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Autore: Blablia87    22/11/2023    4 recensioni
[Spoiler!S2][Ipotetica S3]
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Aziraphale ha cambiato nome e ruolo, e questo gli è costato tutto: persino se stesso.
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Crowley è rimasto davvero solo per la prima volta in seimila anni e, forse, il destino dell’Universo che ha contribuito a generare e che tanto ha amato non gli interessa più molto.
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La Seconda Venuta è alle porte e, mentre qualcuno trama nell’Ombra, qualcun altro non è disposto a vedere la Luce della speranza spegnersi: la Terra è troppo bella per sparire prima che possa trascriverne ogni aspetto nel suo taccuino.
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Dal capitolo 11:
"Ancora con gli occhi chiusi a seguito della caduta, Muriel sentì una voce metallica e leggermente ovattata dire: “sto chiamando il numero in rubrica selezionato: Anthony J. Crowley”.  Poi, dei segnali acustici gracchianti e cadenzati."
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Metatron, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Azi

 




Libreria di Aziraphale - Dieci minuti prima che una telefonata interrompesse la “cordiale” chiacchierata tra due demoni in un appartamento di Mayfair

 

 

Le gambe dello sgabello - tozze, di un legno chiaro non trattato che in alcuni punti presentava delle piccole imperfezioni e qualche abbozzo - strusciarono sul pavimento con un rumore stridulo.

Muriel - china sul panchetto, intenta (non senza un certo sforzo) a spostarlo vicino ad una delle librerie - socchiuse gli occhi istintivamente, arricciando il naso in segno di fastidio.

Se c’era una cosa alla quale ancora non si era abituata, quella erano i rumori forti (o acuti, o improvvisi). In Paradiso non ve n’era traccia. Tutto era permeato da un totale, profondo, irreale silenzio. Ogni tanto qualche coro angelico improvvisava un canto tra i corridoi, ma era comunque un suono lieve, celestiale e ovattato.

La Terra, invece, era piena di rumore. Sirene, scampanellii, voci che divenivano urla e sorrisi che si tramutavano in risate squillanti e sonore. Tanto il silenzio del Paradiso l’aveva fatta sentire sola tanto il costante brusio di Soho le teneva compagnia in ogni attimo, accompagnandola ovunque come una leggera coperta sonora che amava sentire addosso. Ma c’erano dei suoni che ancora, alle sue orecchie, giungevano con una forza tale da apparirle quasi dolorosa: l’abbaiare dei cani, ad esempio. Più di una volta la tazza di tè che stringeva tra le dita - mentre, seduta comodamente in uno dei tavolini esterni del café di Nina, si accingeva a iniziare un nuovo capitolo della lettura del momento - le era sfuggita di mano, cadendo a terra all’esplodere improvviso di un latrato. Tutte tazze miracolosamente ricompostesi, naturalmente, ma le restava addosso comunque un senso di imbarazzo misto a una leggera apprensione.

C’erano poi i clacson delle auto. Non ne aveva ancora capito completamente il senso, ma le sembrava di aver colto che gli uomini li usassero come protolinguaggio: potevano indicare apprezzamento (anche se chi lo riceveva assai di rado mostrava di apprezzarlo), un saluto a una persona conosciuta o una profonda rabbia. Da quanto aveva potuto osservare presso l’incrocio in fondo alla via, molto più di frequente la terza opzione.

Infine, nella sua personale classifica dei suoni di difficile gestione, si trovavano i lamenti del mobilio in movimento. Sedie, tavoli, sgabelli dalle gambe tozze. Il loro aggrapparsi al pavimento, quasi a voler contrastare in tutti i modi la volontà di chi li stava spostando, generava in lei un istinto primordiale di coprirsi le orecchie con le mani. E, i primi tempi, lo aveva fatto: si era fisicamente portata le mani alla testa, premendo i palmi contro i lobi. Il problema principale presentava - almeno nei primissimi giorni sulla Terra - quando a produrre quel fastidioso stridio era un avventore del bar. Ancora una volta il suo soggiorno presso Nina e Maggie si concludeva, in quei casi, con un piccolo miracolo di riparazione e tante (tantissime) scuse verso di loro.

Si era però imposta di vivere quasi totalmente senza utilizzare i suoi poteri, in modo da confondersi il più possibile - cosa che erroneamente riteneva di essere ormai capace di fare completamente e senza alcuno sforzo - con gli esseri umani: se era stata un credibilissimo agente ufficiale londinese, d’altra parte, era in larga parte merito del suo non aver mostrato mai, in nessun frangente, il più minimo cenno di “celestialità”.

E quindi anche quel giorno, invece di schioccare le dita e farsi semplicemente atterrare tra le mani il libro che stava cercando, aveva preso il panchetto e lo stava trascinando - con il massimo disappunto dei suoi timpani - in prossimità della libreria che ospitava il volume.

Gli occhi ancora socchiusi, prese un respiro profondo e si obbligò a percorrere la piccola distanza che la separava dall’approdo con con un unico, coraggioso, movimento. L’eco delle gambe dello sgabello che si aggrappavano alle assi del pavimento rimbombò per la libreria deserta, amplificandosi e scomponendosi.

Muriel, una volta posizionatolo dove si era prefissata, si risollevò con un’espressione soddisfatta, pulendosi le mani facendole sbattere tra loro e, infine, portandosele ai fianchi con aria compiaciuta.

Aveva, nei mesi, letto praticamente ogni volume custodito da Aziraphale. Ne rimanevano giusto una manciata, posti negli scaffali più in alto e quasi inaccessibili. Quello a cui stava puntando quel giorno era “Fridolins heimliche Ehe”, romanzo di Adolf Wilbrandt di tardo 1800.1)

L’angelo - per un motivo che non riusciva a comprendere - lo aveva ubicato non solo nel ripiano più elevato della libreria più nascosta (quella di fianco alla porta del proprio studio privato), ma anche dietro a un altro volume.

Se ne era accorta un pomeriggio, spolverando. Colpito mortalmente dalla punta del piumino, il libro davanti a lui era caduto, svelando il suo segreto. Muriel, a quel punto, aveva provato a prenderlo: prima aiutandosi con la stessa estremità che aveva inferto il mortal fendente al suo custode - per tentare di avvicinarlo - e, poi, con la punta delle dita. Era stato del tutto inutile. Il libro sembrava incollato al suo scaffale, e non si era mosso di un solo millimetro. Mentre rifletteva ancora sul da farsi era entrato un “acquirente” (il numero centoventinove), distraendola. Quando se n’era andato (anche lui a mani vuote), il volume era ormai scomparso dalla sua memoria. E così era stato fino a quel giorno quando - nuovamente intenta a pulire - lo aveva trovato ancora lì, a osservarla con una certa aria di superbia dall’alto della sua postazione.

Salì con un leggero sbuffo sullo sgabello e si mise in punta di piedi, cercando di raggiungere con i polpastrelli la parte superiore della costa del romanzo. Appena le sembrò che la presa fosse sufficientemente salda, provò a farlo inclinare tirando con tutta la forza possibile in una posizione scomoda come quella. Il volume non si mosse, quasi facesse parte della struttura stessa della libreria.

Cercò di spingersi con il corpo un po’ di avanti, in modo da riuscire a far scorrere le dita più in profondità e avere una presa maggiore.

Ancora una volta, premette i polpastrelli e tentò di portarlo a sé. Nulla. Arricciò il naso, in un buffo e vagamente infantile segno di fastidio. Si spostò ancora più avanti, portando il corpo quasi del tutto aderente alla libreria. Stirò il braccio più possibile, afferrando la porzione di quarta di copertina che sbordava oltre i fogli interni. A quel punto, preso un respiro profondo, tirò con tutta la forza che aveva, sbilanciandosi all’indietro.

Sentì le dita scivolare inesorabilmente lungo il tessuto della copertina, prive di qualsivoglia presa su di essa. Ancora prima di rendersene realmente conto, tutta la forza che aveva profuso in quel movimento le si ripercosse contro, sbalzandola all’indietro. Percepì il proprio corpo sbilanciarsi, perdendo aderenza con la libreria e il panchetto.

Pochi attimi ed era a terra, dove scivolò per qualche metro prima di andare a sbattere con la schiena contro la scrivania di Aziraphale.

Il telefono fisso su di essa ebbe un sussulto, facendo sollevare la cornetta che ricadde sul ripiano.

Ancora con gli occhi chiusi a seguito della caduta, Muriel sentì una voce metallica e leggermente ovattata dire: “sto chiamando il numero in rubrica selezionato: Anthony J. Crowley”.  Poi, dei segnali acustici gracchianti e cadenzati.

Ancora dolorante si portò in piedi, sfiorando dubbiosa la fonte di quei suoni. Toccò la cornetta un paio di volte prima di sollevarla, tenendola davanti a sé quasi fosse uno specchio da borsetta.

«Eh…» si lasciò sfuggire, inclinando la testa da un lato «Che dovrei fare, esattamente, adesso? Non capisco, a che serve questa cosa…?»

Per sua gioia, i suoni si erano interrotti. Ma, pochi attimi dopo, ne arrivò uno talmente forte e fragoroso che ebbe un sussulto. La cornetta le cadde di mano, finendo nuovamente sulla scrivania.

Stava ancora decidendo cosa fare quando l’eco di due voci lontane la raggiunse attraverso i fori dell’apparecchio.




«Parla. E poi vattene»

«Va bene. Stanno preparando la Seconda Venuta del Messia. La Fine dei Tempi. I buoni lassù, i cattivi - tanto per fare una cosa nuova - giù da noi, bambini e credenti di altre confessioni compresi.»

«Il Paradiso che vuole mettere fine alla Terra. Questa sì che è una novità. Se sei venuta a propormi di prendere parte alla “graaande battaglia finale” la mia risposta è no, grazie.»

«In realtà ero venuta a proporti il ruolo di Granduca Infernale. Non voglio vederti sul campo di battaglia. Voglio vederti disporvi le truppe.»

«Ancora una volta: no, grazie.»

«Peccato. E pensare che Aziraphale mi ha detto di richiamarti in un ruolo operativo, nel caso lo avessi ritenuto opportuno. Oh, beh…»

«Cosa?»

«Non ti credo. È solo uno stupido modo per…»

«Vuoi sentirlo con le tue orecchie?»

 

Le parole successive le arrivarono lontane, leggermente sbavate, come se avessero attorno un alone che le rendeva più polverose e metalliche.


«Visto le novità di cui mi hai messo al corrente, credo sia giunto il momento che Crowley riprenda il suo posto come Duca Infernale. In realtà non escludo una promozione, per lui.»

«Crowley…»

«Sì.»

«…se ritieni opportuno che ti affianchi nelle vostre operazioni di controffensiva, fai pure.»

«Oh, sì. Più che opportuno.»

«Come sai, è impossibile ricreare una voce angelica. Non potrei… com’è che hai detto? Bluffare? Non potrei bluffare nemmeno volendo. Oh, beh: si è fatto tardi. Ti lascio il tempo di riflettere. Nel caso volessi tornare tra noi, sai dove trovarmi. È davvero un peccato, sai? Vedere un demone tanto intelligente ridursi così per un angelo ingrato.»

 

 

Il silenzio che, dal quel momento, si era sparso per la stanza le sembrò un’eco fedele del vuoto che sentiva allargarsi nel petto. Aveva riconosciuto la prima voce. Le era sembrata più spenta, monocorde, incolore di quanto la ricordasse ma - senza ombra di dubbio alcuna - era la voce di Crowley.

La seconda, invece, non le appariva familiare ma nemmeno del tutto sconosciuta. Era come se accendesse in lei la scintilla di un ricordo, senza però permetterle di arrivare a ricostruire di quale memoria si trattasse.

E poi… beh. Poi c’era lui. Aziraphale. Era assolutamente certa - nonostante le interferenze - che la voce femminile dall’altro capo della cornetta non avesse mentito: aveva davvero fatto il nome di Crowley. E lo aveva davvero richiamato in battaglia.

Non appena quella parola le attraversò la mente si irrigidì, sollevandosi di scatto.

La battaglia!

Sentì il panico deflagrare in mezzo allo sterno, allargandosi di colpo fino a gola, braccia e gambe. Le ginocchia si piegarono, incapaci di sorreggerla come avevano sempre fatto.

Oltre la finestra, un paio di bambini - Sam e Lisa, i figli della simpatica coppia asiatica che viveva al secondo piano del palazzo di fronte - passarono rincorrendosi, lanciando piccole grida di gioia.

Muriel sentì il pavimento divenire di gomma, e flettersi sotto il suo peso.

La Fine dei Tempi. I buoni lassù, i cattivi - tanto per fare una cosa nuova - giù da noi, bambini e credenti di altre confessioni compresi.

Non riusciva a capire. Aziraphale amava la Terra. Lui stesso aveva sventato l’Armageddon, assieme a Crowley.

Perché mai, adesso, avrebbe dovuto pianificarne la distruzione con così tanta calma nella voce? Perché mai avrebbe dovuto coinvolgere l’altro in tutto questo?

Il demone lo amava! E doveva saperlo anche Aziraphale, perché il bacio che si erano scambiati lo rendeva - come avevano spiegato Nina e Maggie - palese. Forse non ricambiava i sentimenti di Crowley, ma era evidente che tenesse a lui. Perché, perché trascinarlo su un campo di battaglia dal quale rischiavano di doversi fronteggiare in modo diretto?

Lei la ricordava bene, la Grande Guerra. Aveva dovuto segnare, uno ad uno, tutti gli angeli caduti all’interno dei registri degli Indesiderabili e Imperdonabili.

E, per farlo, spesso si era vista costretta a verificare direttamente l’effettiva caduta di chi riportava all’interno degli elenchi.

Alcuni erano felici, ebbri di furore e cattiveria. Altri - la quasi totalità ad essere sinceri - aveva il volto, sporco e incrostato di sangue e terra, segnato da un’espressione di terrore che l’aveva perseguitata per secoli.

Si portò istintivamente le mani al petto, una sopra l’altra, quasi cercasse di proteggere se stessa dalla sola idea di una nuova battaglia. Guardò nuovamente oltre i vetri limpidi della libreria, immaginando i palazzi dall’altro lato della strada prendere fuoco e piegarsi su loro stessi uno ad uno, vittime innocenti di imperscrutabili scelte divine che li volevano immolati alle fiamme e all’oblio come la maggior parte dei loro occupanti.

Le sembrò quasi di riuscire a vederli, gli eserciti in battaglia. Il Cielo per avere ogni cosa, l’Inferno per non perdere il poco che deteneva. E, tra di loro, esseri umani atterriti il cui dominio (o salvezza) a nessuno dei due interessavano davvero.

Si scosse con un gemito, scuotendo la testa.

No. Non stava a lei giudicare l’operato di Dio. Il suo piano era, semplicemente… ineffabile.

Inoltre le era stato insegnato a non fare domande. Mai. Le domande portavano solo guai: richiami, ramanzine, scherni. Alle volte, se molto complesse e molto… sensate, beh, persino la Caduta.

Con le mani che tremavano e le braccia che sembravano improvvisamente essere divenute di pietra rimise a posto la cornetta, dandole un leggero colpetto per assicurarsi che fosse ben salda. Trattenne il fiato per qualche secondo, aspettando che qualche emissario del Paradiso o dell’Inferno comparisse alle sue spalle per chiederle conto dei suoi pensieri impuri (per sgridarla, nel primo caso, o complimentarsi vivamente nel secondo).

Ma non accadde nulla.

Alzò uno sguardo colpevole verso le finestre: la vita, oltre i muri della libreria, continuava a scorrere come se nulla fosse. Vide Nina portare il caffè a un avventore, chinandosi a dare un piccolo bacio a Maggie che - poco distante - stava sgombrando un tavolino appena liberatosi.

Sam e Lisa passarono nuovamente davanti ai vetri, questa volta fermandosi - le guance arrossate e i petti che si alzavano e abbassavano veloci al ritmo dei loro respiri affannosi - per rivolgerle un veloce cenno di saluto prima di correre via seguiti dall’eco delle loro risate cristalline e ansanti.

Si portò le mani al petto, chiudendole l’una sull’altra in segno di protezione. Lanciò un’occhiata ai vecchi volumi di Aziraphale, che sembravano improvvisamente - proprio loro che le erano parsi un’incredibile e inesauribile pozzo di risposte - vuoti, inutili.

Non riusciva a capire cosa dovesse fare. Cosa fosse giusto fare. Cosa fosse chiamata a fare.

Il suo ruolo…

«Il mio ruolo…» ripeté, spalancando gli occhi.

Ma certo! La sua importantissima, fondamentale, imprescindibile funzione, assegnatele da Metatron in persona. Lei era una degli emissari del Paradiso in Terra. E, come tale, era suo dovere informarsi in relazione a un prossimo conflitto celeste da compiersi anche nelle terre sotto la sua diretta custodia.

Annuì con forza più volte, in modo sempre più convinto, quasi farlo la aiutasse a sedimentare quel pensiero e renderlo concreto.

“Sì”, si ripete, abbassando le mani e dando un piccolo colpetto a terra con il piede sinistro. “Sì. Lei era Muriel, angelo lasciato a custodia di Soho. Lei era l’Essere preposto al controllo che tutti gli avvenimenti celesti nel West End di Londra si svolgessero come previsto dal Grande Piano. Lei, in quanto tale, era nel pieno diritto di parlare con l’Arcangelo Supremo”.


E, continuando a ripetersi queste parole nella mente per cercare di contrastare l’istinto di fuga che sentiva appesantirle le gambe, uscì - carica di ansia, dubbi e solo un filo di flebile speranza - dalla libreria, diretta all’Ascensore.

 

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Note:

1) Fridolins heimliche Ehe (Il matrimonio segreto di Fridolin, 1875) è il primo romanzo gay in lingua tedesca a lieto fine; vi sono inserite molte delle teorie di Karl Heinrich Ulrichs (considerato un pioniere del primo movimento omosessuale).

 

Angolo dell’Autrice:
 

Non saprei nemmeno da che parte cominciare, per chiedere scusa per questo lungo periodo di assenza.

Se vi raccontassi cosa sta succedendo nella mia vita, probabilmente mi suggerireste una benedizione (per rimanere in tema XD), di cercare qualcuno che tolga il malocchio o - più probabilmente - entrambe le opzioni e probabilmente insieme.

Non ho riletto il capitolo, quindi se doveste trovare degli errori macroscopici sentitevi liber* di farmelo notare malamente, e provvederò a sistemarli.

Almeno una cosa l’abbiamo scoperta: chi era al telefono, nello scorso capitolo.

Come sempre, grazie a chiunque abbia letto, inserito la storia in una qualche categoria e/o dedicato un po’ di tempo a lasciare una recensione.

A presto,
B.

   
 
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