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Autore: ntnmeraviglia    16/11/2023    1 recensioni
Un racconto di ferite, di dolore. Di sesso, di sporco, di marcio. Di Dio, di servi di Dio; di umani che giocano a fare Dio.
Quattro storie diverse, intrecciate tra loro in un unico, ripugnante destino.
Se vi va di sporcarvi le mani di sangue, siete nel posto giusto.
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AVVERTENZE: In questa fanfiction troverete poche ship canoniche - e poche ship concrete in generale -. Al contrario, sono presenti diversi OC (original characters); sei, per l'esattezza, che presenzieranno per tutta la durata della storia e si interfacceranno con quasi tutti i personaggi dell'opera originale. Se siete affezionati ad Hellsing e, in generale, al filo conduttore della storia esattamente nell'ordine e nel modo in cui si svolge nel canon, forse questa lettura non fa per voi; e allo stesso modo se non siete fan degli OC.
Per il resto, siete i benvenuti, e mi auguro che le mie piccole ideuzze vi intrattengano tanto quanto hanno fatto con me!
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Alucard, Integra Farburke Wingates Hellsing, Maggiore, Nuovo Personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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« Milady, per quanto concerne il discorso vampiri artificiali… credo di aver trovato la soluzione. »

Sir Integral Fairbrook Wingates Hellsing era vittima dei suoi pensieri da un po’ di tempo. Nella sua vita si era ritrovata ad affrontare situazioni di difficoltà continuamente, senza mai permettersi il lusso di inerzia. Del resto, stiamo parlando del capo supremo dell’Organizzazione Hellsing: padrona del più longevo dei vampiri, protettrice del Regno Unito e della Chiesa Anglicana, cane della Regina. Ed essere tutte quelle cose comportava una serie apparentemente infinita di rischi e responsabilità.
Fino ad allora, non aveva avuto alcun problema a gestire sé stessa e gli altri; anzi, possiamo tranquillamente dire che fosse un talento naturale nell’impartire ordini con freddezza e carisma. Tuttavia, ora le cose si complicavano vertiginosamente, senza che riuscisse più a controllarle. Da quando in qua quei mostri avevano assunto la capacità di autogenerarsi?
Lady Hellsing aveva a che fare col mondo dei vampiri da tutta la vita, e credeva di saperne abbastanza da poter affermare fuori ogni ragionevole dubbio che il loro unico metodo di riproduzione fossero i morsi, e che certamente non prolificavano in laboratorio.
E ora, invece, spuntavano fuori orde di artefatti, cavie di chissà quale mente strampalata. Forse, addirittura più pericolosi della loro già sufficientemente temibile versione congenita.
Va da sé che l’associazione anti-vampiro per eccellenza si ritrovò improvvisamente più al centro del mirino del solito. Integra, che aveva sempre conosciuto i suoi limiti, aveva ponderato a lungo sul da farsi, arrivando alla spiacevole conclusione di aver bisogno di più personale. Più uomini, più armi, più roccaforti, più protezione; era coinvolta in un pasticcio grosso, in cui il solo Alucard, nonostante la sua forza sovrumana, si dimostrava insufficiente.

« Ti ascolto, Walter. »

L’odore pungente di sigaro cubano impregnò lo studio della Lady di ferro. Era un odore ricorrente, un aroma che pizzicava le narici, raramente accostabile ad una donna. Ma lei, ovviamente, non era una donna qualsiasi.
Vortici di fumo denso si librarono nell’atmosfera. La combustione di quel forte tabacco sibilava ininterrotta, e scaglie grige di cenere piovvero sulla scrivania d’ebano, senza tuttavia rovinarla, poiché sir Integra tendeva ad esprimere la sua femminilità nella cura a dir poco maniacale dei suoi effetti personali.

« Mi sono permesso di assumere dei mercenari professionisti. »

Walter C. Dornez era un segugio fedele, la figura che più di tutte si avvicinava a quella di un padre, per Integra. Leale, ligio, sempre obbediente; di un’anzianità che, solo a vederla, attrae a sé sapienza e sagacia. Proprio tutto ciò che un maggiordomo di tutto rispetto dovrebbe essere.
Nonostante la sua impeccabile abilità ed esperienza in tal senso, tuttavia, l’unica superstite degli Hellsing ebbe da storcere il naso a quell’audace affermazione. Per la prima volta, dubitò dell’effettivo beneficio di una sua scelta.

« Mercenari? E che ce ne facciamo? Non so nemmeno se possiamo fidarci, quelli lavorano solo per denaro. »

« Non ho assoldato dei semplici mercenari, ma veri e propri professionisti. Posso assicurarle che finché vengono pagati e sono sotto contratto, i Wild Geese non tradiscono mai. In questo momento così delicato abbiamo bisogno di quanti più uomini possibile, Milady. »

« Hm. » la donna parve concedersi del tempo per riflettere sul da farsi: con lucidità ed autorità, senza mai dimostrarsi preoccupata. Non una goccia di sudore lungo la sua fronte, non una ruga di tensione scolpita su quel volto olivastro. Gli occhiali tondi le adornavano il setto nasale, riflettendo i colori della notte, ricoprendo per buona parte un paio di inflessibili iridi delle stesse sfumature. « Va bene, faremo come dici. Ma dovrò valutarli, prima. »

Walter capì le esigenze della sua grande signora, comprendendone la perspicacia: in un’Istituzione tanto prestigiosa non potevano certo finirci cani e porci, senza la minima supervisione.
Ma i Wild Geese non era gente qualunque. Forse non esattamente i più brillanti soldati della vecchia Europa, né tanto meno i più benpensanti, o raffinati, o significativamente acculturati.
Ma le palle le avevano, e tanto bastava per il loro estremamente testosteronico mestiere.

« Allora, capo? Si può sapere di che si tratta? Da quando mettiamo piede in questi covi di bastardi borghesi con la puzza sotto il naso? »

« E sono pure inglesi! Puah! Mi viene proprio voglia di sputare sul loro sudicio tappeto ricamato! »

« Sì, giusto! »

I loro ragazzi sapevano essere davvero selvaggi, quando ci si mettevano d’impegno: Isaac e Pip lo sapevano bene. Il compito più arduo, in quella situazione, sarebbe stato tenerli a bada: sedare potenziali rivolte, sgrezzare un po’ – per quanto possibile – i loro impervi istinti.
Niente di più difficile, dato che i primi comunisti incazzati erano loro due.

« Calma, ragazzi, non c’è bisogno di agitarsi. » Philippe era il più grande, oltre che l’unico Bernadotte di sangue. Ci teneva molto, sì: Wild Geese aveva l’impronta primordiale della sua famiglia, come un marchio di fabbrica. Dunque, ritenne necessario prendere subito le redini della questione, prima che fosse troppo tardi. « L’affare sembra buono, ascoltiamo quello che hanno da dire. »

« Perché dovremmo essere il passatempo di qualche riccone annoiato? »

« No, non sarà così. » Dato che il pugno di ferro – per così dire – di Pip si era rivelato inconcludente, toccò ad Isaac provare a ristabilire l’ordine. Lui aveva qualche anno in meno rispetto al suo fratellastro, ma di cose, nella vita, ne aveva viste ugualmente. E forse, nonostante non fosse frutto diretto di sborrate Bernadottiane, possedeva una maggiore caparbietà: insomma, sapeva farsi ascoltare. « La lettera che ci hanno spedito è stata molto chiara e diretta. Non so in che altro modo dirvelo, quindi andrò dritto al sodo: a quanto pare, siamo stati chiamati per annientare dei mostri. »

La reazione generale fu tanto prevedibile quanto paradossale, date le circostanze. Dapprima, un gelido silenzio calò tra i presenti, che si scambiarono occhiate di attonita perplessità. Poi, un riso di gruppo scacciò via il malumore e le preoccupazioni: sì, certo, i mostri! Cosa avrebbero dovuto fare, quindi? Cacciare le streghe o i fantasmi?!

« Ah-ah, certo! Questa sì che è bella, capo. Dai, raccontane un’altra. »

« Vi sta dicendo la verità. » la voce austera di una donna mise fine a quel gran baccano, intrufolandosi fra gli schiamazzi con somma eleganza. Integra Hellsing era l’assoluta regina di quel luogo preda di eventi e creature sovrannaturali, e tutti lo capirono al volo con un semplice sguardo. « I vostri nemici sono vampiri immortali che succhiano sangue umano. La nostra missione è conficcare dei pali di legno nel loro cuore, portare aglio e acqua santa, decapitarli, bruciarli, e spargere le loro ceneri ad un crocevia. Leggete Bram Stoker per saperne di più. »

Anche ironica e pungente, la glaciale Miss Hellsing.
E chi l’avrebbe mai detto. Del resto, incutere timore era ciò che le riusciva meglio; questo, comunque, non impedì al giovane Isaac di adoperare un po’ di sane buone maniere. Era pur sempre un romanticissimo provenzano.

« Miss Hellsing, anzitutto la ringrazio per essersi affidata a noi. Io e mio fratello saremo lieti di poterle dare una mano, qualsiasi sia la mansione. »

« Quindi se ti chiedessi di lustrarmi le scarpe lo faresti senza battere ciglio? O di pulirmi il cesso, magari? » Integra si mostrò irritata dalla galanteria altrui, e da quel noiosissimo accento francese da ostriche e champagne. Quel tipo non era molto più di uno scarto puzzolente, eppure sembrava crogiolarsi in un atteggiamento infighettito che non gli apparteneva. Isaac, dal canto suo, che stava solo cercando di essere educato in presenza di una bella e potente signora come lei, si sentì piccolo e merdoso come uno scarafaggio. « Credevo di aver assunto dei mercenari, non degli sguatteri. »

« No, no, certo, ha ragione. Devo essermi espresso male. »

« Bando alle ciance. Ciò che davvero mi importa, è che voi siate pronti a qualsiasi evenienza, e che siate preparati anche contro esseri non facenti parte di questo mondo. »

« Senta, cara signora, io ho la netta sensazione che lei ci stia pigliando per il culo. » una voce si levò, aspra e polemica, scura e roca come solo quella di un uomo incazzato poteva essere. Era evidente che i vari membri del Wild Geese non avevano ancora assimilato perfettamente il senso della definizione “esseri non facenti parte di questo mondo”. « I vampiri non esistono, né nient’altro di queste sciocchezze. »

« Molto bene. Allora, guardate coi vostri stessi occhi. »

Un braccio slanciato e longilineo si tese in direzione opposta a quella degli scettici mercenari. Integra indicò qualcosa che, silenziosamente, s’era insinuata in stanza senza essere notata; né percepita, né vista e né sentita. Una figura umana — o presunta tale. Umanoide, perlomeno… anche se di umanità, tra i connotati di quel viso pallido e tra quei canini puntuti e sporgenti, c’era ben poco; inoltre, anche il suo sguardo ne era totalmente privo.
In ogni caso, almeno all’apparenza, sembrava una giovane donna. Una giovane donna a braccia conserte, evidentemente innervosita dalla presenza estranea, ed avente tutta l’aria di non voler essere lì.

« La donna che vedete lì piantata è un vostro nemico, un vampiro. Ora ce l’avete davanti. »

« Eh…? Ma come? Una ragazza così sarebbe un vampiro? »

« Pip… dai, lascia perdere. »

« No, aspetta, dico sul serio. » i moniti del suo fratellino non furono sufficienti: Pip abbandonò momentaneamente il suo ruolo di leadership condivisa. Mosso da una connaturata indiscrezione al pari di quella di un poppante, volle verificare a distanza ravvicinata quanto appena riferitogli: quindi, si accostò all’appena interpellata, approcciandola con cautela. « Ehm… non è che potresti… uh, non so, dimostrarci in qualche modo che sei davvero un vampiro? »

« Non sono qui per esibirmi come un fenomeno da baraccone. Non sono un giullare. »

« Coraggio, Alexis, fa’ vedere cosa sai fare. Sfogati pure. » non solo l’intervento di Integra non piacque affatto alla sua interlocutrice, ma ancor meno le piacque la sua successiva precisazione. « È un ordine. »

Alexis impazziva di rabbia all’idea di ricevere ordini da quegl’infimi. Da dei mostri e dai loro padroni; e, ancor peggio, da dei protestanti. Traditori di Cristo, sporchi rinnegatori della sacra Chiesa. Come mai avrebbe potuto portar loro la minima deferenza?
Il sangue le ribollì nelle vene, nonostante fosse ghiacciato dalla morte. Lei non era come quella sempliciotta nuova arrivata: l’agente Seras, la nuova conquista vergine di quel bastardo. Se quella lì doveva ad Alucard la salvezza, ebbene, Alexis non provava la minima gratitudine; per lui meno che per tutti gli altri.
Stupido figlio di puttana. Le aveva rovinato la vita.
Il sol pensiero le infiammò le pupille, dapprima di un verdognolo smorto, colorandole di un agghiacciante rosso cremisi. E poi, le bastò scoccare un dito indice contro il primo idiota che si ritrovò davanti: in quel caso, la malasorte toccò proprio a Pip Bernadotte. Quelle piccole sferzate erano come pugni infuocati: velocissimi, impercettibili, e per poco non gli spezzò tutte le ossa. Philippe, gocciolando sangue dal naso, si accasciò al pavimento, sviscerato delle forze.
Forse, ogni tanto, avrebbe dovuto dar retta ai consigli del piccoletto di casa.

« Quella è un mostro! Non riuscivo né a vederla né a sentirla! Mi ha fatto girare la testa con un dito! »

« Già, sì, davvero stupefacente. » ora che la draculina aveva canalizzato nel verso giusto le energie ostili che le avvelenavano l’anima, poteva dirsi acquietata; almeno, per il momento. I suoi occhi vispi tornarono a tinteggiarsi di verde. « Posso andare, ora? Questa mandria di imbecilli non è nemmeno divertente. »

« Accomodati. » Lady Hellsing la lasciò andare, perché, francamente, aveva fin troppe cose a cui pensare. Alexis era semplicemente un subordinato indisciplinato, niente che una donna come lei non potesse gestire. Tuttavia, in quel momento, la priorità era altrove. « Molto bene, devo dedurre che voi due siate gli addetti ai lavori di quest’allegra combriccola. » si riferì, naturalmente, ad Isaac e Pip, schierati in prima linea. Essi preferirono non esprimersi a parole, comunque, accontentandosi di un reciproco annuire. Francamente, avevano poca voglia di inimicarsi altre donne di quell’oscuro matriarcato. « Uno dei due si occuperà della mia personale salvaguardia; l’altro si muoverà di pari passo con Alucard. Non scomodatevi a domandarvi chi sia, perché tanto avrete celere risposta stando in nostra compagnia. Come preferite dividervi? »

« Be’, non saprei… forse potrei occuparmi io della sua protezione, signora. Isaac è molto in gamba quando si tratta di tenere le redini delle truppe. »

« Sì, sì, assolutamente. » in verità, qualsiasi ruolo fosse stato appioppato ad Isaac, lo avrebbe lasciato pressoché indifferente. Lo avrebbe accettato, ovviamente, senza perdersi in inutili capricci: del resto, l’importante era riempirsi le tasche, e, possibilmente, non rimanerci secco. Per cui, assecondò le disposizioni del Bernadotte più anziano senza l’ombra di ripensamenti.

« Hm, capisco… » li tenne in bilico per diversi secondi, senza pronunciarsi né in positivo né in negativo. Nell’attesa straziante, portò alle labbra uno dei suoi gustosi sigari al sapor di mare caraibico; lo accese, prendendosi il suo tempo, tornando a guardarli solo quando fu certa di poter sfoderare il suo sogghigno più indisponente. « Il fatto è che io non mi fido affatto del vostro giudizio. Quindi, farò esattamente l’opposto delle vostre volontà: treccia lunga e benda, tu affiancherai Alucard. Capellone, tu vieni con me. »

Un risvolto inaspettato, quantomeno: ai ragazzi di Wild Geese venne data dimostrazione, ancora una volta, dell’imprevedibilità di quella donna.
Ebbene, Isaac fu costretto a separarsi dal suo braccio destro: seguì Integra tacitamente, a capo chino, pregno d’un vago disagio. Lei lo condusse chissà dove, senza fiatare, e si fermò solo quando, agli estremi di un lungo corridoio, incrociò un’elegante silhouette a lui estranea.

« Lui è Walter. Ti spiegherà due o tre cosette che devi sapere su questo luogo. Ti darà anche delle armi. Dico bene, Walter? »

« Ovviamente, Milady. Farò un lavoro coi fiocchi. Giusto, signor…? »

« Isaac Bernadotte. Sì, comunque; giustissimo. »

« Splendido. Ti sarà insegnato a difendere il mio letto, sarà il tuo compito principale finché non ci crepi. Ormai i tempi sono cambiati, e la prudenza non è mai troppa. »

« Sissignora. »

« Piantala con le lecchinerie. Sono più giovane di te, chiamami Integra e basta. »

Ah, ma che diavolo. Quella lì era proprio incontentabile, eh?
 

Isaac, cinque mesi a Millenium.

 

–––––

 

La sete di guerra divenne incontenibile, tanto da essere ad un passo dallo scatenarsi.
Colui che muoveva i fili del gioco era pronto a giocare: era ansioso, era trepidante, era in fibrillazione. Il sogno vissuto nel ‘42 stava per riproporsi in grande stile, ancora più efferato, ancora più sanguinoso, ancora più distruttivo.
Chiamati ad intervenire prima che quella follia costasse altra vita innocente – esattamente come nel ‘42, tra l’altro –, ovviamente, Hellsing ed Iscariota. E non solo si riunirono i rappresentanti di due tra le più alte cariche dello Stato, ma anche l’Autorità londinese per eccellenza: Elizabeth Alexandra Mary, Elisabetta II; la regina del Regno Unito.
Ogni associazione aveva il suo portavoce, ed ogni portavoce il suo secondino. Enrico Maxwell, incaricato dal Vaticano, aveva ben pensato di risparmiare ai convocati la presenza talvolta molesta del suo personale gigante da guerra, Alexander Anderson.
In compenso, proprio sotto consiglio di quest’ultimo, aveva portato l’ultimo arrivato: Izaya sans famille. Nonostante fossero trascorsi ben otto anni dal suo reclutamento, Maxwell aveva ancora qualche difficoltà a digerirlo; o, forse, a gestirlo. Quel ragazzo era dotato di un’energia così caotica da spaventarlo, persino più di quanto facesse Anderson: se da un lato si trattava indubbiamente del membro dei preti armati più visceralmente devoto, dall’altro si aveva a che fare con un vero e proprio inquisitore moderno.
E bastava guardarlo negli occhi per capirlo: trattasi di un giovane fascio di muscoli, tenuti stretti in una tunica clericale color prugna, con un paio di crocifissi pendentigli al collo. Il suo volto, così come da bambino, era ottenebrato da un compatto velo di capelli nerissimi; la differenza sostanziale, da allora, risiedeva nell’intensità dello sguardo. Impetuoso, inarrestabile, omicida: Izaya era una furia incontrollata, equipaggiato solo di armi rigorosamente confacenti alla Santa Inquisizione medioevale.
Ed ecco spiegato perché, seppur in presenza della Regina, egli stanziava deliberatamente dietro il suo superiore seduto alla tavola rotonda, con un’artiglieria di tutto rispetto in bella vista. Reggeva in mano una forca, poggiandone il peso ferroso sulla sua spalla massiccia: un noto strumento di tortura medievale, ottima per recidere con facilità anche la testa più ostinata.
Abbarbicata alla schiena tramite imbragatura, invece, teneva una balestra. Modello originale, come non se ne vedevano da secoli. Non è che gli capitasse di adoperarla chissà quanto, comunque, data la lentezza con la quale si ricaricava di frecce… ma, insomma, la sua sola presenza scenica era sufficiente per averla sempre con sé.
Per Integra, invece, c’era il solito Walter a farle da guardaspalle, che forse sarà stato meno membruto, nel fior degli anni e rampante del suo corrispettivo Iscariota, ma non aveva nulla da invidiargli sul piano della prestanza.
Strano che non ci fosse Isaac al suo posto: eppure, era stato assunto proprio per quel ruolo specifico.
Chissà dove si era cacciato.
In ogni caso, il motivo per cui erano stati urgentemente radunati era sotto gli occhi di tutti. Appresa la seccatura di nome Millenium, sarebbe stato assurdo voltare la faccia e fare finta di niente; non con il pericolo che si rischiava. Riproporre un Terzo Reich era fuori discussione, ma il vero grattacapo era un altro: chi era la mente dietro tutto, e quali obiettivi lo spingevano ad azioni tanto folli?
Ebbene, la risposta arrivò spontaneamente. Arrivò su un paio di gambe, plasmatasi nel corpo esile e stranamente sottile di un ragazzino. Un ragazzino dai capelli biondi come il miele, con due curiose orecchie da gatto a capeggiarglieli.
In parole povere, un intruso. Sgradito e malaccetto.

« Salve, signori! Permettetemi di presentarmi. Io sono—… »

Il preambolo dell’adorabile gattino fu messo ben presto a tacere. Izaya, che aveva i sensi scattanti come quelli di una lepre, trovò quell’occasione più che ghiotta per sfoderare il suo arsenale. Una freccia in canna ce l’aveva, del resto: così, non esitò a puntargli la balestra contro, e certamente non avrebbe atteso il nullaosta di Maxwell per stenderlo.

« Oh, ma che bella arma~! » soffiò l’estraneo, mellifluo e docile. Sghignazzò felice, conscio che, anche qualora quel tipo gli avesse piantato una freccia nel cuore, sarebbe potuto tornare lì tutto intero in uno schiocco di dita. Perché lui era ovunque e da nessuna parte. « Vi prego di mantenere la calma! Sono qui in veste di messaggero. Non ho alcuna intenzione di combattere. » Avanzò ancora, finché non si trovò in prossimità del grande tavolo. Vi poggiò qualcosa che aveva retto tra le mani per tutto il tempo: un ammasso di ferraglia, che solo in seguito venne identificata dai presenti come una sorta di radiolina videocomandata. « Signori e signore dell’Inghilterra e del Vaticano, vi chiedo un attimo di attenzione! C’è un messaggio importante da parte del nostro comandante, il Maggiore. »

Munitosi di un telecomando compatibile col mezzo – un gran bel pezzo di tecnologia, per l’epoca –, l’infiltrato procedette a compiere quanto appena comunicato.
Non con poche difficoltà. La modernità sapeva essere davvero tosta, quando ci si metteva!

« Che succede? Non si vede nulla. »

« Per favore… ti supplico, Maggiore… Leone, ascoltami, non farlo! Abbi pietà di me! »

« Maresciallo Schrödinger! Non si vede nulla! »

Un vociare gracchiò fuori da quella scatoletta. Inizialmente confuso, torbido: le voci non erano distinguibili, non era chiaro a chi appartenessero. L’unica cosa indubbia, era che il Maggiore, nel grosso salone da cui registrava il suo videomessaggio, non era solo: a precedere le sue parole, un agghiacciante sottofondo di lamentii.

« Ah, perfetto. Ora si vede. » una volta che il segnale fu captato a dovere, l’ingombrante sagoma del Maggiore fu sotto gli occhi di tutti. Per alcuni, quel volto rotondo ed occhialuto, adornato dal solito ghigno rettiliano, era già tristemente noto. Per altri, invece, si trattava di un’esaltante novità.

« Oh… OH! AHAH! AHAHAHAH! » Izaya mollò la mira demoniaca che aveva tenuto su Schrödinger per tutto il tempo, trovando interesse altrove. La sua grassa risata di scherno rintronò tra le mura, mettendo già abbastanza in imbarazzo colui che aveva avuto l’idea geniale di portarselo dietro. Ancor più quando lo vide salire con le zampe sul tavolo, gattonando fino a ritrovarsi faccia a faccia con lo schermo.

« Izaya, per l’amor di Dio! Sei in presenza della Regina! » Maxwell lo ammonì, ma senza alcun riscontro rilevante. Che non sapesse farsi rispettare, comunque, non era poi tanto una novità.

« Quindi il grande nemico saresti tu?! »

« Be’, credo proprio di sì, giovanotto. Con chi ho il piacere di parlare? »

« Sono Izaya, uno dei preti armati di Anderson. Il grande nemico in tutti i sensi, eh?! Sai che sei proprio una palla di lardo? Sei enorme! Occupi tutto lo schermo, Cristo sia lodato! Potrei strapparti via la testa dal collo in un istante, grassone. E mi dovrei pure abbassare! Cosa sei, il nano da giardino di Hitler? »

« Maggiore, mi permetta di intervenire. Dobbiamo davvero lasciare a questo rifiuto altra libertà di esprimersi in maniera così oltraggiosa? »

« Lascia fare, mio caro ragazzo. » il Maggiore placò immediatamente gli spiriti bollenti del suo prediletto. Egli, non inquadrato e rimasto in background assieme ai guaiti poc’anzi citati, era parecchio suscettibile alle offese, in special modo se rivolte al suo padrone. Leone sarebbe stato pronto a fungergli da scudo anche per la minaccia più insignificante; anche se, a dirla tutta, il Maggiore non vedeva altro che ilarità nelle manifestazioni d’odio rivoltegli. « Izaya, qui, è un simpatico uomo di Dio. Niente di cui dovremmo preoccuparci. »

« Scendi subito dal tavolo, ho detto! »

All’ennesimo monito dello spazientito ed intimidito vescovo – il quale, come al solito, pareva badare molto di più a salvare la faccia, piuttosto che agli eventi attorno a sé –, Izaya si decise a starlo a sentire, ritornando più o meno diligentemente al suo posto.

« Qual è il tuo obiettivo? » intervenne, senza fronzoli e dritta al sodo; in pieno stile Integral Fairbrook Wingates Hellsing. Stava faticosamente cercando di smaltire una sofferenza recente, e le ferite ancora fresche fanno più fatica a rimarginarsi. Non avrebbe agevolato quell’ammasso di trippa in abito da sera ad infliggergliene altre. « Rispondi. Quali sono i propositi del tuo folle progetto? »

« Mia cara fräulein, questa è una domanda sciocca. » le iridi ambrate del serpente si assottigliarono, nascondendosi nel riflesso vitreo e malevolo dei suoi occhiali. Miss Hellsing parlava di obiettivi, eh? Perché perdere tempo in facezie simili, quando si può godere del fascino del caos, dell’orgasmica goduria della distruzione? « La risposta definitiva, fräulein, è che noi non abbiamo alcun obiettivo recondito. A questo mondo esistono solo dei tipi incorreggibili, ai quali non importa l’obiettivo, ma solo il mezzo. In altre parole, dei tipi proprio come noi! Noi siamo le S.S. del Terzo Reich! Quante persone pensi che abbiamo ucciso finora? Tu chiami “folli” i nostri progetti… d’accordo, perfetto! Allora provate a fermarmi, voi che vi definite sani di mente. Il mio nemico siete voi, Hellsing; il Regno Unito, ed Alucard in persona! Sapete, noi non siamo abituati a rassegnarci facilmente. »

Il Maggiore era incredibile. Sapeva essere ammaliante ed intimidatorio al contempo; incisivo senza mai essere volgare, impassibile e deliziosamente pungente.
I suoi sottoposti di Millenium, dietro le quinte, lo osservavano rapiti, acquisendo forza e determinazione dalle sue parole colte. Per gran parte di loro, che a stento sapeva leggere e scrivere e che faceva della violenza gratuita il proprio stile di vita, quell’ampollosa dichiarazione di guerra fu tanto incomprensibile quanto affascinante.
Ma c’era chi, invece, decifrava. Assorbiva, armonizzava, imprimeva a fuoco nella mente. Leone aveva il cuore che gli batteva fino a rasentare la gola, gli occhi verdi che scintillavano: trovava la verità imprescindibile in quei vaneggiamenti di lucida follia, il senso della vita in ciò che nemmeno lontanamente si avvicinava al concetto di normalità.
Lo venerava. E lo amava, perversamente e disperatamente, come si ama Dio.

« Leone… per favore, guardami… » le sgradevolissime implorazioni del suo patrigno, tuttavia, spezzarono la magia. Non gli piacque distrarsi dal meraviglioso spettacolo di cui era stato onorato: per cui, nel voltarsi verso il prigioniero, legato ed imbavagliato, ad un passo dal trasformarsi in carne fresca per i neo-vampiri del Letzte Battallion, quel piglio dapprima vispo ed entusiasta tramutò in gelida apatia.

« Non mi interrompa mentre ascolto la dichiarazione di guerra del Maggiore, Colonnello. Suvvia, non stia a fare tanti capricci, tra un po’ è il suo momento. Sia gentile, attenda ancora un po’. »

« Ti prego… figlio mio, ascoltami… » chissà perché, ora che era così vicino alla morte, manifestava tanto affetto e tenerezza per il suo figliuolo bastardo. « Non devi dimostrare niente… non devi dimostrare di essere forte. Tu sei un bravo ragazzo, io lo so, ti ho cresciuto! La tua… la tua mamma non vorrebbe certo vederti così, vero? Quel porco del cazzo ti ha fatto il lavaggio del cervello, lo capisci?! Coraggio, figliolo, slegami… non vuoi davvero che finisca così. Io lo so. Ti prego… ricominceremo daccapo, insieme! Faremo finta che non è successo nulla, va bene? Leone… Leone… »

Il giovane ritenne a dir poco ripugnante tutto quello smoccolare. Non erano parole sincere, ma un patetico tentativo di aver salva la vita dettato dalla paura; ma, comunque, anche ci fosse stato un briciolo di onestà in quella pantomima, forse il Colonnello si sopravvalutava. Davvero credeva che Leone fosse dov’era a causa di qualche lacuna pregressa nel loro disfunzionale rapporto padre – figlio?
Certo che se ne dava di importanza, per essere un vecchiaccio buono solo a diventare macinato.

« Non tollererò ulteriori mancanze di rispetto nei confronti del grande Zugführer, la persona che tu in primis avresti dovuto servire. Ma, del resto, comprendo che disponi non solo di un cervellino limitato, ma anche di un ammasso di ossa secche sparpagliate lungo il corpo, che ti renderebbero inutile persino come spasso per Alucard. Certo che potresti provare a conservare uno sputo di dignità… almeno nei tuoi ultimi istanti di vita, che diamine! E smettila di piagnucolare. Non lo sopporto. »

Fu allora che, seccato dal piagnisteo, ma soprattutto incapace di sopportare ulteriori stucchevoli suppliche un secondo di più, Leone si decise ad agire prima del previsto. Si sfilò dal retro dei calzoni un’elegantissima Walther PPK, pistoletta semiautomatica piccola ma letale, facente parte della dotazione di base di ogni soldato delle S.S. Con la precisione di un ninja e la freddezza di un demone, esplose un proiettile proprio tra gli occhi del suo patrigno, stecchendolo sul colpo.

« Signori, prego. Pasteggiate pure. » col permesso di Leone, decine — no, centinaia di vampiri artificiali arruolati da Millenium si avventarono sul corpo morto del fu Colonnello, facendone a brandelli la carne, abbeverandosi del suo sangue, divorandolo sino alle ossa.

« Non lasciate il lavoro a metà. Non voglio che rimanga niente di lui. »

Asserì, perentorio, incurante della mostruosità disumana che avveniva sotto i suoi occhi; a causa sua, ai danni dell’uomo che l’aveva cresciuto.
Poco male. Il Maggiore sarebbe stato orgoglioso di lui.
 

Leone, rito di iniziazione.

 

–––––

 

Vivere da vampiro equivaleva a percorrere ogni giorno un loop senza fine, fatto di casse da morto e assenza di sole. Alexis si chiese se, mangiati vivi dal fuoco infernale, anche ai peccatori fosse riservato un trattamento altrettanto infimo. Sinceramente, credeva di no: l’eternità crudele che era toccata a lei avrebbe spaventato anche Lucifero.
Erano trascorsi sei lunghissimi mesi. Ebbe modo di scoprire che la sua era stata solo sfortuna, in quella triste e fredda notte londinese: aveva incontrato l’uomo sbagliato al momento sbagliato. Il vampiro affamato che le aveva strappato la vita succhiandogliela via dal collo, in realtà, non aveva alcun intento primario di renderla un suo simile e portarsela comodamente a casa come un souvenir. Credeva che, una volta gustato il lauto pasto, ella sarebbe mutata in un banale ghoul, di cui liberarsi senza chissà che sforzi. Insomma, coi tempi che corrono, come mai avrebbe potuto prevedere di trovarsi al cospetto di una pura verginella perfetta per l’oratorio?
Se non altro, anche il grande Alucard era finito vittima della disdetta. Tuttavia, ormai il danno era stato fatto: seppur inconsapevolmente, aveva prodotto una draculina, e stava a lui prendersene cura ed allevarla come frutto della sua ingordigia.
Fosse stato facile. Persino uno come lui, che qualche secolo l’aveva vissuto, incontrava per la prima volta serie avversità nel tortuoso cammino della dominazione di una sua legittima serva — o meglio, quella legittima serva.
Alexis era un tornado. Si dimenava al suo controllo come un’anguilla impazzita, rifiutandosi di accettare ed abbracciare una volta per tutte la sua nuova natura. Lui, Integra e tutta la casata degli Hellsing in generale erano bersaglio della sua furia cieca, implacabile, forsennata.
Naturalmente, tutto quell’ardore non lo spaventava affatto. Anzi; semmai, lo stimolava. Solleticato e stuzzicato, ormai sembrava punzecchiarla di proposito, beandosi delle sue reazioni completamente spropositate.
Anche perché, oh, lui lo sapeva bene: Alexis rimaneva comunque una sua asservita, incapace di sottrarsi alle volontà del vampiro d’appartenenza.
Non importava quanto inaccettabile e frustrante fosse per lei.

« Oggi sei più in forma del solito, hm~? » quella tetra presenza in total red aveva assistito a tutta la sfuriata di Alexis contro i poveri malcapitati mercenari; dall’inizio alla fine, gustandosi l’esemplare esibizione come fosse stato al cinema. Gli mancavano giusto i popcorn. Beffardo ed ostentatamente derisorio, sgusciò fuori dalla parete con nonchalance: ah, quanto gli piaceva dar sfoggio delle sue egregie doti trascendentali. Liquefarsi e trapassare i muri era la sua specialità; insieme ad intralciare la strada altrui con la propria imponente stazza, s’intende. « Non mi piace come ti rivolgi alla mia padrona, signorina. »

« A me non piace che tu mi stia tra i piedi. Eppure. » davvero, non aveva alcuna voglia di stargli dietro; tanto meno di essere molestata o importunata come al solito. Era di pessimo umore – sai che novità –, e l’idea di intrattenersi in un’amabile conversazione col suo carnefice le dava il voltastomaco.
Così, incurante del passaggio bloccato, provò a divincolarsene, sgusciandogli di lato. Prevedibilmente, però, Alucard le concesse solo qualche metro di libertà, prima di teletrasportarlesi davanti con la solita fulmineità.

« Fammi indovinare. Non hai voglia di chiacchierare col tuo master? »

« No. Se vuoi saperlo, ho una gran voglia di prenderti a calci nel culo. »

« Che boccaccia cattiva che hai. E ingrata, anche! Dopo che sono stato così generoso da donarti l’immortalità… proprio non me lo merito questo trattamento. Sai, il minimo che tu possa fare per sdebitarti, è lasciarmi assaggiare di nuovo il tuo dolce, succulento sangue. È da quella fatidica notte di sei mesi fa che non ne assaporo qualche goccia, e, francamente, comincio a sentirne la mancanza. Tu no~? »

Il Re dei vampiri aveva un dono naturale per il sadismo. Il ghigno che gli tinse il volto aveva qualcosa di malefico: come se quei denti aguzzi fossero intrisi di veleno, pronto a scagliarsi contro di lei ad ogni parola pronunciata.
Alexis sentì la lama metaforicamente infilzata nella sua schiena rigirarsi su sé stessa, infossandosi nella ferita già inflitta, torcendole le budella. Quel gran figlio di buona donna aveva anche la faccia tosta di pigliarla per il culo: le faceva rivivere quel momento, lo timbrava nella sua mente ogni volta che esso accennava a sbiadire.
E faceva male. Così tanto che nemmeno Dio, con tutta la sua misericordia, avrebbe potuto darle salvazione.

« Non ti pare di avermi già rovinato la vita a sufficienza?! Perché non mi lasci in pace e basta?! »

« Perché mi eccita vederti così furiosa. Mi chiedo cosa ti porterà mai a fare, tutto questo sublime odio. »

Alucard era viziato, e continuamente desideroso di qualcosa che lo divertisse. Del resto, anche la vita eterna aveva le sue noie, e l’unica cosa che oramai fungeva da passatempo a quell’anima stanca, era un potenziale pericolo. Se questo comportava alimentare la fiamma ardente, gettare benzina sul fuoco… be’, chi era lui per tirarsi indietro?
Pregna di disprezzo e sconfortatamente conscia di non potergli arrecare alcun male, Alexis preferì ignorarlo, cercando di deviarlo — per l’ennesima volta. Del resto, cos’è che poteva fare? L’inerzia a cui la sua condizione di draculina la costringeva era dilaniante.

« Hai pensato a quello che ti ho detto, bambolina? » stavolta, Alucard non si disturbò ad interromperle il tragitto. Tanto sapeva bene che, con quel quesito spinoso, avrebbe egualmente attirato la sua attenzione; seppur nel peggiore dei modi. Sghignazzò sardonico, constatando di aver ragione ancora una volta quando percepì il passo della giovane, assestato e tutt’altro che indolente, arrestarsi di punto in bianco. « Se hai così tanta voglia di uccidermi, c’è un unico modo. Ci hai riflettuto? Saresti pronta ad uccidere qualcuno e cibarti del suo sangue? Accetteresti di abbandonare per sempre la tua umanità, tanto dedita e devota al Padre Celeste? Hai il mio permesso, piccola, fa’ pure. Oh, mi piacerebbe molto vederti all’opera, sentire la tua anima nera scindersi irrimediabilmente dalla mia… ma, ahimè temo che tu non sia poi così determinata e coraggiosa come millanti di essere. Un gran bel peccato… »

Il vero tasto dolente? Era tutto vero: Alexis non faceva altro che conferire a quella bestia altro materiale per tormentarla, perché ancora non aveva avuto il fegato di adempiere al rito di distacco. Bere il sangue di qualcun altro per evolvere in un vampiro indipendente non avrebbe fatto altro che confermare la sua oramai insidiatasi natura mostruosa, ed il sol pensiero anche erroneo la raccapricciava. Eppure, non v’era altro modo per sfuggire a quell’inferno.
Ponderò per qualche secondo, per poi decretare che quelle parole, ingiuriose e volutamente provocatorie, non meritassero responsi di alcun genere.
Tranne uno, immancabile:

« Stammi lontano, Alucard. » asserì a zanne e pugni stretti, prima di ritirarsi nella sua umida, buia, deprimente bara del cazzo.

E ci rimase a lungo, così tanto da dimenticarsi dell’andamento del tempo, che si distorse come se non fosse mai esistito davvero. Non seppe dire con esattezza quanto a lungo stette lì dentro, supina, a braccia incrociate tra il petto e le spalle: ore, giorni, o forse intere settimane, e sarebbe stata felice di trascorrerci persino il resto dei suoi giorni. Non certo perché fosse particolarmente piacevole; ma se serviva a risparmiarle le aspre allusioni di Alucard, allora avrebbe reso il suo giaciglio artico un residence di lusso.
Ahimè, non ne ebbe modo.

« Alzati, Alexis. » una voce gracchiante e anziana interruppe il suo placido sonno. Alexis, scoperchiato il confortevole buio pesto, venne investita da un fastidioso fascio di illuminazione artificiale, che non le piacque affatto.

« Che diavolo vuoi, Walter?! » sbottò ella, indispettita, soffiando come un felino sulla difensiva. Proprio non riusciva a spiegarsi il motivo per cui una persona come Walter, con cui aveva scambiato sì e no una trentina di parole al massimo, la consultasse.

« Alzati, ho detto. Ti devo parlare. »

« Senti, se ti manda Alucard—… »

« Se Alucard avesse avuto qualcosa da dirti, sarebbe venuto personalmente. Sono io che ti devo parlare. Forza, esci da qui dentro. »

Inusuale, a dir poco. Che diavolo c’era di così impellente da doverle nientemeno dischiudere la bara? Alexis si convinse che, si fosse trattato di un comune rimprovero, il maggiordomo non si sarebbe tanto scomodato; per cui, a rigor di logica, doveva esserci per forza qualcosa di grosso sotto.
Attratta dall’ignoto ed al contempo intimamente timorosa di approfondirlo, si decise a svelare l’arcano.

« Be’? Cos’è che vuoi da me? »

« Ho un amico che vorrei presentarti. » il tono di Walter si fece intenzionalmente più flebile, come se stesse avendo cura di preservare una certa privacy. Ciò che stava per dire doveva giungere all’udito della vampira e a quello di nessun altro.

« Un amico…? »

« Sì. A lui farebbe proprio comodo un vampiro come te, generato da un morso; per di più, quello di Alucard. Ne sarà entusiasta. »

« Non ti capisco, Walter. »

« Non posso rivelarti troppo, non so ancora se posso fidarmi di te. Tuttavia, non mi è sfuggita l’ostilità che nutri contro Integra, Hellsing, e, soprattutto, Alucard. Io posso aiutarti. » indifferente alla perplessità distorta sull’altrui cereo viso, l’attempato braccio destro di Integra sfilò dalla tasca del gilet un taccuino, su cui prese a trascrivere frettolosamente quello che aveva tutta l’aria di essere un indirizzo. « Questo è l’indirizzo. Conservalo bene, e non farlo vedere a nessuno. »

« Di che tipo di amico stai parlando? Mi stai incitando ad andarmene? A tradire Hellsing…? »

« Oh, no, io non ti sto incitando a fare niente. Ti ho solo fornito un’informazione come un’altra. Ascoltami bene: quando vai da lui, digli che sono stato io a mandarti. Digli che sai di Millenium, e che vuoi anche tu una fetta della torta. »

« Una fetta della torta…? » a costo di fare la figura della cretina, Alexis si dimostrò disorientata persino al cospetto di un palese linguaggio in codice. E Walter, dal canto suo, che aveva a disposizione esigue quantità di tempo da perdere, vi badò poco.
Tuttavia, sebbene la frettolosità non gli mancasse, non aveva fatto i conti con chi, nonostante la notte inoltrata, non fosse ancora in visita a Morfeo.
Non se n’era nemmeno accorto, ma era stato ascoltato da orecchie indiscrete.

« Va’ da lui il prima possibile. Cerca di non destare sospetti, ma ricorda: se Integra, Alucard o i Bernadotte ti beccano, tu da me non hai sentito niente. Hai capito? »

« Come ti pare, Walter, ma non credo che il tuo amico potrà ricevermi in ogni caso. Sono una draculina di Alucard, o te lo sei scordato? Saprebbe dove sono in qualsiasi momento. »

« Allora, forse, è giunto il momento di tagliare il cordone ombelicale. Nutriti di altro sangue, spezza le sue catene, e sarai finalmente libera. È un passaggio inderogabile per ogni vampiro, non puoi sottrarti per sempre. »

« Già, certo. Per voi suini protestanti, magari, pescare qualcuno a caso dalla strada e farlo fuori rappresenta la normalità, ma per i veri credenti come me non è così. »

« Sei la draculina più strana che abbia mai visto. » nella sua lunga vita, mai gli era capitato tra le mani un caso tanto anomalo. Una vampira sfuggente, che ancora tratteneva a sé valori umanissimi, come la spiritualità e la devozione. « Infatti non dev’essere una scelta casuale, comunque. Scava dentro di te e trova qualcuno a cui tieni davvero. Più potente sarà il sentimento, maggiore sarà la forza che ne acquisirai. »

L’intenzione iniziale fu quella di pulirsi il culo con gli stupidi discorsetti criptici di Walter. Perché mai avrebbe dovuto dargli retta? In che modo lui o il suo “amico” avrebbero potuto aiutarla?
No, lei non si sarebbe piegata a quella barbarie; non si sarebbe lasciata risucchiare da quell’atroce circolo vizioso: sangue in cambio di sangue, carne in cambio di carne. Si aggrappava con le unghie e con i denti alla lancinante sensazione di repulsione che la pervadeva ogni qualvolta che lo considerava, poiché era tutto ciò che, nonostante tutto, la facesse sentire un po’ più umana degli altri.
Ma cos’era peggio? Lasciarsi andare alla deplorevole natura vampirica ed essere libera; o rimanere un po’ più umana, ma un po’ più schiava?
Alexis ebbe di che arrovellarsi il cervello durante la notte, una volta distesasi nuovamente nella sua claustrofobica cuccia di velluto. “Se ti decidi, va’ via di qui, e non tornare mai più”, s’era raccomandato Walter. “Il mio amico sarà pronto ad accoglierti quando lo vorrai”.
Gli uomini non avevano fatto altro che deluderla, angosciarla, costringerla, deriderla. Era arrivato il momento che almeno uno di loro, quello che più in assoluto le aveva fatto del male, pagasse. Pagasse per essere divenuto un’empia creatura senza Dio, e per averle imposto lo stesso.

« Maestra…? »

Era un bel mattino; un mattino beato, assolato, tinteggiato dei colori dell’autunno. Un mattino come un altro, per Londra, scaglionato di umani svogliatamente in cammino verso l’inizio della loro tediosa routine settimanale.
Alexis, oramai, non era più parte di quella specie, nonostante si ostinasse a mescolarsi ad essa. Sicuramente, comunque, non passava inosservata: si aggirava furtivamente attorno alla struttura in cui insegnava da ore, aspettando di rivedere la sua vecchia classe che gioiosamente varcava l’ingresso scolastico. Erano gli ultimi ricordi che aveva della vita perduta che le era tristemente scivolata via dalle mani, e voleva ripercorrerli; coccolarsi un po’ coi frammenti felici di un’esistenza lieta, prima di abbandonarli per sempre una volta sporcatasi le mani di sangue.
Incappucciata per assicurarsi di non essere abbrustolita dai raggi solari, non era poi così diversa da un qualsivoglia predatore sessuale da stereotipo. Ciononostante, per sua fortuna – o sfortuna, date le intenzioni –, c’era qualcuno la cui purezza d’animo era così forte da non contemplare l’ombra di malizia.

« Daisy! » Alexis la riconobbe subito, a cavallo della sua piccola bici rosa. Quando aveva accettato il ruolo di docente, si era ripromessa di non avere preferenze: per lei, ogni bambino sarebbe stato uguale all’altro, meritevoli del suo affetto nella stessa misura. Ebbene, forse quella piccoletta aveva fatto eccezione senza che nemmeno se ne accorgesse. Non aveva mai visto una bambina tanto graziosa ed educata, oltre che creativa ed atipicamente intelligente per la sua età. Aveva perso il conto di quanti disegnini le aveva dedicato: senza dubbio si trattava di una delle persone a cui aveva voluto più bene negli ultimi anni. « Che bello rivederti, piccola. Come stai? »

« Io sto bene! Sono stata in vacanza e mi sono divertita molto! Ho fatto il bagno senza braccioli, lo sai? »

« Wow, che brava! Ricordo quanta paura avevi di nuotare. Sono molto contenta che tu ci sia riuscita. »

« Maestra, ma perché te ne sei andata? Non mi hai salutato, mi hai fatto piangere. La preside ha detto che eri malata, ma invece stai bene! » Daisy si ricordò di nutrire dei rancori nei confronti della sua insegnante preferita, e si ricordò anche di tenerle il broncio come ripromesso. Tuttavia, le bastò darle una rapida occhiata meno superficiale, per sentirsi in dovere di rimangiarsi tutto. « … Ma forse stai male ancora? Sei bianca e magra! Sembri un vampiro. »

« … Già. Ma i vampiri non esistono. Lo sai, no? »

« Era per dire! Che cos’hai, maestra? La febbre? »

« Sì, è una brutta febbre. Infatti forse è meglio che vada, non vorrei contagiarti. » tutto ciò che le rimaneva era nascondersi. Dissimulare le sue vergogne, celandole nelle fitte ombre del suo mantello sgualcito, che le adombrava i tratti stanchi. « Tu fa’ sempre la brava, mi raccomando. Io… tornerò, magari. Quando guarirò. »

« Aspetta! Voglio farti vedere una cosa, maestra. »

Palpitante di quel tipico contagioso entusiasmo infantile, la giovanissima alunna afferrò con gli indici le ambedue estremità delle sue labbra, allargando la bocca. Rivelò così la sua dentatura altalenante, con qualche fosso gengivale ben visibile, e che sembrava voler sfoggiare.

« Stamattina mi è caduto il penultimo dentino! Spero che la fatina mi porti qualche monetina anche stavolta. Guarda, mi esce ancora il sangue! Bleah! »

Daisy se la ridacchiò burlesca, non troppo disturbata dal sapore ferroso che le irrorava la lingua.
Non si poté dire lo stesso di Alexis. Le macchie ematiche sui dentini della piccina erano a dir poco arrapanti: dilatò le cornee, respirò affannosamente, salivò eccessivamente fino a quasi sbavare.
Quel sangue stimolò la sua fame. Sangue fresco, di morbida carne puerile. Per un momento, venne sopraffatta dai suoi bassi istinti, quelli per cui si fustigava tanto, e le carte in tavola si rimescolarono.
L’Alexis del passato avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere i suoi pargoli; anche sacrificare la propria vita senza pensarci due volte. Ma quell’Alexis, il demone in cui Alucard l’aveva trasformata… aveva solo idee disumane ad albergarle la mente.
Del resto, lei un’umana non lo era più.

« Senti, Daisy… » il suo timbro materno si snellì, divenendo insolitamente tenebroso. A stento conteneva le zanne, bagnate di bava famelica. « Ti va di seguirmi? Voglio farti vedere una cosa, in un bel posto. »

« Oh! Mi piacerebbe, maestra, ma ora devo entrare in classe. Facciamo un’altra volta? »

« Ci vorrà solo un minuto. Prometto che arriverai in perfetto orario. »

Ma sì, un piccolo strappo alla regola, che male avrebbe mai fatto? Un lieve ritardo le sarebbe stato perdonato, se questo fosse stato giustificato dalla maestra; per cui, non ebbe poi chissà quali titubanze nell’accettare il curioso invito.
Pedalata dopo pedalata, la piccola studentessa capitò, senza averne coscienza, in un vialetto adiacente alle strutture cittadine; una via secondaria, poco frequentata persino in pieno giorno.

« Che ci facciamo qui…? » ella domandò, avvertendo un’inspiegabile inquietudine correrle lungo la spina dorsale. Sì che era giovane, ma la sconsideratezza apparteneva agli stolti, e lei non lo era. « Non mi piace molto… torniamo indietro, maestra? »

Alexis si scappucciò, lasciando che tutti i suoi sensi vampirici si attivassero, che si impadronissero del suo contenitore mortale. Fu questione di una frazione di secondo, e Daisy non ebbe nemmeno il tempo di strillare aiuto. La sua bici rosa tonfò al suolo: il cestello si staccò dalla matrice, ed i cerchioni continuarono a roteare per alcuni secondi.
Anche lei cadde, sprofondando nella sua stessa pozza di sangue. Alexis era stata attenta ad ferirla mortalmente prima di morderla, cosicché non subisse la trasformazione a cui sarebbe andata inevitabilmente in contro. E non per pietà, ma per non avere un problema scomodo di cui occuparsi dopo.
Proprio come avrebbe fatto Alucard. Quando la fame fu saziata, il liquido cremisi della bambina che aveva amato come una figlia la ricoprì totalmente: i vestiti ne erano zuppi, così come la sua pelle di porcellana dagli angoli della bocca in giù. E lentamente, come appena liberatasi di uno demonio cancerogeno, tornò in sé, quando fu troppo tardi per rimediare al disastro.

« Mio Dio… » il denso vermiglio dei suoi occhi sfumò via, cedendo il posto al solito verde spento; gli artigli neri come ali di corvo, sotto i quali giacevano brandelli di carne infantile, si ritrassero, così come gli affilati canini, che avevano assorbito fino all’ultima goccia del succoso e tanto agognato nutrimento. « Che ho fatto… che ho fatto… »

Le flotte di lacrime che le scolpirono le guance non furono sufficienti a lavar via il peccato appena commesso, né ad assopire il suo tormentoso dolore.
Alexis raccolse il gracile corpo esangue, orribilmente gelido tanto quanto il suo. Pianse ancora, gridò di disperazione, acuita dall’amara consapevolezza di aver fatto tutto con le sue stesse mani.
Baciò i capelli dorati di Daisy, pregò perché la sua bella anima venisse presa in custodia dal Signore, e che Egli potesse concederle l’assoluzione su cui un mostro come lei non poteva neanche fantasticare.
Si era avventurata oltre i portoni di Hellsing per spezzare il legame col suo padrone, per sottrarre ad Alucard il dominio che esercitava senza consenso. Ci era riuscita. Ma a quale prezzo? A cos’era servito liberarsi di lui?
Solo a realizzare che, in fondo, non erano così diversi. E se è vero che gli opposti si attraggono e i simili si respingono, l’unica cosa che le rimaneva da fare era assomigliargli il più possibile.
Almeno avrebbero combattuto ad armi pari, quando l’avrebbe ucciso.

Alexis, genesi del tradimento.

 

–––––



Come in ogni altro luogo di potere, anche Millenium disponeva delle sue gerarchie interne.
E se il Maggiore era al vertice della piramide, il secondo piano in ordine di importanza era disposto per le guardie del corpo e gli indispensabili in battaglia: il Doc, il Capitano, Leone.
Tutti gli altri, invece, stavano sotto. Con lievi differenze di grado tra marescialli, sergenti e luogotenenti, ma niente che valesse la pena circostanziare.
Ed infine, c’erano loro: i soldati semplici. Ultime ruote del carro, erano poco più che pedine di una partita a scacchi dei piani alti. Ne prendevano parte orde di vampiri artificiali senza particolari propensioni, né esclusive predilezioni; senza arte, né parte.
Caspian era tra essi. Ai tempi dell’arruolamento non doveva aver fatto colpo su chi contava, ed era finito ad annoiarsi a morte dritto in fondo alla lista.
Ma il Brasile doveva avergli portato fortuna.

« Ci credi?! Il Maggiore mi ha finalmente dato una chance! » chissà come mai era stato scelto tra tanti altri. Al grande capo servivano vittime facili e sacrificabili per sondare il terreno; qualcuno di volenteroso e pimpante, che si dirigesse spontaneamente verso la falce. Ma Caspian, inguaribile ottimista, preferì credersi una spanna sopra gli altri. « Che ficata! Mi divertirò un mondo. »

« Cerca di non esagerare con l’euforia! » la Biancaneve dei nazisti si dimostrò piuttosto impensierita. Temeva che il suo caro amico, tanto ramato quanto lei, si sarebbe lasciato annebbiare dall’esaltazione, finendo per sottovalutare il pericolo. « Ti ricordo che sei solo in panchina. Tubalcain potrebbe aver bisogno di aiuto… sei la sua scorta, insomma. »

« Sì, ma pensa se quel cretino ci crepa… entrerei in gioco io! Capisci cosa voglio dire? »

« Cosa vuoi dire? »

« Che devi farmi bello, dolcezza. Tra poche ore potrei incontrare Alucard, e Dio solo sa cosa farei per farmi un bel giretto su quel corpo millenario prima di farlo fuori. Coraggio, non c’è tempo da perdere. »

È chiaro che le priorità di una buona fetta del Letzte Battallion erano notevolmente lontane da quelle del loro capo. Non tutti erano Leone, e forse andava bene così.
Del resto, in un certo senso, erano ragazzi come altri. Caspian non faceva altro che giocare, piazzando la propria vita in palio come una banale scommessa: la cognizione di essere creature d’oltretomba, per qualche motivo, conferiva loro un’aura di invincibilità auto imposta, che portava automaticamente con sé la presunzione di poterla spuntare anche nella più critica delle condizioni.
Non sapevano cos’era la morte. Non conoscendola, la sfidavano instancabilmente, ridendole in faccia, non temendola.
Eppure, vi andavano involontariamente in contro ad ogni passo compiuto in quell’ade di caos e belligeranza.

« Secondo me sei perfetto. » Schneewittchen, prima dell’altrui gloriosa entrata in scena, badò bene di sistemargli la capigliatura ribelle. Senza dubbio, era molto più fisicamente incantevole di quanto fosse mai stato abile in combattimento. « Tu che ne dici? »

« Sì, concordo con te. »

« Mi raccomando, Caspian… cerca di non morire. »

« Ma figurati! Piccola, non stare in pena per me. Vedrai che farò un figurone! E Alucard cascherà ai miei piedi, parola mia. »

La giovane si rasserenò, rivolgendogli un sorriso complice. Non aveva mai visto tanta vanità in un sol uomo.
Rassicurarsi le fu agevole, finanche quando lo vide evacuare il Deus Ex Machina per unirsi a Tubalcain nel luogo a loro designato. Del resto, loro non erano portati per morire.
Caspian, a prescindere della sua frivolezza, sarebbe tornato sano e salvo. Perché loro erano i vincenti, nati per trionfare.

Caspian, due ore al duello.

 

  
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