, qualche riga d’inchiostro potrebbe essere di conforto…o forse sarebbe peggio chissà. Non l’ho ancora deciso.”
“a proposito di inchiostro…” Micheal estrasse dalla tasca un pezzetto di carta, era il retro di una busta della posta aerea tagliata e con le bordature scurite “ve lo avevo promesso” disse consegnandogliela, Flanny la tenne tra le dita per qualche istante prima di riporla nella tasca del cappotto, “grazie” e nel dirlo riuscì a sorridere, un sorriso che le era giunto agli occhi.  
“Non arrabbiatevi se vi dico che è bello vedervi sorridere”
“non fateci l’abitudine” se la luce lo avesse permesso Michael avrebbe potuto scorgere un lievissimo rossore animare le guance dell’inflessibile infermiera del Santa Johanna. L’uomo si alzò in piedi, doveva tornare alle trincee a prestare le sue cure “vi ringrazio per questa nostra chiacchierata Flanny,” lei si alzò in piedi a sua volta, il cielo si stava facendo celeste ed il sole s’alzava da est, “sarò qui anche stasera” disse Flanny “ho un breve riposo dopo il tramonto” e non le fu subito chiaro perché tenesse a farglielo sapere.
“Sarei lieto di vedervi anche alla luce del tramonto” e così dicendo si allontanò, il passo rapido di chi è richiamato al proprio dovere, le spalle incurvate di chi non avrebbe voluto andarsene. Anche Flanny poco dopo riprese la via delle grotte, c’era già un brulicare di infermiere e barelle, mise la mano nella tasca e strinse il foglietto con forza.  
 
 
 
 
 
 
 
 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Candy Candy / Vai alla pagina dell'autore: acchiappanuvole