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Autore: EmmaJTurner    18/10/2023    5 recensioni
Un'Abbazia infestata arroccata sul fianco di una montagna, rose benedette, orme di troll, cadaveri, spiriti, erbe e pozioni... e due tollerabili compagni di viaggio. Cosa stiamo aspettando?
“A che livello di rompitura di cazzo siamo?”.
Logan le scoccò un’occhiataccia. “Discreta”.
Meli alzò gli occhi al soffitto. “Se vuoi me ne vado, eh”. Un lampadario di bronzo si mosse e cigolò sopra di loro. A Meli parve di vedere un movimento di aria densa tra i ceri accesi e…
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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“L’avevo detto, io”

Il cervello di Meli si paralizzò. Era?

Corse verso il balcone del belvedere e si sporse a guardare la vallata sottostante. Per un terribile attimo, vide solo la sagoma lontana dell’enorme Parassita rosa, spiaccicato centinaia di metri più sotto, mezzo infilzato tra i massi, i faggi e la pineta.

Ma poi vide una mano avvinghiata alla roccia.

Un brivido di sollievo la fece ansimare. “Ma sei impazzito?!” urlò furiosa.

Logan era appeso in modo precario ad un costone sotto il belvedere, appena fuori dalla sua visuale. “Non ti muovere, vengo a prenderti!” urlò di nuovo la donna.

Si udì una debole e incomprensibile risposta. 

Meli frugò febbrilmente nello zaino alla ricerca della corda da arrampicata che teneva sempre con sé. Fece un nodo attorno al parapetto e si agganciò la corda attorno al corpo in un’imbracatura di emergenza. L’ansia le fece sbagliare i nodi, che dovette rifare due volte.

Urlò ai pochi monaci esterrefatti rimasti a portata d’orecchio che le serviva una mano; infine, senza aspettare risposta, scavalcò il parapetto e cominciò la discesa. L’ammazzamostri si trovava circa dieci metri sotto di lei. Meli non era una scalatrice esperta, e rischiò di scivolare un paio di volte; alcune pietruzze rotolarono e volarono giù fino alla pineta a valle. Meli si sforzò di non pensare alla distesa di vuoto sotto di sé e alla fretta con cui aveva eseguito i nodi della cordata.

Posò i piedi con più cautela possibile negli anfratti della roccia e, lenta, troppo lenta, percorse la distanza che la separava da quella mano appesa.

Raggiunse Logan con un fremito di sollievo. 

L’ammazzamostri non aveva un bell’aspetto. Coperto di tagli, sangue e di muco vischioso, si reggeva a malapena, mani e piedi infilati in minuscole fessure nella montagna. Non avrebbe resistito ancora molto.

“Sei un idiota del cazzo” gli disse, prima di posizionarsi poco sotto di lui e eseguire una seconda imbracatura di fortuna. Una volta legato e fissato alla cordata, gli chiese: “Ce la fai a scalare?”.

“Sì”.

Ce la fai a scalare?” ripeté, rabbiosa.

“...no” ammise l’uomo, esausto.

Meli gli diede le spalle. “Attaccati a me”.

Logan non si mosse. “Ci sfracelleremo”.

“Ci sfracerelleremo se non fai come ti dico. Molla la parete e attaccati alle mie spalle; ti porto su”.

“Non riuscirai a scalare con il mio peso addosso”.

“Non sei in posizione di lamentarti di questo servizio di salvataggio. Taci e obbedisci”.

Con estrema cautela, Logan lasciò andare una mano dalla parete di roccia e agganciò il braccio destro sopra la spalla della donna. Poi un piede. Meli sentì la corda tirare e tendersi sopra di lei.

Infine, Logan lasciò la presa dalla montagna e si appese a lei. Meli soffocò un gemito. La corda dell’imbragatura, sotto il peso di due persone, le segava l’inguine e le ascelle; Meli si morse il labbro e cominciò a scalare.

Era molto più difficile di quanto aveva previsto. Il peso di Logan la portava indietro, verso il vuoto; le mani sudate scivolavano e perdevano la presa nelle minuscole fessure polverose. La stanchezza cominciava a farle sfarfallare la vista, e il muco acido di cui l’uomo era ricoperto cominciava a bruciarle la pelle attraverso i vestiti.

Uno strattone lì tirò verso l’alto. Meli ansimò sorpresa; Logan si strinse più stretto a lei. Un secondo strattone. Qualcuno li stava issando da sopra la terrazza del belvedere. Meli guardò in alto. Era Jonah - benedetta la sua coscienziosa testolina bionda! - che li stava tirando su insieme ai suoi confratelli.

Meli quasi pianse di gioia e dal nervoso una volta che furono sollevati e agguantati da mani amiche al di là del parapetto. Crollò a terra esausta, grata dell’erba orizzontale che le riempiva la bocca; aveva il cuore a mille ed era ricoperta di sudore ghiacciato.

La voce preoccupata di Jonah le stava facendo una raffica di domande ansiose; qualcuno chiamò a gran voce il monaco-guaritore.

Meli sollevò lo sguardo verso Logan, supino e bianco come un cadavere di fianco a lei. “Era la Badessa, dopotutto” mormorò lui, fissando il cielo. 

“L’avevo detto, io” disse l’imp, seduto con le gambette penzoloni su una lapide poco lontano. 

Meli non ebbe la forza di dire alcunché. Vide Logan venire slegato, sollevato e portato via, probabilmente in direzione del monaco-guaritore dell’Abbazia.

Tutto era risolto. Logan era salvo. Il Parassita era morto. Meli sospirò e chiuse gli occhi.

***

“Signorina; lei può cortesemente spiegarmi cosa diavolo è successo qui?”

Meli, stanca ma paziente, guardò il procuratore distrettuale che, dopo aver interrogato decine di monaci tremanti e balbettanti, era infine arrivato a lei.

Erano stati due giorni movimentati, all’Abbazia del Roseto: i religiosi, paralizzati dal terrore, avevano pianto a lungo la perdita della loro guida spirituale, la madre Badessa; i più anziani avevano poi preso il controllo dell’Ordine e inviato messaggi alla diocesi di competenza e al consiglio cittadino del distretto, avvertendo dell’anomala infestazione da Parassita. La mattina seguente, uno stuolo di guardie cittadine aveva invaso l’Abbazia di picche e casacche gialle, assieme ad un paio di maghi guaritori e a tutti i burocrati del caso. In tutto questo, Meli poteva forse aver approfittato del caos generale della prima notte per tagliare due o tre Rose Eterne dal chiostro. Forse.

Meli nascose i suoi pensieri, si alzò dalla panchina del chiostro e fece un gran sorriso all’uomo che le aveva parlato.  

Il procuratore distrettuale era un uomo alto e severo, dall’elegante viso sbarbato e corti capelli d’argento, vestito di una casacca nera che sul petto, ricamato con fili di seta, recava lo stemma viola della Repubblica. Tra le mani aveva un taccuino e un malloppo di scartoffie. Di fianco a lui, il frate grasso e il frate magro erano pallidi e senza parole.

Meli si preparò a dire al procuratore quello che aveva già ripetuto fino allo sfinimento ai due monaci che lo affiancavano.

“Certo, signor procuratore. Come ormai saprà, un Parassita è stato trovato e ucciso qui all’Abbazia. Al momento del ritrovamento, il mostro si trovava nel corpo della madre Badessa”.

I monaci si fecero un lesto segno della croce.

“Mi è stato riferito che lei è una botanica”.

“È esatto”.

Il procuratore scribacchiò sul suo registro. “Può riassumere la dinamica dei fatti?”.

Meli continuò: “I monaci dell’Ordine, circa due mesi fa, hanno accolto un viandante che già presentava, inconsapevolmente, lo stadio avanzato della malattia. Una volta morto, il Parassita deve essere uscito dal suo corpo - di solito esce dalla bocca o, ehm, da un altro orifizio - ed ha attaccato tre monaci anziani che sono, uno dopo l’altro, caduti malati e morti. Tra il viandante e l’ultimo monaco il Parassita deve anche aver raggiunto la maturità sessuale, perché ha cominciato a deporre le uova, che sono state diffuse dai malati attraverso la tosse. Ecco perché ora il novizio di nome Eric…”

“Emmanuel” si intromise lesto Jonah.

“Emmanuel, esibisce le larve al primo stadio nella cornea. Ma altri monaci potrebbero presto cominciare a mostrare i sintomi dell’infestazione, che deve essere trattata tempestivamente con i giusti farmaci antiparassitari. Una dose massiccia, per stare tranquilli: olio due volte al giorno per tre mesi, direi”.

“Quindi è stato il Parassita ad infestare l’Abbazia?” chiese il procuratore, con un’espressione a metà tra il confuso e il disgustato che stonava moltissimo con il suo viso patrizio.

“No; è stato l’imp”.

“Quale imp?”.

“Un imp infestava l’Abbazia, ma è stato catturato dall’ammazzamostri regolarmente assunto e non sarà più un problema”.

Meli evitò di far notare che l’imp si era dato alla macchia dopo la lotta con il Parassita. Non c’era motivo per discuterne adesso. Giusto? Giusto.

“L’imp ha cercato di avvertire i monaci, seppur in modo molto sconclusionato, disseppellendo i cadaveri che presentavano i segni del passaggio del Parassita” continuò la donna.

“Ed è per questo” aggiunse una voce maschile dietro di lei “che dovreste ringraziare quell’imp. Senza di lui, non saremmo arrivati noi; e senza di noi, prima della fine dell’anno sareste stati tutti corpi vuoti”.

I monaci rabbrividirono. Il procuratore fece una smorfia schifata.

“L’ammazzamostri, suppongo” disse il procuratore.

Meli si voltò verso Logan. Nemmeno ripulito e riposato avrebbe potuto passare per un uomo perbene: il pesante trucco nero e le cicatrici lungo il collo raccontavano una storia ben precisa. Una storia che, con i suoi vestiti neri e i capelli troppo lunghi, Logan sembrava voler sfoggiare con orgoglio.

“È stato lei ad uccidere il Parassita?” chiese il procuratore. Sotto l’evidente perplessità, c’era una vena di stima nella sua voce.

“Sì. Con il giusto aiuto” rispose Logan, scoccando una rapida occhiata alla botanica. Meli alzò un sopracciglio.

Il procuratore scribacchiò di nuovo sul taccuino che aveva in mano. “È sufficiente così” disse in tono mesto ma pratico. “Come potete immaginare, il ritrovamento di un Parassita vivente dopo la grande purga di inizio secolo è fonte di grande preoccupazione per la regione e per la Repubblica intera. Dovrò riportare le vostre testimonianze al governatore”.

“Certo, comprendiamo perfettamente”.

“Ottimo. Dovrete venire a firmare delle scartoffie per il rischio biologico, la dichiarazione di rimozione in sicurezza di carcassa di bestia infettiva e amenità varie; poi potrete andare”.

“Benissimo, signor procuratore. Grazie” disse Meli.

Un’eccessiva quantità di burocrazia dopo, Meli e Logan furono finalmente liberi di lasciare l’Abbazia del Roseto. 

Meli abbracciò Jonah più a lungo del necessario. Era come un fratello per lei, ed era sinceramente sollevata che fosse ancora tutto intero. Gli promise di tornare presto con l’olio antiparassitario per lui e i suoi confratelli. Rosso in viso, il giovane monaco li ringraziò con ardore; al sobrio cenno di capo di Logan, Jonah rispose con uno sguardo così intenso che a Meli fu improvvisamente chiaro come mai il giovane monaco non avesse mai chiesto in sposa sua sorella Lila.

Se ne andarono ricoperti di crocifissi, medagliette con inciso il profilo di Santa Rosa e una notevole aggiunta ai loro portafogli: Logan sotto forma di pagamento opportunamente contrattato; Meli con un pagherò e un acconto anticipato per un ordine di olio antiparassitario sufficiente a trattare tutti i monaci dell’Abbazia per i tre mesi a venire. Ordine che avrebbe riempito le tasche della botanica del denaro sufficiente per superare indenne la stagione invernale.

E il suo zaino? Alla fine si scoprì che una novizia affamata rovistava nei bagagli di tutti i nuovi arrivati alla ricerca di cibo. Meli, dopo tre giorni di pane raffermo e polenta insipida, non poté biasimarla. Chissà che qualcuno si impegnasse a migliorare il sistema di distribuzione del cibo all’interno dell’Abbazia, ora che la Badessa era… andata.

Mentre scendevano la scala intagliata nella roccia, Meli pensò che, tutto sommato, per quanto quell’avventura non fosse stata affatto quella che si aspettava, si era rivelata un ottimo risultato per tutti - bè, non per chi ci aveva rimesso la pelle, ovviamente. Allora perché non riusciva a scrollarsi di dosso questa sensazione spiacevole? Il presentimento di dramma incombente, come prima di una frana, o di un nubifragio? Meli preferì non indugiare troppo sulle possibili implicazioni di quella sensazione. Si strinse nel suo mantello da viaggio e continuò a guardare dove mettere i piedi per non scivolare dai gradini di pietra.

Una volta al sicuro nel sentiero del bosco, Logan aveva recuperato la sua spada - era rimasto in uno stato di ansia nervosa finché non l’aveva ritrovata a fondovalle, ancora conficcata nella carne morta del mostro, la cui carcassa era al momento sorvegliata dalla guardia cittadina - e insieme avevano proseguito per Aroi, un anonimo paesino alla base del Monte Osau e da dove, se provvisti di una buona diottria, si poteva ancora ammirare il complesso dell’Abbazia incastonata su in alto nella roccia.

Meli inspirò l’aria deliziosamente fredda di settembre. Il faggeto cominciava a mostrare i primi timidi segni dell’autunno: il sole filtrava dalle fronde di foglie ancora verdi, creando giochi di luce sul sentiero di terra battuta; il sottobosco profumava di funghi e di promesse di pioggia. Presto si lasciarono alle spalle il vociare dei soldati di guardia e camminarono immersi in un piacevole silenzio. Meli, con gli occhi pieni della bellezza del bosco e nel naso il profumo dell’humus, si sentì di nuovo nel suo elemento naturale.

“Non avresti dovuto farlo” disse Logan dopo un po’.

Meli si riscosse dal suo stato di amena contemplazione e lo guardò; vide che la sua mano si era posata sulla pistola. “Ma se mi hai detto tu di sparare!” si lamentò la donna.

L’ammazzamostri sbuffò. “Dopo, intendo; non avresti dovuto venire a prendermi”.

“Ah. Avrei dovuto lasciarti morire?”.

Logan non rispose. Guardava fisso davanti a sé con espressione indecifrabile.

A Meli non piacque quello sguardo serio, e preferì tornare in un territorio in cui si trovava più a suo agio. “Certo, dovrò rivalutare la questione del pagamento; eri tu pagato per salvare me, non il contrario” lo stuzzicò.

Lui non rise. “Tu non mi hai pagato un accidenti; l’accordo era di fare fuori il fantasma dell’Abbazia; e la Badessa avrebbe dovuto pagarmi 500 navok per il disturbo”.

“Anche se temo che ora la Badessa sia impossibilitata, mi sa che hai ragione” cedette lei, troppo di buon umore per battibeccare. “In ogni caso, un grazie sarebbe sufficiente”.

“... grazie” disse lui, stupendola. In quel momento, Meli seppe che non era una parola che usciva spesso dalle sue labbra.

Camminarono in silenzio per qualche minuto. Poi a Meli venne in mente una cosa importante. 

“E comunque, perché non ti sei sciolto?” gli chiese.

“Che?”.

“Il veleno di Parassita è acido. Avrebbe dovuto corroderti la carne nel punto in cui ti ha colpito, ma ti vedo tutto intero”.

“Ah. Camicia di crini di unicorno, tessuta dalle fate” rispose Logan, sollevando il colletto della camicia nera che indossava sotto il farsetto.

Meli si inalberò. “Cos…? Primo: la prossima volta avvisami che sei provvisto di tali risorse, così io evito di perdermi dieci anni di vita a preoccuparmi per te”.

Logan sollevò un sopracciglio.

“E secondo” continuò Meli, abbassando il tono, “dove l’hai comprata? Perché io la cerco da, tipo, anni”.

Fu così che Meli venne a conoscenza di una certa spacciatrice di artefatti magici che Logan conosceva a Sestoi, e si fece promettere una camicia come quella a prezzo stracciato, e guai, guai a lui se si fosse dimenticato. 

   
 
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