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Autore: Nikita Danaan    23/10/2023    1 recensioni
[La Bella e la Bestia AU!]
"C’era una volta, tanto tempo fa, uno splendido castello in cui viveva un principe di bell’aspetto. Aveva i capelli neri come le ali dei corvi, occhi profondi e scuri, ma era terribilmente egoista e senza cuore, tanto che una notte una vecchia chiese asilo nel suo castello. Inuyasha – questo era il nome del principe crudele – glielo negò, inorridito dal suo aspetto.
Quest’ultima, adirata, rivelò il suo vero aspetto, ovvero quello di una sacerdotessa nera che aveva venduto l’anima ai demoni per poter acquistare la bellezza e la vita eterna.
Tsubaki, la sacerdotessa, gli disse “Non bisogna mai giudicare una persona dall’aspetto esteriore”."
***
Kagome è una ragazza molto bella che adora leggere. Immergersi nei libri è l'unico modo che conosce per vivere una vita piena di avventure. Un giorno il nonno, mentre si reca ad una esposizione sulla scienza, si perde e finisce prigioniero in un castello. La ragazza lo andrà a cercare ma si imbatterà in una creatura, che tutti definiscono una bestia.
[GLI AGGIORNAMENTI SARANNO LENTI]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Canzone del ballo tra Inuyasha e Kagome: https://www.youtube.com/watch?v=mAaiVlKkZzE

Vestito di Kagome (immagine presa da Google. Doveva essere un vestito blu, ma l’ho modificato per renderlo verde visto che è il colore di Kagome)

“Ci sono molti uomini” disse la Bella,

“Che poi si rivelano mostri peggiori di te.

Ed io ti preferisco a loro, nonostante il tuo aspetto…”.

Da La Bella e la Bestia*
 

Qualche giorno prima

 

«Aiuto! Qualcuno mi aiuti!»

Hiroshi Higurashi correva per la piazza principale del paese, agitando le braccia a destra e a manca, sperando di attirare l’attenzione di più gente possibile.
«Che cosa c’è da urlare, vecchio?» esclamò con tono burbero il panettiere.
«Ho bisogno di aiuto! Mia nipote...mia nipote è prigioniera!» esclamò Hiroshi. Aveva il volto paonazzo, respirava affannosamente e gli occhi erano sgranati.
La Strega di Toki si affacciò dalla finestra «Che stai farneticando? Chi è che ha rapito quella scellerata di tua nipote?»
«Già! Che se ne fa qualcuno di una donna che legge e basta?» le diede man forte il panettiere.
Ma il signor Higurashi era talmente agitato che non fece neanche caso alle loro parole. «Una bestia...un demone orribile la tiene prigioniera nei sotterranei del suo castello!»
Il panettiere e la Strega si guardarono per poi scoppiare a ridere a crepapelle.
«Un demone? Sul serio? Te stai vaneggiando, vecchio» fece il panettiere.
«Ve lo giuro, è tutto vero! L’ho visto con questi miei occhi!»
«Baggianate! I demoni non esistono quant’è vero che io mi chiamo Hanako.*»
«Vi prego...» sussurrò il signor Higurashi mettendosi in ginocchio, mentre i suoi occhi iniziavano a inumidirsi «...ho bisogno di aiuto. La mia bambina...»
«Vecchio, prova a chiedere a Koga. Adesso si trova alla locanda. Lui potrebbe trovarla tranquillamente» gli disse il panettiere, sbuffando. Evidentemente non vedeva l’ora di levarsi di mezzo quel vecchio che era ufficialmente impazzito. Che se lo sorbisse Koga, visto che ci teneva così tanto ad averlo come parente, sposandosi la sua nipote scellerata.
Hiroshi ripensò a quel ragazzo che tanto aveva tormentato sua nipote, la quale non gli aveva mai detto nulla per non farlo preoccupare, ma lui sapeva. Sapeva e non l’aveva aiutata, sottovalutando la cosa e pensando fossero solo avances di un ragazzo insistente. Ma lei gli aveva rivelato che più lo respingeva più lui sembrava tornare alla carica proprio la sera prima che partisse per quella dannata fiera. Con il senno di poi non sarebbe mai dovuto partire. Non avrebbe mai dovuto lasciare la sua adorata nipote da sola. La sua Kagome, da sola sperduta, in una cella umida, nelle grinfie di un mostro...
Doveva salvarla a ogni costo e se per farlo avrebbe dovuto implorare Koga così avrebbe fatto. Si rialzò da terra, fece un leggero inchino con il capo verso il panettiere e la Strega e si diresse verso la locanda. Appena entrato vide Koga appoggiato al bancone intendo a bere un boccale di birra e a divorare una coscia di pollo. Riversi sul pavimento giacevano i due che si portava sempre dietro. Dovevano essersi dati alla pazza gioia a giudicare dalla mole di boccali che stava pulendo il barista con aria stizzita.
Il signor Higurashi si avvicinò a Koga, strattonandolo per una manica della camicia «Koga, ti prego. Ho bisogno del tuo aiuto!»
Koga sbatté il boccale sul bancone provocando un tonfo sonoro e si pulì la bocca col dorso della mano. Si voltò verso di lui guardandolo con aria scocciata.
«Koga, è successa una cosa orribile. Solo tu puoi aiutarmi!»
Koga in tutta risposta gli ruttò in faccia. Il signor Higurashi fece finta di nulla, seppur fosse rimasto disgustato dal suo alito, e riprese a parlare «Kagome è prigioniera di un demone spaventoso! Dio solo sa che cosa le avrà fatto!» finì il signor Higurashi scoppiando definitivamente in un pianto disperato e singhiozzante. Mentre si stava pulendo un orecchio, appena il vecchio fece il nome di Kagome immediatamente Koga si raddrizzò con la schiena, dando al vecchio la sua più completa attenzione.
«Kagome? Cosa le hanno fatto?» esclamò Koga, prendendolo per le spalle.
«È rinchiusa nelle segrete di un castello, nascosto al limitare della foresta, vicino al villaggio di Oseki» gli rispose il vecchio, singhiozzando e tirando su con il naso. Koga lo trovò incredibilmente patetico, mentre aveva il moccio al naso come un bambino piccolo. Mentre però elaborava le sue parole, capì perché lui e quegli altri due mentecatti quando erano andati nella foresta a cercarla non l’avevano trovato e quindi erano subito tornati indietro. Solo che erano passati giorni e di lei e il vecchio non c’era alcuna traccia. Dopo cena, aveva appunto l’idea di rimettersi alla ricerca di Kagome, quando il vecchio era sbucato fuori all’improvviso. Quindi Kagome si trovava prigioniera in un castello nascosto al confine con l’altro villaggio. Ci sarebbe voleva almeno mezza giornata a cavallo per raggiungere Oseki. Cavalcando al massimo nella sua velocità, il suo cavallo poteva farcela ad arrivare anche in un paio d’ore. Avrebbe solo dovuto sforzarlo al massimo.
«Come posso trovarlo?»
Il vecchio tirò su col naso, per poi rispondergli «Addentrati per la foresta, dopodiché ti troverai davanti a un albero di magnolia. Lì nelle vicinanze troverai un cancello in ferro enorme a perdita d’occhio. Varcato quello troverai il castello.»
Koga lo lasciò andare e iniziò a rimuginare su ciò che aveva appena appresso dal vecchio. Quella era la sua grande occasione. Al solo pensiero di salvare Kagome e ingraziarsi quel mentecatto di suo nonno si sentiva estremamente galvanizzato ed eccitato, ma Kagome aveva già rifiutato la sua proposta di matrimonio. A meno che...
«Va bene. Andrò a salvare tua nipote...»
Ma prima che il vecchio, il cui volto si era disteso dal sollievo nonostante le lacrime continuassero a scorrere, Koga lo interruppe «...a patto però che tu acconsentirai alle nostre nozze.»
Le sopracciglia del vecchio si aggrottarono in mezzo alla fronte e il suo volto tornò pallido. Come poteva condannare sua nipote a un matrimonio con un uomo che non amava e che anzi detestava? Ma non aveva altra scelta se voleva salvare la sua adorata Kagome...
Il signor Higurashi abbassò la testa «Va bene, Koga. Hai la mia benedizione.»
Koga sorrise, un sorriso ferino e bramoso. Finalmente Kagome sarebbe stata sua! Il vecchio l’avrebbe costretta a sposarlo per saldare il debito di gratitudine che aveva nei suoi confronti. Finalmente quella donna tanto testarda, ma anche così incredibilmente bella, dalla pelle candida come la neve, i capelli dello stesso colore delle more appena raccolte, quelle seducenti labbra carnose sarebbe stata sua. Già si immaginava la loro notte di nozze dove l’avrebbe presa e l’avrebbe resa definitivamente la sua donna. Koga si leccò le labbra in maniera lasciva, mentre ridacchiava soddisfatto. Tutto il villaggio avrebbe sentito le sue urla di piacere, parola sua.

Si precipitò a casa sua a recuperare la spada, un mantello, un coltello e il suo cavallo. Montò in sella a Nero, il suo fidato destriero dal manto scuro come la notte, grosso e possente quasi quanto un toro e partì alla volta del castello di quella fantomatica bestia che teneva prigioniera la sua Kagome. Strinse le redini di Nero, mentre lo incitava ad andare più veloce. Gli avrebbe cavato il cuore dal petto, lo avrebbe fatto soffrire come la peggiore delle belve e lo avrebbe decapitato, esponendo in trionfo la sua testa come trofeo, insieme alla sua splendida moglie. Tutto il villaggio l’avrebbe acclamato. Sarebbe stato un eroe e soprattutto avrebbe avuto la donna che tanto bramava da così tanto tempo. Koga era euforico al solo pensiero.

“Aspettami, Kagome. Presto sarai mia”.

 

Il palazzo era in gran fermento. Tutti erano impegnati nei preparativi alla festa, che si sarebbe svolta quella sera. Ayame e altre suppellettili, che in passato erano le sarte di corte, si erano date da fare nel confezionare gli abiti per Kagome e il principe. Nelle cucine si preparava da mangiare non solo per i due, ma per tutta la corte, quindi tutte le suppellettili – un tempo cuochi – realizzavano ricette e manicaretti di ogni tipo. Non si parlava d’altro; era l’argomento sulla bocca di tutti gli abitanti del castello. Era da veramente molto tempo che non vi era un evento di tale importanza. Mentre alcune posate – due forchette e un mestolo – stavano preparando la glassa per la torta, un’ombra si levò su di loro.
Terrorizzate, si strinsero tra di loro tremanti, ma presto sentirono la voce di Miroku che le rassicurò «Non temete, il principe vuole solo chiedervi i vostri nomi.»Le posate si voltarono lentamente, pensando che avessero sbagliato qualcosa e che il principe volesse punirle, ma, con loro grande sorpresa, si trovarono davanti una persona tranquilla e non presa dall’ira, con in mano una piuma e un foglio. Miroku reggeva un calamaio pieno d’inchiostro. Le posate sussurrarono i loro nomi con timore, al che vedendo il principe che se li segnava tornarono a tremare. Inuyasha le guardò e capendo il loro timore, le rassicurò «Non voglio punirvi, voglio solo imparare i nomi di tutti i domestici del castello.»
Le posate allora si guardarono tra di loro basite, ma anche leggermente scettiche. Era un comportamento che mai si sarebbero aspettate da quel principe tiranno; anche se da quando era arrivata la ragazza erano migliorate molte cose, la maggior parte di loro provava diffidenza ogni volta che gli si rivolgeva, ma soprattutto nessuno aveva dimenticato i suoi soprusi e le sue angherie nei loro confronti.
Shion e Asagi in quel momento si fecero avanti «State tranquilli, li ha chiesti anche ad altri!»
Le posate si ricordarono quando i due fratelli erano tornati nelle cucine sconvolti, raccontando del principe che li aveva aiutati a trasportare dei sacchi di farina, storia alla quale nessuno aveva voluto credere, finché non avevano visto coi loro occhi il principe entrare con i sacchi in mano, posarli e andarsene. La conferma di Shion e Asagi pertanto li rassicurò. Il principe, d’altro canto, non si arrabbiò con nessuno dei domestici a cui andò a chiedere i nomi e che segnò sul foglio.Uscì per andare a chiederlo anche agli altri. Nel farlo incrociò Kagome che, nonostante le insistenze delle suppellettili, aiutava come poteva. Si salutarono con un cenno del capo. Kagome addirittura gli sorrise, gesto che provò a ricambiare, ma fallendo poiché non essendo abituato sentì i muscoli della faccia fargli male e probabilmente la ragazza avrà pensato che il suo fosse un sorriso forzato.
Dopo essersi assicurato che la ragazza si fosse allontanata, si girò verso Miroku, che si trovava accanto a lui «Cosa dovrei fare?»
Miroku alzò lo sguardo verso l’alto e intuendo non avesse ancora finito aspettò che continuasse a parlare.
«Come dovrei tenerla mentre balliamo, perché sicuramente balleremo, no?»
«Certo, anzi sarebbe molto carino se la invitaste a ballare.»
«Sì, ma come dovrei fare? E poi come faccio ad essere...cortese con lei?»
Allora Miroku sorridendo gli mostrò mimando come si balla il valzer. Inuyasha si mise a imitarne i movimenti, prima in maniera un po’ goffa, per poi muoversi in maniera più fluida.
«Se volete essere più sicuro, potreste chiedere a qualcuno messo un po’ meglio di me in quanto ad altezza, di aiutarvi ballando con voi.»Inuyasha scosse la testa con veemenza.
«Non credo sia il caso.»
Miroku ridacchiò.
«Se può esservi di consolazione, abbiamo tutti notato come il fatto che stiate facendo vedere il vostro impegno nel redimervi possa già giocare a vostro favore e ritengo che anche la signorina Kagome l’abbia notato. Perciò penso che se continuate così siete già sulla buona strada.»
Inuyasha annuì. «È che...con lei non voglio più sbagliare. Non voglio più rischiare di ferirla.»
«Non è facile avere a che fare con gli altri, soprattutto quando ci rendiamo conto di aver ferito qualcuno.»
Dicendo quella frase non poté fare a meno di pensare al suo rapporto con Sango. Dall’alto di quale pulpito poteva dare consigli al principe quando lui non aveva neanche avuto il coraggio di parlarne con Sango? Da tutta quella storia realizzò che ne stava traendo beneficio. Tutto ciò era paradossale, però vedere il principe mettersi in discussione stava aiutando di riflesso anche lui nel capire quali comportamenti, che finora per lui erano naturali e giusti, in realtà danneggiassero gli altri. Miroku riprese a parlare con Inuyasha.
«L’averlo capito ovviamente non ci giustifica. Se si ha fatto del male dobbiamo pagarne le conseguenze e assumerci le nostre responsabilità, ma già facendo ciò e prendere consapevolezza dei nostri errori è meglio che fare finta di nulla e continuare a fare del male.»
Il principe come risposta annuì.
Miroku sorrise, ma stavolta maliziosamente «Dai, adesso pensiamo alle cose importanti! Vi devo fare una breve lezione su come baciare una ragazza?»
Le guance del principe si colorarono di viola. Si affrettò a rispondere con un «No, grazie», causando nuovamente l’ilarità del candelabro.
«Miroku?»
«Mhm?»
«Grazie.»
Miroku sorrise «Non serve ringraziarmi. Orsù, ora andate a vestirvi per stasera.»

Kagome si osservava nello specchio che le era stato portato in camera. Le varie domestiche-suppellettili l’avevano aiutata a vestirsi, a truccarsi e ad acconciarsi nonostante avesse insistito per fare da sola, ma loro erano state irremovibili. In quei giorni di preparativi si erano date da fare – tra domestiche-sarto che le avevano preso le misure, domestiche-macchine da cucire che gliel’avevano confezionato – per realizzarle quel vestito, l’avevano poi messo dentro Ayame fino a quella sera e adesso era lì a guardare le domestiche dalle sembianze di pennelli per il trucco che finivano di applicarle vari cosmetici. Visto che il colore dell’abito era verde, era stato ripreso tramite l’ombretto che le avevano applicato sugli occhi. Sango era lì che la osservava insieme ad Ayame. L’armadio le sorrise «Ribadisco, il verde è il tuo colore. Stai benissimo!»
Sango annuì. «Sì, sei proprio bella.»
Kagome sorrise a sua volta. Era il vestito più bello che avesse mai avuto. Ayame saltò sul posto – riuscendoci nonostante la sua mole – ed esclamò «Forza vai, il tuo principe azzurro ti aspetta!»
Sango roteò gli occhi, per poi girarsi a guardare la ragazza limitandosi a dire «Divertiti.»
Kagome si portò le mani al petto «Grazie, ragazze. Grazie di cuore a tutte voi» disse rivolgendosi alle domestiche che l’avevano aiutata, che erano tutte presenti nella sua stanza.
«Figurati!»
«Nah, nessun problema, tranquilla!»
Una suppellettile-rotolo di filo borbottò «Se a quel vestito succede qualcosa...»
Sango, che si trovava di fianco a lei, le diede una gomitata «Vai su!»
Kagome annuì, tirò su la gonna e uscì dalla stanza. Giunse verso le scale che sapeva l’avrebbero condotta nell’atrio principale del palazzo, dove avevano allestito la sala da ballo e il tavolo dove avrebbero cenato. L’atrio che era stata la prima stanza che aveva visto di quel maniero, da dove tutta quella storia era iniziata. Trovò tutto ciò lievemente ironico, tuttavia la curiosità di vedere come sarebbe andata quella serata prevalse in lei.
“Chissà come avranno vestito Inuyasha” pensò sorridendo.
Iniziò a scendere le scale facendo attenzione a non inciampare nelle pieghe del vestito. Infatti doveva tenere la gonna con le mani dato che erano lunghe fino al pavimento. Avevano insistito per farglielo bello lungo e non aveva avuto il cuore di chiedergli di accorciarglielo con tutta la fatica che avevano fatto per lei. Per il resto le calzava a pennello. Presa com’era dal non capitombolare sulle scale, non aveva notato che in cima alle scalinate opposte si trovava Inuyasha. Lui dapprima sbuffò, cercando di allargarsi il colletto della camicia. Inizialmente volevano mettergliene uno molto più pomposo. La tentazione di urlare quanto fosse contrario era stata forte, ma poi cercò di ricomporsi ricordandosi del suo buon proposito di non maltrattare più i suoi domestici, infatti non li considerava più come suoi servi. Alla fine, aveva trovato un accordo coi sarti i quali gli avevano lasciato il colletto libero.Indossava un completo composto da giacca e pantaloni blu. I bottoni della giacca erano dorati, la quale era lunga fino a metà polpaccio e aperta in due code. I capelli gli erano stati pettinati all’indietro e legati in una coda bassa. Portava degli stivali eleganti neri, che il vecchio Myoga gli disse appartenenti a suo padre. Si sentiva teso poiché era una grande eredità. Stava iniziando a capire cosa doveva essere davvero un signore, l’importanza di trattare bene i suoi domestici e di conseguenza i suoi sudditi. Prima o poi avrebbe dovuto farsi spiegare dal vecchio Myoga come poteva gestire quelle terre per fare in modo che tornassero a fiorire come un tempo. Lo doveva a suo padre. Non era più mosso dall’ira. Forse poteva fare qualcosa di buono anche in quella forma e perciò era grato a Kagome che gli aveva aperto gli occhi. Kagome...
L’arrivo di quella ragazza gli aveva cambiato la vita. Si sarebbe sempre sentito in colpa per il fatto che aveva obbligato prima suo nonno e poi lei a stare nelle segrete del palazzo. Mille scuse non sarebbero mai bastate a fare ammenda, tuttavia stava cercando di rimediare. Quella sera era dedicata proprio a lei, a quella ragazza straordinaria che era piombata nel castello e nella sua vita. Lei, con i suoi capelli corvini, la sua pelle candida come neve, i suoi occhi dal taglio a mandorla e color nocciola, le gote rosate, le labbra carnose...
Giunto sulla cima delle scale, guardò di fronte a sé dove stava l’inizio dell’altra rampa e ciò che si parò davanti ai suoi occhi gli fece spalancare la bocca. Di fronte a sé si stagliava la figura di Kagome in abito da sera. Era un'autentica visione. Indossava un vestito verde lungo fino ai piedi, infatti per scendere le scale doveva sorreggere l’orlo dell’ampia gonna dell’abito. Le maniche erano lunghe e fatte di pizzo, tanto che si intravedevano le braccia candide sotto di esse. Lo scollo era a cuore e il decolleté, le palpebre e le guance erano cosparsi di brillantini color argento. Come se già non fosse splendida – in tutti i sensi – il vestito era ricoperto di decori argentati. I suoi capelli, con piccoli ciuffetti che erano stati arricciati e lasciati liberi di incorniciarle il volto ovale e candido come quello di una bambola di porcellana, erano raccolti in uno chignon elaborato impreziosito da perle preziose.
«Principe Inuyasha?» lo richiamò Miroku. Inuyasha si riscosse e iniziò a scendere le scale, senza mai staccare gli occhi da quell’astro che aveva di fronte. Scendeva le scale reggendosi al cornicione in marmo. Brillava come la Stella Polare. Era semplicemente stupenda. Sembrava una principessa, di certo era molto più regale di lui. Appena si trovarono l’uno di fronte all’altra, Kagome gli sorrise. Il suo sorriso se possibile era ancora più radioso del suo vestito. Cercando di dissimulare il suo imbarazzo, Inuyasha si inchinò, piegando la schiena di 45 gradi in avanti, come gli aveva detto di fare il vecchio Myoga. Kagome prese entrambi gli orli del vestito e fece un’aggraziata riverenza. Era aggraziata come un cigno. La ragazza gli porse il braccio. Inuyasha sbatté le palpebre confuso. Non capiva cosa dovesse fare. Kagome allora si avvicinò e si aggrappò al suo, il tutto continuando a sorridergli. Inuyasha iniziò a sudare. Aveva il cuore in gola dall’agitazione e i palmi delle mani sudaticci. Pregò che lei non se ne accorgesse.
«Questo completo ti sta molto bene» gli disse Kagome.
Inuyasha deglutì, le gote ormai in fiamme «A-anche tu stai bene...»
La giovane ridacchiò. Trovò semplicemente adorabile il fatto che le orecchie di Inuyasha si muovessero nervose e che le sue guance si fossero colorate di rosso. Inuyasha invece si maledisse. Avrebbe voluto dirle che era stupenda, ma l’agitazione l’aveva mandato nel pallone! Un’enorme tavola imbandita era stata apparecchiata con una tovaglia pregiata con ricami dorati. I piatti erano in porcellana e i bicchieri di cristallo. Come pietanze vi erano un pollo arrosto con patate ricoperto da una salsa dall’odore invitante. Una suppellettile-cavatappi stava aprendo per loro una bottiglia di vino rosso. Una caraffa d’acqua dentro una brocca finemente lavorata di vetro soffiato e abbellito con decori arancioni, verdi e blu era stava appena posata da altre suppellettili. Come dessert invece c’era una torta dal soffice pan di spagna, crema pasticcera e decorata da fragoline di bosco. Kagome ringraziò una per una tutte le suppellettili. Doveva essere stato difficilissimo per loro trovare tutti quegli ingredienti solo per loro. Anche Inuyasha li ringraziò. Le suppellettili non erano ancora abituate al fatto che il loro signore le trattasse in maniera gentile, però cercarono di dissimulare sorridendo e congedandosi. Quella ragazza stava davvero compiendo un miracolo. I due si sedettero a capotavola, ai due estremi del tavolo. L’essere così lontani era una benedizione, ma allo stesso tempo una maledizione per Inuyasha. Benedizione, perché, nonostante avesse ripassato con il vecchio Myoga alcune delle regole base del galateo a tavola e come fare gli inchini, il fatto che Kagome non potesse vedere come mangiava lo faceva sentire più tranquillo. Maledizione, perché lui invece non poteva guardarla, ammirare la luce che emanava il suo sorriso, i suoi splendidi occhi color nocciola che alla luce del lampadario di cristallo che era stato lucidato e riacceso per l’occasione parevano oro liquido, sentire il suo profumo dolce, udire la sua voce armoniosa. Starle lontano anche solo per consumare la cena gli sembrò una tortura infinita. Finito il pasto – gli avanzi sarebbero stati mangiati dai domestici – un’orchestra di suppellettili-strumenti musicali si mise a suonare. Era una melodia dolce, lenta e romantica. Kagome, dopo essersi pulita le labbra, si alzò e andò a prendere nuovamente a braccetto Inuyasha. I due si diressero al centro della sala. Inuyasha si sentiva euforico, eccitato e con il cuore che batteva sempre più forte. Diede colpa al vino. Non era abituato a bere e pensò che quindi berne due bicchieri fosse troppo per lui. La ragazza posò una mano sulla sua spalla, mentre l’altra sul suo braccio. I suoi occhi lo guardavano languidi...Si diede dello stupido. Anche lei aveva bevuto. Doveva essere certamente colpa del vino. Anche le guance erano rosate. Erano così lisce, sembravano due pesche. Avrebbe voluto accarezzarle, mordergliele...Si morse la lingua. Doveva calmarsi. Non capiva che gli prendeva. Perché più guardava Kagome più la trovava così...attraente?
«Ti devo confessare una cosa...» gli sussurrò Kagome.
Inuyasha rizzò le orecchie. Cosa doveva mai dirgli? Il cuore gli batté ancora più forte fino a sentirlo dentro le orecchie. Che fosse...una dichiarazione? No, che cosa diavolo gli saltava in mente! Non avrebbe mai potuto provare qualcosa di quel tipo per lui, anche se una parte di lui, una che si voleva fare del male illudendosi, lo voleva, lo voleva così tanto. Già solo che erano riusciti ad arrivare a un punto in cui lei gli sorrideva, gli parlava, lo toccava senza guardarlo con odio era molto più di quanto potesse sperare.«...non so ballare» continuò Kagome, sorridendo imbarazzata.
Inuyasha sgranò gli occhi, per poi scoppiare a ridere, ridere della sua stupidità però ridere anche della dolcezza di quella ragazza che gli era entrata così sottopelle che non l’avrebbe mai dimenticata. Ormai il suo viso era irrimediabilmente impresso nel suo cuore e lo sarebbe stato fino alla sua morte.Kagome spalancò gli occhi e la bocca, osservando Inuyasha, colui che credeva una bestia senza cuore, ridere di cuore. La sua risata era davvero splendida e quei canini che si intravedevano leggermente non erano più così spaventosi, la mano che le reggeva la spalla era delicata, gli artigli non le facevano male. Appena Inuyasha finì di ridere, le rispose «Nemmeno io se per questo.»
«Allora cerchiamo di fare del nostro meglio per non pestarci i piedi a vicenda» rispose Kagome ridacchiando.
«Non garantisco niente» fece Inuyasha, sorridendole malandrino e mettendo in mostra i canini. Kagome sentì una ventata di calore sferzarle le guance. Perché d’un tratto aveva pensato a quanto quel sorriso fosse affascinante? E soprattutto da quando voleva che quei canini le mordessero il collo? Scosse la testa. Ma cosa le prendeva?
«Kagome, tutto bene?»
Kagome, ancora più rossa poiché colta in fallo, balbettò un «S-sì, certo» per poi tossire leggermente e riprendere dicendo «Balliamo.»
Dopo un inizio un po’ goffo in cui entrambi muovevano solo un piede in avanti e subito dopo tornava al suo posto, rimanendo immobili come stoccafissi, trovarono un equilibrio, ovvero un passo avanti e due indietro, in modo da potersi anche muovere per la stanza. Kagome prese un braccio di Inuyasha, portandogli la mano su un fianco. Lui non capì subito, le gote si fecero ancora più purpuree, ma Kagome gli continuava a sorridere radiosa per cui si calmò. D’altro canto la ragazza sentiva la testa leggera, mentre volteggiava stretta dalle forti braccia di Inuyasha. Sarà stato anche complice il vino, ma si sentiva così incredibilmente libera, senza preoccupazioni. In quella enorme sala vi erano solo lei e Inuyasha che ballavano al ritmo di un dolce valzer. Posò dolcemente la testa sul petto di Inuyasha. Inspirò il suo profumo di muschio. Si sentiva al sicuro tra le sue braccia, sensazione che mai avrebbe pensato di provare poco tempo prima. Non era minimamente preoccupata che lui potesse farle del male. Stava così bene, mentre ascoltava il battito del suo cuore farsi sempre più veloce. Che fosse colpa sua?
Alzò lo sguardo verso di lui «Ti do fastidio se sto così?»
Inuyasha si affrettò a rispondere «No, affatto. È che è la prima volta che ballo con qualcuno, anzi questo è il primo ballo a cui abbia mai partecipato.»
Kagome provò un’immensa tenerezza per lui. Non sapeva a che età avesse in quel momento, ma pensò che non dovesse essere tanto più piccolo di lei. Le sembrava che Sango avesse accennato al fatto che erano stati colpiti dalla maledizione cinque anni prima e che da allora nessuno aveva più lasciato il castello, poiché chiunque avrebbe avuto paura di loro, specie di Inuyasha, dunque era come se fossero confinati là dentro. Chissà quanto dovevano aver perso per colpa di quella maledizione, chissà quanta solitudine avevano provato...
Kagome si strinse maggiormente a lui. A un certo punto si trovarono l’uno di fronte all’altra, i propri occhi riflessi in quelli dell’altro. Erano così vicini che presto Kagome si ritrovò ad appoggiare la sua fronte contro quella di Inuyasha. I suoi occhi quando non erano irati erano di un colore oro, splendente come due gemme d’ambra, come il sole, come l’oro che decorava le poltrone e i capitelli delle colonne del palazzo. Era un colore così intenso e magnetico da sembrare oro fuso, tanto che per un attimo Kagome ebbe la sensazione di perdervisi. Inuyasha invece era completamente annegato nel cioccolato degli occhi di Kagome, occhi brillanti quasi più del suo vestito. Sentire il suo fiato contro la propria bocca gli fece provare un brivido lungo tutta la spina dorsale. Era così bella, così eterea...era decisamente troppo per lui. Mentre si muovevano per la stanza lasciandosi guidare dalla melodia prodotta dai violini, Kagome posò la testa sul petto di Inuyasha, il quale sentì le guance andare a fuoco. Tutto ciò era un duro colpo al suo autocontrollo. Averla contro di sé, sentire il suo profumo, il suo calore gli faceva girare la testa. Kagome sperò con tutto il cuore che nel suo piccolo avesse lasciato un bel ricordo a Inuyasha. Tuttavia si chiese perché le interessasse così tanto. Avevano giusto stretto una tregua, non è che dovessero diventare per forza migliori amici, ma allora perché continuava a sentire quel macigno sul petto? Era per il senso di colpa oppure per qualcos’altro? E se era così, qual era la causa del suo turbamento interiore ogni volta che vedeva Inuyasha, perché avvertiva calore alle guance e al basso ventre, perché il suo cuore correva all’impazzata come cavalli imbizzarriti? Nei libri che aveva letto tutte quelle cose indicavano solo una cosa, ma non poteva essere, era impossibile si disse, mentre osservava con la coda dell’occhio Inuyasha guardarla dall’alto con quei magnetici occhi dorati. Non poteva essere proprio quello, no?

Sango osservava Kagome e il principe volteggiare da quella che pareva un’eternità. Lei e altre suppellettili avevano messo in ordine e sgomberato il tavolo, portando gli avanzi in cucina. Non aveva saputo resistere e aveva assaggiato una fetta di quella torta con le fragole ed era paradisiaca. Aveva fatto mettere da parte un pezzo per il suo fratellino Kohaku, il quale era stato mandato a letto insieme ai più piccoli, tra cui Shippo, che quindi erano esonerati dalle pulizie per quella sera. Osservando quei due sulla pista da ballo, per un attimo, un solo minuscolo istante, provò invidia, ma poi si ricordò chi era il principe Inuyasha, il principe tiranno. Era ancora molto scettica, parecchio scettica, riguardo il suo cambiamento e come lei molti altri domestici. Mentre altri, seppur diffidenti, sembravano voler essere fiduciosi, rincuorati dalla presenza di Kagome e dalla flebile speranza che si innamorasse del principe e che grazie a ciò li facesse ritornare alla loro forma originaria e riportasse il castello al suo antico splendore. Ma lei ormai si era arresa. Non avrebbe più riavuto il suo aspetto umano. Le dispiaceva non tanto per sé stessa, ma per il suo fratellino, costretto in una forma che non era la sua. Sentì un colpetto delicato sulla sua “spalla”. Voltandosi si trovò davanti Miroku «Splendida serata, non trovi?»
«Per i due piccioncini sicuramente» rispose con tono ironico, indicando Kagome e il principe ancora al centro della sala a ballare.
Il “viso” dorato e metallico di Miroku si arricciò in una smorfia – cosa a quanto pare ancora possibile per loro anche se erano degli oggetti – «Non credi che il principe sia cambiato?»
«Io credo ai fatti. A parole siamo bravi tutti. Per ora si sta comportando bene. Bisogna vedere se è tutta una facciata solo per farsi bello agli occhi di Kagome, oppure è sinceramente pentito. Al momento ho pareri contrastanti.»
Miroku fu estremamente colpito da quelle parole. Realizzò quanto fosse stato superficiale nei rapporti umani, comportandosi da piacione credendo che fosse quella la via più semplice per ammaliare le donne, esattamente come faceva suo padre. Era l’unico modello con il quale era cresciuto, quindi lo aveva preso come quello corretto. Ma da quando era stato mutato in un candelabro aveva capito quanto in forma umana fosse patetico e soprattutto tramite Sango quanto i suoi comportamenti molesti l’avessero ferita. Non avrebbe mai scordato il suo sguardo pieno di disprezzo il giorno prima che venissero trasformati in oggetti. Come al solito le era arrivato da dietro le spalle, palpandole il sedere. La ragazza allora armata di scopa – quale ironia, ripensandoci col senno di poi – si era girata e l’aveva colpito col manico sulla nuca. Ricordava come se fosse avvenuto il giorno prima cosa gli avesse urlato contro successivamente. «Credi che tutto ti sia dovuto, vero? Non ti hanno insegnato ad accettare un no e che toccare il corpo altrui, soprattutto parti intime, è estremamente maleducato oltre che sgradevole? Sei patetico, Miroku. Solo le persone mediocri si comportano così.»
Miroku capì quanto avesse sbagliato, ma scusarsi sarebbe stato inutile. Delle parole non potevano cancellare le sue azioni passate, di cui in quel momento, al solo ripensarsi, provava solo un’immensa vergogna. Ma visto che Sango era una che si basava sui fatti e non sulle parole, decise di agire. Se non credeva al principe Inuyasha, le avrebbe almeno fatto cambiare idea su sé stesso. Si inchinò e le fece una sorta di baciamano – per quanto il loro aspetto non glielo consentirebbe in teoria.
«Vorresti concedermi una possibilità per dimostrarti che non sono così patetico come credi e che so rispettarti?»
Sango si ricordò di quella volta che l’aveva colpito con la scopa. Si stupì che lui se ne ricordasse. Il suo cinismo le faceva pensare che era stato per merito della botta in testa che se lo ricordava, ma una parte, una minuscola, piccolissima parte di lei che le sussurrava in un angolo remoto del suo cuore le diceva di provare a fidarsi di quel candelabro, che quando non la toccava senza il suo consenso era gentile, intelligente e con un senso dell’umorismo frizzante. Sango lo guardò sorridendo in maniera salace «Intanto invitami a ballare, poi si vedrà.»
Miroku sgranò gli occhi, lo stoppino della candela che aveva sulla testa si accese di colpo. Era il corrispettivo del fatto che da umano invece sarebbe arrossito. Miroku allargò le braccia. Sango gliele prese, per poi sistemarle come riteneva meglio «Toccami in maniera lasciva e io ti strozzo.»
«Non lo farò!»
«Staremo a vedere...» borbottò Sango, la quale condusse lei il ballo reggendo i bracci di Miroku, che sospirò ma almeno era contento di poter ballare con Sango e che forse gli avrebbe dato un’occasione per riscattarsi. Ma mentre volteggiavano e faceva qualche battuta per farla ridere, realizzò quanto i suoi occhi marrone scuro fossero belli quando si illuminavano ogni volta che sorrideva. Persino nella forma di una scopa Miroku era affascinato da lei. Allora Miroku pensò che forse non era così importante l’aspetto fisico di una persona quando questa ci piaceva già. A lui Sango piaceva, piaceva da impazzire già da umana. La prima volta che l’aveva vista pensò sembrasse una di quelle ninfe rappresentate negli affreschi che decoravano le mura della dimora. Non solo era bella, ma anche intelligente, arguta, dolce, gentile e con una lingua tagliente, talmente onesta e pungente nelle sue parole che feriva più la sua bocca che una spada. Bocca che avrebbe tanto voluto baciare, ma dalla quale per fortuna si era sempre tenuto alla larga, soprattutto per paura. Sotto sotto sapeva di non meritare l’amore di una come Sango, una ragazza indipendente che aveva cresciuto suo fratello minore da sola lavorando come cameriera per un tiranno come Inuyasha fin da giovanissima, che fosse troppo per un Don Giovanni da strapazzo come lui. Tuttavia non poté fare a meno di sperare che un giorno, forse, sarebbe riuscito a fare breccia nel cuore cinico di Sango, magari senza toccarle il sedere, esattamente stava facendo in quel momento, anche se la ragazza gli aveva lasciato i bracci, ma anzi l’aveva presa per quella che sarebbe dovuta essere la sua vita – in realtà era il suo manico in legno. Non voleva che lei lo odiasse. L’aveva ferita troppe volte. Doveva guadagnarsi la sua fiducia. Ci avrebbe messo un bel po’, ma ne sarebbe valsa la pena.

Kagome e Inuyasha uscirono dalla porta finestra del salone, che affacciava sull’immenso giardino che circondava il castello. SI sedettero su una panchina in marmo. Inuyasha alzò lo sguardo verso il cielo. Quella sera non vi era neanche una nuvola, tanto che la luna piena si stagliava su quello sfondo scuro in tutta la sua magnificenza, e le stelle risplendevano più luminose che mai. Ma quella sera la stella più luminosa, così tanto da far sfigurare il candido bagliore della luna, era Kagome. Ancora una volta pensò quanto una ragazza come Kagome, pura come un giglio, sfigurasse di fianco a una bestia come lui. Chi mai avrebbe potuto amare un essere come lui? Per quanto provasse a cambiare caratterialmente, il suo aspetto rimaneva sempre quello, le sue zanne e i suoi canini non sarebbero scomparsi, le sue guance sarebbero rimaste marchiate di viola, le sue orecchie avrebbero avuto ancora l’aspetto di quelle di un cane.Riabassò lo sguardo verso di lei, che era intenta a osservare la luna. Il suo profilo alla luce lunare sembrava latteo, morbido, lucente...
Inuyasha posò una mano sulla sua spalla per richiamare la sua attenzione. Kagome si voltò completamente, dandogli la sua più completa attenzione. Inuyasha prese un profondo respiro.«Devo dirti una cosa importante. Io...ti chiedo scusa, Kagome. Sono stato veramente crudele nei tuoi confronti. Non merito il tuo perdono, ma non posso fare altro che scusarmi. So che questo non cancellerà le mie azioni, ma io…» indugiò per un attimo, per poi proseguire «...vorrei provare ad essere diverso, ad essere una persona migliore, non più un mostro. Non avrei voluto fare come ha fatto Ade.»
«Inuyasha…»In quell’istante Kagome, mentre lo osservava scusarsi sinceramente pentito, con quell’aria così fragile e mansueta come un cane ferito, mentre chinava il capo verso il basso, provò per lui un’immensa tenerezza. D’un tratto le tornò alla mente cosa aveva pensato la prima volta che aveva visto il maniero di Inuyasha, ovvero che da fuori sembrasse uscito da un racconto dell’orrore, ma dentro invece sembrasse un castello delle fiabe e realizzò che quella fosse la perfetta e calzante descrizione di Inuyasha. Solo all’inizio le era sembrato un essere spaventoso e spregevole, mentre in quel momento...
«Mi dispiace per averti chiamato mostro...» gli disse Kagome.
«Ti sbagli!» la interruppe Inuyasha con fermezza «Lo sono eccome. Non solo fisicamente, ma soprattutto interiormente e in particolare per come mi sono comportato. Io ti chiedo perdono, anche se so benissimo che le mie parole non saranno mai sufficienti per guarire tutto il dolore che ti ho causato.»Kagome allungò una mano e la posò sua guancia, accarezzandogliela teneramente e guardandolo con dolcezza. Inuyasha si appoggiò ad essa, poggiando la propria mano sopra la sua. La guardò per un lungo, lunghissimo istante, indugiando sulle sue spalle lasciate scoperte, sulla curva armoniosa del suo collo, i suoi capelli corvini decorati dalle perle.
«Kagome...» mormorò. Si porse verso di lei. Kagome non si ritrasse e ciò lo incoraggiò. Le loro labbra erano ad un soffio l’una dall’altra. Sarebbe bastato avvicinarsi un altro po’. Erano così vicini...
Inuyasha inspirò profondamente, per poi chiudere gli occhi «Torna a casa da tuo nonno» sussurrò a fior di labbra.
Kagome sbatté le palpebre con aria perplessa e fece per replicare. Stavolta fu Inuyasha che timidamente fece per poggiare una mano sulla sua guancia. Temette per un istante di ferirla inavvertitamente con gli artigli, anche se Miroku glieli aveva fatti limare proprio per evitare che succedesse qualcosa di simile, tuttavia erano già ricresciuti leggermente. Delicatamente posò solo il palmo aperto su di essa, facendo attenzione e sfiorandogliela leggermente. La guardò intensamente, le sue labbra socchiuse ancora di fronte a sé, così invitanti, così vicine, ma allo stesso tempo irraggiungibili. Dopo aver preso un respiro profondo, si fece coraggio e pronunciò quelle parole che pesavano sulla sua lingua come un macigno di piombo «Vai» le sussurrò «Torna a casa.»
Lei lo scrutò attraverso le palpebre socchiuse, per poi chiuderle completamente e inspirare profondamente. Lentamente Inuyasha, quasi facendosi violenza da solo, tolse la sua mano dalla guancia di lei. La sua pelle era così soffice e profumata, così delicata che sarebbe bastato così poco per lasciarle dei segni e lui non voleva ferirla, non più. Se per renderla felice sarebbe bastato lasciarla andare così avrebbe fatto. Avrebbe sofferto come mai gli era capitato nella sua vita, avrebbe condannato tutti gli abitanti del castello, lui compreso, a rimanere in quella forma grottesca, ma Kagome sarebbe stata felice con suo nonno e a casa sua. Kagome si alzò, spazzolandosi la gonna del vestito e gli sorrise. Aveva gli occhi lucidi.
«Ti ringrazio» sussurrò e corse via. Mentre si dirigeva verso l’entrata del castello, Kagome pensò che da un lato si sentiva incredibilmente felice nel poter ritornare a casa e riabbracciare il suo amato nonno, ma dall’altra una parte di lei non voleva lasciare Inuyasha. Mentre correva vide una delle siepe della signora Kaede, dalla quale erano sbocciate delle splendide rose rosse, come quella che gli aveva regalato lui...
Si portò una mano alla bocca, mentre iniziò a singhiozzare. Si era innamorata di Inuyasha, si era inequivocabilmente innamorata di lui, come le eroine dei romanzi che amava leggere si innamoravano sempre del principe. Per certi versi anche Inuyasha era un principe, un principe dall’aspetto che inizialmente credeva spaventoso, ma col tempo aveva imparato a vedere oltre quegli artigli. Quegli occhi iniettati di sangue in realtà nascondevano un’anima dorata, quei canini gli donavano un’aria più selvaggia, certo, ma il suo sorriso rimaneva comunque radioso, e quelle orecchiette erano semplicemente adorabili quando si muovevano freneticamente! Aveva scorto tanti lati buoni di Inuyasha. Volendo era gentile, il suo tocco era delicato come se avesse avuto paura di ferirla senza volere. Nei suoi occhi aveva letto il suo desiderio di voler rimediare ai suoi errori e le era sembrato onesto. Le aveva fatto tenerezza quando avevano letto insieme nella biblioteca, aveva sussultato quando si era trovata tra le sue braccia e avevano ballato in una sala gigantesca al ritmo di un valzer romantico. Era stata la serata più bella della sua vita. Mentre piangeva ormai a dirotto, si disse che quella serata non l’avrebbe mai dimenticata e che sarebbe stata per sempre impressa nel suo cuore, così come la risata di Inuyasha. Dopotutto nel mito Persefone alla fine si era innamorata di Ade.

Inuyasha si voltò osservandola correre via. Allungò la mano verso di lei, ma la rimise subito al suo posto. Ormai aveva preso la sua decisione. Kagome era libera, doveva tornare a casa sua. D’un tratto sentì qualcosa di umido sul suo volto. Una lacrima gli aveva appena rigato il volto. Era da così tanto tempo che non piangeva che non si ricordava più quando era stata l’ultima volta. Quella ragazza aveva fatto breccia nel suo cuore. Mentre la osservava rientrare nel maniero, si rese conto che quello che era nato nel suo cuore era un sentimento che mai aveva provato prima di quel preciso momento, nemmeno per sé stesso. Si era innamorato perdutamente di Kagome e l’aveva realizzato quando ormai era troppo tardi.

Appena rientrata in camera sua, Kagome si tolse velocemente l’abito, ripiegandolo con cura sul letto – con tutta la fatica che avevano fatto per cucirglielo le sembrò il minimo, – corse in bagno a lavarsi la faccia e il petto per togliersi i brillantini e il trucco, si tolse le perle dai capelli, e recuperò i vestiti con i quali era giunta per la prima volta in quel castello. Le tornò in mente che quel giorno si era portata arco e faretra con tanto di frecce, ma che poi non aveva più dovuto usare anche perché non sapeva che fine avessero fatto. Realizzò che non li aveva mai usati, poiché Inuyasha non l’aveva mai ferita. Per quanto il loro incontro non fosse stato tra i più belli e romantici della storia, Inuyasha aveva cercato di rimediare. Era venuto di sua spontanea volontà a chiederle un’altra chance, di mostrarle che di lui poteva fidarsi. Portò entrambe le mani giunte al petto sentendo di nuovo le lacrime bussare ai suoi occhi. Doveva andare via il prima possibile, altrimenti sarebbe stato solo ancora più doloroso. Un leggero bussare la fece girare verso la porta.
«Kagome, sono Sango. Posso entrare?»
«S-sì, entra pure.»
La scopa entrò e appena trovò la ragazza vestita con gli abiti di quel giorno e in preda alle lacrime si avvicinò velocemente a lei «Cosa è successo? Quel bastardo ti ha fatto qualcosa? Dov’è che lo distruggo!»
Il suo aver alzato la voce aveva svegliato Ayame «O cielo, che sta succedendo?»
«No Sango, tranquilla. Inuyasha non mi ha fatto nulla, anzi...» fece una piccola pausa, per poi dire «...mi ha detto che posso tornare a casa.»
«Che cosa?» esclamarono Ayame e Sango all’unisono.
«Esatto. Posso tornare a casa mia.»
Kagome voleva sorridergli, ma le lacrime continuavano a rigarle le guance.
«Ma è una notizia meravigliosa!» esclamò Ayame.
«Allora perché piangi?» le chiese invece Sango.
Kagome tirò su col naso e singhiozzò un «Perché...»
Si fermò per prendere un bel respiro, ma Sango la anticipò «Sei innamorata di lui» disse lapidaria.
Ayame spalancò la bocca gigante tanto che sembrava che avesse un enorme buco al centro del suo corpo a forma di armadio.
Kagome si limitò ad annuire «È strano, non è vero? Che mi sia innamorata della persona che fino a poco tempo fa odiavo perché mi aveva rovinato la vita e aveva tenuto mio nonno imprigionato nei suoi sotterranei?»
Sango sospirò «Credimi, è meno strano di quanto credi.»
Ma Ayame non fece in tempo a chiederle a cosa si riferisse – anche se aveva già una mezza idea – che Kagome chiese a Sango «Non è che sapresti guidarmi dove si trova Entei? Altrimenti non saprei come andarmene.»
Sango annuì. Kagome prese un altro profondo sospiro, si asciugò le lacrime col dorso della mano, poi si girò verso Ayame e l’abbracciò come meglio poté «Grazie di tutto. È stato un piacere averti conosciuta.»
Ayame singhiozzò, tanto che il legno di cui era fatta scricchiolò «Anche per me, tesoro...»
Dopo averla salutata nuovamente con la mano, Kagome seguì Sango nelle stalle dove trovò Entei nutrito, spazzolato e sellato.
«Chi si è occupato di lui?» chiese la ragazza, mentre accarezzava la fronte del cavallo.
«Alcuni dei domestici che un tempo erano gli addetti alla cura dei cavalli e del bestiame in generale. Ora hanno la forma di attrezzi come per esempio dei forconi, delle cesoie, dei tagliaerba.»
Kagome poggiò la fronte contro quella di Entei «Siete stati così gentili con me...ve ne sarò grata per tutta la vita.»
Si morse il labbro e si voltò guardando verso il basso in direzione di Sango, sempre rimanendo appoggiata però a Entei «Io però non ho fatto nulla per aiutarvi.»
Sango le sorrise «Hai fatto quello che potevi. Nessuno ha mai avuto in mente di costringerti a salvarci.»
Non se la sentì di rivelarle che tutti avevano sperato nel profondo del loro cuore che lei fosse la salvatrice e che spezzasse il maleficio di Tsubaki, ma non voleva farla sentire ancora più in colpa. Era giusto così. Lei doveva tornare a casa sua, alla sua vita, essere felice con suo nonno.
Kagome saltò in sella al cavallo. Abbassò il capo verso la scopa «Abbi cura di te, Sango» le disse in lacrime.
«Anche tu, Kagome. Sii felice.»
La ragazza annuì e tirò le redini del cavallo. Mentre trottava, si voltò verso Sango muovendo una mano per salutarla «Salutami il piccolo Shippo, salutami anche Miroku e ringrazialo per avermi aiutato. Saluta tutti e ringraziali da parte mia dal profondo del mio cuore!» le urlò, rimanendo girata indietro a guardare la sagoma di Sango allontanarsi e farsi sempre più piccola.
«Lo farò!» le rispose di rimando Sango, agitando le sue manine di legno.
«Ti auguro il meglio, Kagome» sussurrò stavolta a sé stessa.

Inuyasha aveva osservato la scena dalla Sfera, ormai sempre più nera tranne per un leggero spiraglio violaceo dove poteva ancora vedere ciò che succedeva al di fuori del castello. Mentre osservava la sagoma della donna che amava allontanarsi in sella al suo cavallo, nonostante avvertisse una voragine formarsi all’altezza del suo petto si continuò a ripetere che fosse giusto così. La felicità di Kagome era la cosa più importante per lui, più importante della propria felicità e della sua stessa vita. Kagome era l’unica cosa che contasse per lui.

 

Angolo dell’autrice

*La citazione l’ho trovata su Internet. C’era scritto semplicemente da “La bella e la bestia”. Il problema è che di versioni della fiaba ce ne sono parecchio. Facendo delle ricerche credo che quella da cui è stata tratta questa citazione sia quella di Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve. Il testo che ho trovato dice «Conosco degli uomini che sono più mostri di voi», disse Bella, «e quanto a me, mi piacete più voi con codesta vostra figura, di tant’altri che, sotto l’aspetto d’uomo, nascondono un cuore falso, corrotto e sconoscente», il cui senso è praticamente quello. Forse la versione trovata da me è un adattamento più semplificato.

*Hanako: Riferimento ad Hanako-san, un personaggio del folclore giapponese nonché di una leggenda metropolitana molto popolare tra i bambini e gli adolescenti. Quest'ultima narra di una bambina di nome Hanako, il cui fantasma infesterebbe le toilette delle scuole giapponesi, e per questo motivo, è meglio nota come toire no Hanako-san (“Hanako-san del bagno”). Fonte: Wikipedia. Per quanto la Strega dica che i demoni non esistano e lei è solo un’umana, però con l’aspetto di una vecchia megera, ho pensato di chiamarla così 1. Perché Hanako è un nome datato in Giappone; 2. Perché si ha sempre un collegamento con il mondo degli yokai.

Quel “quanto a me” iniziale urla adattamento di Evangelion di Cannarsi da ogni poro, ma comunque nota bibliografica a parte, sono tornata con questa storia che aggiorno ogni morte di papa (scusate!).
Penso di avervi detto tutto!
Alla prossima
Nikita

 

   
 
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