Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: hikarigaoka    13/11/2023    0 recensioni
[Reiner Braun x fem!OC] [Season 1-4; manga spoilers]
Il mondo non aveva dato nulla né a Reiner né ad Emmeline. Quando decisero di costruirselo da soli, crollò come un castello di carte. Di chi o di cosa fosse stata la colpa era difficile da stabilire. Emmeline voleva sapere se in quel mondo marcio fino al midollo c'era una possibilità per lei e per lui.
tw. menzioni al suicidio e violenza tipica dell'opera
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Reiner Braun
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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| 05; stiamo insieme adesso |

«𝐝𝐨𝐧'𝐭 𝐭𝐫𝐲 𝐭𝐨 𝐟𝐨𝐥𝐥𝐨𝐰 𝐦𝐞 𝐈 𝐰𝐨𝐮𝐥𝐝 𝐡𝐨𝐥𝐝 𝐲𝐨𝐮 𝐝𝐨𝐰𝐧 𝐢𝐟 𝐈 𝐜𝐨𝐮𝐥𝐝 𝐦𝐚𝐤𝐞 𝐲𝐨𝐮 𝐭𝐡𝐞 𝐞𝐧𝐞𝐦𝐲 
𝐈 𝐰𝐨𝐮𝐥𝐝 𝐥𝐞𝐭 𝐲𝐨𝐮 𝐝𝐨𝐰𝐧»
𝐭𝐡𝐞 𝐞𝐧𝐞𝐦𝐲 - 𝐚𝐧𝐝𝐫𝐞𝐰 𝐛𝐞𝐥𝐥𝐞


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Emmeline non aveva mai visto Reiner piangere fino a quel momento. Le fece molta impressione. Non in un senso negativo. Ma era la prima volta che vedeva delle lacrime scendere sul suo viso e non poteva fare a meno che sentirsi strana dalla testa ai piedi. Reiner continuava a rivelarsi a lei pezzo per pezzo, e se fino ad ora l'aveva sempre un po' elettrizzata, in questo caso sentiva come se non fosse reale. Lo credeva molto capace di provare sentimenti. Reiner era uno dalle forti passioni, ma vederlo piangere silenziosamente la stava scuotendo. Quando si fece scappare un singhiozzo, Emmeline scosse la testa per risvegliarsi da quello stato di stupore e cominciò ad accarezzargli via le lacrime.

"Reiner?" gli chiese, piano "che succede?" 

Reiner respirava profondamente. Protrasse una mano verso Emmeline, accogliendo tutta la sua guancia nel palmo della sua mano. Le accarezzò lo zigomo con il pollice, passandolo fin poco sotto l'angolo di uno dei suoi occhi verdi. Era come se stesse asciugando una lacrima invisibile, anche se era lui quello con il viso rigato. Reiner emise una risata, molto triste. Emmeline voleva che smettesse e che allo stesso tempo piangesse quanto si sentiva, poteva andare avanti tutta la notte. Fino a qualche minuto fa stavano facendo l'amore nel suo letto come avevano fatto altre sere, e ora lui rideva carico di tristezza. La faceva mortificare e riempire di bene allo stesso tempo perché gli voleva fare del bene, davvero. Reiner, qualche minuto prima, le aveva detto che avrebbe voluto passare tutta la vita con lei. E che quando si sarebbero sposati sarebbero magari anche invecchiati insieme. Inizialmente, al pensiero di invecchiare insieme, avevano riso stupidamente. Era un pensiero molto forte e anche grottesco per certi versi, quello di diventare anziani, perché adesso avevano solo 17 anni e si sentivano tutta la vita scorrere dentro di loro, soprattutto quando erano insieme. Però lo volevano davvero. Ma poco dopo le lacrime avevano cominciato a solcare le guance di Reiner. Adesso lui la teneva sotto di sé, nuda e bellissima come sempre, con i capelli color rame sparpagliati sul cuscino candido del suo letto. Premette la fronte contro di lei, e le accarezzò il naso con il suo una volta.

"È un pensiero maligno e stupido" disse Reiner.

"Reiner, dimmi, per favore"

"È che mi sono reso conto che in questo mondo di merda potremmo non arrivarci ad invecchiare insieme" 

Una bugia. Reiner aveva sempre cercato di limitarle quanto più possibile, almeno con lei. Con lei voleva essere al meglio del suo peggio. Ma non poteva spiegarle che il vero motivo per cui lui piangeva era perché tra non molti anni sarebbe morto per certo. Si era pentito immediatamente di aver detto di voler crescere con lei, perché l'immediato secondo dopo fu assalito dall'agghiacciate monito che doveva morire per mano della Maledizione di Ymir. Lui non avrebbe vissuto con lei tutta la sua vita e questo era certo. Allora, senza che neanche si accorgesse, aveva cominciato a piangere. Emmeline adesso gli stava asciugando freneticamente le lacrime con la punta delle dita. Reiner voleva baciarle il palmo della mano e dirle che voleva vivere con lei. E voleva anche dirle la verità, che non gli rimanevano gli anni necessari per diventare adulto insieme a lei, ma non ci riusciva. Reiner si distese accanto a lei, ed Emmeline si girò sul fianco destro per stargli di fronte. Gli accarezzò entrambe le guance.

"Allora stiamo insieme adesso, d'accordo? Ora siamo qui, non piangere" gli disse.

Lo baciò a lungo. Reiner rispose al bacio crogiolandosi in quella proposta di vivere il presente. Che proposta pericolosa, accidenti. E lei non lo sapeva. Ma Reiner si sentiva grato verso quei tentativi di normalità che Emmeline gli stava regalando. E si sentiva sempre più desideroso di raggiungerla quella normalità, di viverla appieno insieme a lei. Perché, per quanto lei gliela portasse a piccoli pezzi, Reiner ne provava una forte brama e la voleva per davvero. Cominciò a domandarsi se non fosse possibile raggiungerla, quella normalità. Se non fosse tastabile la possibilità di condurre i suoi ultimi giorni in tranquillità con Emmeline. La soluzione aveva un nome preciso.

Scappare.

Dire tutto ad Emmeline, pregare che lei lo capisse, prenderle la mano e andare via di lì. Gettare la benda rossa da marleyano onorario che sentiva ancora stretta al braccio e stracciarla. Ma lei, invece, poteva gettare la sua giacca da soldato della 104esima divisione? Poteva gettare il ricordo di suo padre? Reiner era convinto che non fosse possibile. Poi si ricordó di quello che lei gli disse durante la loro prima notte insieme. 

Credo di capirti.

Emmeline aveva capito il suo cuore prima ancora che lui potesse aprirglielo. E Reiner si sentì speranzoso che lei potesse davvero stringerli la mano, fuggire con lui in un angolo di mondo e sposarlo. In un posto dove lui non sarebbe stato né un soldato, né un guerriero. 

Dopo Reiner ed Emmeline raccolsero i vestiti che avevano gettato a terra e tornarono dai loro amici. Erano tutti impegnati a chiacchierare fuori dalla mensa. Quando videro i due tornare indietro dalle baracche, alcuni di loro non persero tempo a fare allusioni piuttosto ovvie. Emmeline rispondeva sempre ridendo e ogni tanto gli dava anche corda. Connie rideva anche di meno. 

"Proprio carini Reiner ed Emmeline, vero Connie?" lo punzecchiò Jean.

Connie agitò un indice contro di lui "La devi smettere Jean, sul serio"

Emmeline rise con una mano davanti alla bocca. Non riusciva a coprirla del tutto perché era troppo divertita. Erano passate due settimane da quando Connie li aveva colti nell'atto, una sera. Reiner ed Emmeline erano sempre stati molto prudenti nello scegliere orari in cui nessuno sarebbe tornato ai dormitori, come l'ora di cena. Ma sapevano anche che prima o poi uno sfortunato o una sfortunata sarebbe finito accidentalmente per assistere. Il battezzato fu Connie, che quando aprì la porta emise un urlo stridulo di tre secondi buoni. Poi aveva richiuso la porta con uno scatto e si era ritrovato dietro di lui Jean, che era stato attirato dal suono aquilino del suo grido. Quando gli spiegò la situazione dapprima Jean rise a crepapelle, poi gli chiese se la vista di una ragazza nuda lo terrorizzasse tanto. 
Quando Connie gli delucidò che non era stata tanto Emmeline, della quale aveva visto poco niente, quanto il culo di Reiner a farlo strillare, Jean si sbellicò ancora di più. Un minuto dopo Emmeline e Reiner erano usciti, vestiti. Lei, stizzita, aveva annunciato che l'urlo di Connie aveva fatto ammosciare Reiner e che non ci fosse più niente da fare, e poi se n'era andata via a passo di marcia. Reiner l'aveva inseguita cercando di farla calmare.

"Tra poco mi unirò alla Gendarmeria e non potrò più ricordartelo, fammi godere questi momenti" rispose Jean, un ghigno che si increspava sul suo volto.

Emmeline sorrideva ancora. Lanciò una breve occhiata a Reiner, che si era passato una mano davanti alla faccia e rideva anche lui. Si accorse che l'altra sua mano, invece, non l'aveva mai lasciata sin da quando erano usciti dal dormitorio. Dimostravano spesso affetto davanti agli altri, ma quella volta era diverso. Reiner teneva la mano di Emmeline molto stretta, e di tanto in tanto le accarezzava il dorso con il pollice. Lei aveva sospirato di sollievo nel vederlo di nuovo a suo agio, non più in lacrime come poco prima. Ma dal loro linguaggio privato aveva capito che Reiner aveva ancora bisogno di sentirsi rassicurato, e che per farlo aveva bisogno di sentirla vicina. Lei sentiva di esercitare un certo potere su di lui. L'idea che potesse farlo stare meglio la faceva sentire apprezzata. E lei gli voleva fare del bene. Dunque non gli lasciò mai la mano quella sera. Ripensò alla loro prima notte insieme.

"Lo vuoi tenere nascosto agli altri, di noi due?" gli aveva chiesto. Lo aveva guardato fisso negli occhi.

"Diamine no, perché dovrei volerlo?" 

Non lo resero noto subito. E quando accadde, diversi giorni dopo, non fecero neanche un annuncio. Era successo in maniera del tutto naturale. Qualcuno aveva notato le loro mani intrecciate sotto ai tavoli a pranzo o a cena, poi Reiner cominciò a cingerle i fianchi quando poteva e lasciarle baci sfuggenti sulla fronte in diverse occasioni. La conferma arrivò quando un giorno, in lontananza, alcuni videro Reiner prendere e baciare Emmeline sulle labbra senza alcuna esitazione. Non doveva essere successo nulla in particolare, del resto Reiner non aveva bisogno di un motivo per baciare Emmeline che non fossero i sentimenti che provava per lei. Emmeline a quell'improvviso gesto era scoppiata a ridere, una risata piena e molto nervosa. Non era facile ad imbarazzarsi, ma divenne rossa dalla testa ai piedi, soprattutto quando si accorse che i loro amici li avevano visti. Ma nessuno era sorpreso, se lo aspettavano da tre anni. Erano piuttosto sollevati. Reiner non aveva mai voluto provare a nasconderlo perché lui voleva vedere quella come la cosa più normale che gli fosse mai capitata. Che cosa potevano fare Bertholdt e Annie? Era diventato bravo ad ignorare i loro sguardi severi ogni volta che lo vedevano scambiarsi un bacio con Emmeline. A un certo punto i suoi compagni non ci provarono anche più. Per Bertholdt era difficile non preoccuparsi, ma ogni tanto non poteva fare a meno di sentire il cuore un po' sollevato nel vedere che Reiner si era costruito uno sprazzo di normalità. E Reiner ed Emmeline stavano costruendo insieme quel mondo che a loro non aveva dato niente. Quando potevano lui le prendeva una mano e la portava dove avevano bevuto il vino insieme, e parlavano per ore e finivano per tenersi stretti, magari anche tutta la notte. Di giorno andavano dove si erano scambiati il primo bacio e se ne davano altri. Si aggrappavano a quelle giornate perché non sapevano che cosa ne sarebbe stato del loro futuro. E non potevano astenersi dal dimostrare quello che provavano anche davanti agli altri perché era tutto troppo precario. Per questo Reiner non lasciò mai andare la mano di Emmeline la sera in cui pianse. 

Era tutto troppo precario e aveva bisogno di reggersi forte.

 

---

Lo sparo rieccheggiò nell'aria con un rumore assordante. Gli uccellini tra gli alberi circostanti si alzarono in volo facendo rimbalzare i rami sui quali erano prima posati. La velocità del proiettile e la forza del rinculo avevano spostato alcuni ciuffi dei suoi capelli ramati. Il viso di Emmeline divenne contrito nel momento in cui assottigliò gli occhi per vedere meglio il bersaglio.

"Poteva andare meglio" commentò, schioccando la lingua sul palato.

Shadis, in piedi accanto a lei, teneva le mani dietro la schiena. Poi, avanzò verso il bersaglio appena colpito, e individuò il buco lasciato in uno dei cerchi concentrici più interni. Non un centro perfetto, ma comunque molto notevole contando la lunga distanza. Tornò indietro, affiancandosi ad Emmeline.

"Riprova" disse, chinandosi in avanti per osservare il bersaglio alla stessa altezza di lei "ma stavolta braccia più alte e soprattutto schiena più dritta, neanche un invertebrato ha questa postura"

Emmeline si rizzó immediatamente, racchiudendo la mano che impugnava il manico della pistola dentro l'altra piegata a coppa. Ingoiò della saliva, poi strinse le labbra, corrugò le sopracciglia e si concentró sul bersaglio. Premette il grilletto e il proiettile sfrecciò bucando l'aria. Perforò il bersaglio, finalmente un centro che fece spuntare un piccolo sorriso sulle labbra di Emmeline. Abbassò l'arma, si passó una mano tra i capelli e si voltó soddisfatta verso l'istruttore.

"Bene, per oggi basta così" disse Shadis.

Allungò il palmo della mano ed Emmeline gli restituì cautamente la pistola. Lei si chiese che cosa stessero facendo gli altri in quel momento. Shadis la faceva esercitare nelle ore di svago dei cadetti, sia per non trovarlo impegnato sia per evitare che lo sapessero gli altri istruttori. Le rammentava sempre di come sarebbe finito nei guai se ai piani alti avessero saputo che insegnava a una matricola come maneggiare un'arma che non fosse una spada del dispositivo di manovra tridimensionale. Emmeline si stiracchiò, e si affiancò all'istruttore che a passo sostenuto tornava verso il campo di addestramento.

"Sa, istruttore, alla fine sceglierò il Corpo di Ricerca"

Shadis arricció il naso, proseguendo la sua camminata.

"Lo hai scelto per seguire lui?"

Emmeline alzò un sopracciglio. Restò qualche secondo in attesa che l'istruttore si spiegasse, ma presto ci arrivò da sola.

"Ma certo che no, le mie scelte le faccio da sola" disse, alzando leggermente il mento. Voleva darsi un tono.

"Beh, fino a qualche tempo fa non facevi altro che brontolare di come non avresti mai scelto l'Armata di Ricognizione"

"Sì, e tutt'ora sono terrorizzata al pensiero mi creda, ma entrare nel Corpo di Ricerca é certamente più utile all'umanità che bonificare i campi" 

Shadis non sapeva se provare ammirazione verso il desiderio di Emmeline di rendersi utile oppure se preoccuparsi. Durante i suoi addestramenti lei si era rivelata piuttosto logorroica, e dei suoi discorsi prolissi aveva capito solo due cose. La prima, sentita accidentalmente a metà di una frase, era che Reiner Braun era il suo fidanzato. E gliene importava ben poco. La seconda, che aveva ascoltato mentre lei puntava a una quaglia con il fucile da caccia, era che nella sua famiglia numerosa e privata di un padre lei si era sentita di troppo. L'affetto della madre non le era mancato, ma si era sentita schiacciata dallo stesso senso di responsabilità che aveva strangolato suo padre fino alla morte. Solo che lei, che deprecava tanto un gesto del genere, aveva deciso di servire una causa maggiore. E fallito il tentativo di entrare in Gendarmeria e portare la famiglia in un posto sicuro, adesso avrebbe tentato di farlo combattendo contro i giganti. Un desiderio buono quanto pericoloso per lei, e Shadis aveva cercato di soppesarlo affinando la sua abilità nello sparare. L'avrebbe fatta sentire all'altezza, e allo stesso tempo non l'avrebbe obbligata a soddisfare un compito perché i giganti non si combattevano con le pistole. Emmeline poi era testarda, fino al midollo.

"Sarà sicuramente fiero di me, istruttore Shadis" aggiunse Emmeline con un sorriso ingenuo in volto.

Shadis non l'aveva mai vista sorridere ingenuamente, almeno fino a quel momento. Emmeline Becker lo aveva spesso fatto innervosire, alle volte fino all'esasperazione, e non capiva né perché si fosse offerto di placare le sue ambizioni e nemmeno perché lei volesse che lui fosse fiero di lei. Però le rispose con un semplice mh, che poteva essere di approvazione oppure di fa come ti pare. 

"Dovrai migliorare il gioco di squadra, però, perché sei veramente penosa in quello Becker"

Emmeline aveva sospirato e poi sventolato una mano "Quanta premura, istruttore, quanta premura!"

Emmeline si ricordava a stento di una conversazione dove l'istruttore non la insultasse e dove lei non gli rispondesse carica di ironia. Quando lo raccontava a Reiner lui le rispondeva sempre dicendo che lo faceva solo per spronarla a migliorarsi. Lei lo sapeva giá, ed era soprattutto conscia di essere tremenda nel collaborare con gli altri. Questo non voleva dire che preferisse agire da sola, anzi. La comunicazione con i compagni non le mancava, semplicemente Emmeline in squadra non sapeva muoversi. Sentiva le direttive a metà, se le veniva ordinato di prendere una direzione la maggior parte delle volte ne prendeva un'altra, oppure si concentrava sul compagno sbagliato.

Troppe cose alla volta! gridava sempre, per giustificarsi. 

E Jean, che era nato per comandare, da bacchettone quale era non mancava mai di farle la ramanzina. Quando Emmeline tornò alle baracche era pomeriggio inoltrato. Era una giornata afosa e dal cielo limpido, soltanto qualche nuvola bianca e densa si muoveva piano nel cielo, ma senza oscurare i raggi del sole che battevano forte. Emmeline trovò i suoi amici intenti a chiacchierare sul portico di uno dei dormitori.

"Eccomi!" esclamò, alzando le braccia.

Jean scosse la testa "Si annuncia pure, come se stessimo aspettando solo lei"

Emmeline allora aveva stretto a pugno entrambe le mani che aveva alzato, cominciando a colpire ripetutamente sulla schiena Jean mentre Sasha incitava di dargli manforte e Connie guardava divertito. Eventualmente si era aggiunto anche lui alla scazzottata. Jean rispondeva dimenandosi e gridando di lasciarlo stare con le loro mani a detta sua luride. Sasha, per cercare di fermare il conflitto che fino a poco prima stava incentivando, si mise le mani sui fianchi.

"Domani non siamo mica di turno a Trost?" chiese.

Connie si fermò repentinamente.

"Uh nel distretto di Trost! Posso andare a trovare tua madre, Jean-bo?" 

"Non chiamarmi così e non nominare mia madre!" ringhiò Jean.

"Mi ricordo di tua mamma, Jean!" disse Emmeline "pensi che potrebbe fare un'omelette anche per me?" 

Sasha agitò una mano in aria "No no, prima io!" 

"Mia madre non farà omelette per nessuno, accidenti"

"Però la andiamo a trovare tutti quanti, l'altra volta l'hai trattata proprio di merda" 

Emmeline tiró uno scappellotto innocuo a Jean, che le rispose dicendo di non immettersi nei suoi affari di famiglia e che non avrebbe fatto avvicinare Connie a sua madre neanche di un metro. Alla fine tutti, meno che Jean, ci avevano riso su e avevano pattuito che sarebbero comunque andati a trovare sua madre a Trost. Mancavano due giorni alla scelta del Corpo in cui arruolarsi. Emmeline non sapeva quanto tempo avrebbe potuto rivedere Jean. Ogni tanto, quando pensava che si sarebbero separati, le veniva un po' da piangere. Poi pensava che piangere per Jean era stupido perché lui non avrebbe pianto per lei. Ma infondo sentiva che insieme a Marco era quella che gli era più vicina ed era convinta del fatto che in fondo anche Jean ci sarebbe rimasto un po' male. Era da tempo che gli aveva promesso che, se fosse stata viva, sarebbe andata a trovarlo nei distretti interni e che lui le avrebbe dovuto cucinare omelette da dozzine di uova come quelle che sua madre gli aveva insegnato a fare.

Jean le aveva risposto, seppur con dell'imbarazzo, che andava bene. Aveva tentato debolmente di farla desistere dallo scegliere il Corpo di Ricerca, reputandola una scelta stupida a prescindere. Avendo notato che non sortiva effetti, Jean si era rassegnato. Si consolò nell'idea dell'omelette. Un'omelette forse poteva esorcizzare la realtà spietata che Jean ed Emmeline erano consci avrebbero dovuto affrontare. Un'omelette necessariamente da dodici uova.

---

Aveva esitato a lungo. La mano, sospesa a mezz'aria, era stretta a pugno davanti alla grossa porta di legno. Sentiva una forte ansia, la nausea e un sudore freddo che gli imperlava la fronte. Ma era una serata così tranquilla e bella. Bella era l'unico aggettivo che avrebbe potuto usare, per quanto semplice. Perché non c'era niente di più normale e pacificatore di un cielo scuro puntellato di stelle e di un'aria tiepida. Bella era l'aggettivo giusto. E sentirsi in una maniera così opposta era sconfortante. Reiner deglutì. Si sentì scorrere fin dentro ai polmoni tutta l'aria che aveva inspirato. Poi, bussó alla porta. Da dentro sentiva risate e chiacchiericci spensierati. Una completa antitesi. Ad aprirgli fu Ymir. Reiner si era asciugato il sudore dalla fronte giusto in tempo.

"Che cosa c'è?" gli chiese Ymir.

"C'è Emmeline?" 

Reiner sbirciò dietro la spalla di Ymir. Emmeline era seduta insieme alle compagne di stanza, tra le quali Sasha e Mikasa, e rideva. Il nodo allo stomaco gli si strinse.Ymir, intanto, roteò gli occhi.

"Emmeline, il tuo fidanzato energumeno ti vuole" chiamò, per poi fare retro front.

Ad Emmeline si illuminarono un poco gli occhi nel vedere Reiner in piedi. Ne vedeva soltanto uno spiraglio da dietro la porta che Ymir aveva lasciato semiaperta, ma era quanto bastava a farle scoccare una scintilla nelle iridi verdi. Altre cadette avevano cominciato a bisbigliare a vicenda ridacchiando, domandandosi che cosa avesse Reiner da dirle. Emmeline le aveva zittite bonariamente, prima di raggiungere Reiner alla porta. Lo salutò e si chiuse la porta alle spalle. Ci volle molto coraggio per Reiner anche solo per ricambiare il saluto. 

"Vieni con me" le disse.

Emmeline non obiettó, e nemmeno gli chiese perché. Con lui non aveva bisogno di chiedere. E neanche di capire, lo faceva già. Si fece prendere la mano e accompagnare poco distante dal dormitorio.

"Mi devi dire qualcosa, Reiner?"

Era il momento. Il momento di completare il mondo che si erano costruiti pian piano in quei tre anni. Se Emmeline davvero lo capiva come diceva, allora Reiner avrebbe cominciato a vivere una vita normale. Le avrebbe confessato tutto e sarebbero scappati insieme per vivere come due ragazzi reali. Reiner avrebbe rubato un cavallo, Emmeline si sarebbe stretta alla sua vita e sarebbero andati a cercare un villaggio isolato nel quale avrebbero scongiurato tutto il dolore provato fino a quel momento. Reiner prese entrambe le mani di Emmeline. Le accarezzò nelle sue e la guardó negli occhi. Si rese conto in quel momento che non poteva. Nelle iridi verdi di Emmeline aveva visto il suo stesso riflesso, e in quello specchio non vedeva un ragazzo. Vedeva un Guerriero che stava per mollare tutto a metà strada. Stava per gettare la sua corazza, il suo sogno, e i sacrifici che aveva fatto fino a quel momento. Tutti i sacrifici. Si rese conto di non essere un ragazzo. Lo sconforto fu ancora più pesante, come quello di un soldato che tornava dalla guerra. Ma lui era ancora in battaglia.

"Volevo solo..." non doveva tergiversare "ringraziarti. Stavo pensando a quando ho pianto qualche notte fa e tu mi consolato. Non credo di averti detto grazie"

L'unica cosa che pacificava Reiner era che quella non fosse una bugia. La voleva ringraziare veramente. Ma non era quella la ragione che lo stava facendo tribolare quella notte, né tantomeno il motivo per cui era venuto a cercarla. Quella notte lui voleva completare il loro mondo, ma aveva deciso di non farlo. 
Emmeline invece fece un sorriso tenue. Solo con lui sorrideva innocentemente, se n'era accorto nel tempo. Lei gli disse che non doveva ringraziarla, che voleva fargli bene, essere gentile. Poi Reiner aveva sentito le labbra di Emmeline premere contro le sue e aveva sciolto i suoi malesseri in quel bacio tiepido e lento. Prima che lei tornasse dalle altre ragazze lui la bació di nuovo tra i capelli e le sussurró un altro grazie.

Quando tornó al dormitorio maschile, ad attenderlo fuori trovó Bertholdt. Era affannato e sudato nonostante non avesse avuto il tempo di correre. Tra le mani teneva una busta gialla. La lettera che Reiner gli aveva lasciato dove dichiarava di abbandonare la missione e che avrebbe detto tutto ad Emmeline prima di fuggire con lei e non tornare mai più. Bertholdt, non appena letta, era immediatamente corso fuori dalla stanza a cercarlo. Reiner per una ragazza avrebbe gettato la sua armatura, rivelato la sua identità e rischiato di mandare all'aria una missione quinquennale. E nella lettera Reiner diceva che sperava che Emmeline lo avrebbe capito un'altra volta e che gli avrebbe portato l'ultimo pezzo di normalità mancante, fuggendo con lui. Nella lettera pregava Bertholdt di proseguire la missione e di annunciarlo morto a Marley, così nessuno sarebbe venuto a cercarlo.  Bertholdt era rimasto terrorizzato all'idea che Emmeline venisse a sapere dell'identità di Reiner, ma prima che potesse fermarlo se lo era ritrovato davanti. Lo sguardo di Reiner era grave.

"Reiner" disse Bertholdt, a mezza voce.

Reiner guardava in basso. Era triste, ma non si sentiva in colpa.

"Tranquillo, Bertholdt" mormorò.

Alzó lo sguardo su di lui.

"Non ho scelto Emmeline"

Bertholdt aveva sentito la sua voce incrinarsi in quel momento. Nonostante tutte quelle volte in cui aveva cercato di far aggrappare di nuovo Reiner alla realtà, in quel momento Bertholdt non si sentì di farlo. Negli occhi velati di Reiner vedeva già tutta la consapevolezza di sé. Non doveva ricordargli niente quella sera. Gli posò una mano sulla spalla. Reiner poggiò la mano sulla sua per brevi secondi, prima di proseguire dietro di lui. 

"Torniamo a casa" disse.

Reiner aprì la porta del dormitorio e aspettò che Bertholdt rientrasse. Quella notte, per la prima volta, Reiner non sceglieva lei.

---

Il mattino dopo lei inspirava a pieni polmoni l'odore che le era arrivato fin sotto il naso. Sopra le mura di Trost, in quella giornata dal cielo terso, arrivava comunque il fumo dei camini degli abitanti. 

"Sapete? Sarebbe bellissimo se inventassero qualcosa dal sapore simile al fumo. Magari da aspirare direttamente in bocca" disse Emmeline, poggiando le mani sui fianchi.

Connie, che stava pulendo uno dei cannoni delle mura, si voltó verso di lei. Alzó un sopracciglio.

"É l'idea più stupida che abbia mai sentito" 

Emmeline piegò le labbra all'ingiù "Mah, detto da te poi"

L'aroma del fumo le piaceva, perché l'odore di bruciato le ricordava quando suo padre preparava il pane in casa. E, per quanto fosse stato un bravo commerciante, non era un cuoco altrettanto abile. Quando poteva dunque le piaceva annusare il fumo. Fu quando vide del fumo serpeggiarle  tra le caviglie che ebbe un ripensamento su quanto appena detto. Ma dall'odore, che aveva avuto modo di percepire solo per un breve secondo, non era neanche fumo. Era vapore. E quando si voltò, abbondantemente in ritardo rispetto agli altri, si rese conto che qualche secondo prima aveva sentito un'esplosione. Era come se avesse voluto eliminarne la brutalità realizzando solo in un secondo momento quel rumore assordante e il bagliore giallo vivo che era scaturito da esso. 
Il Gigante Colossale emergeva dalle mura davanti a lei.

 
   
 
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