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Autore: Francine    16/11/2023    3 recensioni
Milo Papadopoulos, rampante chef, re dei social network e host di innumerevoli programmi sulla cucina, ha indetto un concorso per trovare un dolce che incarni la vera essenza di S. Valentino. E un bel giorno nella sua casella di posta elettronica trova la candidatura del Cafè Verse-Eau, elegante locale di Parigi, a Montmartre, a due passi dal Sacro Cuore e dal Carousel des Abbesses.
Peccato che Étienne Arnoul, il giovane proprietario del Cafè, non solo non badi molto alla promozione sui social, affidandosi al traffico di turisti che affollano Montmartre, ma non abbia neppure candidato il proprio locale alla singolare tenzone...
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Capricorn Shura, Pisces Aphrodite, Scorpion Milo
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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10.


 

Étienne osservava in silenzio l’Hemingway in salsa aioli con la stessa attitudine di un drago che si è risvegliato nel bel mezzo di un lungo, lunghissimo pisolino, ed ha trovato un avventuriero scriteriato a zampettare tra i suoi luccicanti tesssori.
Sbuffi di fumo si levavano dalle sue labbra, la sciarpa allentata e l’espressione severa. E lo scriteriato di cui sopra taceva, la stessa espressione di un pesce appena tirato su dalle reti, che si chiede dove sia finita tutta l’acqua in cui nuotava fino a pochi istanti prima.
Taceva e lo fissava, come a cercarsi le parole nelle tasche dei calzoni. Così Tiennot decise che ne aveva abbastanza di tutta quella sciarada. Inarcando un sopracciglio e tirando fuori il peggiore dei suoi sorrisi, fece un passo avanti e disse:«Fammi indovinare…».
«Non sprecare energie», ribatté l’Hemingway in salsa aioli. Più acido di quanto Tiennot si sarebbe aspettato.
Un altro sbuffo di fiato, stizzito stavolta, ed Étienne scosse la testa. 
  Non occorreva la sfera di cristallo per capire a chi si dovesse quell’incontro imprevisto. A Coralie. Sempre e solo a Coralie. La quale, da quando la sua ultima storia d’amore era finita alle ortiche, si era buttata anima e corpo nel ruolo di un improvvisato Cupido. Un Cupido alquanto maldestro, secondo il parere di Étienne, che, a dispetto delle buone intenzioni di sua sorella e delle proprie ortiche da coltivare nel proprio giardino, non voleva saperne di ricominciare con appuntamenti, regali e festività comandate. Si era sempre gettato a capofitto nel lavoro, lui; e, a giudicare dai risultati catastrofici, anche Coco avrebbe dovuto farsene una ragione, ed appendere al chiodo arco, frecce, ali e parrucca bionda. 
Anzi, glieli avrebbe appesi lui, motu proprio, quella sera stessa, ché quello scherzo era stato la proverbiale goccia che aveva fatto traboccare l’ancor più proverbiale vaso. 
Tentare di rabbonirlo per la faccenda del Plaisir d’Amour con un appuntamento al buio…
Coco legge un po’ troppe stronzate, ultimamente, pensò Étienne, fissando la bocca semidischiusa dell’Hemingway in salsa aioli.
Non è nemmeno il mio tipo!
L’ennesima vittima del delirio di onnipotenza di Coco, e della sua strampalata Agenzia per Cuori Solitari, se ne stava in mezzo alla strada con l’aria di un povero diavolo finito in una tagliola.
Lo si capiva all’istante, e Tiennot era sempre stato bravo a prendere le misure alle persone. Tutto, in quel tizio, stava a significare una cosa sola, anzi due.

La prima: stupore genuino per essersi trovato di fronte qualcuno del tutto inaspettato.
La seconda: di essersi trovato di fronte proprio lui.
Non si è nemmeno resa conto che gli sto sulle palle, pensò. Perché Étienne era pronto a giocarsi anche la camicia che quel bel tomo, in realtà, stesse aspettando Coco.
Era ora di mettere fine a quella farsa e tornare a casa. Spostò il peso del corpo sulla gamba sinistra e si cercò in fondo alla gola il tono più cordiale e conciliante del proprio limitato repertorio.
«Tranquillo, stavolta una bella strigliata non gliela toglie nessuno.»
E no, non gli era uscito un tono di voce né conciliante, né amichevole. Anzi.
Pazienza. Tanto gli sto sulle palle.
Girò sui tacchi, pronto ad iniziare la marcia alla volta della strigliata coi controfiocchi, quando l’altro scattò.
Colmò la distanza tra di loro e gli posò una mano su una spalla.
«Aspetta.»

  Étienne guardò quelle cinque dita come se fossero un’entità aliena. Un tentacolo extra-extra large. O un’appendice spuntata da una qualche creatura che la mente fatica a comprendere. Poi spostò gli occhi sull’Hemingway in salsa aioli - come diamine si chiamava? Raniero? Ramiro? Rolando? -, come a dirgli - a intimargli - di parlare.

«Io avevo appuntamento con tua sorella. Mi ha consigliato lei di provare questo posto. E, per non farmi cenare da solo, si è offerta di accompagnarmi.»
«Ma davvero?», e stavolta il tono di Étienne dovette uscirgli più caustico del previsto, perché l’altro, forse punto sul vivo, non lasciò la presa e serrò la mascella.
«Sì. Davvero.»
In quel momento, un doppio trillo avvisò entrambi di una notifica in arrivo.
Controllarono i propri smartphone.
Si mostrarono i display.

  Scusami tanto, ma ho avuto un imprevisto!
Mi sono presa la libertà di mandare un’altra persona al mio posto, così non resterai da solo!

Buona serata
Coco xxx


  «Io la strozzo…»
«Il fratricidio costa caro. Vent’anni almeno, con tutte le attenuanti e buona condotta», ribatté l’altro, liberandogli la spalla. «Tua sorella ci ha fatto uno scherzo da prete. Però, visto che siamo tutti e due qui, e visto che il posto sembra piacevole…»
Mi stai invitando a cena?, pensò Tiennot. E poi lo disse: «Mi stai invitando a cena?».
 «Tua sorella ti ha invitato a cena», precisò l’altro. «E ha invitato pure me. Io sto solo suggerendo di non buttare alle ortiche la serata.»  
O forse è già andata in malora?, diceva il suo viso, con una punta di rammarico.
Quindi aggiunse: «Poi, se ti sto così antipatico da non potermi soffrire al di fuori del tuo Cafè…», e fece per voltarsi.
«Non ho mai detto questo», precisò Tiennot. 
«Davvero? Perché, scusami se te lo dico, ma il linguaggio del tuo corpo dice tutt’altro», ribatté l’altro. «E va bene. Va benissimo. Non ci sono problemi…»
«Non mi sei antipatico», ripeté Tiennot, chiedendosi perché stesse insistendo tanto. «Detesto essere tirato in ballo.»   
«Lo capisco. Non piace neppure a me. Ma è una bella serata, il ristorante sembra interessante…» Rodolfo - Ramiro? Raniero? Rolando? - prese fiato e assestò la stoccata finale: «e se la cucina non fosse buona, tu non saresti qui.».
Tiennot sgranò gli occhi e un sorriso, un accenno appena.  
«Touché. Lo ammetto. Sono qui per la cucina.»
«Perfetto», commentò l’Hemingway in salsa aioli.  «Io entro. Tu ti aggreghi?»
Tiennot lo squadrò da cima a fondo, come a volergli prendere le misure per la bara, poi disse: «D’accordo. Ma mettiamo in chiaro un paio di cose.».
L’altro annuì.
«Primo, non ricordo il tuo nome. E tu capisci che…» 
Ramiro Raniero Rolando Rodolfo rispose: «Rodrigo», porgendogli la mano. «Tu sei Étienne. E adesso che abbiamo fatto le presentazioni…»
«Secondo, la cena la pago io.»

E con queste parole lo driblò, meglio di Trezeguet, e si diresse a spron battuto verso la porta, lasciando Rodrigo in mezzo alla frase e a Rue du Dragon. Fu questione di un attimo, poi sentì la busta frusciare e il suo passo seguirlo sul marciapiede. Entrarono, si liberarono di sciarpe e cappotti al guardaroba, e poi si diressero al podio del maître. Che non era un vero e proprio podio, ma un tavolo dal piano di marmo verde, dove i camerieri attendevano gli ospiti con un sorriso rilassato e l’aria serena.
«Arnoul, per due», disse Tiennot ad un ragazzetto allampanato, mentre Rodrigo si guardava attorno.   
Pareti bianchissime, rilievi in verde prato e tovaglie giallo Napoli a coprire i tavoli. Mazzi di erbe aromatiche essiccate alle pareti — lavanda, santoreggia, salvia —, musica jazz in sottofondo e un chiacchiericcio discreto degli avventori. Sembrava piacergli. Tiennot ne fu contento.
 «Certamente», rispose il cameriere che li aveva accolti, l’aria sparuta di chi è al primo giorno di lavoro.
 «Lascia, Pierre. Ci penso io.»

  Dalla scala che portava alle cantine — e ai bagni. A Parigi i bagni si trovano, due volte su tre, nel seminterrato, si rammentò Rodrigo — era apparso un ragazzo. Alto, massiccio, mascella importante e forte accento inglese, si fece avanti e prese dalle mani di Pierre il menù. 
 «Come vuoi, Alistair», mormorò Pierre, facendo un passo indietro.
Rodrigo non se ne stupì. Questo Alistair aveva una presenza di scena impressionante. Capelli biondo grano e sguardo truce, era il classico belloccio che avrebbe fatto la sua porca figura in una palestra come personal trainer, o come istruttore dei Marines. Sentendosi un po’ come Palla di Lardo, Rodrigo si chiese chi fosse, per Tiennot — Étienne —, quel tizio vestito da pinguino, i cui modi compiti stridevano con l’aspetto da metallaro in vacanza. 
«Chi non muore si rivede», l’apostrofò severo. «Quando Coco ha prenotato, ho pensato mi stesse giocando uno scherzo dei suoi…»
No, lo scherzo da prete lo ha giocato a noi, pensò Rodrigo, osservando quella montagna bionda di muscoli posare una bottiglia sul podio del maître>.
«E invece sono qui. In carne e ossa», replicò Tiennot.
«Quale carne?» replicò Alistair. «Sei sempre pelle e ossa, tu…»
Rifilò a Pierre la bottiglia e gli abbaiò: «Tavolo Quattro. E vedi di non fare casini.».
Pierre borbottò qualcosa, si diresse nella sala principale ed uscì di scena — e da questa storia — in punta di piedi. 

Alistair fissava ora l’uno ora l’altro come se stesse di fronte ad un bizzarro esperimento scientifico. Un tasso alle prese con la sua preda, pensò Tiennot. E, sapendo che Alistair, al pari della graziosa bestiola, non avrebbe mollato la presa sino a quando non avesse sentito l’osso scricchiolare sotto ai denti, si affrettò a dire: «Lui è un amico.».
Pentendosene l’istante successivo.
Gli stava dando una giustificazione. Una giustificazione non richiesta. E cos’è che diceva sempre sua madre?
Excusatio non petita, accusatio manifesta.
Alistair ghignò. Come a dire: «Sì, certo. Come no? E io sono un triciclo», ma ebbe il buongusto di non infierire.
«Christiane non c’è?»
Alistair roteò gli occhi al cielo. Sbuffò. E poi rispose:  «No, non c’è. Indovina perché? Perché il suo fratellino ha 36.9 di febbre», e così dicendo li introdusse nella sala principale.

  La sala era più ampia di quanto avesse ipotizzato Rodrigo. Se ricordava con esattezza la macelleria kosher del vecchio David, si trattava di un budello con la cassa all’ingresso — nemmeno quell’arpia di Danielle, sua moglie, avesse potuto scoraggiare eventuali ladruncoli dal fuggire con le salsicce sottobraccio a mo’ di baguette —; il bancone nel senso della lunghezza, e una parete a specchio che, invece di far sembrare il locale più grande, aveva avuto il tragico esito di renderlo ancora più soffocante.
L’entrata del ristorante e il guardaroba erano quasi il doppio della vecchia macelleria, mentre la sala principale ospitava una trentina di tavoli. 
Dove sono le cucine?, si chiese, mentre seguiva la schiena di Tiennot.
Alistair mostrò loro un tavolo appartato, accanto ad una finestra che dava sulla corte interna.
«Coco si è raccomandata di avere un po’ di privacy», spiegò Alistair, un sorrisetto malcelato sulle labbra.  «Va bene, monsieur
 «Ah sì?», ribatté Tiennot, accomodandosi.
«Sì», ghignò Alistair. Poi si strinse nelle spalle e aggiunse: «Almeno potrete parlare come persone civili. Stasera abbiamo una festa. Cinquant’anni di matrimonio. Faranno un po’ di casino, ma alle undici se ne andranno tutti a nanna.».
Alistair fissò Rodrigo dritto nelle palle degli occhi.  «Alistair», disse, protendendo la mano. Rodrigo si affrettò a stringergliela e presentarsi.  «Certo che ad aspettare te…», aggiunse, all’indirizzo di Tiennot.  
Posò i menù sul tavolo e aggiunse, elencandoli con le dita:  «Oggi hors menu abbiamo l’insalata di patate alla bavarese. Il gratin Dauphinois. I fagioli >à la lyonnaise… E la zuppa di cipolle! Date un’occhiata. Intanto porto l’acqua», e sparì, veloce come il vento e leggero come una piuma. 

 «C’è qualcuno che non conosci?», gli domandò Rodrigo, sinceramente stupito.
Tiennot lo fissò, sollevando un sopracciglio.  «Il mondo della cucina è piccolo», rispose. 
«Già…»
«La sua ragazza è amica di mia sorella», precisò Tiennot. «Siamo praticamente cresciuti assieme.»
«Capisco.»

Rimasero in silenzio a controllare i menù.
C’erano poche voci, tre o quattro varianti per portata, ma erano tutte pietanze stagionali.
Un altro punto a favore per Giselle, pensò Rodrigo, stornando lo sguardo e osservando la sala. Sì, era decisamente più grande di come se la ricordava. Ed era prontissimo a scommettere che il soffitto era più basso. Potenza dei colori, certo. Avendo scelto tinte chiare e luminose, l’ambiente ne risultava ingrandito, tuttavia…

  «Siamo pronti? Vi serve qualche altro minuto?»
L’approccio di Alistair, leggero come una farfalla a dispetto della mole poderosa, era senza dubbio alla mano. Rodrigo si chiese cosa avessero mai in comune due tipi come lui e Tiennot, ma poi si disse che non erano fatti suoi. 
«Io ci sono», rispose Tiennot. E poi lo guardò.
«Io no», rispose Rodrigo con franchezza.
Alistair depose sul tavolo la carta dei vini e disse: «I’ll be back.», con un accento tedesco — austriaco, gli suggerì la voce del buonsenso — e si defilò, lasciandoli da soli un’altra volta.
«Questo menù è intrigante», disse Rodrigo, più per colmare il silenzio che per una reale necessità. Tiennot annuì. «Puoi consigliarmi qualcosa?»
«Avresti dovuto chiederlo ad Alistair», rispose Tiennot. E qualcosa, nello sguardo di Rodrigo, gli disse che, ancora una volta, il suo tono assomigliava più alla lama della ghigliottina che ad un’amichevole voce umana. 
«Di solito, evito di chiedere queste cose ai camerieri», replicò Rodrigo, tornando a scorrere il menù. «Sono, come dire? Di parte, ecco. Io volevo avere il punto di vista di un altro avventore.»
«Certo. Per la tua guida…»
«Nossignore», replicò Rodrigo, un pizzico di saccenza nella voce. «Per cenare come Dio comanda. La guida è il passo successivo.»
«E non si corre il rischio di fornire informazioni errate al lettore?», domandò Tiennot. «Acqua?»
«Sì, grazie», replicò Rodrigo. Poi, come se si fosse rammentato all’improvviso di qualcosa di capitale, prese il tovagliolo e se lo distese sulle ginocchia. «Ecco fatto. Dicevamo?»
«Le informazioni errate», l’imbeccò Tiennot, posando la bottiglia dell’acqua sul tavolo e spiegando a sua volta il tovagliolo sulle ginocchia.
«No, non credo.» Rodrigo bevve un sorso d’acqua, poi aggiunse: «Un piatto sbagliato può capitare. Ma è sempre l’eccezione che conferma la regola. Mi spiego meglio. Se un soufflè non riesce, possono esserci varie ragioni di mezzo. Ma è il solo soufflè.»
Tiennot annuì.
«Un caso isolato capita. Sarà successo anche a te che un giorno un dato tipo di dolce proprio non ne volesse sapere di venire bene, no?»
«Sì», ammise Tiennot. «Succede. E spesso per ragioni non dipendenti da chi sta in cucina.»
«Esatto», commentò Rodrigo. «Ma quando la cucina di un posto fa schifo, tutti i piatti partecipano della stessa, disgraziata sventura.»
Pausa drammatica ad effetto.
«Fanno tutti schifo. In un modo, o nell’altro. Senza appello.»
Tiennot ci pensò su. «Sì, hai ragione», disse. «In certe cucine c’è sempre qualcosa che manca, o che avanza. Come fosse un leitmotiv.»
«Verissimo», aggiunse Rodrigo. «Tempo fa c’era un posto, qui nel V arrondissement, che metteva una quantità di sale smodata in tutte le pietanze.»
«Stai parlando di Chez Loulou?», domandò Tiennot. E poi, senza attendere risposta, aggiunse: «Buon Dio, noi ci finivamo quando dovevamo pagare pegno!».
«Ci andavate giù pesante!»
Tiennot si strinse nelle spalle. «Eravamo adolescenti. E decisamente scriteriati», rispose. «Quel posto aveva una patina di unto che ti si attaccava all’anima non appena ti avvicinavi alla porta d’ingresso. E non c’era verso di levartelo di dosso!»
«Non me ne parlare. Avremo scaricato un intero scaldabagno, ma niente. Unti e bisunti eravamo e unti e bisunti restavamo.» Ridacchiò. «A livello molecolare.»
«Quindi, hai vissuto a Parigi per qualche tempo?»

  Quella semplice quanto innocua domanda generò un velo sul viso di Rodrigo.
Si incupì, con la stessa velocità di una nuvola che attraversa il cielo in un pomeriggio estivo. La certezza di aver toccato un nervo scoperto, Tiennot si cercò nelle tasche le parole per scusarsi, quando arrivò Alistair.
«Non ditemi che avete ancora bisogno di tempo, perché non ci credo», disse, il tablet tra le mani, pronto ad entrare in azione.
«Sono pronto», disse Rodrigo con un tono di voce più basso del normale. «Zuppa di cipolle, gratin Dauphinois e insalata di patate.»
«Perfetto. E per te, old chap
«Lo stesso.»
«Splendido», commentò Alistair spuntando le medesime voci sul tablet. «Da bere?»
Tiennot guardò il proprio commensale. Il quale, senza sollevare lo sguardo dal proprio piatto, rispose: «Fai tu».
Io lo strozzo. E poi strozzo pure Coco.
>Diede una scorsa veloce alla carta dei vini e poi, dopo un veloce conciliabolo con Alistair — «No, quello no. Parlo da amico» —, optò per un bianco secco.
Rimasti soli, il silenzio.

Ai tavoli accanto, i commensali chiacchieravano a voce bassa, mangiavano, interagivano. La tavolata per i cinquant’anni di matrimonio — sei tavoli da sei, età media ottant’anni, con una stima al ribasso — faceva chiasso quanto una scolaresca in gita. Gli unici due in rigoroso e religioso silenzio erano gli occupanti del tavolo più appartato.
  «Scusami. Vado a lavarmi le mani», disse all’improvviso Rodrigo. Si alzò e senza attendere replica, si avventurò alla ricerca della toilette.
Un millisecondo dopo, si manifestò Alistair.
«Tutto ok?», chiese, armeggiando con la bottiglia di vino. «Gli è morto il gatto all’improvviso?»
«Non lo so.» Tiennot si strinse nelle spalle. «Devo aver toccato un tasto dolente a mia insaputa.»
«Hai provato a chiedergli scusa?»
«E per cosa?», domandò Tiennot. «Nemmeno so perchési è rabbuiato!»
Alistair infilò il gancio del tire-bouchonnel sughero. «Così? All’improvviso?»
«Sì. Stavamo parlando di Chez Loulou e per educazione gli ho chiesto dei suoi trascorsi a Parigi.»
«Io non sono un campione di diplomazia», disse Alistair, e, con un’altra torsione, liberò con veemenza la bottiglia dal tappo, «ma credo sia questo, il nervo scoperto.».
«Sì, ma è lui che ha iniziato a parlare dei fatti suoi qui a Parigi, mica io!», precisò Tiennot.
«Forse non si aspettava che tu facessi domande al riguardo», ribatté Alistair versando il vino nei bicchieri. «Lo sai come si dice, no?»
«No, non lo so come si dice…»
Alistair lo fissò serio in viso.
Nobody expects the Spanish Inquisition
E poi rise di cuore, portandosi via il tappo ancora infilzato nel tire-bouchon e lasciandolo da solo a solo con una gaffe da sistemare.

  In che razza di ginepraio mi sono andato a cacciare?, si chiese Tiennot.
Ma, soprattutto, perché aveva accettato l’invito di quel tizio?
Per spirito di contraddizione, sentì dire alla propria coscienza, con la vocetta petulante che Coco tirava fuori quando sapeva di avere ragione. Sbuffò, tra sé e sé. Non gli stava sulle palle. Ma non gli stava nemmeno simpatico. C’era qualcosa, in quel tizio — Rodrigo. Ro-Dri-Go! — che girava a vuoto. E lui, che era sempre stato bravo a dare un nome alle cose, non sapeva catalogare cosa fosse a girare storto. Tutta la storia della guida su Parigi gli era sembrata una colossale bugia sin dall’inizio. Sì, forse era lì per scrivere questa benedetta guida. Ma Tiennot non capiva perché si fosse piazzato proprio al Cafè Verse-Eau. Come se non esistessero altre caffetterie, bistrot e compagnia cantante in tutta Parigi. E no, non era perché i suoi croissant erano i migliori sulla piazza, come sosteneva Coco. C’era qualcos’altro, a giustificare le azioni di quel tizio. In un primo momento, aveva pensato volesse fare lo scemo con sua sorella. E invece, no. Invece aveva continuato a venire al Verse-Eau anche dopo che lui aveva messo in chiaro un paio di cosette.
Era questo, a mandarlo in confusione. Questo, e il fatto che quel tizio continuasse ad inciampare nella sua vita come se niente fosse. Come in una di quelle commediole americane piene zeppe di buoni sentimenti e storie d’amore ad un tanto al chilo…
Ma questa è la vita vera<, pensò Tiennot, vedendo l’altro tornare al tavolo.
Rodrigo si sedette, spiegò nuovamente il tovagliolo sulle proprie ginocchia e Tiennot fece per dire qualcosa — qualunque cosa  come «Vino?», oppure «Scusami, non volevo essere indelicato», o qualsiasi altra frase buona per rompere il ghiaccio —, quando Giselle apparve accanto a loro, con due piatti tra le mani.
  «Buonasera», disse, spumeggiante nel suo vestito rosso fiamma, una cascata di riccioli neri acconciati con cura. «Questo è un piccolo antipasto di benvenuto da parte della casa.»
Posò i piatti e, sorridendo, spiegò: «Ricciolo di ricotta condito con pomodorini confit e una spolverata di capperi fritti su pane all’aria». Sembrava davvero invitante. «Si mangia con le mani», aggiunse, facendo l’occhiolino a Rodrigo.
«Claro», rispose Rodrigo, con un bel sorriso. Poi aggiunse: «Ricordavo che la macelleria di David fosse più piccola…».
«Oh, sì», disse Giselle. «La macelleria era un terzo del locale. Il resto era la merceria di Madame Fouquet»
«Ah, ecco», commentò Rodrigo. «Mi sembrava troppo grande.»
Giselle lo fissò, come a voler far riemergere il volto di quel ragazzo spagnolo dalla propria memoria. Non ci riuscì. «Beh, sai com’è… Madame Fouquet si sentiva sola. Il quartiere sta cambiando e lei era stanca.»
«Peccato», sospirò Rodrigo. «Quella donna aveva rocchetti di tutti i colori possibili e immaginabili.»
«Per non parlare dei bottoni…», sospirò Giselle.
«Per non parlare dei bottoni», le fece eco Rodrigo. «Una volta mi ha salvato. Mi si era rotto un bottone della camicia. Di madreperla. Vera madreperla. Ho girato tutta Parigi per trovarlo, ma nessuno ce l’aveva.»
«Nessuno, tranne lei», rise Giselle. «Beh, è anche giusto che si goda la pensione in Provenza, no? Buon appetito.»
E si ritirò, lasciandoli di nuovo soli.

  Quindi hai abitato a Parigi?, avrebbe voluto chiedergli Tiennot. E perché ne parli con tutti, tranne che con me?
Fece per aprire la bocca quando l’altro lo prevenne.
«Ho abitato qui, in rue du Dragon. Per un anno e mezzo. Con il mio compagno», spiegò Rodrigo. «Il mio ex compagno», e dal tono con cui aveva pronunciato l’ultima frase, Tiennot capì che la storia non era finita nel migliore dei modi. Anzi. Rodrigo era quello che ne era uscito peggio, e un moto di stizza gli fece irrigidire i polsi.
«Mi spiace», disse. Come da copione. «Non volevo…»
«No, no», Rodrigo scosse il capo. «Nessun problema. In fondo, se sono qui è anche per scacciare certi fantasmi e voltare pagina, una volta per tutte.»
Tiennot annuì. Lasciò che l’altro parlasse, coi suoi tempi. E così Rodrigo parlò. Tra un boccone e l’altro, gli raccontò la sua storia. E Tiennot venne a sapere dell’appartamento con abbaino su rue du Dragon. Dell’Erasmus. Di Aiolia. Dell’idea di scrivere una serie di guide sulle principali mete turistiche.
«Gli innamorati mangiano, no?»
«Prima o poi…», convenne Tiennot.
«E tu?», gli domandò a bruciapelo Rodrigo. 
Forse aveva bevuto troppo. Forse avevano bevuto tutti e due troppo. Ma il vino allenta remore e freni, no? E così Tiennot si strinse nelle spalle e decise di raccontare un po’ di sé a quel tizio strampalato che si era accampato nel suo locale da due settimane.
«Io ho ereditato il locale e il laboratorio da mio padre», spiegò. «Si chiamava Rémy, e il Verse-Eau era il suo vanto. Io avrei voluto andarmene negli Stati Uniti, per un master e poi, chissà, magari aprire un posto tutto mio. E invece…»
Silenzio. Si era avventurato in un territorio tanto difficile quanto privato. Ormai sono in ballo, pensò Tiennot. E aggiunse:«Rémy è morto in un bel giorno di primavera. Così. Un infarto e tanti saluti.».
«Oddio. Mi dispiace», commentò Rodrigo, lo sguardo improvvisamente attento. «Non avevo idea…»
Tiennot fece un gesto, come a dire: «Fa’ niente». E poi lo disse: «Fa’ niente.»
Rodrigo tacque per qualche minuto, come a cercare le parole giuste da dire. Ma le parole sono dispettose. Non vengono quando ne abbiamo bisogno, ma quando lo dicono loro. Sempre se vogliono, ben inteso.

Così, mentre entrambi tacevano, ognuno perso dietro ai propri pensieri, Alistair riapparve. E fu in quel momento che, ciascuno per sé, si accorsero di essere rimasti gli unici due clienti del locale. Gli altri tavoli si erano via via svuotati, i commensali scivolati fuori dalle doppie porte del ristorante, compresi gli arzilli nonnetti alla festa per le nozze d’oro. Chissà quante ne avevano viste, quei due sposi attempati. Chissà come avevano fatto ad addrizzare, ogni volta, la barra del timone.
«Come è andata?», chiese, pompando al massimo il proprio accento.
«Benissimo», si affrettò a dire Tiennot. Rodrigo annuì. Distrattamente. «Era tutto squisito, ma si è fatto tardi, e io domani devo alzarmi presto…»
Alistair ghignò. «Certamente…», annuì, un sorriso da faina ad incurvargli le labbra. «Vi porto subito il conto», e sparì via, lasciandoli soli.
«Si è fatto tardi», disse Rodrigo, dando uno sguardo al display del proprio smartphone. «Peccato avrei voluto assaggiare il dolce.»
«Ah, no», disse Tiennot. «Il dolce lo offro io», aggiunse.
«Sicuro?», chiese Rodrigo. «Non ti devi alzare presto?»
«Sì», rispose Tiennot. «Ma vorrei usarti come cavia», e ridacchiò. 
«Come cavia?»
«Sì», disse Tiennot. «Ho una cosa che vorrei farti assaggiare.»
«Una novità?»
«In un certo senso…»
Rodrigo ci pensò su un istante, poi disse:«D’accordo. Ma solo se rientriamo camminando. Altrimenti non credo che qui dentro possa entrarci nemmeno uno spillo», aggiunse, portandosi una mano allo stomaco.
«Andata», disse Tiennot. «Ho bisogno anche io di sgranchirmi un po’ le gambe.»


 
   
 
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