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Autore: _sweetnightmare_    26/10/2023    2 recensioni
A volte, fare i conti col passato è dura.
A volte, per farlo serve solo qualcuno per cui ne valga la pena e spesso, quel qualcuno, sei tu.
“Questo testo partecipa al Contest “Le quattro stagioni si raccontano” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP”
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avec toi, la liberté. 

  25 aprile 2018
      
 
Si dice che i nonni siano spesso legati ai nipoti più che ai figli, perché a loro è concesso meno tempo. All’alba dei miei ottantadue anni, posso dire che è vero. Quando sei venuta al mondo, Liberté, esattamente un anno fa, ho capito che mai ti avrei visto diventare una donna e, assieme alla felicità, ho provato un senso di vuoto. Mi ricordo che cercavo disperatamente di capire di che colore fossero i tuoi occhi, i tuoi capelli, di memorizzare ogni singolo dettaglio di te per paura di non poterti rivedere, bella com’eri. Tua mamma ti teneva stretta tra le braccia e io cercavo di strapparti a lei con ogni scusa possibile, addirittura per allattarti. La tua piccola manina liscia e morbida era appoggiata sul biberon e la mia, rugosa e inanellata, sopra la tua. Nemmeno con tua madre sono stata così morbosa, forse perché a quel tempo, non ero pronta ad esserlo io. La mia storia non è diversa da quella di tante altre persone, piccola Liberté, e spesso quando vieni strappata alla tua famiglia, fai fatica a pensare che anche tu, in fondo, ne meriti una tutta tua. Il tuo unico desiderio è quello di scappare lontano, perché si fa avanti in te la convinzione che, se non hai avuto dei genitori, allora non sei in grado di esserlo a tua volta.
Ti guardo dormire beata sul prato, con il profumo dei fiori appena sbocciati che ti inebriano e il sole ancora pallido che ti sfiora le guance rosse. Non ho mai portato tua madre in questo posto, non ne ho mai avuto il coraggio perché, questo, significava ricordarmi che io, una madre, non l’ho mai avuta.  Di lei non ricordo praticamente nulla: è strano, per me, immaginarla in una veste umana. Non posso dare una voce, né un volto a chi, con amore, mi ha concepita, tenuta e nascosta nella sua pancia per nove mesi; a quella donna che, chiusa in uno sgabuzzino, cercava di soffocare le urla di dolore dovute al parto e i miei pianti, pur di proteggermi e aver salva la mia vita, a costo della sua. Non so cosa io abbia ereditato da lei: ho solo il nome che lei, in un pomeriggio di aprile ha scelto per me, un attimo prima di cedermi alla sua più cara amica, che mi ha protetta e cresciuta facendo credere al mondo intero che io fossi parte del suo stesso sangue. Non ho idea del motivo, ma sono certa che quel giorno il cielo fosse sereno, gli uccelli cinguettavano e tra le campagne della Provenza si espandesse un dolce profumo di lavanda e di fiori appena sbocciati, proprio come oggi. Aprile è il mese che apprezzo di più, e non solo perché ci sono nata: esso dà il via ad una nuova stagione, tutto rinasce e si apre alla vita, allo stesso modo di un neonato che, con i suoi primi vagiti, urla al mondo che è lì, pronto ad accogliere tutto ciò che lo aspetta. Forse, la mia convinzione è data dal fatto che proprio durante questo periodo la mia vita più volte è morta e rinata, dando spazio a qualcosa di sempre più bello. Ad aprile i miei occhi hanno per la prima volta visto la luce del sole e, con essa, gli occhi di mia madre, e sono stata cullata tra le braccia di Olympe, di cui mai dimenticherò il profumo e la sicurezza. Sotto quello stesso sole, credo che mia madre ci abbia lasciati per sempre poche ore dopo. Vent’anni dopo, il giorno del mio ventesimo compleanno, ho ricevuto la lettera che stringo adesso tra le mani e, tra le lacrime, ho scoperto in parte chi fossi, dando finalmente un senso alla maggior parte di quei dubbi che nutrivo da tempo ma ai quali non avevo mai avuto il coraggio di dar voce. Per la prima volta ricordo di aver pianto, stesa su un prato fiorito, tutte le lacrime che avevo in corpo, invocando i nomi di chi mi aveva concepita e, paradossalmente, cercato di fare di me un ignobile sbaglio di cui nessuno avrebbe dovuto ricordarsi. Pochi giorni dopo, in quello stesso luogo, incrociai per la prima volta gli occhi di colui che, qualche anno più avanti avrei sposato e a cui sono stata fedele, anche quando il Cielo ha voluto che non fosse più al mio fianco su questa terra. Infine, ad aprile sei nata tu, Liberté: in te vedo lo stesso spirito dolce e testardo che avevo io, alla tua età.
Non so dire se la mia vita, alla fine di tutto, sia stata un miracolo o una continua sfida alla serenità: so soltanto che, alla fine dei miei giorni, sono grata per aver vissuto ogni singolo attimo con la certezza che il successivo sarebbe stato migliore. Ho sicuramente fatto anche tanti sbagli: il primo, quello di essermi bloccata e non aver voluto proseguire alla conoscenza oltre quanto recitava la lettera. Sai, Liberté, per quanto dura sia la verità, perseguila sempre, non lasciarla mai fuggire.
Non aver paura del passato, non come me che, pur di essere libera sono rimasta, in fin dei conti, intrappolata in ciò che non sapevo. Dai voce e spazio ai tuoi mostri, fin quando non capirai che sono solo ombre di fogli sparsi su un comò impolverato da quello che vuoi ignorare per far finta di star bene. I miei timori sono stati più forti di me, fino a farmi odiare chi avevo scoperto di essere. Ancora oggi, quando la mia immagine viene riflessa a volte copro lo specchio forse perché, in fondo, non ho avuto il coraggio di perdonare chi, volente o nolente, porterò con me per sempre, nonostante io non conosca il suo nome, né il suo volto ma di cui, son sicura, ne conservo e ricordo i tratti.
Perdona, Liberté, e sarai libera a tua volta. Perdonati e lo sarai due volte.
Mi stringo nella giacchetta di jeans, la stessa che avevo a vent’anni, quando per la prima volta ebbi il coraggio di aprire e leggere questa lettera, l’unico filo ancora esistente tra me e la mia mamma. Ormai, esattamente come me, è consunta è rovinata ma, con essa, ho iniziato a scoprire chi sono e, tra le mie volontà, desidero che il giorno in cui finalmente ci ricongiungeremo, lei potrà vedermi con questa indosso.
I miei occhi puntano l’ultima frase ancora leggibile di quella lettera che, per anni ho tenuto tra le mani e bagnato con le mie lacrime, l’unico dialogo che per ottant’anni mi è stato concesso con mia madre: “[..]per cui, Libertè, sii grata a ciò che ti circonda e ti succede. Quello che stai vedendo è l'incanto dei fiori che sbocciano profumando l’aria e riempendo ogni angolo di dolcezza e vita.” Mi guardo intorno: tutto intorno a me prende forme, colori e profumi, gli stessi di ogni venticinque aprile.
Ti dono questa lettera, Libertè, che hai il mio stesso nome, assieme alla speranza che un domani, a ottantadue anni, rileggerai queste parole e capirai che per tutta la tua vita tu abbia perseguito, amato e tenuta stretta la libertà…e la felicità che può darti solo l'incanto dei fiori che sbocciano profumando l’aria e riempendo ogni angolo di dolcezza e vita.
Arrivederci, Liberté. 
 
* Per dare un senso al tutto:
-La storia di Liberté nonna è ambientata durante la guerra.
-Le date sono fittizie, l'unica che ha effettivamente un legame con la storia e il nome delle protagoniste è il 25 aprile. 
Il resto ha uno schema ben preciso nella mia testa che, purtroppo, a causa del tempo che non ho, non potrò mai tradurre in qualcosa di più lungo, per cui i particolari della storia di Liberté, il suo citare ma non spiegare mai a fondo, è lasciato alla vostra completa immaginazione. 
Detto ciò, buona lettura.
   
 
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