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Autore: Princess Kurenai    14/11/2023    0 recensioni
La struttura simile al santuario, con il suo tetto e una apertura centrale che fungeva da altare - palesemente inutilizzato da chissà quanto tempo -, sedeva su delle grosse lastre in pietra che sembravano formare una breve scalinata. C’erano inoltre delle tracce di un’antica shimenawa sui lati del piccolo hokura, ma lo scorrere degli anni aveva divorato la corda intrecciata in canapa lasciando solo dei fili ammuffiti che pendevano tristi sulle pareti esterne.
Erba e muschio avevano ormai preso possesso della struttura votiva, rendendo quasi impossibile per Rengoku individuare eventuali iscrizioni.
Un altro dettaglio, tanto affascinante quanto singolare, era la presenza di due statue ai lati del piccolo santuario: dei komainu.
Genere: Fantasy, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Hakuji/Akaza, Koyuki, Kyoujurou Rengoku
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fandom: Demon Slayer
Character(s): Rengoku Kyojuro, Akaza, Hakuji, Koyuki
Relationship(s): M/M e M/F
Pairing: RenKaza, HakuKoyu
Rating: SAFE
Warnings: Modern Setting, Ispirato alle opere dello Studio Ghibli, Vagamente ispirato a Bakaramon, Writer!Rengoku, Komainu!Akaza, Komainu!Hakuji, Goddess!Koyuki, Akaza & Hakuji sono gemelli, Strangers to Friends, Friends to Lovers (più o meno), Japanese Mythology & Folklore
Genere: Introspettivo, Fantasy, Fluff
Conteggio Parole: 25000
Note Generali:
1. Questa fic ha partecipato al Big Bang 13 indetto da Lande di Fandom. E... boveva essere MASSIMO 10k e invece...
2. Mi sono ispirata molto alle ambientazioni dello Studio Ghibli (in particolare alla Città Incantata) e in parte anche a Bakaramon (per la pretesa di trama iniziale afsfds). Per il resto ci sono anche accenni al folclore giapponese... ma sono andata in scimmia e ne ho inventate altrettante!
3. CI SARANNO UN SACCO DI TERMINI GIAPPONESI E HO UN CASINO DI NOTE A FINE PAGINA, PERDONATEMI.
4. La gifter della fic è stata Rotina che ha fatto questo bellissimo video: New Home
5. Non betata :D


Per quanto potesse sembrare strano: era stato estremamente facile per Kyojuro lasciare Tokyo e la sua frenesia.  

Le comodità della metropoli, forse, sarebbero state le cose delle quali avrebbe sentito sicuramente la mancanza, ma sin da quando aveva messo piede nel paesino di Yukimura[1], nella Prefettura di Kyoto, Kyojuro si era sentito rinascere .

L’aria fresca e pura della foresta e delle montagne, i tipici rumori della natura e anche i suoi profumi, lo riportavano indietro nel tempo, a quando, da bambino, era solito trascorrere con la sua famiglia le vacanze nella piccola casetta dei suoi nonni paterni.

La prima vera città, seppur altrettanto piccola, si trovava a qualche chilometro di distanza, ed era raggiungibile attraverso un autobus che passava quattro volte al giorno. Non esistevano delle reali attività commerciali moderne, come negozi di abbigliamento, lavanderie automatiche e centri commerciali, e l’economia girava attorno alle piccole realtà interne della città.

L’unico accenno di ‘vera modernità’ si poteva trovare nella fermata dell’autobus, in un modesto market che veniva rifornito due volte al mese, e in una vecchia casa adibita a Bed & Breakfast e che, occasionalmente, ospitava dei turisti. 

Esclusi quei piccoli dettagli, Yukimura sembrava, in tutto e per tutto, un luogo fermo nel tempo.

Infatti, per Rengoku non era cambiato quasi nulla dal funerale di suo nonno, l’ultima volta nella quale aveva messo piede nella città. Erano passati quasi dieci anni da quel giorno, e tutto era rimasto immutato - era ovviamente un’esagerazione, visto che erano state eseguite innumerevoli opere di risanamento e ristrutturazione, ma nel complesso l’aria pacifica e incantata di Yukimura non era cambiata.

Sorrise tra sé e sé e, con il suo zaino in spalla e due trolley, lasciò la fermata dell’autobus per immergersi tra le case.

La fermata si trovava all’esterno della città, e da lì era possibile insinuarsi sin da subito all’interno di Yukimura.

La cittadina contava all’incirca quaranta case, e le più antiche erano una decina. Erano situate più lontano dalla strada percorribile dall’autobus ed erano costruite con lo stile kayabuki[2]- tipico di quella zona della Prefettura di Kyoto -, con alti tetti a spiovente, fatti interamente in legno e paglia, e piccoli cortili.

Le altre case, un po’ più moderne, erano state costruite sulla base di altre kayabuki o addirittura su nuovi terreni, cosa che aveva permesso alla città di espandersi un poco.

Kyojuro si mosse con sicurezza lungo quelle stradine e rivolse ampi sorrisi e saluti agli abitanti della città che, come c’era da aspettarsi, già sapevano del suo arrivo ed erano curiosi di vedere come era diventato il nipote di Renjuro e Homura Rengoku.

I suoi nonni, così come tutti i suoi antenati, erano stati membri attivi e molto importanti della comunità di Yukimura. Forse i Rengoku erano addirittura tra le famiglie più antiche della città.

Cercò in ogni caso di non soffermarsi troppo a lungo con gli anziani - avrebbe avuto modo di farlo nei giorni successivi -, e raggiunse finalmente la casa dei suoi nonni paterni.

Si trovava quasi al limitare della foresta che proteggeva Yukimura, vicino ai campi che venivano coltivati e curati dalla comunità, ed era una kayabuki di medie dimensioni.

Era disabitata da tempo, ma grazie alla famiglia Kamado, Kyojuro sapeva che l’abitazione era in ottime condizioni.

I Kamado erano i vicini di casa dei Rengoku da generazioni, e si erano presi cura dell’abitazione sin dalla morte di Renjuro.

Nei mesi precedenti al suo trasferimento, quando ancora stava progettando il suo viaggio, Rengoku aveva avuto modo di parlare spesso, per via telefonica, con la vedova Kamado. La donna si era dimostrata sin dall’inizio gentile e disponibile, e lo aveva rassicurato sulle condizioni della casa dei suoi nonni. Lei e i suoi figli si erano occupati di tenerla pulita e di gestire il piccolo giardino, facendo in modo che potesse sempre essere utilizzabile dai Rengoku nel caso avessero deciso di abitarla.

C’erano tanti altri dettagli e accordi del passato dietro l’infinita gentilezza dei Kamado - la comunità di Yukimura era piccola e tutti erano abituati ad aiutarsi tra di loro -, ma in ogni caso, Kyojuro non poteva non sentirsi in debito con i Kamado, non solo per la disponibilità ma anche per la vicinanza e amicizia con la sua famiglia.

Si soffermò per qualche istante davanti alla casa, e Rengoku avvertì subito un piacevole senso di familiarità nell’osservare il piccolo giardino oltre il muretto in pietra che delimitava la proprietà. C’era una piccola stradina tra il cancelletto d’ingresso e la porta della casa, ed era tracciata da grandi e irregolari lastre in pietra sulle quali Kyojuro era solito saltare quando era un bambino - nel suo gioco d’infanzia, toccare l’erba, per lui, era come mettere i piedi nella lava.

Come tutte le kayabuki , la casa era in legno con il classico e alto tetto in paglia che svettava in cielo, e da quel che Kyojuro ricordava, all’interno erano state fatte parecchie opere di miglioria e di ammodernamento, soprattutto per far fronte agli inverni sempre più rigidi e alle umide estati.

Aprì senza alcuna difficoltà il cancelletto e una volta davanti alla porta di casa, lasciò per terra i trolley per poter estrarre dalla tasca dei pantaloni un piccolo mazzo di chiavi. Erano un po’ vecchie e con un buffo e malandato portachiavi di Doraemon .

Appartenevano a suo padre, l’ultimo ad aver messo piede a Yukimura qualche anno prima, e i Kamado lo avevano rassicurato sul fatto che da quel momento in poi non erano stati fatti interventi sulle serrature, e Kyojuro non poté non sentirsi sollevato quando, girando la chiave nella toppa della porta di casa, questa si aprì scorrendo di lato con un lieve cigolio.

Riprese i trolley e, finalmente, riuscì a mettere di nuovo piede all’interno della casa dei suoi nonni.

Venne accolto da un piacevole profumo di pulito e di glicine, ed era più che chiaro i Kamado avessero fatto in modo che fosse tutto perfetto per il suo arrivo, infatti Kyojuro non si sorprese quando trovò una lettera nella piccola credenza nell’ingresso, accanto a una vecchia foto di famiglia che lo ritraeva insieme ai suoi nonni e con in braccio il suo fratellino, Senjuro, appena nato.

Aprì la lettera senza riuscire a smettere di sorridere e appoggiò per terra i suoi bagagli.

La calligrafia era femminile, ordinata e molto chiara. Gli veniva dato il bentornato a Yukimura e erano anche indicate le piccole attività commerciali che gli sarebbero state utili durante la sua permanenza nella cittadina. Infatti, oltre a un piccolo market che vendeva l'essenziale per gestire la casa - detersivi, carne in scatola a lunga conservazione, e altri articoli divenuti ormai necessari per la vita quotidiana -, vi erano anche le attività familiari che si erano sedimentate a Yukimura nel corso dei decenni.

I Kamado possedevano una panetteria a esempio, poi vi era un macellaio e, addirittura, una pescheria - pesci di fiume , precisava la lettera. Inoltre, vi erano i campi coltivati dall’intera comunità e, cosa non meno importante, quasi ogni casa possedeva un piccolo orto. Tra vicini, ricordava Kyojuro, era sempre stato nella norma scambiarsi frutta e verdura.

La lettera continuava con un invito a cena per la sera stessa, o il giorno successivo se fosse stato troppo stanco per il viaggio, e si concludeva con un semplice ‘Kie Kamado’ , che Kyojuro riconobbe come il nome della donna con la quale aveva parlato più volte al telefono.

Kyojuro aveva vaghi ricordi della famiglia Kamado. Il capofamiglia, Tanjuro, era morto qualche anno prima e sua moglie, Kie, aveva cresciuto praticamente da sola i suoi sei figli, mandando anche avanti la panetteria. I figli della donna erano troppo piccoli o non ancora nati quando Kyojuro frequentava Yukimura e i suoi nonni, e di conseguenza non aveva mai realmente stretto dei legami con loro… ma ricordava di aver più volte mangiato il pane che producevano nel loro forno.

Rilesse la lettera, soffermandosi sull'invito a cena. Avrebbe sicuramente preso in considerazione di presentarsi a casa dei Kamado. Doveva ringraziarli di persona per il loro impegno e la gentilezza che avevano dimostrato verso di lui e la casa, inoltre, cosa non meno importante, Kyojuro si sarebbe trattenuto lì per parecchi mesi e gli sembrava la cosa migliore stringere dei legami con chi viveva a Yukimura da sempre.

Animato da quei pensieri, spostò i suoi bagagli nel piccolo salottino, e da lì iniziò a esplorare la casa per ambientarsi e per rinfrescare la sua memoria che, come c’era da aspettarsi, era in parte distorta da una visione infantile di quei luoghi - i mobili che gli sembravano giganteschi da bambino, in quel momento apparivano come più piccoli e meno avventurosi e misteriosi .

Era certo, in ogni caso, che si sarebbe trovato bene tra quelle mura e in quella città e che, in un modo o nell’altro, avrebbe trovato l’ispirazione che gli era mancata nell'ultimo anno.

Kyojuro aveva infatti trovato necessario lasciare Tokyo a causa dello stress che aveva accumulato in seguito alla svolta lavorativa della sua vita.

L’uscita del suo primo romanzo, tre anni e mezzo prima, aveva infatti segnato l’inizio di un nuovo capitolo nella sua esistenza.

Rengoku aveva sempre adorato scrivere e leggere. Amava la storia tanto quanto si sentiva affascinato dai racconti epici e fantasy, ma non aveva mai osato pensare di poter diventare un vero e proprio scrittore.

Era stata una sua amica dell’università a spingerlo verso quella strada.

Mitsuri Kanroji, la sua coinquilina di quel periodo, aveva letto per puro caso una sua storia e se ne era innamorata. Era stata lei a incoraggiarlo e a spingerlo a spedire il manoscritto a una casa editrice, e in quel modo il suo romanzo, intitolato ‘I Nove Pilastri e il Re dei Demoni’ , aveva visto la luce.

Per Kyojuro la pubblicazione del romanzo era stata vista come una cosiddetta ‘botta di fortuna’, e ancora non si capacitava del successo che aveva riscosso. Senza rendersene conto era arrivato a scrivere anche un secondo romanzo - ‘La Spada dalla Lama di Fiamma’ - che, così come il primo, aveva scalato le classifiche diventando un best seller.

Incredulità a parte, Rengoku continuava a faticare nel riuscire a considerare la strada della scrittura come una vera e propria carriera lavorativa. Non che la scrittura fosse un lavoro meno importante degli altri, ma gli sembrava davvero assurda l’idea di poter vivere facendo qualcosa che amava… e voleva farlo . Non tutti potevano dire di riuscire a lavorare con i propri hobby, e per quel motivo Kyojuro sentiva di dover continuare a fare ciò che lo rendeva felice senza mai fermarsi, dando il massimo come era abituato a fare.

Tuttavia, l’ultimo anno era stato terribile sotto il punto di vista creativo, al punto che si era sentito costretto a prendersi una pausa, distante dal caos della metropoli, per potersi dedicare solo ed esclusivamente alla scrittura come quando era un ragazzino e voleva immergersi nei mondi che tanto amava creare e vivere.

Kyojuro era d’altro canto un inguaribile ottimista e sapeva che in quel luogo, così carico di storia, leggende e tradizioni, avrebbe trovato la scintilla che per troppi mesi era mancata nella sua vita.

Con quella ritrovata energia, iniziò subito a disfare le valige e, dopo essersi concesso una doccia calda, si preparò ad affrontare Yukimura e il suo ritmo di vita pacifico e calmo.

 

・┈・ ༻❆༺ ・┈・

 

La prima settimana di Kyojuro a Yukimura si rivelò essere estremamente facile . Era andato per due volte a cena dai Kamado, che si erano dimostrati degli ottimi ospiti, ed era addirittura riuscito a mettere le basi per il romanzo che intendeva scrivere - sarebbe sempre rimasto nel genere storico ma fantastico, una sorta di ‘cappa e spada’ ma con un pizzico di mistero e magia .

Si sentiva leggero e onestamente rinvigorito, e le passeggiate che aveva iniziato a concedersi la mattina prima dell’alba, tra gli alti alberi della foresta adiacente a Yukimura, lo stavano aiutando a mantenere un equilibrio anche fisico oltre che mentale.

La natura sembrava quasi parlargli durante quelle prime ore, nelle quali i timidi raggi del sole facevano capolino tra le fronde degli alberi. I profumi e i suoni di quei luoghi, protetti dall’industrializzazione e dalla mano dell’uomo, sembravano quasi portarlo in un’altra epoca, e ogni giorno Rengoku prendeva nuovi sentieri e percorsi, curioso di scoprire quali nuove sensazioni e i paesaggi avrebbe scoperto.

Fu in quel modo che si scontrò per la prima volta con un piccolo e anomalo santuario nascosto tra le rocce della montagna e gli alberi della foresta. 

Kyojuro conosceva a grandi linee la posizione dei santuari di quella zona, alcuni li aveva anche visitati quando era più piccolo, ma quello era diverso. Non si trovava in una strada principale né accanto ad altri santuari più grandi: era semplicemente isolato.

Date le sue dimensioni, rientrava nella categoria degli hokura[3]. Era fatto interamente in pietra, scolpita per assomigliare a un santuario in miniatura.

La struttura simile al santuario, con il suo tetto e una apertura centrale che fungeva da altare - palesemente inutilizzato da chissà quanto tempo -, sedeva su delle grosse lastre in pietra che sembravano formare una breve scalinata. C’erano inoltre delle tracce di un’antica shimenawa[4] sui lati del piccolo hokura , ma lo scorrere degli anni aveva divorato la corda intrecciata in canapa lasciando solo dei fili ammuffiti che pendevano tristi sulle pareti esterne.

Erba e muschio avevano ormai preso possesso della struttura votiva, rendendo quasi impossibile per Rengoku individuare eventuali iscrizioni.

Un altro dettaglio, tanto affascinante quanto singolare, era la presenza di due statue ai lati del piccolo santuario: dei komainu[5].

Lo scopo delle due statue era quello di mantenere lontani gli spiriti malvagi, ed erano entrambe caratterizzate da una folta criniera, un corpo forte e muscoloso, e i denti affilati. Uno dei due, quello sulla sinistra, aveva la bocca aperta e al collo aveva quella che sembrava essere una grossa collana fatta di sfere, non dissimile dagli ojuzu[6] buddisti. Il secondo, dalla bocca chiusa e situato a destra dell' hokura , aveva invece una grossa roccia sferica sotto la zampa.

Ispiravano forza e protezione, e Kyojuro si sentiva in parte al sicuro dinanzi a quelle statue ma anche a disagio , perché era come se i loro occhi di pietra stessero seguendo ogni suo movimento, giudicandolo. Si sentiva osservato , ma era probabilmente solo una sua sciocca impressione dettata dal luogo nel quale si trovava.

A ogni modo, anche i due komainu , così come il piccolo santuario shintoista, erano stati rovinati dall’incuria e dal tempo. Ciononostante le sue statue sembravano integre, come se la natura avesse voluto preservarne la forma e la loro sacralità.

Kyojuro non era un esperto, ma la presenza di quell’ hokura con i due komainu gli sembrava anomala, vista soprattutto la posizione nella quale si trovavano. Come già aveva notato, la stradina che stava percorrendo era abbandonata e non gli sembrava ci fossero dei santuari più grandi in quella zona.

Probabilmente, ipotizzò, quella strada veniva battuta durante il Periodo Heian oppure Edo, e i viandanti avevano sentito la necessità di avere un piccolo luogo di culto per rassicurarli durante il loro cammino.

Qualsiasi fosse la risposta, Rengoku non poté non provare un vago sentimento di tristezza nell’osservare l’incuria nella quale versava quel luogo.

Yukimura era ormai un paese abitato perlopiù da persone anziane. I giovani erano pochi e passavano gran parte del tempo fuori città per studiare o lavorare. Con molta probabilità, nessuno aveva più le energie, il tempo e l’interesse per prendersi cura dell’ hokura .

Strinse le labbra, e senza pensarci oltre Kyojuro si tirò su le maniche, lasciando cadere per terra, vicino a un tronco, il suo zainetto da trekking. Armato di buona volontà, iniziò a strappare le erbacce attorno all’ hokura e alle due statue, cercando anche di eliminare quelle che, più invasive, si erano fatte strada fin sopra le strutture in pietra, e permettere in quel modo ai due komainu di ‘respirare’ ma anche all’altare di tornare, seppur in parte, al suo stato originale.

Aveva sempre ritenuto importanti le tradizioni, e rispettava i luoghi di culto ogni volta che ne visitava uno, per quel motivo era rattristato dalle condizioni di quell’ hokura . Ripulirlo e onorarlo gli sembrava la scelta migliore.

Con quelle intenzioni ben impresse in mente, Kyojuro passò almeno due ore a curare quel luogo scovato per caso, e quando finalmente riuscì a strappare via l’ultima erbaccia rampicante, fece qualche passo indietro per osservare il suo lavoro.

Si pulì la fronte sudata con l’avambraccio e le sue labbra si piegarono in un ampio sorriso soddisfatto. Era stanco e gli facevano un po’ male le braccia per lo sforzo, le mani si erano sporcate ed erano piene di piccoli tagli, ma non poté evitare di sentirsi fiero di sé.

I raggi del sole ormai colpivano con più chiarezza il profilo sia delle statue che dell’altare, e Rengoku riuscì in quel modo a scorgere molti alti piccoli dettagli scolpiti nella roccia.

Nell’ hokura, poco sotto la base del tetto, c’erano dei kanji scolpiti nella roccia. Erano per lo più illeggibili ma uno gli sembrava simile a quello utilizzato per la parola ‘neve’ . Inoltre vi erano anche delle piccole decorazioni a forma di fiocco di neve in entrambe le statue dei komainu - nella sfera che giaceva sotto la zampa della bestia di pietra e anche sulla collana indossata dall’altro.

Probabilmente, dedusse, era un santuario legato o alla neve o all’inverno.

Rengoku dubitava fosse dedicato alle note Yuki-onna[7] del folclore giapponese, ed escludeva anche che fosse stato costruito per onorare lo Kuraokami[8], il drago giapponese Dio della Pioggia e della Neve, perché non riportava nessun segno che potesse ricondurlo a quella divinità. 

Il kanji riguardante la ‘neve’ poteva essere ovviamente legato al nome stesso di Yukimura, e Kyojuro non pensava che quello fosse un caso. Non era comunque raro trovare degli hokura dedicati a dei Kami tutelari, i Chinjugami[9] , nati da credenze popolari e per la necessità di proteggere una determinata zona.

Quel piccolo hokura poteva essere legato alla città e alle sue origini, ma l’assenza di un santuario tutelare lo rendeva anomalo, e agli occhi di Kyojuro quello sembrava un vero e proprio mistero da svelare. Era affascinato dal piccolo santuario, e non poteva fare a meno di chiedersi quali segreti e quali leggende si celavano dietro quelle antiche costruzioni.

Tremò quasi visibilmente per l’eccitazione e il suo sorriso si fece ancor più felice ed esaltato: era quella la scintilla che aveva cercato fino a quel momento. 

Si appuntò mentalmente di parlare con Hisa, la donna più anziana di Yukimura, nella speranza di avere quantomeno una piccola risposta. Si disse che avrebbe anche potuto consultare dei libri, ma sfortunatamente non esisteva una biblioteca o un archivio a Yukimura, e ogni documento riguardante la piccola città si trovava custodito nel centro abitato situato a qualche chilometro da lì, e che avrebbe potuto raggiungere solo in pullman.

Rengoku storse il naso e concluse rapidamente che avrebbe visitato per prima Hisa e poi, nei giorni seguenti, si sarebbe recato nella città vicina per delle ricerche più approfondite.

Guardò ancora l’ hokura, e a quel punto Kyojuro si rese conto che gli rimaneva solo un’ultima cosa da fare. Prese dal suo zaino da trekking una piccola scatola in plastica con chiusura ermetica, dalla quale estrasse gli onigiri che aveva portato con sé per poter fare merenda durante la sua camminata mattutina.

Erano quattro, e senza pensarci due volte li posò sull’altare che aveva appena pulito.

«Questa l’unica offerta che posso fare,» dichiarò quasi imbarazzato, unendo poi le mani in preghiera.

Non espresse nessuna richiesta nella sua mente, ma sperò che la divinità di quel luogo potesse essere gentile e magnanima dopo essere stata dimenticata così a lungo.

Sorrise ancora e, con la mente piena di domande e l’improvvisa voglia di scrivere , Rengoku tornò sui suoi passi ripercorrendo il sentiero che lo aveva condotto in quel luogo.

 

・┈・ ༻❆༺ ・┈・

 

I raggi del sole che penetravano attraverso le alte fronde degli alberi creavano dei piacevoli giochi di luce sull’ hokura e sulle due statue che lo proteggevano. La polvere della foresta galleggiava placida nei fasci di luce che accarezzavano il santuario, creando attorno a quel luogo un’atmosfera magica e ferma nel tempo.

Il grigio cupo delle pietre dei due komainu , macchiato in alcune zone dal muschio e dalle erbe che l’umano non era riuscito a debellare, sembrò quasi brillare e prendere vita perché quella era la prima volta, dopo almeno due secoli, che qualcuno si fermava in quel santuario.

Una leggera vibrazione, come il battito di un cuore, fece per un momento zittire gli animali che popolavano la foresta e il komainu con la bocca spalancata si animò . La pietra parve quasi spaccarsi e dei forti raggi di luce riempirono quelle crepe che avvolsero ben presto l’intera struttura.

Una figura dai tratti umani iniziò a separarsi dalla statua, rimasta integra e immacolata, e lentamente questa prese la forma del corpo muscoloso di un ragazzo, dalla pelle brillante e quasi eterea.

Gli abiti furono i primi a emergere tra la luce che avvolgeva quel corpo. Indossava una gorgiera in pelle nera attillata, che partiva dal collo e gli fasciava le spalle e la parte superiore del petto. Un kimono rosa scuro pendeva sui suoi fianchi fini, tenuto bloccato da uno stretto obi , adornato con una fascia verde scuro e da diverse nappe.

Una coda da animale, folta e dalla peluria chiara, faceva capolino dalla parte bassa della schiena, mentre le gambe erano fasciate da degli hakama grigio chiaro, che scendevano larghi e morbidi sulle cosce, fino a chiudersi poco sotto il ginocchio con delle ghette in pelle nera.

La luce che aveva avvolto il corpo fino a quel momento iniziò a svanire, quasi portata via dal leggero vento che si era alzato, rendendo più reale il viso del ragazzo. Aveva corti capelli rosa, tra i quali spuntavano due orecchie da animale dalla peluria chiara. Gli occhi erano grandi e color dell’ambra, abbracciati da folte ciglia rosate.

La pelle dello spirito, non più luminosa ed eterea, era pallida ed erano visibili delle linee scure, simili a dei tatuaggi quasi geometrici. Gli percorrevano il petto e le braccia e sparivano poi oltre la stoffa dell’ hakama . Erano dei marchi ordinati e simmetrici, ma al tempo stesso privi di un apparente senso.

Vibrando un’ultima volta, la luce emersa dalla statua si spense del tutto e sembrò venire assorbita dalla collana in perle rossastre che quella figura portava al collo.

In viso aveva un’espressione confusa, ma anche curiosa per quanto era appena accaduto, perché in quegli ultimi due secoli nessun umano si era mai fermato davanti all’ hokura, e i pochi che vi erano passati accanto non avevano né pensato e né tanto meno avuto l’intenzione di rendere omaggio alla divinità che risiedeva in quel piccolo santuario.

Per quel motivo Akaza, lo yokai[10] emerso dalla statua del komainu con la bocca spalancata, aveva trovato curiosol’atteggiamento dell’umano che, di punto in bianco, aveva iniziato a ripulire il santuario dalle erbacce.

Akaza era stato risvegliato da quelle azioni, un tempo nella norma per chi si fermava a lasciare qualche offerta ma che, con gli anni, erano scomparse. Aveva osservato con attenzione l’umano, cercando di scorgere malignità o doppi fini, ma alla fine tutto ciò che aveva visto erano state delle mani tagliuzzate per il lavoro appena svolto, e un sorriso così luminoso e felice che, per un momento, ad Akaza era sembrato di trovarsi sotto il sole estivo e non in pieno autunno.

Quell’umano era strano .

Non aveva scorto in lui alcuna malizia e il suo atteggiamento privo di furbizia era rimasto tale anche quando aveva lasciato degli onigiri sull’altare, rivolgendo infine una preghiera verso il kami venerato in quel piccolo hokura .

Akaza non aveva la capacità di raccogliere e sentire le preghiere come Koyuki, la divinità di quel santuario, ma poteva vedere lo Spirito Combattivo delle persone - il loro Toki[11] - , e quello dell’uomo non sembrava essere macchiato da avidità né da sentimenti di crudeltà.

Era forte e maturo, ma sotto un certo punto di vista anche puro e luminoso come quello di un bambino.

«È stato gentile.»

La voce bassa e dolce di Koyuki distolse Akaza dai suoi pensieri, e lo yokai e si costrinse ad allontanare lo sguardo dalla strada che aveva intrapreso l’uomo per rivolgersi agli altri due abitanti di quel luogo sacro che, come lui, si erano risvegliati grazie a quell’umano.

Koyuki, agli occhi di Akaza, era bella e delicata come un fiore appena sbocciato. Il corpo esile era avvolto da un kimono rosa e azzurro, decorato da piccoli motivi circolari e che lentamente sfumava in bianchi fiocchi di neve, mentre la vita era stretta da un obi scuro.

I capelli neri, legati in una grande crocchia, erano fissati con un pettine kushi[12] e da tre forcine a forma di fiocco di neve. La pelle era chiara e liscia, immacolata come quella di una bambola di porcellana, e i suoi occhi, grandi e rosa, erano carichi di dolcezza.

Stava sorridendo, e la sua espressione sembrò intenerirsi ulteriormente quando lo spirito emerso dal secondo komainu le tese la mano per aiutarla a scendere dalla piccola scalinata dell’ hokura.

«Grazie, Hakuji-san…» mormorò Koyuki, accettando subito la mano dell’altro yokai .

Akaza rivolse a quel punto lo sguardo verso Hakuji, suo fratello gemello. I loro volti erano pressoché identici, ma Hakuji aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri, abbracciati però dalle stesse ciglia rosate di Akaza.

Così come il fratello, anche lui aveva la coda e le orecchie da animale caratterizzate da una folta e morbida peluria chiara. Era muscoloso, e indossava una gorgiera in pelle nera che, al contrario dell’altro spirito, scompariva sotto la stoffa del kimono blu scuro.

Dalle maniche, che gli arrivavano al gomito, erano visibili dei marchi simili a quelli di Akaza: erano tre, neri come la notte, e percorrevano gli avambracci come delle fasce.

Hakama e ghette in pelle nera erano simili a quelli di Akaza ma l’ obi che stringeva la vita di Hakuji era blu scuro, decorato con una corda rossa, sulla quale pendeva una sfera candida e luminosa, che riluceva placida mentre veniva toccata dai raggi del sole. 

Per quanto la loro natura fosse la stessa, in quanto spiriti protettori, Akaza non poté evitare di notare quanto il Toki di suo fratello fosse completamente diverso dal suo. Mentre Hakuji era come il mare, placido ma pericoloso, Akaza preferiva invece descriversi come un vulcano attivo, pronto a combattere a dare battaglia. Si erano sempre equilibrati l’un l’altro.

«Singolare,» confermò Hakuji, rivolgendo tutte le sue attenzioni solo a Koyuki, e Akaza, dopo averli osservati per un momento, preferì distogliere lo sguardo per guardare verso il sentiero nel quale si era allontanato l’umano.

Storse il naso, dopo quell’istante, raggiunse l’altare e gli altri due abitanti dell’ hokura .

«Sì, ma… non mi fido,» ribatté, prendendo uno degli onigiri per iniziare a mangiarlo, scegliendo di concentrarsi sul cibo e di non prestare altre attenzioni al momento di intimità tra suo fratello e Koyuki.

Il sapore del riso e del ripieno di fagioli anko gli fece istintivamente sollevare le labbra in un sorriso: era da secoli che non mangiava qualcosa di fisico .

In quanto yokai non doveva temere eccessivamente il sonno e la stanchezza, né tanto meno la fame e la sete. Il cibo, da quando l’ hokura era diventata la loro dimora, era divenuto qualcosa di diverso e di simbolico, infatti Akaza non poté fare a meno di sentirsi quasi rinvigorito da quell’offerta: era come se i suoi poteri, troppo a lungo sopiti, si stessero di nuovo risvegliando.

«Sai, non mi ha rivolto alcuna richiesta personale,» svelò Koyuki, accettando l’ onigiri che Hakuji le stava porgendo. «Ha chiesto scusa per il fatto che il nostro santuario fosse dimenticato e mi ha chiesto di essere gentile con Yukimura.»

Akaza sbuffò ma con commentò, rivolgendo invece lo sguardo di nuovo verso la strada.

Per esperienza sapeva che gli umani non facevano mai nulla senza ricevere qualcosa in cambio. L’eccessiva gentilezza, insieme all’impegno che aveva dimostrato, gli sembravano sospetti. Per quello sentiva di dover indagare e assicurarsi che non avesse intenzioni maligne.

«Akaza, so a cosa stai pensando: non farlo,» lo redarguì Hakuji, strappandolo di nuovo dai suoi pensieri.

Akaza scrollò le spalle e, in un ultimo boccone, finì di mangiare l’ onigiri .

«Perché non dovrei? Ammettilo: è sospetto.»

Hakuji strinse le labbra, dando un morso al suo pasto con fare pensieroso. Si era seduto accanto a Koyuki, e Akaza notò subito le loro gambe sfiorarsi e anche il modo nel quale Koyuki si stesse adagiando delicatamente contro la spalla di suo fratello. Il loro legame era stato profondo sin da quando si erano incontrati, e i secoli non avevano minimamente intaccato il loro rapporto.

«Lo ammetto, ma sai che non possiamo più immischiarci negli affari degli umani,» gli ricordò Hakuji dopo quel breve momento di silenzio. «Il mondo potrebbe non essere più quello di una volta,»  aggiunse, facendo sbuffare sonoramente Akaza.

«Lo terrò solamente d’occhio, e se avesse intenzioni maligne? O se volesse distruggere il santuario? Come hai detto tu: il mondo può essere cambiato! Dobbiamo scoprire per tempo quanto e come, per poterci difendere!»

Non era un’ipotesi totalmente da scartare, e Akaza sapeva di avere ragione. Probabilmente quell’uomo non aveva intenzioni cattive, ma era pur sempre meglio averne la certezza. Inoltre erano rimasti lì bloccati per troppo tempo e Akaza sentiva di dover conoscere i loro nemici .

«Non posso darti torto ma…» esordì Hakuji, zittendosi quando Koyuki posò la mano sulla sua.

«Lascialo andare,» mormorò con gentilezza, intercedendo per Akaza. «Sono certa che quell’uomo non sia maligno ma se questo servirà a rassicurare Akaza-san, allora non vedo perché dovremmo fermarlo.»

Hakuji esitò, mostrandosi incerto, ma alla fine annuì rivolgendo ad Akaza un’espressione seria.

«D’accordo,» concesse infatti. «Ma cerca di stare attento.»

Akaza sorrise trionfante, e senza attendere oltre, come per timore che i due cambiassero idea - non avrebbero potuto fermarlo, quello era ovvio, ma preferiva non discutere con Hakuji e, soprattutto, con Koyuki -, si allontanò di un passo dall’ hokura.

«Va bene!» esclamò, accucciandosi lentamente per terra fino a prendere la forma di un piccolo gatto grigio, dalle striature blu scuro, e grandi occhi gialli. Sul collo, come se fosse un collare, pendevano le sfere rosa della sua collana.

Emise un miagolio e, dopo aver permesso a Koyuki di accarezzargli il capo, corse verso la strada che l’uomo aveva percorso, diretto al villaggio di Yukimura.

Si sentiva pieno di energie e felice all’idea di poter di nuovo correre libero per la foresta. Quando l’ hokura era visitato dai viandanti, per lui, Hakuji e Koyuki era più che normale spostarsi nella foresta in quel modo. I poteri di Koyuki erano ancora forti, e di conseguenza lo erano anche le capacità spirituali dei guardiani che si erano legati a lei.

La fine dei pellegrinaggi, e lo spostarsi delle persone nelle città più grandi, aveva contribuito al loro lento indebolimento, fino a costringerli a uno stato di letargia che, fortunatamente, era finito grazie all’offerta di quell’uomo.

Doveva essergli grato, ma dall’altra parte Akaza era davvero intenzionato a comprendere il motivo di quella gentilezza.

Al contrario di Koyuki, Akaza non aveva mai provato simpatia e affetto per gli umani: in realtà li trovava avidi di potere, ingiustamente crudeli e per la maggioranza menzogneri. Non erano degni della sua fiducia, e più volte avevano addirittura dimostrato di non meritare neanche la sua pietà.

Prima di legarsi a Koyuki - l’unica umana che ai suoi occhi si era dimostrata pura di cuore -, Akaza e suo fratello avevano sterminato senza alcun ripensamento intere famiglie nella zona di Yukimura. Persone che si erano macchiate di crimini contro la natura o contro altri esseri umani.

Era il loro modo di proteggere ciò che li circondava e di mantenere una sorta di equilibrio .

Mise da parte quei pensieri che sembravano ormai essere legati a un'altra vita , e si concentrò sulla ricerca dell’umano che, per fortuna, non fu difficile. Infatti, una volta raggiunta Yukimura, riuscì a individuarlo senza alcuna fatica.

La figura dell’umano spiccava tra gli abitanti del posto, sia per la sua voce forse un po' troppo alta che per il suo aspetto. 

Aveva su di sé i colori del fuoco.

I capelli erano folti e all'apparenza indomabili come una criniera d’oro dalle estremità scarlatte. Erano lunghi fino alle spalle e in parte raccolti dietro la nuca. Anche i suoi stessi occhi ricordavano le fiamme, con l'oro che andava a sfumare nel rosso.

Era abbastanza alto e dalla corporatura muscolosa e allenata, con addosso gli strani abiti moderni con i quali era giunto all' hokura .

Su di sé aveva un qualcosa di familiare, ma Akaza non sapeva esattamente dove lo avesse già visto. Aveva un'ottima memoria con i nomi e i volti, ma solo se questi erano stati suoi nemici.

Continuò comunque a osservarlo di nascosto, celandosi a occhi indiscreti grazie alla sua forma felina.

L'uomo stava parlando allegramente con una signora che, palesemente affascinata dal suo atteggiamento felice e luminoso, gli stava dando una busta con all'interno quelle che sembravano essere delle strane patate .

Lo seguì ancora - osservando al tempo stesso quanto Yukimura fosse cambiata negli ultimi secoli -, e quando finalmente l’uomo raggiunse quella che doveva essere la sua casa, Akaza ebbe modo di riconoscerlo, o quantomeno di capire il suo clan di appartenenza .

Vi era infatti un’iscrizione sulla porta della dimora che riportava i kanji della famiglia Rengoku. Erano abitanti storici di Yukimura che in passato si erano distinti per la loro lealtà e buon cuore, schierandosi dalla parte dei più deboli quando necessario.

Non erano mai stati suoi nemici, ma Akaza non nutriva particolare simpatia neanche per loro perché li considerava come tutti gli esseri umani: ipocriti e omertosi.

Anche le persone più buone nascondevano dei lati crudeli, e anche se quel Rengoku s embrava essere per bene, Akaza non riusciva a fidarsi di lui. Sentiva come non mai di dover scoprire quali fossero le intenzioni di quell’uomo, e anche del villaggio di Yukimura nei confronti del santuario che avevano ormai dimenticato.

Fece il giro dell'abitazione, cercando il punto migliore per spiare Rengoku, ed emise un soffio irritato quando l’uomo spalancò di nuovo la porta scorrevole.

I peli di Akaza si erano rizzati subito e la coda felina era alta e arricciata, pronto a difendersi e ad attaccare in caso di pericolo.

«Ehi, ciao piccolino! Non volevo spaventarti!» la voce allegra, e fintamente infantile, di Rengoku investì subito Akaza. «Non ti ho mai visto da queste parti… ma è anche vero che sono qui da poco tempo. Dimmi, hai fame?»

Stava parlando con lui , realizzò Akaza rimanendo comunque all'erta.

Non era la prima volta che gli umani cercavano di parlare con lui quando lo vedevano nella sua forma animale… anzi: era un qualcosa che facevano in generale con cani, gatti e altri animali domestici. E come sempre, Akaza trovava sciocco il loro cercare una risposta da qualcuno che, ovviamente, non poteva rispondere.

Gli umani sapevano essere così egocentrici alle volte.

Soffiò di nuovo, e ancor prima che Rengoku potesse tentare di allungare la mano su di lui, Akaza saltò oltre il muretto in pietra della casa, nascondendosi alla vista dell'umano che si mostrò deluso dalla sua fuga.

«Oh, peccato,» commentò a voce alta Rengoku. 

Subito dopo, si sentì il rumore della porta scorrevole che veniva rinchiusa e Akaza drizzò le orecchie quando avvertì anche i passi sulle lastre di pietra del piccolo vialetto: Rengoku stava lasciando di nuovo la sua dimora.

Lasciò il suo nascondiglio e, dopo essersi assicurato di non essere visto, si lanciò di nuovo all'inseguimento dell'umano. Non sapeva dove fosse diretto, ma intendeva scoprirlo.

Le case di Yukimura erano poche e vicine, infatti Rengoku sembrò raggiungere subito la sua meta, che si rivelò essere la proprietà di un altro clan noto ad Akaza.

I Touzaki .

In passato, almeno quattro secoli prima, erano stati fanatici religiosi nonché uno dei clan più ricchi e antichi di Yukimura. Erano crudeli e bugiardi, umani della peggior specie .

Akaza ricordava perfettamente i loro nomi e i volti, e non poté fare a meno di provare un immediato risentimento nel rendersi conto che Rengoku aveva dei legami con quella famiglia.

Alla porta apparve una donna anziana, dalla statura minuta, che parve sorpresa per la visita che aveva appena ricevuto.

«Rengoku-sama, posso aiutarti?» chiese con voce calma, in netto contrasto con l'energia che sin da subito mostrò Rengoku.

«Hisa-sama! Spero di non disturbarti!» esclamò l'uomo. «Mi chiedevo se avessi tempo per parlarmi delle leggende di Yukimura!»

La donna venne scossa da una breve risata e si fece di lato per permettere a Rengoku di entrare in casa.

«Certamente, è strano per voi giovani mostrarsi interessati alle vecchie leggende tramandate dai padri dei nostri padri.»

Rengoku sembrò ridacchiare e Akaza riuscì a sentire la sua risposta anche attraverso la porta scorrevole che si era chiusa alle spalle dei due umani.

«È un peccato. Bisognerebbe sempre tenere vive le storie del nostro passato!»

Era una dichiarazione importante e che si sposava alla perfezione con il gesto gentile che Rengoku aveva rivolto all' hokura , ma ciononostante Akaza non fu in grado di placare né la sua curiosità né il sospetto, che era cresciuto al solo ricordo del Clan Touzaki.

Si mosse rapido, cercando un posto adatto dove nascondersi e ascoltare le loro discussioni, e finì per accucciarsi sotto l’ engawa , dove lo shoji[13] era stato lasciato socchiuso.

Con le orecchie tese si concentrò per seguire i discorsi dei due umani.

La voce di Rengoku suonò sin da subito molto chiara e forte, mentre quella della donna Touzaki era più bassa e calma. Se Akaza avesse dovuto trovare dei paragoni, avrebbe associato Rengoku ai tuoni di una tempesta, mentre l'anziana a una placida pioggerellina.

«Qualsiasi leggenda o aneddoto mi va bene!» dichiarò Rengoku. «Ma se è possibile, vorrei sapere qualcosa di più sull' hokura che ho trovato lungo il sentiero che costeggia il fiume, salendo verso… nord-ovest, credo.»

Akaza sentì i peli della sua schiena drizzarsi e gli artigli conficcarsi nel terreno.

«Oh quell'hokura,» esalò l'anziana donna con tono sommesso. «Da decenni nessuno ne parla più…»

«L'ho trovato per caso e… ne sono incuriosito,» spiegò Rengoku. «Sembrava abbandonato.»

Akaza rimase immobile in attesa della risposta della donna.

«Lo è,» confermò l'anziana. «Ormai nessuno qui a Yukimura ha le forze per accudirlo, ma anche per dare adito a vecchie leggende.»

Rengoku emise un verso che sembrava di comprensione.

«Posso capirlo: la strada non è facile da percorrere. Inoltre Yukimura si sta spopolando,» dichiarò dispiaciuto. «Posso comunque chiedere di quali leggende parli?»

La donna ridacchiò.

«Certamente. Si dice che quel luogo sia stato eretto per il protettore di Yukimura, Yukinokami,» raccontò l'anziana. «Colui che, agli inizi del Periodo Edo, ha impedito a due oni[14] di montagna di distruggere la città, gettandola in un inverno eterno.»

Akaza rimase per un momento interdetto nel sentire quelle parole e scattò in piedi con gli artigli piantati sul terriccio.

“Stronzate!” gridò nella sua testa, faticando a mantenere il controllo della sua ira. Quella non era la vera storia!

Desiderò per un momento balzare sull’ engawa e strappare gli occhi e la lingua a quella vecchia del Clan Touzaki , ma riuscì a trattenersi. Aveva promesso a Koyuki di non far più del male agli abitanti di Yukimura, inoltre… quella vecchia era una donna , e Akaza non era solito ferire le femmine.

Emise però un verso contrariato, con la rabbia e il risentimento che gli ribollivano in petto.

Yukimura, per lui, era una città marcia.

In passato gli abitanti della città si erano macchiati di un crimine che lui non aveva mai perdonato, e che avevano poi dimenticarlo . Yukimura sarebbe stata rasa al suolo quattro secoli prima se non fosse stato per Koyuki e il suo buon cuore, e se proprio doveva essere sincero: Akaza l'avrebbe distrutta anche in quel momento se solo ne avesse avuto le capacità.

Perché, se si fosse tralasciata la promessa che aveva fatto a Koyuki, Akaza sapeva di non possedere più la stessa forza distruttiva di un tempo e che, sfortunatamente, ormai questione di pochi anni prima che la sua esistenza venisse dimenticata del tutto, portandolo a finire nel Reikai[15], il Regno degli Spiriti.

Gli anziani di Yukimura, quelli che potevano aver sentito parlare dell' hokura e della sua leggenda - anche se distorta - erano pochi. Non c'era nessuno al quale tramandare la vera storia di Koyuki, e proprio per quel motivo lui, suo fratello e la stessa Koyuki erano rimasti in uno stato letargico per due secoli.

Erano tenuti nel mondo umano da ciò che rimaneva nei ricordi delle persone più anziane, in un limbo tra la vita e il Reikai , e i loro poteri erano ormai scomparsi a causa dall'assenza di fede.

Certo, il gesto di Rengoku aveva permesso loro di calcare ancora una volta il mondo umano, ma Akaza sapeva che non sarebbe durato a lungo, perché prima o poi non ci sarebbe stato più nessuno a ricordarsi di loro.

Diventare dei dimenticati nel Reikai non era una fine semplice da accettare, e Akaza avrebbe fatto di tutto pur di evitare quel destino… anche se, sotto un certo punto di vista, era preferibile il Reikai se messo a confronto con il restare fermi e intrappolati nel tempo.

Akaza allontanò quei pensieri, e il suo umore rimase ugualmente cupo e teso anche quando Rengoku decise di lasciare la casa dell'anziana, forse soddisfatto dalle fandonie che la donna del Clan Touzaki gli aveva rifilato.

Lo seguì di nuovo fino alla sua dimora, poi decise di tornare indietro da suo fratello e Koyuki, con la strana certezza che quella non sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto Rengoku.

 

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Era trascorsa una settimana dalla scoperta dell’ hokura e della leggenda di Yukinokami , e da quel giorno Kyojuro si era recato ogni mattina al piccolo santuario.

Sin da quando aveva parlato con Hisa, Rengoku non era riuscito a fare a meno di pensare ai due komainu che proteggevano con coraggio l’altare votivo, ma soprattutto continuava a fantasticare sull’eroica figura di Yukinokami e alla forza con la quale si era battuto per salvare la città.

Grazie al racconto di Hisa, Kyojuro aveva scoperto una storia di sacrificio e amore per il proprio paese e i suoi abitanti.

Yukinokami era stato un uomo. Un semplice abitante di Yukimura divenuto poi una divinità - una sorta di Hitogami[16] - quando aveva scelto di battersi contro due oni di montagna che, incolleriti con la città, l'avevano colpita con una forte tempesta di neve.

L’uomo era morto nel tentativo, ma il suo sacrificio era stato talmente coraggioso che l’ira dei demoni si era placata e con essa anche la gelida morsa dell’inverno.

Era un racconto affascinante, che per uno scrittore come Kyojuro era fonte di ispirazione e notevoli spunti di narrazione, e data l’improvvisa ondata di creatività, aveva trovato l’idea di trascorrere ancora qualche ora davanti all’ hokura utile ai suoi scopi.

L’aria pacifica e misteriosa attorno al santuario lo aiutava a viaggiare con la fantasia, al punto che la stesura della prima bozza del suo terzo romanzo, con le idee preparatorie e una piccola scaletta di eventi, stava prendendo sempre più forma.

Si sentiva pieno di idee ed energie, e per ringraziare lo Yukinokami per l’ospitalità, Rengoku lasciava ogni giorno una piccola offerta nel santuario.

Quei gesti erano ormai diventati parte della sua routine giornaliera, tanto quanto lo era cercare di conquistare il gatto che da giorni lo seguiva e appariva ovunque andasse.

Dopo averlo visto per la prima volta davanti a casa sua, aveva iniziato a scorgere la sua elegante figura ovunque . Sia vicino all’ hokura che all’interno di Yukimura, mentre lui svolgeva le sue piccole commissioni giornaliere.

Era grigio con delle striature scure che gli percorrevano il corpo. Aveva grandi occhi gialli, e uno strano collare di perle rossastre al collo. 

Kyojuro adorava gli animali, ma non era mai stato in grado di averne uno per casa. Suo padre non era un grande amante degli animali, e gli appartamenti dove aveva vissuto fino a quel momento non permettevano di tenerne di domestici ma quello non gli aveva mai impedito di accovacciarsi per terra, con la mano tesa, nella speranza che qualche gatto randagio scegliesse di farsi accarezzare da lui quando lo vedeva.

Per quanto riguardava il gatto che sembrava aver iniziato a seguirlo ovunque, Rengoku non era ancora riuscito a creare un legame con lui.

Nonostante lo strano collare, era probabilmente un randagio visto che soffiava spesso e lo guardava come se volesse staccargli la mano a morsi, ma quello, ovviamente, non aveva mai scoraggiato Kyojuro. Infatti, cercava sempre di chiamarlo a sé e aveva anche iniziato a lasciargli da mangiare fuori dalla sua casa - e non poteva neanche fare a meno di esultare internamente quando lo scorgeva mangiare o trovava addirittura il piatto vuoto.

Il gatto era diventato una compagnia silenziosa e Rengoku, alcune volte, aveva anche iniziato a parlargli quando lo scorgeva nascosto tra gli alberi vicino all’ hokura . Era piacevole poter parlare a voce alta, perché lo aiutava a mettere in ordine le idee e a comprendere se ciò che stava appuntando aveva senso o meno.

Alle volte, ma forse poteva benissimo essere la sua fervida immaginazione, gli era addirittura sembrato di vedere il gatto girare gli occhi al cielo nel sentire le sue idee, soprattutto quelle che riguardavano le versioni romanzate della leggenda di Yukinokami .

Era sciocco, ma Kyojuro in quei momenti arrivava addirittura a mettere in dubbio il suo operato, come se il giudizio del gatto valesse realmente qualcosa.

In ogni caso, con il suo blocco degli appunti, cibo per il gatto e anche i soliti onigiri che lasciava come offerta nell’ hokura , si diresse anche quella mattina verso il santuario, pronto a continuare ad abbozzare le sue idee e a delineare i personaggi, le loro motivazioni e i background.

Kyojuro si sentiva allegro come ogni giorno, ma quando vide per la prima volta una figura umana davanti all’ hokura non poté evitare di sentirsi strano oltre che sorpreso.

Avendo frequentato il santuario per un’intera settimana, Rengoku sapeva per certo che nessun’altro lo stava visitando oltre lui. Inoltre conosceva ormai l’intera popolazione di Yukimura - erano meno di cento persone - e nello specifico non aveva mai visto quel giovane uomo.

Aveva corti capelli rosa, e indossava quella che sembrava essere una semplice divisa da karate bianca, con una cintura in tessuto nero, lasciata aperta sul petto, come a voler mostrare non solo i muscoli ma anche i tatuaggi che percorrevano il corpo. Sul collo, inoltre, aveva una collana in perle rosse che sembrò stranamente familiare agli occhi di Kyojuro.

Di per sé, era comunque anomalo vedere una persona in quel luogo, e l’abbigliamento non era sicuramente consono a una scampagnata nella foresta… ma ciò che lasciò ancor più spiazzato Rengoku, confermandogli la stranezza di quell’incontro, era il fatto che il ragazzo fosse scalzo .

Aggrottò le sopracciglia e si fece avanti, anche se aveva la sicurezza che il ragazzo si fosse già reso conto di lui.

«Salve!» esclamò per attirare l’attenzione su di sé.

Il ragazzo si voltò lentamente verso di lui senza mostrare stupore. Aveva gli occhi grandi e gialli, abbracciati da folte ciglia rosate.

Kyojuro si fermò restando a distanza di sicurezza dal giovane, e nel rendersi conto che il ragazzo non sembrava intenzionato a rispondere al suo saluto, tentò di essere ancora una volta lui stesso a tendere figurativamente la mano.

«Va tutto bene? Ti sei perso? Il mio nome è Kyojuro Rengoku, e al momento vivo a Yukimura. Posso esserti d’aiuto?» domandò rivolgendogli un sorriso cordiale.

Rengoku stava elaborando delle diverse teorie riguardanti la provenienza del ragazzo e che potessero spiegare il suo abbigliamento e la presenza davanti al santuario. A esempio, poteva essere un turista che si era effettivamente perso nella montagna. Magari stava praticando barefooting o qualcosa del genere - erano parecchie le persone che amavano camminare a piedi nudi per la natura.

Oppure… poteva essere uno psicopatico scappato da qualche struttura. Era un’ipotesi assurda e sicuramente fantasiosa, ma per deformazione professionale Kyojuro tendeva anche a pensare agli scenari più disparati e pericolosi.

«Io sono Akaza,» rispose con tono calmo il ragazzo, senza però nascondere un pizzico di ostilità e sospetto .

L’aria attorno all’ hokura si era fatta strana, si rese conto Rengoku dopo aver sentito la risposta del giovane.

Non sapeva dare una reale definizione o spiegazione, ma sentiva i peli delle braccia drizzarsi e uno strano formicolio alla nuca. Si sentiva quasi oppresso dalla presenza di quel ragazzo - Akaza - ma non era in grado di capire il perché di quelle sensazioni.

La spiegazione più logica, e forse anche la più sensata, riguardava il fatto di avere davanti un perfetto estraneo in un luogo che già di per sé era avvolto dal mistero.

Kyojuro tentò comunque di non mostrare il suo disagio, e continuò invece a sorridere affabile, soprattutto quando Akaza riprese a parlare.

«Non mi sono perso, conosco questo luogo meglio di chiunque altro,» continuò infatti il ragazzo, lanciando uno sguardo verso l' hokura e poi verso uno dei due komainu , quello con la bocca chiusa e la sfera sotto la possente zampa.

Kyojuro si sentì ancora una volta schiacciato dall’aria che si stava facendo sempre pesante, ma provò a nascondere di nuovo quelle sensazioni spiacevoli.

«Davvero? Ammetto che mi sorprende trovare qualcuno qui,» commentò sincero. «Pensavo che nessuno a Yukimura conoscesse questo posto. Quindi, immagino tu sia di Yukimura, giusto?» aggiunse poi.

«Così si può dire,» assentì Akaza scrollando le spalle. «Ormai nessuno a Yukimura si cura di questo posto e della sua storia… ma dimmi , Kyojuro, perché tu sei così interessato?»

Era una domanda molto specifica e che lasciò Rengoku un poco perplesso - tanto quando la familiarità con la quale Akaza lo aveva chiamato per nome.

Come faceva quel ragazzo a essere al corrente del suo interesse?

Tentò di allontanare subito le ipotesi di complotto e provò invece a trovare una spiegazione meno fantasiosa. Se quel ragazzo era originario di Yukimura, era allora possibile che lo avesse visto dirigersi giornalmente nella foresta, e lo stato curato e pulito dell’ hokura lo aveva portato a dare una conclusione ovvia.

«Non dovrei?» ribatté in ogni caso, decidendo di restare sulla difensiva. In fondo stava parlando con uno sconosciuto - per di più scalzo! - , non poteva fidarsi troppo o abbassare la guardia.

«Voglio solo preservare e proteggere questo luogo,» rispose prontamente Akaza e per un momento Kyojuro fu certo di aver visto dei denti particolarmente appuntiti balenare all’interno della sua bocca. «Questo posto è prezioso! »

Nonostante l’aria minacciosa, Rengoku non lesse alcuna menzogna nel tono del ragazzo. Sembrava sinceramente preoccupato per l’ hokura , anche se gli sembrava un po’ da ipocriti parlare di ‘preservare’ quel luogo viste le condizioni nelle quali lo aveva trovato Kyojuro la prima volta. Tuttavia, tenne per sé quelle considerazioni, conscio di non poter trarre conclusioni affrettate.

«Lo comprendo, e ti assicuro che non ho alcuna intenzione maligna. Rispetto Yukinokami e ciò che un tempo ha rappresentato per Yukimura,» assentì tentando, forse inconsciamente, di rassicurare il ragazzo.

«Koyuki,» si inserì subito Akaza senza perdere il suo tono iroso che, all’improvviso, suonò estremamente protettivo alle orecchie di Kyojuro.

«Cosa?»

« Yukinokami non esiste, è una stronzata del Clan Touzaki! La persona sepolta qui sotto si chiama Koyuki, » precisò il ragazzo con una tale sicurezza che Rengoku quasi faticò a tacciare le sue parole come una bugia o invenzione.

«Clan Touzaki… ah, intendi Hina-sama? Effettivamente è stata lei a raccontarmi la leggenda di Yukinokami ,» rispose infatti. «Non è strano che esistano diverse versioni della stessa leggenda.»

«Non esistono altre versioni ,» ringhiò Akaza. «Esiste solo una verità! »

Dal suo tono stizzito e sicuro era chiaro che quel ragazzo non considerasse minimamente l’ipotesi che potesse esistere un’altra verità o leggenda legata a quell’ hokura , e per esperienza Kyojuro sapeva che le leggende cambiavano da fonte a fonte ma che, in fin dei conti, partivano quasi tutte dalla stessa base.

Cercò comunque di non controbattere con tono altrettanto piccato come Akaza e di usare sempre un tono calmo.

«Posso chiederti come fai a esserne così certo?» gli chiese gentilmente.

«Perché so come sono andati i fatti,» ribatté Akaza stringendo i pugni. «E sono qui per dirti la verità,» aggiunse facendo di nuovo correre gli occhi prima sulla statua del komainu e poi sul piccolo santuario. 

Sembrava quasi che stesse cercando il loro permesso.

«Perché… da solo non posso salvarne il ricordo, e qualcuno deve sapere come sono andati realmente i fatti,» concluse con voce leggermente più quieta, e all’improvviso apparve nervoso agli occhi di Kyojuro. Era come se quella verità che Akaza sembrava volergli raccontare a tutti i costi, non potesse essere ascoltata da tutti.

Kyojuro cercò comunque di mostrarsi rassicurante, tenendo in viso il suo sorriso cordiale quasi senza rendersene conto.

«Sono pronto ad ascoltarti allora,» gli disse, e il ragazzo lo guardò serio per qualche momento. Aveva ancora i pugni chiusi, tremanti per il nervosismo.

«Kyojuro, quanto sei familiare con la pratica dell’ hitobashira[17]? » domandò Akaza rompendo il silenzio e scrollandosi quasi di dosso le preoccupazioni che erano sembrate sul punto di bloccarlo fino a qualche attimo prima.

«Intendi… la pratica del passato dove utilizzavano delle persone come fondamenta di luoghi sacri e non?» rispose Kyojuro, comprendendo all’istante ciò che Akaza gli stava per dire.

«Koyuki era una ragazza di Yukimura. Era malata da tempo ed era rimasta orfana. La madre si era affogata nel fiume, perché non riusciva più a reggere il peso della malattia della figlia. Mentre suo padre, per quanto abbia combattuto per proteggerla e trovare un modo per aiutarla, si è dovuto arrendere a sua volta,» esordì il ragazzo, la voce sembrava essere lontana come se stesse ricordando qualcosa che aveva vissuto in prima persona . «Koyuki era rimasta sola, e qualcuno a Yukimura aveva iniziato a vederla come un peso. La città era piccola e povera, Koyuki non poteva lavorare ed era malata. La sua vita ora gravava sulle spalle delle famiglie più abbienti, e per alcuni aveva le ore contate.»

L’aria attorno all’ hokura si era quasi gelata, e non riguardava solo le parole di Akaza ma sembrava aver origine da qualcosa di più profondo. Era come se lo stesso santuario stesse reagendo nel sentire quel racconto.

Kyojuro trattenne inconsciamente il respiro e tentò di convincersi che quelle sensazioni fossero il frutto della sua fervida immaginazione.

«Quale modo migliore per rendere l’esistenza di Koyuki utile al villaggio, e non un peso, se non quella di immolarla come fondamenta della costruzione di un santuario?» commentò Akaza con rabbia e stizza. «Il Clan Touzaki, quei bastardi fanatici religiosi , avevano convinto in questo modo il villaggio a utilizzare il corpo di Koyuki come base sulla quale iniziare a costruire un santuario. Doveva essere il più grande e importante luogo di culto della zona, a detta di quei bastardi… Koyuki non aveva le forze per ribellarsi, era troppo debole e sola per poter impedire a quei maledetti di rinchiuderla in una cassa e seppellirla viva sotto questa stessa terra.»

«Mi… mi dispiace,» mormorò Kyojuro senza pensarci, sentendo l’improvviso bisogno di rassicurare Akaza. L’intensità delle parole del ragazzo fece per un momento dimenticare a Kyojuro di stare ascoltando una leggenda e, soprattutto, una storia che doveva essere accaduta oltre quattro secoli prima.

Il tono di Akaza era così sofferto e iroso da sembrare una ferita ancora aperta, come se quei fatti fossero accaduti pochissimi giorni prima. Una ferita ancora aperta.

Il ragazzo gli rivolse uno sguardo criptico, mostrandosi quasi sorpreso davanti al sussurro di Kyojuro, poi guardò di nuovo la statua del komainu con la bocca chiusa e la sfera sotto la zampa.

Sembrò esitare, poi riprese a parlare qualche attimo dopo.

«Il dolore di Koyuki, la sua paura e la rassegnazione, raggiunsero le anime di due fratelli: due oni di montagna. Per loro ciò che il villaggio aveva fatto a Koyuki era inaccettabile. C’era chi aveva materialmente deciso di sacrificare Koyuki, chi non si era ribellato a quell’ingiustizia e chi invece aveva scelto la via dell’omertà. Ma non loro. I due fratelli non si sarebbero voltati né avrebbero guardato altrove. Avevano già distrutto interi Clan, colpevoli di crimini indicibili, ma mai prima di quel momento sentivano di voler distruggere un intero villaggio per quello che tutti i suoi abitanti avevano fatto a un’innocente,» proseguì Akaza, la rabbia era ancora ben presente nella sua voce. «La stessa natura si era ribellata, unendosi all’ira dei fratelli e per l’ingiustizia subita da Koyuki. I fratelli riuscirono a uccidere la metà del Clan Touzaki, lasciandoli intrappolati nella montagna, dove neve e gelo entravano nei loro polmoni a ogni respiro affannoso, congelandoli dall’interno in un’agonia lenta e dolorosa… e al villaggio pregavano e piangevano. Pochi avevano il coraggio di combattere. In fondo, che cosa potevano fare contro due demoni e la forza della natura? Era una sfida persa in partenza.… ma alla fine fu Koyuki stessa a salvarli.»

«Come?» esalò Kyojuro sentendo letteralmente il cuore in gola e faticando quasi a respirare, come se il gelo dell’inverno che secoli prima era calato su Yukimura fosse entrato nei suoi stessi polmoni.

«Lo spirito di Koyuki emerse dalla terra che l’aveva imprigionata e cullata nella morte e pregò i fratelli di risparmiare Yukimura, perché era la sua casa e la amava ancora nonostante tutto. Koyuki aveva perdonato chi l’aveva uccisa, e i fratelli non riuscirono a ignorare le sue suppliche. Avevano trovato una persona pura, un’umana capace di compassione e gentilezza nonostante i torti subiti… e per questo decisero di impiegare la loro intera esistenza a proteggerla. Era stata privata della vita, e per quello volevano darle l’eternità.»

«E… immagino che gli abitanti di Yukimura abbiano costruito l’ hokura per ricordare colei che li ha salvati…» concluse Kyojuro, riuscendo finalmente a liberare il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento.

«Sì, anche se non l’hanno ricordata a lungo. La storia di Koyuki non ha resistito al tempo, tu stesso hai sentito una storia diversa,» rispose Akaza sempre con tono di rabbia e stizza. «Nessuno ricorda più la verità.»

Rengoku esitò senza riuscire a rispondere su due piedi all’affermazione del ragazzo. Oggettivamente, sapeva di non potersi fidare ciecamente di uno sconosciuto - soprattutto uno scalzo e strano come Akaza. Aveva sentito la leggenda che gli aveva raccontato Hisa, e la donna godeva della sua più totale fiducia, ma l’aver ascoltato Akaza sembrava aver stravolto ogni sua convinzione.

Il ragazzo aveva parlato come se avesse davvero vissuto quei fatti, la sua voce si era realmente tinta di rabbia e dolore, e Kyojuro faticava realmente a considerare quella storia una menzogna, o la diversa versione di una leggenda.

«Ora… ora la conosco anche io, e non la dimenticherò!» dichiarò lasciando che fosse il suo istinto a guidarlo e decidendo di considerare scontate e superflue le mille domande che invece si sarebbe dovuto porre. «Non la dimenticherò, e anzi: ti ringrazio per avermi raccontato la storia di Koyuki!» aggiunse con tono accorato.

Akaza lo guardò sorpreso, e per un momento Kyojuro sentì quasi di aver superato una prova perché la tensione che aveva sentito crescere si era lentamente dissipata e con essa anche il freddo. Gli sembrò infatti che anche il sole avesse ripreso a splendere in quel piccolo spiazzo.

«Sei davvero un tipo strano, Kyojuro,» commentò Akaza mostrandosi sollevato, e quello portò Rengoku a scoppiare a ridere.

«Almeno io non sono scalzo!» ribatté, lasciandosi trasportare dalla leggerezza che aveva appena riacquistato. «Comunque… mi dispiace per davvero che Koyuki sia stata dimenticata per così tanto tempo,» proseguì, decidendo ormai di fidarsi di Akaza.

Rivolse lo sguardo al santuario e al kanji di ‘neve’ parzialmente leggibile. Lasciò scivolare per terra la sua borsa dalla quale poi estrasse gli onigiri che era ormai solito portare con sé come offerta per l’ hokura - ogni giorno sparivano e immaginava fossero gli animali selvatici di quella zona a cibarsene.

«È il ricordo, seppur sbagliato, a mantenerla viva,» commentò Akaza alle sue spalle, e Kyojuro annuì.

«Hemingway una volta ha scritto che Quando viene sepolta, e l'ultima volta che viene pronunciato il suo nome[18] spiegò riponendo gli onigiri sull’altare. «Ora conosco Koyuki e… se con la mia scrittura posso portare anche altre persone a conoscerla e a mantenere il ricordo vivo, allora mi impegnerò per farlo.»

Unì le mani in preghiera e chiuse gli occhi, e finalmente Kyojuro sentì di rivolgersi per davvero a chi proteggeva quel luogo. Forse era solo una sua impressione - e di sensazioni strane ne aveva provate parecchie in quegli ultimi quindici minuti -, ma era la prima volta che sentiva di aver fatto qualcosa di giusto .

Ringraziò Koyuki, e le promise che non l'avrebbe mai dimenticata. Per un momento gli sembrò quasi di aver avvertito una carezza sulla schiena ma pensò fosse il leggero venticello ad averlo sfiorato in quel modo.

«Ma dimmi,» riprese Kyojuro, continuando a guardare l’ hokura con ritrovato entusiasmo e felicità. «Sai anche come si chiamavano i due fratelli demoni? Se hanno deciso di legarsi a lei… potrebbero esserci anche loro qui, giusto? O sto viaggiando troppo con la fantasia?»

«Sì, ci sono anche loro,» rispose Akaza alle sue spalle, la voce però si era fatta improvvisamente distante. «I loro nomi erano Hakuji e… Akaza.»

Kyojuro si voltò di scatto, sorpreso per quell’affermazione e pronto a chiedere ad Akaza di non prenderlo in giro in quel modo, ma i suoi occhi si persero nella foresta.

Era solo.

Si guardò attorno, alzandosi e cercando un qualsiasi segno della presenza del ragazzo che aveva incontrato qualche momento prima, ma era come se non fosse mai esistito.

Lo chiamò, ma solo il silenzio della foresta e un lontano eco della sua stessa voce, rispose al suo richiamo.

Era stato un sogno? O… aveva incontrato uno dei due fratelli?

Sentiva di volersi dare dello stupido anche solo per aver pensato a un’ipotesi simile, ma dall’altra parte quell’incontro era stato tanto surreale quanto reale.

Guardò l’ hokura e infine i due komainu, scorgendo nel collo di una delle due statue la stessa collana che anche Akaza stava indossando. Si umettò le labbra, erano troppe le stranezze per poterle definire delle coincidenze, tuttavia non riuscì a dare voce a quei pensieri e li tenne per sé.

Esitò per qualche momento poi, con la testa piena di domande e risposte che si accumulavano l’una dietro l’altra, riprese la sua borsa e fece un inchino diretto non solo all’ hokura ma anche alle statue dei due komainu.

«Vi ringrazio,» mormorò, per poi avviarsi rapidamente sulla stradina diretta verso Yukimura.

Aveva davvero molto a cui pensare in quel momento, e aveva assolutamente bisogno del suo netbook .

 

・┈・ ༻❆༺ ・┈・

 

«Sei impazzito?»

Hakuji lo aveva afferrato per le spalle e per un momento Akaza pensò che suo fratello fosse sul punto di prenderlo a pugni.

«Non ho fatto nulla di male!» si difese prontamente. «Ero stufo di sentirlo parlare di Yukinokami e di dare retta alle cazzate di quella vecchia mortale del Clan Touzaki!»

La presa di Hakuji si fece più forte e Akaza gli afferrò con forza i polsi per spintonarlo via - se suo fratello voleva litigare, allora lui non si sarebbe tirato indietro.

«Hai reso la tua presenza… reale , per un mortale!» gli ricordò a denti stretti, e Akaza girò gli occhi al cielo.

«E allora? In passato lo facevamo spesso!»

Sapeva di aver compiuto un vero e proprio azzardo, ma aveva seguito Kyojuro per un’intera settimana e aveva visto in lui la stessa purezza e forza d’animo di Koyuki.

Kyojuro, per quanto strano, era davvero speciale ai suoi occhi.

Aveva provato sospetto nei suoi confronti, ma in ogni suo gesto aveva intravisto una gentilezza genuina e senza doppi fini.

Si era presentato ogni giorno all’ hokura e aveva lasciato loro delle offerte, e il fatto che pensasse costantemente a quel luogo e a chi vi risiedeva - anche se con il nome sbagliato - aveva reso un poco più forte anche Koyuki.

Certo, le sue abilità erano ancora ben lontane da quelle di qualche secolo prima, ma era un bel passo in avanti se messo in confronto con gli infiniti decenni di letargia.

Più Akaza lo spiava, più si rendeva conto di aver trovato una persona unica e si era presto convinto di dovergli dire la verità: Kyojuro doveva sapere di Koyuki.

D’altro canto, Kyojuro stava addirittura scrivendo un racconto ispirato alle stronzate che la vecchia Touzaki gli aveva rifilato, e per quanto i secoli fossero ormai trascorsi, il potere della parola scritta non era mai cambiato.

Se Akaza gli avesse raccontato di Koyuki, dell’ingiustizia che la ragazza aveva subito in vita e di come il suo buon cuore aveva salvato la città, allora loro non sarebbero mai finiti nel Reikai.

Non sarebbero stati dimenticati.

«Akaza…»

«Non voglio essere dimenticato,» rispose Akaza guardando poi Koyuki e riuscendo finalmente a far allontanare suo fratello. «Non voglio che lei venga dimenticata… e so che anche tu vuoi lo stesso, Hakuji.»

«E dire che eri tu quello che non voleva fidarsi degli esseri umani,» sospirò alla fine Hakuji dopo qualche momento di esitazione, chiaramente incapace di negare le affermazioni dell’altro yokai .

Koyuki invece ridacchiò per quell’affermazione e affiancò a sua volta i due gemelli.

«Akaza-san non voleva fare nulla di male, ha solo cercato di aiutarci. Ma… è così complicato riabituarsi a essere svegli dopo così tanto tempo, vero Hakuji-san?»

Akaza vide Koyuki stringere la mano di suo fratello e le dita di quest’ultimo intrecciarsi a quelle della ragazza. Quel gesto intimo sembrò rassicurare un poco Hakuji.

«Non è solo quello… ma hai ragione,» ammise Hakuji. «Questo però non cambia il fatto che sia stato avventato! Non doveva mostrarsi all’umano in quel modo per poi sparire di punto in bianco!» ribatté suo fratello guardandolo con rimprovero, ma era chiaro che non fosse più così arrabbiato. Forse era solo preoccupato, era nella sua natura. 

Akaza ridacchiò scrollando le spalle.

«In qualche modo dovevo pur dargli modo di credere alle mie parole e non a quelle della vecchia,» si difese ancora, sogghignando vittorioso quando Koyuki rise ancora. Poterla sentir ridere di nuovo in quel modo era piacevole, e cancellava qualsiasi traccia di dubbio o incertezza riguardante le sue azioni 

«Quindi… che intenzioni hai?»

Akaza sussultò per quella domanda così improvvisa da parte di suo fratello.

«Uhm…» ci pensò per un momento, poi i suoi occhi brillarono di nuovo, esaltati. «Andare a vedere che cosa sta facendo Kyojuro, ovviamente!»

Non arrese alcuna risposta da parte di Hakuji e Koyuki, e con un sorrisetto in viso Akaza si accucciò trasformandosi in gatto. Si stiracchiò per abituarsi a quella forma poi, rapido e agile, iniziò a correre verso Yukimura.

Raggiunse facilmente la casa nella quale alloggiava Kyojuro, e non si sorprese nel vedere un piatto pieno di cibo all’ingresso.

Kyojuro aveva ormai preso in ‘ simpatia’ la sua forma felina, e provava in ogni modo a farsela amica lasciando fuori del cibo e, talvolta, chiamandolo a sé con la mano tesa. Akaza non aveva mai risposto a quei richiami - e un po’ detestava essere chiamato ‘Koneko-chan’ -, ma aveva sempre accettato di buon grado il cibo che gli veniva offerto.

Mangiò infatti il pesce tagliuzzato che gli era stato lasciato e, dopo essersi accuratamente pulito il muso con la zampa, si spostò verso il lato della casa, certo che avrebbe trovato la porta scorrevole del salottino spalancata.

Un altro dettaglio che rendeva strano ma speciale Kyojuro, era il fatto che, nonostante le temperature sempre più basse, si ostinasse a tenere la porta aperta, come se l’arrivo ormai imminente della stagione fredda non lo turbasse poi così tanto.

Forse, ipotizzò muovendo ritmicamente la punta della coda, il fatto che avesse su di sé il colore del fuoco lo rendeva anche più resistente al gelo?

Sogghignando tra sé e sé, Akaza si appostò sul piccolo engawa della casa del Clan Rengoku cercando di rimanere nascosto. La sua testa fece capolino oltre la porta scorrevole e i suoi occhi incontrarono subito l’ormai familiare figura di Kyojuro.

Era seduto per terra, davanti a un piccolo tavolino, e aveva davanti a sé uno strano aggeggio moderno chiamato ‘Netbook’ , o almeno era in quel modo che Kyojuro l’aveva chiamato alcune volte. Lo usava per scrivere, ed era davvero strano visto che non erano presenti né inchiostro né un foglio di pergamena.

Akaza lo osservò per un po’, perdendosi nei tratti concentrati di Kyojuro. In quei momenti, il suo viso assumeva sempre un’espressione diversa . Non sapeva come definirla se non intensa . I suoi occhi fissavano il suo ‘aggeggio per scrivere’ senza mai distogliere lo sguardo, e le labbra si muovevano senza emettere suoni, pronunciando ogni parola che scriveva nella sua testa.

Il ticchettio delle dita che colpivano l’aggeggio era rapido e, in qualche modo, anche rilassante, al punto che Akaza si acciambellò accanto alla porta scorrevole, godendosi i deboli raggi del sole e il rumore della scrittura di Kyojuro.

Socchiuse gli occhi e per un momento pensò di addormentarsi in quella posizione, accompagnato da quei suoni e l’ambiente che, in quei giorni, era ormai diventato familiare, ma la voce di Kyojuro lo bloccò, facendogli drizzare i peli sulla schiena.

« Koneko-chan! Sei tornato a trovarmi!»

Il tono caldo e allegro di Kyojuro lo fece balzare in piedi ed emise istintivamente un verso contrariato per essere stato disturbato in quel modo. Infatti, soffiò subito in direzione dell’umano che rispose con una risata rumorosa ma gentile.

«Non volevo spaventarti, Koneko-chan ,» si scusò. «Hai mangiato?»

Kyojuro continuava a parlargli e, come nei giorni precedenti, continuava a non mostrare alcun imbarazzo per il fatto di aver intavolato una discussione senza uscita con un gatto .

«Oggi mi è successa una cosa assurda, quasi irreale,» raccontò, proseguendo a parlare senza dare peso al resto. «Ho incontrato uno spirito . Uno yokai, immagino e unendo i puntini mi sono quasi convinto che si tratti dell’ oni di montagna che ora risiede nella statua di uno dei due komainu dell’ hokura. »

Akaza, superato l’iniziale stupore per quelle parole, emise un basso miagolio d’assenso - almeno dal suo punto di vista. Non aveva dato quell’informazione a Kyojuro, ed era piacevolmente sorpreso dal fatto che fosse riuscito a comprenderlo da solo.

«Sai… mi ha raccontato la storia di Koyuki, la divinità dell’ hokura … inizialmente non ero poi così convinto all’idea di fidarmi di un perfetto sconosciuto, ma è stato impossibile non credere alle sue parole. Le sentivo reali , non so come spiegarmi…» commentò passandosi una mano tra i capelli. «Poi quando è scomparso di punto in bianco, senza lasciare traccia… mi sono dovuto convincere di aver assistito a qualcosa di soprannaturale.»

Kyojuro ridacchiò e scosse il capo, rivolgendo di nuovo lo sguardo verso Akaza che era rimasto immobile sull’ engawa .

Akaza era curioso, non poteva negarlo. Quell’umano era una continua fonte di sorprese, e trovava interessante e affascinante scoprire le sue idee e il modo nel quale vedeva il mondo. Kyojuro aveva un’ottica così ottimistica di ciò che lo circondava, credeva fermamente nel ‘fare la cosa giusta’ e aiutare le persone, al punto che Akaza non poteva fare a meno di sentirsi attratto da lui.

Non aveva l’istinto di spaccargli la testa, come avrebbe fatto con altri umani in passato perché Kyojuro era sempre più speciale ai suoi occhi.

«Alla luce di tutto questo… ho corretto la bozza del mio romanzo e ho appuntato alcune modifiche da fare… e credo che la storia sia molto più interessante ora,» proseguì l’umano. «Cercherò di introdurre anche la storia di Koyuki e dei due oni, i komainu intendo, che si sono legati a lei. Probabilmente dovrò romanzarla un po’ e renderla fruibile agli scopi di un racconto fantasy storico, ma spero che questo serva ugualmente a non far più dimenticare la sua figura.»

Akaza sentì il petto gonfiarsi di orgoglio e felicità: aveva ottenuto quello che voleva. Sentì un brivido percorrergli l’intero corpo e non riuscì a trattenersi dall’emettere un verso di vittoria che, nella sua forma felina, si tradusse in un alto miagolio che fece ridere Kyojuro.

«Sei felice, Koneko-chan? Anche io lo sono: finalmente dopo tanto tempo sento che sto riuscendo a portare questa storia da qualche parte , e… e sarà importante perché aiuterò Koyuki, Akaza e Hakuji a non essere dimenticati!» spiegò, guardando di nuovo il suo aggeggio per scrivere . «Quindi, voglio approfittarne finché posso, e credo proprio che ora mi rimetterò a scrivere. Tu riposati pure, cercherò di non disturbarti!»

Akaza annuì soddisfatto e si acciambellò di nuovo nell’ engawa ascoltando Kyojuro scrivere come se fosse la cosa più rilassante e naturale al mondo.

 

・┈・ ༻❆༺ ・┈・

 

Una leggera coltre di neve aveva coperto Yukimura nella notte, rendendo la piccola cittadina ancor più magica e simile a una delle città che, di solito, venivano rappresentate nelle cartoline.

La temperatura si era notevolmente abbassata e ormai mancavano due settimane alla fine dell'anno, e mai prima di quel momento Kyojuro si era sentito realmente a casa .

Non che la neve avesse chissà quale legame affettivo per lui, ma la sola idea di iniziare l'anno nuovo a Yukimura gli donava un senso di appartenenza che non aveva mai provato, e che gli riportò alla mente delle parole che pensava di aver dimenticato da tempo.

“I Rengoku appartengono a Yukimura.”

Era stata sua nonna Homura ad aver pronunciato quella frase quando lui era ancora un bambino, e nel suo essere infantile, e anche fin troppo iperattivo, Kyojuro non aveva davvero dato peso a quelle parole. Forse, era rimasta inascoltata, anche la spiegazione del perché i Rengoku appartenessero a quelle terre.

Se proprio doveva essere sincero, non ricordava di aver sentito una motivazione da parte di sua nonna, ma mentre si godeva la sensazione dell'aria fresca e frizzante sulla pelle, Rengoku si ritrovò inconsciamente a dare ragione a quell'affermazione del passato.

Sorrise tra sé e sé, sentendosi addirittura sorpreso da quanto quel semplice mese a Yukimura lo avesse cambiato.

Se avesse dovuto dare una spiegazione, probabilmente, non sarebbe riuscito a trovare le parole esatte ma non si sentiva frustrato da quell'incertezza, perché sotto un certo punto di vista sapeva di dover ringraziare proprio un qualcosa di inspiegabile come fulcro della sua crescita.

L'aver incontrato Akaza, lo yokai che risiedeva all’interno del komainu posto a protezione dell' hokura di Koyuki, lo aveva portato a vedere ciò che lo circondava con occhi diversi.

Credere negli spiriti poteva apparire come infantile e sciocco, ma Kyojuro sentiva invece di aver raggiunto una diversa forma di maturità e consapevolezza. E forse anche per quel motivo aveva iniziato a impegnarsi ancor di più non solo nella stesura del suo romanzo, ma anche nell'essere la miglior versione di sé.

Infatti, aveva iniziato a insinuarsi sempre di più nella vita della piccola città, cercando di rendersi utile e di aiutare il più possibile la comunità.

Si prendeva cura della casa e del piccolo orticello, aiutava gli anziani nelle faccende più pesanti - o anche tecnologiche quando necessario -, e aveva anche iniziato a dare ripetizioni di storia a uno dei figli della vedova Kamado e a due suoi coetanei - i tre ragazzi frequentavano la scuola nella città accanto, ed erano un trio parecchio strano e rumoroso .

A Tokyo, Kyojuro non si era mai sentito parte di qualcosa , ma a Yukimura la sua presenza era importante e sentiva che le sue forze e le energie erano riposte nell'aiutare chi aveva bisogno di una mano.

Era piacevole.

Inspirò di nuovo a pieni polmoni la fresca aria invernale, alzando poi le braccia al cielo per stiracchiarsi e iniziare la sua giornata.

Al contrario delle altre mattine, quel giorno non si sarebbe potuto recare all' hokura . Per quanto Kyojuro si sentisse ormai un esperto nel raggiungere il piccolo santuario, non era così sciocco da voler affrontare le stradine sterrate subito dopo la nevicata notturna. Era probabile che il terreno fosse diventato viscido o ghiacciato, e non voleva rischiare di farsi male in quel modo.

Gli dispiaceva rinunciare alla sua routine quotidiana ma era altrettanto certo che sarebbe tornato presto al santuario di Koyuki. Doveva solo pazientare.

Mise le mani sui fianchi, osservando ancora una volta i tetti a spiovente delle case tinti di bianco, poi decise di tornare dentro la sua abitazione, socchiudendo la porta scorrevole alle sue spalle - lasciava sempre la porta un po’ aperta per far entrare i profumi e i suoni di Yukimura.

Si sistemò davanti al kotatsu[19] - non ne utilizzava uno da anni ormai - e prese il suo computer portatile per rileggere ciò che aveva scritto in quelle settimane.

Era incredibile come i suoi piani fossero mutati nettamente dal suo arrivo a Yukimura fino a quel momento. Inizialmente la storia era ambientata nell’Era Sengoku e raccontava la storia di un samurai che aveva dovuto affrontare l’invidia del fratello gemello e il tradimento di quest’ultimo che, pur di diventare più forte, aveva ceduto la sua anima al Re dei Demoni. Si trattava di un prequel del suo primo romanzo, e per quanto gli sembrasse ancora una buona idea - l’avrebbe sicuramente sfruttata in futuro -, gli eventi lo avevano portato a mutare la trama fino a iniziarne una del tutto nuova.

Aveva creato il personaggio di un giovane ragazzino che, perdendosi nella montagna, entrava in quello che avrebbe potuto definire una sorta di regno degli spiriti , un mondo parallelo abitato dalle creature del folclore giapponese.

Lì, il ragazzino avrebbe incontrato Koyuki e i suoi due guardiani, e sarebbero stati loro ad accompagnarlo lungo tutto il suo cammino, aiutandolo a superare le innumerevoli prove per venire liberato dal regno degli spiriti .

Era ancora un’idea un po’ grezza sapeva di dover delineare ancora bene il viaggio dell’eroe , ma quello non gli aveva impedito di scrivere già alcuni pezzi che avrebbe voluto sicuramente inserire nella storia.

Iniziò quindi a rileggere i suoi appunti, ma le sue attenzioni finirono per spostarsi altrove quando, con la coda dell’occhio, scorse la familiare figura del gatto che ormai stazionava ogni giorno fuori dalla sua casa e che, ostinato, lo seguiva ovunque senza però farsi mai avvicinare.

Era diventato una sorta di silenzioso compagno, con il quale Rengoku amava chiacchierare.

L’animale si era fermato davanti alla porta rimasta socchiusa, sedendosi elegantemente sull’ engawa . I suoi grandi occhi gialli lo fissavano confusi, come se non si aspettasse di vederlo ancora lì.

«Koneko-chan!» lo accolse Kyojuro con tono allegro. «Vuoi entrare dentro? Fuori fa freddo!»

Il gatto inclinò il capo e sembrò quasi arricciare il naso nel sentire quella proposta, poi con passo attento e sospetto, scivolò oltre la porta scorrevole, guardandosi attorno con fare diffidente.

Rengoku rimase immobile, sorpreso dalla risposta del gatto e trattenne quasi il respiro nel vederlo muoversi all’interno del piccolo salottino con crescente sicurezza.

Stava chiaramente studiando l’ambiente a lui sconosciuto. Non c’erano pericoli all’interno della casa e sicuramente si stava anche abituando alla temperatura sicuramente più calda e piacevole di quella esterna.

Infatti, dopo quel momento di esplorazione, il gatto balzò sopra il tavolo kotatsu , sedendosi dalla parte opposta di fronte a Kyojuro, guardandolo dritto negli occhi.

«Benvenuto, Koneko-chan,» commentò Rengoku, divertito dalle azioni dell’animale ma anche sorpreso. Era la prima volta che lo vedeva così da vicino. Aveva un musetto delicato e le striature scure che spiccavano sulla sua peluria scura sembravano seguire uno schema ben preciso e speculare. Poi c’era anche il suo strano collare fatto da perle rosse che rimaneva per Kyojuro un vero e proprio mistero, e che lo portò a interrogarsi ancora una volta sulla provenienza dell’animale.

Continuava ad escludere che fosse un gatto domestico, ma dall’altra parte non poteva neanche dare per scontato che non ci fossero altre persone affezionate a lui. I gatti, quando volevano, sapevano essere opportunisti ed era quindi probabile che ci fosse qualcun’altro che si stava prendendo cura dell’animale, al punto di mettergli addosso quello strano collare.

Rimaneva l’incognita su chi si stesse occupando del felino, e anche se Rengoku conosceva ormai tutti a Yukimura, non era di certo andato casa per casa a chiedere: “Questo è il vostro gatto?”

Il gatto, comunque, miagolò per attirare la sua attenzione. La coda aveva iniziato a sbattere con impazienza sul tavolo, e Kyojuro intuì che stava cercando di comunicare con lui.

«Lo sai, vero, che non posso capirti. Giusto?» scherzò. «Forse hai fame?»

L’animale soffiò e balzò verso la porta scorrevole ancora socchiusa e si fermò davanti ad essa, e Rengoku riuscì in quel modo a capire quali fossero le intenzioni del gatto - o almeno a interpretarle.

«No, oggi non vado a passeggiare nella foresta,» gli spiegò, restando però sorpreso da quanto quell’animale fosse intelligente… o comunque abitudinario.

La loro routine giornaliera iniziava proprio con la loro scampagnata verso l’ hokura, nel quale Kyojuro scriveva o prendeva appunti dopo aver dato da mangiare al gatto.

Forse l’animale voleva davvero mangiare e si aspettava di farlo, come ogni giorno, al piccolo santuario.

Rengoku quindi si alzò e prese il riso bollito con un po’ di pesce che era ormai solito preparare per il felino.

«Con la neve è pericoloso per me avventurarmi per quel sentiero,» spiegò ad alta voce, mettendo il riso su un piattino. «Vorrei andarci, ma non voglio rischiare di farmi male e di non poter più andare per chissà quanto tempo, quindi… puoi mangiare qui se vuoi.»

L’animale sembrò ascoltarlo e soppesare le sue parole, e dopo aver ignorato totalmente il cibo, tornò ad accomodarsi con un balzo sul tavolo kotatsu . Si sedette davanti al portatile di Kyojuro, che non poté fare a meno di ridacchiare e si avvicinarsi lentamente per poter riprendere il suo posto.

«Non hai fame?» gli chiese, sedendosi senza fare movimenti bruschi.

Era ormai vicinissimo al gatto e gli sarebbe bastato solo allungare la mano per accarezzargli il dorso.

«Che dici?» proseguì incerto, sollevando la mano, con il palmo rivolto verso l’alto, per mostrarla al felino e dimostrare l’assenza di cattive intenzioni. «Siamo abbastanza amici ora? Posso accarezzarti?»

Tentò la fortuna e allungò le dita sulla schiena dell’animale che, con sua sorpresa, non si mosse.

Kyojuro sentì subito un brivido di felicità percorrerlo da capo a piedi e, sorridendo per essere riuscito finalmente ad accarezzare il gatto, fece affondare delicatamente i polpastrelli nella morbida peluria dell’animale, percorrendogli la schiena lentamente fino alla base della coda e così via.

Il gatto non si sottrasse e anzi, iniziò a spingersi affettuosamente verso di lui e a fare delle rumorose fusa che Rengoku poteva sentire anche attraverso le dita.

Gli grattò affettuosamente la testa e a malapena riuscì a trattenersi dall’emettere un verso adorante nell’osservare l’espressione beata del gatto.

«Vedo che le coccole ti piacciono,» riuscì a commentare e rise di cuore quando l’animale gli balzò tra le gambe, acciambellandosi su di esse con fare palesemente compiaciuto.

Kyojuro lo accarezzò per qualche altro minuto poi, facendosi cullare dalle fusa del gatto e dal calore che stava emettendo, riportò lo sguardo sullo schermo del suo portatile per riprendere a lavorare a quel progetto che stava diventando sempre più importante per lui.

 

・┈・ ༻❆༺ ・┈・

 

La pioggia non sembrava essere intenzionata a diminuire, e lo strepito dei tuoni in lontananza non era promettente.

Alle volte qualche fulmine, che si abbatteva oltre la foresta, illuminava vagamente i profili degli alberi della boscaglia, ma dopo quel brevissimo istante la notte riprendeva a coprire con il suo velo l’intera foresta di Yukimura.

L’inverno, dopo la prima nevicata di qualche tempo prima, aveva ormai abbracciato i territori di Yukimura e il poter di nuovo assistere al cambio di stagione, dopo i due secoli trascorsi in letargo, riempiva Akaza di energie.

Infatti, con occhi attenti, abituati a vedere nell’oscurità, osservava quasi incantato ciò che lo circondava, ascoltando tutti i rumori e lasciandosi cullare dai profumi che emergevano dal terreno bagnato.

Aveva trovato riparo, insieme a suo fratello e a Koyuki, all’interno di un albero cavo non distante dall’ hokura, e anche se in genere non avrebbero avuto bisogno di un rifugio dalla pioggia, tutti e tre sentivano la necessità fisica di sentire sulla loro stessa pelle ogni mutamento stagionale.

In quanto spiriti , si sarebbero potuti riparare all’interno dei loro monumenti in pietra, assumendo la loro forma spirituale se proprio avessero avvertito l’esigenza di nascondersi dalle intemperie, ma da quando erano stati liberati avevano preferito vagare per la foresta o con i loro corpi o sotto forma di animali, come in quel momento.

Erano tutti e tre schiacciati in un caldo abbraccio all’interno dell’albero cavo. Koyuki, l’unica a non avere la capacità di mutare in animale, giaceva con la schiena appoggiata contro il tronco. Con le dita percorreva lentamente il pelo nero della forma canina assunta da Hakuji che, completamente rilassato, giaceva con la parte superiore del busto sulle gambe della ragazza.

Akaza si era accucciato vicino alle ginocchia piegate di Koyuki, ma per quanto la vicinanza dei due fosse piacevole e familiare , tutte le sue attenzioni erano rivolte verso l’esterno.

Rumori e profumi lo attraevano, ma più di ogni altra cosa si sentiva richiamato attratto dalla città… o meglio: da Kyojuro.

Era stata la prima nevicata dell’anno ad aver spinto Akaza ad avvicinarsi ulteriormente all’umano, e per quanto sarebbe stato semplice negarlo, Akaza aveva trovato semplice e piacevole la sensazione della mano di Kyojuro sul suo corpo in forma animale.

Era una mano forte e ruvida, piena di calli e qualche graffio, ma al tempo stesso era gentile e calda: fatta per proteggere. E da quel punto in poi aveva passato intere giornate accoccolato sulle gambe dell’umano, a bearsi del suo calore e ad ascoltarlo scrivere.

Akaza sapeva che quella era un’abitudine che non si sarebbe mai dovuto prendere, ma non era mai stato noto per essere in grado di seguire gli ordini.

«Oggi non vai dal tuo umano?»

Il tono ironico di Hakuji costrinse Akaza a drizzare le orecchie e a sollevare il capo per rivolgersi verso suo fratello.

«Perché dovrei?» ribatté prontamente, mettendosi subito sulla difensiva.

«Ci vai ogni giorno,» rispose Hakuji quasi con sdegno, spostando leggermente la testa per permettere a Koyuki di accarezzarlo sotto il muso.

«Perché così lascio te e Koyuki da soli,» esclamò, lanciando poi un’occhiata disgustata alla coda del fratello che si stava muovendo rapida. «E non ti vedo scodinzolare come un cagnolino eccitato ! Sei disgustoso!»

«Non iniziate a discutere,» li riprese prontamente Koyuki, bloccando sul nascere qualsiasi ritorsione da parte dei due gemelli.

Quasi infantilmente Akaza pensò per un momento di lamentarsi e di borbottare un “Ha iniziato lui!”, ma riuscì a trattenersi, preferendo invece infastidire Hakuji in un altro modo.

Con un sorriso sornione, andò infatti a sfregarsi contro la gamba di Koyuki, e emettendo delle alte e rumorose fusa che fecero ridacchiare la ragazza.

Trovò una posizione più comoda in quel suo sfregarsi contro Koyuki, e infine rivolse di nuovo lo sguardo verso l’esterno, dove la pioggia continuava a cadere incessante e forte.

«A ogni modo… oggi Kyojuro non è a casa: il Clan Kamado l’ha invitato da qualche parte, una festa per una delle loro figlie. Non ho prestato molta attenzione,» spiegò.

Onestamente parlando, fosse stato per Akaza, lui sarebbe rimasto all’interno della casa di Kyojuro. Lo avrebbe atteso e avrebbe mangiato quello che l’uomo era solito preparargli - bisogno di cibo o meno, gli piaceva assaporare tutti quei gusti alle volte nuovi -, ma dall’altra parte aveva anche sentito il bisogno di separarsi da Kyojuro.

Gli erano bastate poche settimane per iniziare a sentirsi dipendente dall’umano ed era consapevole di quanto quel legame potesse diventare un problema nel futuro.

Perché Kyojuro se ne sarebbe andato presto da Yukimura.

Solo il giorno prima lo aveva sentito parlare mentre utilizzava un altro dei suoi strani aggeggi, dal quale usciva la voce di un’altra persona, e dire: “Tornerò a casa prima di maggio.”

Akaza durante quel brevissimo mese, aveva dato per scontato che quella di Yukimura fosse la casa di Kyojuro e che, soprattutto, sarebbe rimasto lì… ma si era sbagliato.

Aveva provato subito rabbia e una strana sensazione di tradimento nell’apprendere quella notizia. Aveva lasciato la casa di Kyojuro velocemente, sfogando nella corsa quelle emozioni negative che non avevano ragione di esistere… ma alla fine, Akaza era dovuto scendere a patti con il fatto che lui non possedeva Kyojuro, non poteva costringerlo a stare a Yukimura con lui .

Anche se aveva più volte paragonato Kyojuro a Koyuki, e soprattutto al legame che legava la ragazza a suo fratello, era anche tristemente consapevole del fatto che non ci sarebbe stato alcun futuro con il suo umano .

Sospirò e posò il muso contro le zampe, guardando ancora il paesaggio al di là del loro rifugio, sentendosi quasi privato delle energie che lo avevano investito fino a quel momento.

Doveva iniziare a mettere un po’ di distanza tra loro. Probabilmente Kyojuro se ne sarebbe fatto rapidamente una ragione, in fondo ai suoi occhi Akaza era solo un gatto, ma per lo yokai non sarebbe stato così semplice.

“Difficile, ma non impossibile,” si diceva in quei momenti, aggrappandosi alla certezza che sarebbe riuscito a superare anche quell’ostacolo.

La mano di Koyuki raggiunse la sua testa, grattandolo tra le orecchie. La ragazza non gli disse nulla ma nelle sue carezze Akaza avvertì una silenziosa comprensione che, in un certo qual modo, riuscì a placare l’ansia che stava provando più delle parole che lui stesso stava ripetendo incessantemente nella sua mente.

Cercò di rilassarsi, affidandosi alla sicurezza che sentiva provenire da Koyuki.

Per secoli non aveva avuto bisogno d’altro che di quello: della sua famiglia. Anche se Kyojuro li aveva aiutati a non essere dimenticati, le loro strade non erano destinate a rimanere incrociate per sempre, d’altro canto era solo un umano .

Chiuse gli occhi, ma qualcosa di lontano lo fece irrigidire portandolo a sgranarli di nuovo.

Una sensazione di nausea e di dolore gli fece quasi aver voglia di vomitare, e la certezza che qualcuno - Kyojuro! - fosse in pericolo lo costrinse in piedi.

«Akaza? Va tutto bene?» gli chiese Koyuki, sorpresa dal suo atteggiamento.

 «Magari ha cambiato idea e vuole tornare dal suo umano,» borbottò Hakuji.

Akaza però non rispose e si mostro sordo a tutte le domande che gli altri due spiriti gli stavano rivolgendo. Era successo qualcosa, qualcosa di terribile.

Senza pensarci due volte si lanciò sotto la pioggia, abbandonando il nascondiglio.

Non sapeva da dove provenisse quella sensazione, ma sapeva di doversi muovere.

 

・┈・ ༻❆༺ ・┈・

 

Kyojuro, in quel preciso istante, non sapeva esattamente che cosa fosse accaduto.

Sentiva solamente la nuca pulsare dolorosamente, come se tutto il sangue stesse fluendo verso quello stesso punto, e un insopportabile fischio che lo stava assordando.

Non riusciva ad aprire gli occhi, e sentiva il corpo pensante e quasi affaticato.

Cercò di fare mente locale e ricordò di aver passato la serata dai Kamado, per la festa di compleanno Nezuko. Da lì poi, era tornato a casa sua sotto la pioggia battente che, a detta delle previsioni meteo, sarebbe durata fino all’indomani mattina.

Faceva freddo, e a causa del temporale, la neve che aveva ricoperto Yukimura aveva iniziato a sciogliersi, lasciando dietro di sé solo il terreno viscido e bagnato.

Una volta a casa, si era assicurato che non ci fossero infiltrazioni d’acqua nel tetto della vecchia kayabuki dei nonni, per poi cercare e chiamare il gatto che, in quelle ultime settimane, aveva iniziato a vivere con lui.

Ricordava che l’animale era corso via il giorno prima, saltando oltre il muretto che recintava la sua proprietà, e da quel momento non si era fatto rivedere. E anche se Kyojuro difficilmente poteva considerarlo ‘il suo gatto’ , non era stato in grado di nascondere la sua preoccupazione. Si era affezionato all’animale, e quella pioggia così forte non aveva fatto altro se non aumentare la sua inquietudine.

Aveva cercato di convincersi che l’animale avesse trovato un rifugio - probabilmente dalla famiglia che gli aveva messo il collare in perle -, ma il nervosismo e l’incertezza erano rimasti ben presenti a torcergli lo stomaco come un tarlo insistente.

A quel punto, era certo di essersi preparato una tisana rilassante per andare a dormire ma, ancor prima di poterla sorseggiare, un improvviso fulmine, seguito dal forte rumore di un tuono, aveva fatto cadere la casa nell’oscurità.

Aveva usato la torcia del cellulare per muoversi all’interno della casa e aveva notato che la corrente elettrica sembrava assente anche nelle altre case di Yukimura.

Un blackout probabilmente.

Normalmente Kyojuro non si sarebbe preoccupato - probabilmente il fulmine aveva causato un guasto che sarebbe stato sistemato durante la mattina -, ma ricordava di aver di nuovo sentito lo stomaco stringersi per la preoccupazione e di aver guardato con ansia i lampi illuminare i profili delle case di Yukimura.

Lì aveva fatto una cavolata. Aveva preso il suo impermeabile e, torcia alla mano, era uscito fuori dalla sicurezza della sua casa per affrontare il temporale e chiamare a gran voce il gatto.

Aveva urlato, cercando di superare il rumore dei tuoni, e aveva preso la strada per l' hokura .

E quella era stata la sua seconda cavolata, realizzò Kyojuro avvertendo un leggero formicolio alle dita.

Aveva seguito il sentiero perché molte volte aveva trovato il gatto nascosto nei pressi dell' hokura e inconsciamente aveva pensato di trovarlo lì, impaurito dalla forza del temporale.

"Ma non sono neanche arrivato al santuario," si disse, aggrottando le sopracciglia e sentendo subito una nuova fitta di dolore per quella smorfia.

Sapeva di essere arrivato nei pressi del fiume, lì aveva sentito la terra mancargli da sotto i piedi, un forte dolore alla nuca - che aveva tutt'ora - e infine il buio .

Anche in quel momento Kyojuro era avvolto dell'oscurità ma, al contrario della prima, sapeva che era dovuto ai suoi occhi chiusi e che non riusciva ancora ad aprire.

Si sentiva abbastanza lucido da potersi ritenere sveglio, ma al tempo stesso le sensazioni provate dal suo corpo erano simili al sonno. Forse stava sognando? Oppure era sveglio?

«… attenzione… la testa…»

Una voce lontana, frammentata, sembrò aprire un piccolo varco nella confusione che Kyojuro stava vivendo.

Conosceva quella voce e cercò di raggiungerla come se fosse l'unico modo per svegliarsi davvero.

«… cercando di curarlo… calmo…»

Qualcun'altro aveva iniziato a parlare, questa volta sconosciuta a Rengoku, ma quello non gli impedì di continuare a inseguire la via che si quelle voci stavano aprendo per lui.

«Sta sanguinando…»

Il tono della prima voce era preoccupato e agitato, ma iniziò a suonare più chiaro alle orecchie di Kyojuro.

«Lo vedo anche io Akaza!» ribatté con tono adirato la seconda voce, ma Kyojuro afferrò realmente solo l'ultima parola.

Akaza .

Era il nome dello spirito dell' hokura .

Cercò di sforzarsi e di riaprire gli occhi pur di avere conferma di quanto stava sentendo, ma a malapena fu in grado di sollevare le ciglia, riuscendo solo a vedere vaghe figure sfocate

«Lascia fare a me Hakuji!»

«Sei troppo agitato!»

Le due voci stavano battibeccando, e Kyojuro, continuando a tenere gli occhi faticosamente socchiusi, riuscì a distinguere dei capelli neri di una persona vicina a lui e anche ad avvertire delle mani che lo tenevano saldamente per la testa, come per impedirgli di muoversi da quella posizione.

«Non arriveranno mai i soccorsi con questo tempo…»

Una terza voce, questa volta femminile, si aggiunse alle prime due. Anche lei sembrava preoccupata tanto quanto Akaza, e pur nella confusione Rengoku trovò facile associare dei veri nomi a quelle voci.

«Non intendo farlo morire!» esclamò Akaza.

«Il trauma cervicale può essere grave, ed è un umano,» proseguì invece quello che per Kyojuro era Hakuji, l'altro yokai e fratello di Akaza.

«Allora dobbiamo tenerlo in vita fino a quando non arrivano i soccorsi!» insistette Akaza, e per un momento Kyojuro vide lampeggiare la collana di perle rossa che lo spirito portava al collo. Era sfocata, perché non riusciva ancora ad aprire del tutto gli occhi, ma era lì.

«C’è quello strano aggeggio! Da lì escono le voci delle persone! Kyojuro lo usa per parlare! O posso andare a prendere il ragazzino del Clan Kamado che gli gira sempre attorno!» continuò Akaza ancor più agitato.

«Non dire stronzate!»

«Io… non lo faccio da tanto… ma potrei provare a curarlo…» si intromise l'ultima voce, quella femminile, e che doveva appartenere a Koyuki.

«No, Koyuki! Non hai abbastanza forze! Non devi affaticarti! Non abbiamo più i poteri di un tempo!» ribatté Hakuji nervoso.

«Vuoi davvero lasciarlo morire?! Dopo quello che ha fatto per noi?» insistetté Akaza e alle orecchie di Kyojuro giunse quasi il rumore di una breve colluttazione che si placò sul nascere quando Koyuki riprese la parola.

«Hakuji-san… ho promesso che avrei aiutato le persone quando sono diventata immortale, non posso venir meno alla mia parola e rinnegare il dono che mi è stato fatto…»

La voce di Koyuki era dolce e preoccupata, ma al tempo stesso talmente risoluta da trasmettere a Rengoku un'immensa pace.

«Koyuki…»

Una mano si posò sui suoi occhi socchiusi. Era fredda e morbida, delicata come la prima neve dell'inverno.

«Non ti preoccupare, Rengoku-san, andrà tutto bene,» mormorò Koyuki, e Kyojuro si sentì al sicuro, avvolto da una sensazione piacevole e rassicurante.

Sospirò quasi senza rendersene conto, lasciando scivolare via qualsiasi accenno di dolore o di pesantezza. La testa non pulsava più, e il fischio che lo aveva stordito era scomparso.

Stava bene .

Infatti, senza nessun problema, riuscì finalmente ad aprire gli occhi, scoprendo il soffitto della sua camera da letto illuminato dalla luce del giorno che penetrava dalle porte scorrevoli.

Nonostante la sensazione di benessere, Kyojuro non poté non sentirsi confuso dalla sua improvvisa lucidità e dal luogo nel quale si trovava.

Sapeva di essere uscito, sotto il temporale, per cercare il gatto ed era certo che, a causa della pioggia e del terreno fangoso, la sua ricerca si fosse interrotta con uno scivolone nei pressi del fiume.

Dava per scontato di aver sbattuto la testa, e quello che era successo dopo era un mistero.

Qualcuno doveva averlo soccorso, visto che in quel momento si trovava a casa sua. Ma chi?

Lì per lì pensò ai Kamado, erano la spiegazione più logica anche se priva di fondamenta, perché sicuramente sentiva di non voler dare retta al sogno che aveva fatto.

Aveva sognato di essere salvato e curato dagli spiriti dell' hokura . Li aveva sentiti battibeccare e, alla fine, era stata la stessa Koyuki a curarlo.

“Era solo un sogno, però…” si disse, leccandosi le labbra secche.

Non poteva essere successo per davvero, ma al tempo stesso gli sembrava reale come l'incontro che aveva avuto con Akaza settimane prima.

Quel mistero lo infastidiva e gli lasciava addosso una sensazione di incertezza che non riusciva ad allontanare… e, di certo, stando lì disteso non avrebbe ottenuto alcuna risposta.

Puntellò i gomiti per terra per sollevarsi, ma appena cercò di compiere quel movimento sentì in soffiò minaccioso proveniente dalla sua destra e che lo costrinse a girare il capo.

Il gatto era lì, con il suo collare in perle, e gli occhi ridotti a delle fessure minacciose.

«Koneko-chan … sei tornato,» mormorò accennando un sorriso sollevato, che divenne una smorfia quando l'animale gli balzò in petto per costringerlo a stare disteso.

Era un atteggiamento strano, ma Kyojuro si era in parte abituato alle stranezze del gatto che, in quel momento, sembrava volergli ordinare di stare disteso.

Rengoku sospirò e alzò solo una mano per poter accarezzare il capo dell'animale.

«Mi hai fatto preoccupare ieri…» mormorò facendo scorrere i polpastrelli sotto il mento del gatto. I suoi occhi erano tornati sul soffitto, cercando ancora una volta di comprendere che cosa gli fosse accaduto in quelle ultime ore.

La logica gli ripeteva di aver sognato quello che gli era accaduto, ma al tempo stesso gli sembrava tutto troppo reale per essere solo frutto della sua immaginazione.

Sospirò e continuò ad accarezzare il gatto, spostando le dita sulla testa dell'animale e poi sul dorso, sfiorando distrattamente il collare del gatto a ogni movimento.

Le perle rosse erano lisce e fresche, e pur senza guardarle direttamente Kyojuro le visualizzò nella sua mente.

Lo aveva sempre pensato, ma somigliavano a una collana buddista, un po' come quella che indossava Akaza, sia nella forma umana con la quale l'aveva incontrato che nella statua da komainu .

Quel filo di pensieri si scontrò però con una considerazione che Kyojuro registrò subito come folle e sciocca: il gatto, poteva essere Akaza?

Non aveva senso. Solo perché entrambi avevano una collana, o collare, simile non significava che fossero la stessa entità.

Ma dall'altra parte Kyojuro aveva iniziato a credere nel soprannaturale, e nel folclore giapponese esistevano diversi yokai in grado di mutare il proprio corpo in quello di un animale.

Sollevò il capo e osservò il muso del gatto, dandosi subito dello stupido per aver anche solo elaborato quel pensiero.

Eppure…

«Akaza?»

Non riuscì a trattenersi dal pronunciare quel nome, diretto al gatto. Si sentì un idiota, subito pronto a lasciar perdere quell'ipotesi e il fatto di essere stato salvato proprio dai tre spiriti - dovevano essere stati i Kamado, era davvero l'unica spiegazione logica .

Tuttavia, l'animale che fino a quel momento aveva fatto delle fusa, sembrò irrigidirsi e Kyojuro lesse confusione nelle sue iridi gialle - erano molto più espressive di quelle di un normale gatto .

La reazione del gatto lo spiazzò, e con tono sempre incerto - e anche un poco incredulo, non tanto per la situazione ma per ciò che stava facendo - Kyojuro pronunciò di nuovo il nome dello spirito.

«Akaza… sei tu, vero?»

Il peso del gatto, seduto sul suo corpo, mutò in modo talmente rapido da non lasciare a Rengoku neanche il tempo di ridere per la sua stupidità. Il corpo minuto dell'animale divenne improvvisamente più grande e ingombrante, strandormandosi quello di un umano .

«Akaza…» esalò, onestamente sorpreso dal fatto che lo spirito di uno dei komainu fosse seduto sul suo stomaco, dove neanche qualche attimo prima vi era il gatto.

L'aveva preso in considerazione, ma non aveva realmente pensato che potesse essere la verità.

Akaza lo stava guardando sorpreso ma anche vagamente arrabbiato, e non sembrava avere l'intenzione di sollevarsi.

«Lasciamo perdere i convenevoli,» tagliò corto Akaza, con tono nervoso. «Come stai, Kyojuro?»

Rengoku esitò, continuando a fissare lo yokai sopra di lui come se avesse effettivamente visto un fantasma .

Era diverso dal loro primo incontro. Poteva definirlo umano solo per la forma del corpo, ma l'abbigliamento, insieme alla coda e alle orecchie da animale, lo rendevano diverso . Non riusciva a smettere di guardarlo, e stava faticando a mettere in ordine i pensieri e le parole che avrebbe voluto pronunciare in quel momento.

«Rispondi!» esclamò Akaza mostrando i denti appuntiti, e Kyojuro fu costretto a riprendere per quanto possibile il controllo della sua mente, riportandola al presente.

«Bene… credo?» rispose, senza nascondere la sua incertezza.

Il sollievo che attraversò le iridi ambrate dello yokai durò poco.

«Che cosa ti è saltato in mente ieri notte? Uscire con quel cazzo di tempo!» lo aggredì Akaza. «Per un po' di neve ti sei rifiutato di andare al santuario e invece durante il temporale, e in piena notte, hai iniziato a vagare per quella merda di foresta?!»

Era un rimprovero più che giustificato, e Kyojuro non trovò nulla per controbattere a tono. Sapeva benissimo di aver fatto un'azione stupida che gli sarebbe potuta costare cara se non fosse stato per Akaza e gli altri spiriti - ormai non poteva evitare di credere a ciò che era successo.

«Grazie per avermi salvato,» rispose infatti, piegando le labbra in un sorriso imbarazzato.

Akaza alzò gli occhi al cielo - un po' come faceva anche da gatto.

«Non cambiare discorso! Potevi morire, Kyojuro!»

«Ero preoccupato per te…» ammise Rengoku.

«Per me?!»

L'incredulità di Akaza fece quasi sentire a disagio Kyojuro per la sua idiozia, ma quello non lo fermò dal continuare a parlare.

«Pioveva, c'era un blackout e non eri a casa,» spiegò facendo poi un vago cenno con la mano e indicando le orecchie da animale che spuntavano tra i capelli rosa dello yokai. «Quando eri un gatto, intendo!»

Akaza rimase bloccato, ancor più incredulo per quell'affermazione.

«Eri preoccupato per un gatto? » ripeté lentamente, e Rengoku annuì, mostrandosi imbarazzato per l'assurdità di quella situazione. Akaza rimase in silenzio per qualche momento poi, scoppiò a ridere.

«Sei… davvero unico, Kyojuro!» dichiarò lo spirito, mostrandosi leggermente più rilassato. «Hai rischiato davvero grosso… se non fosse stato per Koyuki, non so che cosa sarebbe potuto succedere...»

Kyojuro prese un lungo respiro: Akaza aveva ragione.

Aveva sbattuto la testa e le conseguenze per un incidente simile erano imprevedibili. Poteva cavarsela con un bernoccolo nel migliore dei casi, oppure rimanere paralizzato… o peggio.

«Ti ringrazio davvero, Akaza. E ringrazio anche Koyuki e Hakuji,» commentò con tono serio.

Akaza gli puntò l'indice contro il naso, piegandosi verso di lui con una smorfia seria e un po' minacciosa.

«Non farlo mai più,» dichiarò. «Se tu morissi, il ricordo di Koyuki svanirebbe e hai promesso di non dimenticarla.»

«Non lo farò, promesso!» rispose subito Kyojuro. 

Lo spirito emise un verso soddisfatto muovendo un poco la coda come se fosse sul punto di scodinzolare.

Rengoku si permise di osservarlo ancora un po' e fu quasi tentato dall'allungare la mano sulle orecchie da animale di Akaza per vedere se la peluria era morbida come sembrava, ma alla fine riuscì a trattenersi.

«Intendi… stare sul mio stomaco ancora per molto?» gli chiese però, e lo yokai perse per un momento tutta la sua baldanza, mostrandosi imbarazzato per la posizione nella quale si erano trovati.

Si spostò subito, permettendo a Kyojuro di sedersi e di stiracchiarsi.

«Non devi affaticarti, i poteri di Koyuki non sono forti come un tempo e potresti avere dei capogiri anche se ti ha guarito,» spiegò Akaza restando accanto a lui come per assicurarsi che stesse effettivamente bene.

«Cercherò di non esagerare,» annuì Rengoku, rivolgendogli un sorriso grato che fece balenare negli occhi dello yokai un po' di confusione, come se si fosse improvvisamente reso conto di un dettaglio che gli era sfuggito fino a quel preciso istante.

«Stai prendendo… stranamente bene tutto questo. Yokai , gatti che si trasformano, guarigioni miracolose…»

Kyojuro aprì bocca per controbattere, poi scoppiò a ridere.

«Hai ragione! Dovrei dare di matto, vero?»

Anche lo spirito si unì alla sua risata ripetendo la frase con la quale l’aveva apostrofato durante il loro primo incontro: «Sei davvero un tipo strano, Kyojuro.»

«Non sono io quello con orecchie e coda da animale, Koneko-chan!»

 

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Era normale per Akaza litigare con Hakuji.

Per quanto i loro obiettivi fossero sempre stati gli stessi, avevano due caratteri diametralmente opposti. Riuscivano ad andare d’accordo per le cose importanti , ma quando si trattava di sciocchezze erano sempre pronti a saltarsi al collo - come qualsiasi altra coppia di fratelli.

Tuttavia, quella era la prima volta che l’argomento del loro litigio riguardava gli esseri umani, o meglio: riguardava Kyojuro.

Erano trascorsi quattro giorni dall’incidente di Kyojuro, e dall'ultima volta che Akaza aveva rivolto la parola a suo fratello.

Hakuji si era quasi mostrato contrario ad aiutare Kyojuro, e dopo che Koyuki era intervenuta per curare l'umano, si era comportato in modo estremamente freddo e teso nei confronti di Akaza.

«Hai fatto una cazzata,» gli aveva solamente detto, e Akaza gli aveva augurato di soffocarsi con la sua stessa lingua.

A quel punto, Hakuji se ne era andato dalla casa del Clan Rengoku insieme a Koyuki, mentre Akaza si era trasferito in pianta stabile da Kyojuro per verificare di persona che l’umano stesse effettivamente bene dopo la botta che aveva preso alla testa.

Alla fin fine, lui e suo fratello non avevano realmente litigato, ma per Akaza era come se fosse accaduto perché gli era sembrato quasi che Hakuji gli avesse voltato le spalle, rifiutando ciò che per Akaza era diventato importante .

Hakuji, in quei mesi, lo aveva stuzzicato spesso quando si parlava dell’ossessione che aveva sviluppato per Kyojuro - lo chiamava ‘l’umano di Akaza’ -, ma non si era mai mostrato apertamente contrario al legame che Akaza aveva nutrito e alimentato. Almeno fino a quella fatidica notte, quando lo yokai si era ritrovato a pregare Koyuki e suo fratello di dargli una mano per salvare la vita di Kyojuro.

Gli era bastato vedere il sangue formarsi sotto la testa dell'umano, sentire la sua pelle calda diventare fredda e il respiro farsi lento per sentirsi impotente e disperato. Terrorizzato all’idea di vederlo morire, e la sua disperazione aveva spinto Koyuki a intervenire e, di conseguenza, anche Hakuji si era inizialmente impegnato dandogli supporto.

Kyojuro però era un essere umano , e suo fratello aveva puntualizzato più volte quel dettaglio che Akaza non poteva dimenticare neanche volendo.

Sapeva benissimo che gli umani non erano immortali, e che la loro vita si spegneva come una candela al vento, ma non doveva succedere a Kyojuro.

Kyojuro era speciale per lui, e lo yokai sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di salvarlo.

Non erano stati momenti semplici, ma alla fine Koyuki - anche se i suoi poteri non erano forti come un tempo - era stata fortunatamente in grado di guarire Kyojuro.

Il colorito dell'umano era tornato normale, così come il sangue aveva smesso di sgorgare dalla ferita nella nuca.

Akaza si era sentito rinascere , ma quel sollievo era stato interrotto da Hakuji e dal suo malumore e apparente odio nei confronti di Kyojuro 

Era davvero possibile che suo fratello stesse facendo due pesi e due misure quando lui stesso si era legato a Koyuki?

Anche Koyuki era stata un’umana… certo, la vita della ragazza era stata diversa, ma non per questo Kyojuro si era dimostrato meno degno della loro fiducia.

Se non fosse stato per Kyojuro, loro sarebbero stati dimenticati e Hakuji non avrebbe più riabbracciato Koyuki, e Akaza era pronto a rinfacciarglielo anche per tutta la loro immortale esistenza se necessario.

Sbuffò e, per l’irritazione, iniziò a sbattere la coda da komainu sul tatami[20].

«Akaza? Va tutto bene?» gli domandò Kyojuro.

Si era perfettamente ripreso dall’incidente, e visto che Akaza gli aveva testardamente impedito di uscire per recarsi all’ hokura - Kyojuro voleva ringraziare gli altri due spiriti per averlo salvato, anche se Hakuji, dal punto di vista di Akaza, non si meritava niente -, si era messo a scrivere sul suo strano aggeggio.

«Penso a quanto è idiota e ipocrita mio fratello!» ammise lo yokai .

Kyojuro smise del tutto di scrivere, prestandogli la sua totale attenzione.

Anche se vivevano insieme da a malapena quattro giorni - almeno come umani -, era stato stranamente facile per entrambi riuscire a comunicare e a parlarsi come se fossero amici da una vita . Akaza era un chiacchierone quando voleva e Kyojuro non solo era un ottimo ascoltatore, ma con la sua fantasia e cuore puro riusciva ad accettare anche l'impossibile.

Si equilibravano sotto un certo punto di vista, e per Akaza era piacevole aver raggiunto quel livello di intimità che, prima di quel momento, aveva provato solo insieme a suo fratello e, in parte, con Koyuki.

«Hai discusso con lui?» gli chiese Kyojuro, e Akaza annuì, mettendosi seduto sul tatami con le gambe incrociate.

Non aveva dato delle reali spiegazioni a Kyojuro riguardanti il suo rapporto con Hakuji e Koyuki, ma a quel punto sapeva che gli avrebbe dovuto dire a grandi linee che cosa era accaduto.

«A lui non va il fatto che mi sia mostrato a te e tutto il resto,» dichiarò, glissando tuttavia su alcuni particolari che non poteva svelare a Kyojuro. «Ti avrebbe lasciato morire perché sei un essere umano.»

Kyojuro incrociò le braccia al petto, assumendo un’espressione pensierosa.

«Da quello che mi hai detto siete due spiriti protettori , no? Credo che lui voglia proteggerti perché non si fida di me, e penso che sia normale,» suggerì dopo qualche istante e Akaza fece subito una smorfia.

Kyojuro aveva ragione , ma non lo voleva ammettere così facilmente.

«Sono abbastanza forte da proteggermi da solo!» esclamò infatti, facendo ridacchiare l’umano.

«Non lo metto in dubbio, ma così come tu trovi impossibile comprendere l’esistenza di un cellulare , anche lui forse si sente intimorito dalle novità del mondo moderno,» gli spiegò paziente. «Così come per me è ancora strano… beh, vedere le tue orecchie e la coda, e ricordarmi che non sei umano

«Il cellulare non ha senso di esistere però! Come fanno ad esserci lì dentro delle immagini? Interi libri? E anche a far uscire la voce delle persone?!» si difese Akaza, provando a sviare accuratamente il discorso sensato di Kyojuro.

«Akaza…»

Lo spirito sbuffò.

«Lo so che è preoccupato, ma…» borbottò.

«Vorresti che capisca e approvi le tue scelte, e vorresti soprattutto fare pace con lui il prima possibile,» concluse Kyojuro. Akaza storse ancora il naso, ma non poté far altro se non annuire.

Voleva che Hakuji fosse in grado di guardare oltre il suo naso e accettasse Kyojuro , perché era palese che l'umano fosse speciale.

Aprì la bocca ma le sue orecchie si drizzarono subito nell’avvertire vicinissima la presenza di Koyuki e, ovviamente, anche quella di suo fratello.

«Sono… qui?» bofonchiò sorpreso, alzandosi in piedi e andando subito verso la porta scorrevole per spalancarla.

«Chi?» chiese confuso Kyojuro, guardando lo shoji che veniva aperto per mostrare il piccolo giardino della casa.

Akaza uscì fuori, senza curarsi di nascondere il suo aspetto poco umano , e vide subito la figura di Koyuki apparire oltre il muretto, seguita da quella animale di Hakuji.

Era un cane grosso e nero, con gli occhi color del cielo. Sul collo pendeva la sfera candida che, nella sua forma umana, portava in genere appesa al fianco.

Akaza esitò, sorpreso per quella visita del tutto inaspettata.

Perché erano lì? Era successo qualcosa all' hokura mentre lui era via? Se ne sarebbe reso conto ma… ma non poteva fare a meno di preoccuparsi.

«C’è qualcuno?» domandò ancora Kyojuro, affiancandolo sulla porta, mostrandosi palesemente confuso dall’atteggiamento di Akaza che, in tutta risposta, lo ignorò per rivolgersi a Koyuki con una certa urgenza.

«È successo qualcosa?»

La ragazza scosse il capo, e accarezzò la testa di Hakuji come per rassicurarlo.

«Siamo solo venuti a trovarvi,» rispose con semplicità, salendo sull’ engawa e superando sia Akaza che Kyojuro senza mostrare alcuna esitazione.

Koyuki era fatta così. Dietro il suo aspetto dolce e delicato nascondeva un carattere forte e testardo. Era risoluta e coraggiosa, ma soprattutto paziente per essere in grado di sopportare sia Akaza che suo fratello.

«Va tutto bene?» domandò ancora Kyojuro e lo yokai annuì, seppur incerto.

Chiuse lo shoji, e non appena la casa fu di nuovo protetta da possibili sguardi di curiosi, sia Koyuki che Hakuji si mostrarono anche agli occhi Kyojuro, che sussultò palesemente sorpreso.

«Mi dispiace per questa visita inaspettata, Rengoku-san,» si scusò prontamente Koyuki con tono gentile. «Io sono Koyuki, mentre lui è Hakuji-san, il fratello di Akaza-san,» si presentò facendo un inchino.

Kyojuro non rispose. Aveva gli occhi sgranati e la bocca socchiusa dalla quale non usciva neanche un singolo suono.

Era buffo, e per un momento Akaza fu quasi pronto a prenderlo un po’ in giro - alleggerendo in qualche modo la tensione -, ma non poté evitare di bloccarsi a sua volta nel vedere le lacrime iniziare a riempire gli occhi color del fuoco di Kyojuro.

«Ehi! Che fai? Piangi?!» domandò incredulo.

Kyojuro sobbalzò ancora poi, sollevando il braccio, si asciugò il viso con la manica dei suoi indumenti moderni.

Si concesse una piccola risata imbarazzata.

«Mi sono solo emozionato! Sapevo che eravate tutti e tre reali, ma… vedere Koyuki-sama mi ha… lasciato senza parole, è come se fosse tutto più reale ora, » ammise, lasciando traspirare la sua emozione anche con il tono della sua voce.

Koyuki si coprì la bocca per ridacchiare, mentre Akaza si lasciò andare a una risata meno discreta.

«Sei sempre più strano, Kyojuro, » commentò.

«Non è colpa mia! Sei tu che mi hai messo in questa situazione!» ribatté Kyojuro, per poi rivolgersi di nuovo a Koyuki, i suoi occhi stavano brillando come la fiamma viva di un fuoco. «Posso… offrire qualcosa? Non lo so… Akaza mangia tutto quello che cucino… e non è granché!»

«Non è necessario,» rispose Koyuki. «Sono venuta qui per via di questi due testoni ,» aggiunse guardando Hakuji che era rimasto ancora nella sua forma animale a occhieggiare sia Akaza che Kyojuro.

Lo yokai , nel sentirsi tirato in causa, guardò altrove e lo stesso Akaza si ritrovò a incrociare le braccia al petto, come per rendere più palese la sua posizione.

«Akaza si stava struggendo fino a due minuti fa perché desidera fare pace con suo fratello,» dichiarò Kyojuro, facendo cenno a Koyuki di accomodarsi.

«Kyojuro!»

«Potrei dire lo stesso di Hakuji-san,» ammise Koyuki, strappando nell’altro spirito un uggiolio quasi disperato. «È la verità, Hakuji-san, e sarebbe gentile nei confronti del nostro ospite che ti mostrassi in una forma comprensibile.»

Davanti alla richiesta di Koyuki, Hakuji reagì subito. La figura del cane mutò rapida prendendo dei tratti umani.

Era imbronciato e Akaza, pur senza guardarsi allo specchio, sapeva di avere in viso la stessa espressione.

«Gemelli , giusto… dimenticavo,» commentò Kyojuro, guardando prima Akaza e poi Hakuji. «Potrei preparare del tea… mentre loro due parlano…»

«Io non ho nulla da dirgli!» esclamò Akaza intervenendo per mettere subito in chiaro la sua posizione.

«Nemmeno io!» rispose Hakuji.

Koyuki e Kyojuro si scambiarono uno sguardo, e ad Akaza sembrò di scorgere quasi della complicità nei due, nonostante si fossero appena incontrati.

Quel pensiero, però, passò quasi in secondo piano nel rendersi conto di quanto suo fratello fosse cieco.

Perché per lui era palese la somiglianza tra Kyojuro e Koyuki, come poteva Hakuji non notarlo?

«Non hai niente da dire? Avresti lasciato Kyojuro morire!» esclamò, senza però riuscire ad esprimere ciò che avrebbe voluto realmente dirgli.

«Non l'avrei lasciato morire! Ti stavo aiutando, te lo sei forse dimenticato?!» ritorse Hakuji.

«Dalle tue parole avevo capito il contrario, ipocrita del cazzo!»

«Ipocrita io? Ti sei dimenticato di tutti gli umani che hai ucciso in passato?»

«E tu? Anche tu li hai uccisi, eppure ti sei innamorato di Koyuki!»

«Sai benissimo che non è la stessa cosa!»

Akara sentì i pugni prudergli e non riuscì a resistere dallo sferrare un pugno in pieno viso di Hakuji che, ovviamente, non si trattenne dall’afferrarlo a sua volta per restituirgli il ceffone.

«Dobbiamo fermarli?!» la voce allarmata di Kyojuro raggiunse le orecchie di Akaza, seguita poi da quella più calma di Koyuki.

«Generalmente lo farei, ma penso che abbiano bisogno di sfogarsi...»

Akaza li sentì solo distrattamente, perché in quel momento era troppo impegnato a colpire suo fratello e a cercare di fargli capire la sua posizione con le unghie e con i denti se necessario - cosa che anche Hakuji sembrava voler fare.

«Foresta,» decretò suo fratello, leggendogli quasi nella mente, e Akaza annuì con un basso ringhio.

Si trascinarono fuori dalla casa per avere più spazio per prendersi a botte, spingendosi fin dentro la foresta dove nessuno li avrebbe potuti disturbare.

Calci e pugni, intervallati da gemiti e imprecazioni, riempirono presto l'aria pacifica della montagna. Incapaci di stancarsi, continuarono a picchiarsi, lasciando che tutta la frustrazione emergesse in quel combattimento all'apparenza senza vincitori.

«Perché non lo capisci?» abbaiò Akaza, colpendo con un calcio Hakuji sullo stomaco. Suo fratello emise un lamento, ma non arretrò.

«Sei tu che non vuoi capire!» ribatté Hakuji, colpendolo in pieno naso con un pugno - Akaza sentì il sangue sulla lingua e quello lo fece arrabbiare ulteriormente.

«Kyojuro ci ha salvati!»

«Non lo nego, ma è un mortale!»

«E allora?»

Hakuji lo colpì alle gambe e, facendogli perdere l’equilibrio, lo bloccò sul terreno con il peso del suo corpo.

Altri pugni atterrarono sul viso di Akaza.

«Morirà! E tu soffrirai!»

Akaza si bloccò, smettendo di difendersi, e la sua voce uscì quasi soffocata dalle sue labbra strette.

«Credi che non lo sappia?» sibilò, calmandosi come se fosse stato investito da una doccia gelida. «So che un giorno Kyojuro morirà… vorrei fosse immortale come noi, ma…»

«Akaza… voglio solo evitare che tu stia male…» mormorò Hakuji, trovando a sua volta la calma.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, riprendendosi dalle botte che si erano dati e permettendo alle loro ferite di rimarginarsi.

«Kyojuro è speciale,» sospirò Akaza. «Ai miei occhi è come Koyuki… come tu vedi Koyuki.»

Hakuji annuì e si sollevò, e Akaza poté mettersi seduto guardando suo fratello alla ricerca di un po’ di supporto per quell’argomento che solo in quel momento stava riuscendo ad affrontare.

«Lo so, è impossibile non vederlo,» assentì Hakuji scuotendo il capo rassegnato. «Sin dal primo momento sei stato chiamato a lui come io lo sono stato da Koyuki…»

«Quindi… lo avevi capito sin dall'inizio?»

«Certo! Sono tuo fratello!» esclamò stizzito Hakuji, facendosi poi di nuovo più serio. «Vuoi davvero affrontare tutto questo?»

Akaza esitò, ma quando aprì la bocca le sue parole suonarono cariche di risoluzione.

«Fin quando resterà a Yukimura, voglio stargli accanto,» confermò. «Non ho l'eternità davanti, ma solo pochi mesi.»

Suo fratello si alzò in piedi e gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi, Akaza accettò subito e fronteggiò Hakuji, guardandolo negli occhi.

«Sei con me?» gli chiese quasi esitante.

«Devo, sei l’unico fratello che ho… e Koyuki è già arrabbiata con me, quindi devo per forza fare pace con te,» commentò Hakuji.

Akaza sorrise sollevato e spintonò scherzosamente suo fratello prima di incamminarsi di nuovo verso Yukimura.

Si sentiva meglio dopo aver chiarito con lui. Certo, sulla sua testa gravava già il dolore dell’abbandono, ma l’aver affrontato a voce alta quelle paure lo faceva sentire più forte… e mai come in quel momento era certo che avrebbe avuto il supporto della sua famiglia .

 

・┈・ ༻❆༺ ・┈・

 

Le valigie di Kyojuro erano già all’ingresso della casa, pronte per essere prese e portate via, e Akaza le aveva fissate a lungo prima di scivolare, silenzioso, nella stanza dell’uomo.

Era notte inoltrata, e Kyojuro dormiva nel suo futon. Nel sonno si era mosso, e la coperta era scivolata di lato, scoprendogli granparte del fianco e della gamba destra.

Pacifico. Chiaramente all’oscuro dei pensieri che, da ormai una settimana, gravavano nell’animo di Akaza.

Lo yokai sapeva già da mesi che Kyojuro avrebbe lasciato Yukimura e aveva affrontato come poteva quell'addio che sperava arrivasse il più tardi possibile. 

Aveva provato rabbia, non poteva negarlo, e aveva anche sentito tristessa e un vago senso di vuoto al pensiero di non poter vivere più accanto a Kyojuro, ma alla fine era riuscito in qualche modo a ignorare quel ‘dettaglio’ per concentrarsi invece sul tempo che aveva a disposizione con l’umano.

Gli era rimasto accanto per mesi, sia nella sua forma animale che umana . Avevano mangiato insieme, parlato e scherzato.

Akaza gli aveva raccontato storie del passato, e Kyojuro era stato in grado di conquistare non solo l’amicizia di Koyuki ma, eccezionalmente, anche la fiducia di Hakuji.

Era entrato nelle loro vite con la sua luminosità, l’ottimismo e quel calore in grado di scaldare anche il sole invernale.

Kyojuro era perfetto con loro, ed era come se appartenesse a quel luogo.

Ma alla fine, quelli erano solo i folli pensieri di Akaza che aveva vissuto i mesi migliori della sua intera esistenza … e anche per quel motivo dirgli addio sembrava impossibile.

Kyojuro gli aveva spiegato di aver quasi finito il suo libro, e per quel motivo doveva tornare a casa per presentarlo al suo editore - aveva usato anche altri termini ‘moderni’ , ma Akaza non si era degnato di impararli o ricordarli.

Sentiva inoltre la mancanza della sua famiglia e, come era ovvio, voleva passare del tempo con loro. In tutto quello, Kyojuro gli era apparso felice mentre gli raccontava dei suoi progetti futuri. Si era anche detto soddisfatto del libro - e ad Akaza era addirittura piaciuto come aveva raccontato la storia di Koyuki senza mai snaturarla -, ma soprattutto sembrava non vedere l’ora di tornare a casa sua .

Akaza lo comprendeva, sapeva quanto fosse importante avere una casa, e anche se in quei mesi aveva sperato che Kyojuro iniziasse a considerare Yukimura la sua casa , era palese che quello non fosse il posto dell’umano.

Doveva lasciarlo andare, e anche se lo yokai era arrivato a quella sofferta conclusione - e Hakuji lo aveva messo più volte in guardia -, non poteva evitare di voler fuggire. Non voleva affrontare realmente l’abbandono e la separazione.

Per quel motivo, Akaza aveva deciso di non salutare Kyojuro. Non voleva dirgli addio.

Sapeva che non sarebbe stato in grado di comportarsi in modo ‘maturo’ trovandosi faccia a faccia con l’umano e che si sarebbe comportato da idiota. Era da codardi, ma non voleva neanche lasciare Kyojuro con un brutto ricordo… in realtà, non voleva lasciare Kyojuro e basta .

Sbuffò e si sedette accanto al futon, rimettendo la coperta addosso al corpo semi scoperto di Kyojuro.

Incrociò le braccia al petto, con le labbra piegate in un broncio. Arrotolò la coda sul suo fianco, e rimase immobile per qualche momento, osservando l’umano dormire, indeciso se svegliarlo o meno.

Akaza si sarebbe voluto prendere a pugni e insultarsi per quel suo atteggiamento da codardo che non gli era mai appartenuto. Aveva fatto il forte davanti a Hakuji, gli aveva detto che era consapevole che quel momento sarebbe arrivato e che sarebbe stato pronto, ma aveva mentito.

Non sarebbe mai stato pronto.

Poteva spaccare con i pugni chiusi tronchi d’albero e rocce, incutere timore con la sua forma spirituale, correre senza mai stancarsi e vivere innumerevoli ere senza mai invecchiare… ma affrontare l’addio, guardando l’umano negli occhi, gli sembrava un qualcosa di così terrificante da farlo tremare indifeso.

Si ripeté quindi che stava facendo la scelta giusta nel non svegliare Kyojuro. Non voleva mostrargli la sua debolezza né comportarsi da idiota cercando di farlo sentire in colpa per aver deciso di lasciare Yukimura.

Dovevano lasciarsi da amici per quanto possibile.

Akaza imprecò tra sé e sé, passandosi una mano sulla faccia.

“Hakuji ha ragione, sono un coglione,” si insultò, guardando ancora il viso di Kyojuro pacificamente addormentato.

Lui aveva smesso da tempo di considerare Kyojuro solo un amico, e per quanto fosse certo che anche Kyojuro si fosse in qualche modo invaghito di lui, non c’era mai stato il tempo e il modo di provare qualcosa di più.

D’altro canto, Akaza poteva anche aver confuso l’ attrazione con la curiosità , e di conseguenza aver frainteso del tutto i comportamenti dell’umano verso di lui, ma alla fine non era quello il punto della questione. Perché Akaza stava lasciando andare via l’unica persona per la quale aveva provato un genuino affetto e legame… e la stava facendo andare via senza neanche un saluto.

Tremò, e le prime luci dell’alba lo avvisarono che presto Kyojuro si sarebbe svegliato.

Guardò un’ultima volta l’umano addormentato e i suoi capelli color del fuoco sparsi disordinatamente sul cuscino, poi si alzò per lasciare una volta per tutte quella casa.

Sentì i piedi incollarsi al tatami come per avvertirlo di non fare quel passo ma si sforzò di voltarsi verso lo shoji .

Lo socchiuse un poco e i deboli raggi del sole fecero brillare le perle che portava al collo, creando dei riflessi sul legno della casa. Istintivamente, Akaza portò una mano sulla sua collana, sfiorando con la punta delle dita le sfere rosse.

Kyojuro si era sempre mostrato curioso nei confronti di quell’oggetto che, come aveva svelato, lo aveva portato a riconoscere Akaza quando era nella sua forma animale.

In passato, prima di legarsi a Koyuki, quella collana rappresentava per Akaza una sorta di catalizzatore del suo potere. Le kitsune avevano la loro Hoshi no Tama[21], mentre lui e suo fratello avevano le loro Rei no Tama[22] , le Sfere Spirituali.

Non potevano mai separarsene e anche per quel motivo, nella sua forma animale, Akaza le aveva sempre al collo. Quando però erano diventati i guardiani di Koyuki, il fulcro del loro potere era cambiato e quelle sfere erano diventate un ricordo e solo un fregio estetico.

Avevano un valore simbolico per Akaza, e anche se le aveva sempre considerate importanti si sentiva pronto a rinunciare a loro pur di avere per sempre con sé Kyojuro.

Quel folle ed egoistico pensiero lo fece sorridere ma lo portò anche a esitare mentre formulava un’idea ancor più sciocca.

Si tolse la collana e con le labbra strette in una smorfia iniziò ad armeggiare con il nodo che teneva legate le perle. Faticò un po’ ma, alla fine, riuscì a estrarre una delle perle e la osservò contro la luce dei flebili raggi del sole come se la vedesse per la prima volta.

La rigirò tra le dita, facendo illuminare la stanza con i giochi di luce creati dal sole.

Camminò di nuovo verso il futon e si inginocchiò davanti a Kyojuro, lasciando la perla accanto al cuscino.

Akaza non era in grado di dirgli addio, però poteva lasciargli un ricordo: qualcosa che gli apparteneva e che per lui aveva un grande valore sentimentale.

«Almeno ti ricorderai di me… e questo ti impedirà di andare a cercare altri gatti durante i temporali,» borbottò.

Senza riuscire a resistere, gli sfiorò per un momento i capelli color del fuoco. Erano morbidi e sembravano un invito ad affondare le dita in quella criniera.

In qualche modo, Akaza, riuscì a trattenersi. Si alzò di nuovo in piedi, e con gli occhi chiusi per proteggere il ricordo che aveva di Kyojuro, scattò verso l’esterno della casa, mettendo più distanza possibile tra sé e l’umano, ma soprattutto tra i sentimenti che in quel momento minacciavano di esplodere distruggendolo in mille pezzi.

 

・┈・ ༻❆༺ ・┈・

 

Kyojuro si tolse le scarpe non appena entrò nel suo appartamento e, con in viso un’espressione stanca, lasciò cadere per terra la sua borsa per poi trascinarsi verso la cucina.

Era appena tornato da un firmacopie del suo nuovo libro, e per quanto fosse felice dei risultati che stava ottenendo, Rengoku si sentiva stanco e insoddisfatto .

Il libro, dal titolo “Dove vive il ricordo”, aveva ottenuto un immediato successo, al punto che il suo stesso editore lo aveva definito il migliore che lui avesse mai scritto. E per quanto Kyojuro non volesse esagerare, né darsi meriti eccessivi, sentiva di aver fatto un ottimo lavoro e, soprattutto, di aver messo tutto se stesso tra le pagine del romanzo.

La storia si era evoluta in un modo inaspettato sin dalla prima bozza, ed era cresciuta insieme alle esperienze che aveva vissuto a Yukimura. Era diventata in qualche modo personale , al punto che Rengoku sentiva di poterla quasi definirla un’ autobiografia piuttosto anomala.

I mesi trascorsi a Yukimura erano stati per lui un’avventura stupenda e forse anche per quel motivo, nel ritrovarsi nel suo appartamento silenzioso e vuoto, non poteva evitare di sentirsi incompleto e fuori posto.

Accese la luce della cucina non appena la raggiunse. C’erano ancora delle stoviglie da lavare, e ad aspettarlo sul bancone c’era una scatola di ramen istantaneo.

La sua vita era tornata quella di una volta con il suo ritorno a Tokyo, e per quanto gli impegni mondani lo tenessero occupato, era in quei momenti di solitudine che sentiva ancor più prepotente la mancanza della calma che aveva sperimentato quando viveva a Yukimura.

Rengoku si sforzò di allontanare quei pensieri e, con movimenti meccanici, si mosse per prepararsi la cena. Scaldò l’acqua e la versò all’interno del ramen istantaneo. Venne investito subito dal profumo dei noodles ma non gli fecero minimamente venire l’acquolina in bocca, nonostante avesse saltato il pranzo quel giorno.

Lasciò il contenitore a riposare sul tavolo e si diresse in bagno per darsi una rapida rinfrescata. Lì si tolse la camicia, lanciandola nel cesto degli indumenti da lavare - si erano accumulati durante l’ultimo fine settimana -, per poi appoggiarsi al lavandino con la schiena piegata in avanti, come se sulle sue spalle stesse gravando un immenso peso.

Iniziò a lavarsi le mani e il viso e per quanto l’acqua gelida riuscì a svegliarlo almeno un poco, il suo umore rimase piatto così come tutti i suoi gesti che sembravano guidati più dall’abitudine che da una reale necessità.

Afferrò infatti l’asciugamano e lo premette con forza contro il viso per asciugarsi, e solo dopo quel momento sollevò lo sguardo sulla specchiera davanti a sé, osservando la sua immagine riflessa come se davanti avesse uno sconosciuto.

Il viso che stava ricambiando il suo sguardo era pallido. Non aveva per niente un aspetto sano e felice. Gli sembrava quasi di essere ‘diverso’ spento , avrebbe osato dire.

Cercò di sorridere, piegando le labbra verso l’alto, ma l’espressione che lo specchio gli restituì non trasmetteva alcuna gioia.

Kyojuro continuò a osservarsi, sperando di scorgere almeno un qualcosa di positivo nel suo viso, ma sapeva sin dal principio che quella ricerca si sarebbe rivelata vana. L’unico dettaglio che, per un momento, gli donò un vago senso di pace era la collana che portava al collo.

Era formata da un’unica perla rossa, che brillava tetra alla luce artificiale del bagno.

Quella sfera portava con sé un bellissimo ricordo, ma sfortunatamente non era abbastanza per riuscire a strapparlo dall’apatia nella quale era caduto.

Accarezzò la perla con la punta delle dita, trovandola liscia e fredda, e Rengoku non poté quasi evitare di notare come anche il colore di quella sfera, un tempo brillante, sembrasse quasi sbiadito… proprio come lui .

Kyojuro non aveva voglia di giocare agli indovinelli con sé stesso, né di fingere di non sapere la verità.

Le parole di sua nonna, in quegli ultimi giorni, stavano tornando sempre più prepotenti nella sua mente. E più si rendeva conto di trovare pesante e insopportabile Tokyo, più capiva di appartenere a Yukimura .

Gli sembrava quasi di respirare l’aria sbagliata, di mangiare del cibo insapore e qualsiasi cosa facesse non era mai giusta.

La scelta, in quei momenti, gli sembrava quasi logica. Perché in sole quattro ore, partendo da Yukimura, poteva tornare in città con le giuste coincidenze. Non era realmente isolato dal mondo e il suo lavoro gli permetteva, fortunatamente, di lavorare da casa.

Al tempo stesso però, sentiva di non poter lasciare Tokyo di punto in bianco. Lì aveva la sua vita, i suoi amici e la sua famiglia. Non si trattava di un’avventura di qualche mese.

Kyojuro guardò ancora la sfera, incapace di prendere quella decisione che in realtà sembrava semplice e scontata.

Non sapeva che cosa lo spaventasse così tanto. Avventura o meno, aveva già lasciato Tokyo una volta e aveva accolto con gioia la vita di Yukimura ben consapevole che avrebbe dovuto affrontare la quasi-totale assenza di modernità.

Aveva adorato vivere in quel modo e, più di ogni altra cosa, aveva amato vivere con Akaza.

Il solo pensiero dello yokai lo fece tremare perché, per quanto stesse tentando di evitare di pensarci, Kyojuro sapeva che se stava esitando così tanto era anche a causa di Akaza.

Lo yokai non aveva alcuna colpa, se non quella di essere diventato indispensabile durante gli ultimi mesi della permanenza di Rengoku a Yukimura.

Kyojuro aveva trascorso con lui ogni giorno sin dalla notte nella quale era stato salvato proprio da lui e dagli altri due spiriti dell' hokura .

Aveva imparato ad apprezzare ogni tratto della personalità di Akaza, dai lati più violenti e vendicativi fino a quelli più teneri, e che generalmente rivolgeva solo a Koyuki.

Akaza che, prima della sua partenza, era scomparso lasciando dietro di sé solo quella perla rossa e un sacco di selfie sfocati a dimostrazione della sua esistenza.

Non gli aveva detto addio. E anche se Kyojuro si era presentato all' hokura prima di partire, nessuno era saltato fuori dalle statue per salutarlo o augurargli un buon viaggio.

Ne era rimasto ferito, non poteva negarlo, ma non era per quel motivo che stava evitando di fare di nuovo le valigie e partire per Yukimura.

Ciò che lo bloccava era quello che la sua amica Mitsuri aveva definito “mal d'amore”.

Mancanza di appetito, apatia, tristezza e tanti altri sentimenti si erano accavallati l'un l'altro in quei mesi, Kyojuro aveva pensato potesse essere il lavoro accumulato e il diverso ritmo di vita di Tokyo, mentre Mitsuri aveva colpito nel segno con una facilità quasi disarmante, dandogli l'unica risposta che non aveva mai preso in considerazione: si era innamorato di Akaza .

Lì per lì Kyojuro aveva rifiutato di ammettere che si fosse innamorato di ‘qualcuno di Yukimura’ - era la spiegazione più logica che Mitsuri aveva trovato quando aveva argomentato la sua tesi -, perché Akaza era uno yokai e non un umano .

Akaza gli piaceva, non poteva negarlo. Gli ultimi mesi passati a stretto contatto con lui erano stati fantastici e, cosa non meno importante, lo trovava sexy - in quale altro modo poteva definire un ragazzo con la muscolatura e l’aspetto di Akaza?

Ne era attratto tanto fisicamente quanto emotivamente, ma Akaza non era umano.

Quella era l’unica motivazione che lo spingeva ad esitare quando pensava ai suoi sentimenti.

Perché se Akaza fosse stato ‘normale’, forse Kyojuro non avrebbe trovato poi così complicato pensare di essersi preso una cotta per lui. Ma dall’altra parte, non poteva neanche evitare di rendersi conto che la natura dello yokai era parte del suo fascino.

Era davvero un problema provare qualcosa per un essere soprannaturale? Sicuramente sì, ma in certi momenti non gli sembrava neanche sbagliato.

Kyojuro voleva tornare da Akaza e a Yukimura, ma visto il freddo addio che si erano dati… temeva che non avrebbe più rivisto lo spirito.

Guardò ancora la sfera appesa al collo, portandola poi alle labbra come per darle un bacio. Era un’incognita ma, in fin dei conti, anche se fosse rimasto a Tokyo non avrebbe più rivisto Akaza… ma quanto meno sarebbe tornato a Yukimura.

«Cosa devo fare?» chiese al silenzio del suo appartamento che, mai prima di quel momento, gli era sembrato pesante e soffocante, al punto da spingerlo a spalancare la finestra per far entrare dell’aria.

La risposta già la sapeva, doveva solamente trovare il coraggio di affrontarla.

 

・┈・ ༻❆༺ ・┈・

 

Per la prima volta dopo secoli, l’ hokura di Koyuki stava venendo visitato regolarmente dai ragazzini di Yukimura.

Ogni fine settimana, Tanjiro Kamado, accompagnato da sua sorella Nezuko e dai suoi migliori amici Zenitsu Agatsuma e Inosuke Hashibira, si recavano al piccolo santuario e dopo essersi occupati di pulirlo lasciavano sull’altare delle piccole offerte che non facevano altro se non accrescere, seppur di poco, i poteri degli abitanti di quel luogo.

Era stata una promessa che i ragazzini avevano fatto a Kyojuro quando se ne era andato da Yukimura, e per quanto parlare dell’umano rendesse Akaza ancora di cattivo umore, lo yokai non poteva fare a meno di ringraziarlo ancora una volta per quello che aveva fatto.

Era passato quasi un anno da quando Akaza si era risvegliato dal suo letargo insieme a suo fratello e Koyuki. Un anno da quando aveva posato per la prima volta lo sguardo su Kyojuro senza più riuscire a distoglierlo per i mesi per tutta la permanenza dell’umano a Yukimura. E da quando Kyojuro se ne era andato, non era passato giorno nel quale Akaza non aveva rivolto all’umano i suoi pensieri.

Pensava a Kyojuro continuamente, e il non poter essere in grado di vederlo, di sentire la sua risata calda e forte, lo rendeva inquieto.

Aveva smesso di andare a casa del Clan Rengoku e, di conseguenza, aveva anche smesso di andare a Yukimura. Aveva trascorso le sue giornate a scorrazzare per la foresta o passando del tempo con suo fratello e Koyuki, ma nulla sembrava in grado di curare il vuoto che la partenza di Kyojuro aveva lasciato nel suo cuore.

Koyuki aveva cercato più volte di parlargli e di portarlo a scendere a patti con quell’ abbandono , ma Akaza aveva rifiutato in ogni modo di affrontare quel discorso.

Il suo umore ne aveva ovviamente risentito, ma aveva cercato di dissimulare il più possibile anche se non sempre ne era stato in grado.

«Anche oggi ci hanno portato il pane fatto dal Clan Kamado,» mormorò Hakuji, portando Akaza a distogliere lo sguardo dalla stradina che conduceva a Yukimura.

Suo fratello gli stava porgendo uno dei panini che Nezuko Kamado aveva lasciato sull’altare - erano tre, uno per ciascuno, un suggerimento che era stato lo stesso Kyojuro a dare ai ragazzini.

«Sono così gentili,» commentò Koyuki con tono felice. Aveva sulle gambe, nascoste tra le pieghe del suo kimono, delle ghiande che Inosuke aveva lasciato insieme al pane, e Akaza, nonostante tutto, non poté evitare di accennare un sorriso.

Koyuki aveva iniziato a conservare tutte le ghiande che quello strano ragazzo lasciava come offerta, non erano cibo né ricchezze, ma a detta della giovane erano quanto di più prezioso Inosuke aveva da offrire.

Lo yokai accettò il pane e lo azzannò senza però goderne il sapore. Era indubbiamente buono ma, ancora una volta, non riuscì ad apprezzarlo.

Fece una smorfia e lo mise da parte, gesto che sembrò far innervosire Hakuji.

«Non pensi che sia il momento di smetterla di piangerti addosso?» gli chiese infatti, e Akaza drizzò le orecchie e la coda, guardandolo con notevole fastidio.

«Non pensi di doverti fare i cazzi tuoi?»

«Hakuji-san! Akaza-san!» esclamò Koyuki, per cercare di placare sul nascere la discussione.

«Lo avevo avvisato! » riprese Hakuji innervosito. 

Akaza, dentro di sé, sapeva che suo fratello stava cercando di aiutarlo e proteggerlo. Lo aveva fatto sin dall’inizio anche se con pessimi risultati, ma per quanto Hakuji avesse ragione, Akaza continuava a non voler andare avanti. 

Anzi, si sentiva quasi pronto ad azzannare suo fratello al collo o a iniziare a picchiarsi con lui pur di sfogare la rabbia, ma quell’ondata d’ira scemò davanti all’ennesimo tentativo di Hakuji di portarlo a reagire.

«Alla fine però hai ottenuto almeno una cosa, no? Non siamo stati dimenticati. Il tuo piano ha funzionato.»

«Eppure… ho perso tutto il resto…» borbottò a denti stretti.

Sì, aveva voluto che qualcuno si ricordasse di loro, ma nel mentre aveva trovato qualcosa di più importante, se non di più. Perché si era reso conto di aver sempre desiderato quello che Hakuji condivideva con Koyuki. 

Per secoli lui e suo fratello erano stati una cosa sola. Gemelli, uniti da un legame indissolubile. Poi era arrivata Koyuki, e per quanto Akaza la amasse più di ogni altra cosa al mondo, non erano più ‘Hakuji e Akaza’ erano ‘Hakuji e Koyuki’. Lui era diventato il terzo, quasi superfluo, ma non se ne era mai lamentato. Hakuji e Koyuki erano la sua famiglia e li amava.

Tralasciando il letargo, era tutto perfetto. Poi però era arrivato Kyojuro, e Akaza aveva trovato in lui ciò che suo fratello aveva trovato in Koyuki... ma per quanto lo desiderasse, Kyojuro non sarebbe mai stato suo.

«Akaza…» la mano di Koyuki si appoggiò sulla sua spalla. «So che fa male… però so per certo che si risolverà. Tornerà a Yukimura, perché i Rengoku appartengono a Yukimura , è sempre stato così anche in passato.»

Akaza non rispose. Koyuki gli aveva ripetuto quelle parole quasi ogni giorno ma non era mai cambiato nulla e, probabilmente, non sarebbe mai accaduto. Anche se Kyojuro fosse tornato, quello non era realmente il suo posto… e lo avrebbe lasciato ancora una volta.

Non si sforzò nemmeno di sorridere o di ringraziarla, ma sperò comunque che il tempo lo aiutasse a lasciar scivolare via quelle sensazioni, perché per quanto doloroso la vita di un umano durava quanto la vita di una farfalla per lui.

Finì di mangiare il panino - sotto lo sguardo preoccupato di Hakuji che, forse, non sapeva neanche più cosa dirgli per cercare di aiutarlo - e si alzò rivolgendo un mezzo sorriso a Koyuki.

«Vado a farmi un giro su in montagna,» annunciò.

Koyuki annuì.

«So che si risolverà tutto, Akaza. Fidati di me,» gli ripeté ancora con tono sicuro e quasi consapevole, ma Akaza non volle di nuovo darle ascolto.

Si trasformò in gatto e iniziò subito a muoversi verso la strada che lo avrebbe portato più in alto in montagna, certo che l’aria fresca lo avrebbe aiutato almeno un po’ - o almeno così si ripeteva giornalmente.

Corse per qualche minuto, sfrecciando tra i bassi arbusti e usando le rocce che spuntavano dal terreno per darsi la spinta e balzare oltre degli ostacoli.

Una strana sensazione iniziò però a quasi punzecchiargli la nuca, facendogli emettere un soffio infastidito. Era simile, ma al tempo stesso diversa, a ciò che aveva provato quando quello sciocco di Kyojuro aveva deciso di avventurarsi nel bel mezzo del temporale alla ricerca di uno stupido gatto - il fatto che fosse lui il gatto in questione era un dettaglio trascurabile.

Gli sembrava di sentirsi trascinato all'indietro da quella sensazione che gli diceva di tornare indietro e di riprendere la strada per Yukimura. Era un’assurdità, perché non c’era nulla ad aspettarlo in quella piccola città… eppure, più si allontanava dalla strada e da Yukimura, più quel fastidio cresceva rendendolo ancor più irritabile.

Si fermò di scatto e rivolse il muso felino alle sue spalle, e come una doccia fredda venne investito da un pensiero: e se fosse accaduto qualcosa a Kyojuro?

Kyojuro aveva dei legami con il Clan Kamado, e se fossero entrati a conoscenza di qualche informazione su di lui? Kyojuro poteva averli avvisati usando quel suo strano aggeggio chiamato cellulare.

L’agitazione lo fece tremare da capo a piedi e, senza pensarci due volte, tornò sui suoi passi per andare verso Yukimura.

Cosa avrebbe fatto se fosse successo qualcosa a Kyojuro? Akaza non poteva lasciare Yukimura, e anche se avesse potuto: che cosa avrebbe potuto fare?

Era una corsa inutile sotto ogni punto di vista, ma Akaza non riusciva a fare a meno di ordinare alle sue zampe animale di correre ancora più velocemente come se alle sue spalle ci fossero i cancelli del Reikai .

Presto gli alberi divennero più radi e Akaza poté intravedere le prime case di Yukimura, si mosse tra di esse percorrendo la strada sempre familiare che lo avrebbe portato davanti alla casa di Kyojuro.

Stava iniziando ad affannare, non per la stanchezza - avrebbe potuto correre anche per giorni interi -, ma la crescente preoccupazione gli stava quasi rendendo complicato respirare.

Saltò sopra un muretto non lontano dalla casa di Kyojuro e da lì lo vide .

Capelli come il fuoco mossi dal vento, la pelle baciata dal sole e un sorriso ancor più luminoso dell’astro che brillava in cielo. Stava ridendo e accarezzava affettuosamente la testa di Nezuko Kamado che lo stava abbracciando.

Akaza non si curò di ascoltare quello che si stavano dicendo, i suoi occhi erano solo per Kyojuro.

Stava bene, fu quello il primo pensiero che lo investì e che riuscì, per qualche istante, a farlo calmare, ma l’agitazione tornò prepotente a farlo tremare perché Kyojuro era tornato.

Il suo corpo minuto da gatto sembrò quasi vibrare e, incapace di trattenersi oltre, riprese a correre, infilandosi dentro la dimora di Kyojuro per attenderlo.

Iniziò sin da subito a muoversi avanti e indietro all’interno del piccolo salottino. Non riusciva a rimanere fermo, né a formulare un qualsiasi pensiero logico.

Era agitato ma non capiva se in positivo o in negativo.

Il rumore della porta scorrevole che veniva aperta, e in seguito chiusa, gli fece drizzare le orecchie e finalmente si immobilizzò.

I passi di Kyojuro raggiunsero il salottino, e i loro occhi si incontrarono di nuovo.

Le labbra di Kyojuro si piegarono in un sorriso felice e Akaza non poté non notare la perla che gli aveva donato mesi prima appesa al suo collo.

«Non credevo di trovarti qui, Koneko-chan!» esclamò Kyojuro e Akaza, abbandonando la sua forma animale, sbuffò e si concesse una risata, la prima dopo quella che gli sembrava essere un’eternità.

«Quante volte devo dirti di non chiamarmi in quel modo?» ribatté.

«Ancora tante volte, visto che mi trasferisco qui,» rispose l’altro.

Un barlume di speranza e gioia vibrò nel petto di Akaza ma esitò ad alimentarlo.

«Per quanto tempo?» chiese infatti.

Kyojuro accarezzò distrattamente la perla che portava appesa al collo, le labbra piegate in un sorriso dolce.

«Per sempre… in fondo, come tutti i Rengoku, anche io appartengo a Yukimura, » il suo tono si era fatto basso ma sicuro, e Akaza non esitò a credere alle sue parole e soprattutto a quel per sempre che aveva il sapore di una promessa.

A quel punto, senza resistere oltre, Akaza ridusse la distanza che lo separava dal corpo di Kyojuro, stringendolo in un abbraccio forte e disperato. Il calore di Kyojuro e il suo profumo lo avvolsero subito e comprese che qualsiasi cosa fosse accaduta, non gli avrebbe mai permesso di lasciarlo una seconda volta.

«I Rengoku appartengono a Yukimura,» dichiarò, premendo il viso contro il collo dell’umano. «Ma tu ora appartieni a me, Kyojuro,» aggiunse, ascoltando la risata dell’altro vibrare contro il suo petto.

«Non ti facevo così possessivo… ma d’accordo: posso convivere con questa cosa!» anche le braccia di Kyojuro si strinsero attorno a lui e Akaza non poté evitare di ridere a sua volta.

Era tutto perfetto. C’erano tante altre questioni in sospeso, domande che pretendevano una risposta e altrettante risposte che dovevano trovare la loro voce, ma per quel momento sentiva di non aver bisogno d’altro ed era certo che anche per Kyojuro fosse così.




Note Finali:

[1] Yukimura
- Paese di fantasia nella prefettura di Kyoto, ispirato a Miyama (Kyoto)[return to text]
[2] Kayabuki
- Antiche case giapponesi con tetto a spiovente fatto in legno e paglia. Achitettura Kayabuki [inglese][return to text]
[3] Hokura
- Oppure "Hokora". Piccoli santuari a volte situati accanto alle strade. [Wiki][return to text]
[4] Shimenawa
- Corde decorative di purificazione che si trovano dei santuari [Wiki][return to text]
[5] Komainu
- Statue, spesso dalle sembianze di leoni/cani, che si trovani in coppia all'ingresso dei santuari [Wiki][return to text]
[6] Ojuzu
- Collane usate nel buddismo [Wiki][return to text]
[7] Yuki-onna
- Yokai del folklore giapponese, rappresentata da una donna bellissima che appare nella neve [Wiki][return to text]
[8] Kuraokami
- Un Kami giapponese rappresentato da un drago. Si dice sia il Dio della Pioggia e della Neve [Wiki][return to text]
[9] Kami, Kami Tutelari e Santuari Tutelari
- I Kami ([Wiki]) sono le divinità giapponesi, ma ne esistono anche di altri tipi come ad esempio i "Kami Tutelari" (Chinjugami), ovvero uno spirito protettore che protegge un'area, un villaggio, un edificio o un tempio buddista. I loro tempi si chiamano "Santuari Tutelari" (Chinjusha).[return to text]
[10] Yokai
- Sono un tipo di creatura soprannaturale della mitologia giapponese. Tra di questi rientrano le già citate Yuki-onna, demoni (Oni), spettri, spiriti, kitsune ecc ecc. Raramente sono considerati di buon auspicio. [Wiki][return to text]
[11] Toki
- Spirito Combattivo. Quello che vede Akaza nel canon di KNY [Fan Wiki][return to text]
[12] Pettine Kushi
- Pettine decorativo usato nelle pettinature giapponesi [Blog][return to text]
[13] Engawa e Shoji
- L'engawa è la veranda che si trova fuori le case giapponesi, mentre lo shoji è la porta scorrevole - con carta di riso - che da all'esterno della casa. [Engawa - Wiki] - [Shoji - Wiki][return to text]
[14] Oni
- Demoni giapponesi. [Wiki][return to text]
[15] Reikai
- Regno degli Spiriti. Presente in varie opere, come Naruto, ma in questo caso io pensavo a quello della Città Incantata, dove finiscono anche i dimenticati (come Haku) [Fan Wiki][return to text]
[16] Hitogami
- In genere è un essere umano che viene venerato in vita e nella morte, e che diventa simile a un Kami [Wiki][return to text]
[17] Hitobashira
- Pratica nella quale venivano sacrificate delle persone per creare delle fondamenta di castelli e santuari. [Blog][return to text]
[18] Citazione
- Citazione di Ernest Hemingway. [Goodreads][return to text]
[19] Kotatsu
- Basso tavolino tipico giapponese sotto il quale è possibile mettere una fonte di calore per l'inverno [Wiki][return to text]
[20] Tatami
- Pavimento in legno rivestito delle stanze giapponesi. [Wiki][return to text]
[21] Kitsune e Hoshi no tama
- Le kitsune sono i demoni volpe del folklore giapponese e la "Hoshi no tama" è la loro fonte di potere. [Wiki][return to text]
[22] Rei no Tama
- Letteralmente Sfere Spirituali. Le ho inventate prendendo spunto dalle Hoshi no Tama delle kitsune, sono il catalizzatore dei demoni come Akaza e Hakuji.[return to text]



   
 
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