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Autore: Felixia    01/12/2023    0 recensioni
Il cielo limpido e blu di Novyi Zem, il sole caldo che illuminava i campi di jurda e un ragazzo Zemeni dal sorriso spavaldo che si divertiva a scolorirne i petali con il solo tocco delle sue dita. Se si concentrava abbastanza poteva ancora riportare alla mente l'esatta gradazione di grigio dei suoi occhi. Wylan non potè fare a meno di sorridere a sua volta ricordando quel ghigno soddisfatto che gli vedeva stampato in faccia ogni volta che lo stupiva con i suoi poteri. Aveva pensato spesso a lui, a come quel ragazzo, sempre in movimento, sempre sorridente, fosse un po’ come la jurda con cui giocava: dall’aspetto splendido, come il suo fiore arancione, e dall’incontenibile energia, come la sostanza eccitante che nei fatti la jurda era.
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Jan Van Eck, quando si rende conto che suo figlio non sa leggere, lo allontana da Ketterdam per non far scoprire a nessuno la sua incapacità. Wylan cresce quindi a Novyi Zem dove diventa amico di Jesper, almeno finché i due non vengono separati dal destino per poi ritrovarsi, 10 anni dopo, di nuovo insieme, tra i Corvi.
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Avvertimento: storia Wesper centrica.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Inej Ghafa, Jesper Fahey, Kaz Brekker, Wylan Van Eck
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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La prima estate con Wylan

Aditi stava seduta al tavolo della cucina della loro fattoria, intenta a rimuovere le macchie di fango dai vestiti di quel suo figlio turbolento quando lo vide seduto sull’uscio di casa a infilarsi le scarpe. «Coniglietto, dove te ne vai?»
«Dal mio nuovo amico.» Le rispose Jesper alzando per un attimo lo sguardo dai lacci che stava intrecciando in fretta.
«Intendi il piccolo Kerch che si è trasferito nella villa qui a fianco l’altro giorno?»
«Si chiama Wylan.» Aditi lo guardò saltellare sul posto con le scarpe perfettamente al loro posto.
«Divertiti, ma non troppo che poi sono costretta a smacchiare i tuoi vestiti per ore.» Lo rimproverò bonariamente.
«Scusa, ma’.» Jesper sfoggiò il sorriso malandrino a cui sua madre non poteva resistere, poi con una corsa veloce la raggiunse per stamparle un bacio sulla guancia, rubare uno dei biscotti che giacevano sul tavolo e infine uscire come un piccolo tornado dalla porta. «Ciao, ciao!» Jesper sentì la voce di sua madre che rispondeva al suo saluto già lontana quando si era richiuso la porta dietro alle spalle.
Fin da quando Jesper aveva memoria, la villa che confinava con la fattoria era sempre stata disabitata. O almeno era stato così fino alla settimana prima. Jesper non aveva capito bene che tipo di famiglia ci abitasse. Wylan gli aveva detto che in casa c’erano solo lui, una domestica e un tutore privato.
«E la tua mamma e il tuo papà dove sono?» gli aveva chiesto Jesper che non riusciva a spiegarsi perché un bambino non vivesse con i suoi genitori.
Wylan giocherellava con i fili d’erba, li intrecciava tra le dita senza guardarlo in faccia. «La mamma non ce l’ho più e mio padre lavora in città.»
Jesper guardò le sue lunghe ciglia castane abbassate in direzione di una coccinella che gli stava passeggiando su una mano e si ritrovò a pensare “È proprio come il principe di quella storia che mi leggevano mamma e papà”. Nel suo libro illustrato di fiabe c’era il disegno di un piccolo principe solitario dai capelli rossi, che non usciva mai dal suo castello. E per quanto il suo regno fosse meraviglioso, lui era sempre triste perché non aveva nessuno con cui godersi tutto quello che possedeva.
Sotto il sole estivo Jesper si dirigeva verso la villa, ogni tanto calciava un sasso abbastanza rotondo da rotolare via facilmente, ogni tanto strappava le foglie delle piante che gli finivano malauguratamente sotto le mani camminando, ogni tanto si fermava a raccogliere un ramo da sbattere per terra mentre teneva il ritmo dei suoi passi cadenzati. Quando arrivava abbastanza vicino al grande giardino circondato da un’alta siepe, si arrampicava sull’albero più alto. Il suo amico non poteva uscire dalla villa, così l’unico modo per giocare insieme era intrufolarsi nei confini dell’abitazione così. Arrivato in cima, cercava in basso la testolina riccia di Wylan. Appena lo individuava lo chiamava con un fischio e subito gli occhi blu del bambino scattavano verso l’alto, riempiendosi di luce. Nei giorni precedenti Jesper si era procurato una corda per calarsi più facilmente dall’albero senza riempirsi di graffi e sbucciature, anche quel giorno Wylan lo guardava ansioso mentre Jesper scendeva aggrappandosi alla corda.
«Ti piace la torta di ciliegie?» Fu la prima cosa che gli disse una volta con i piedi saldamente a terra.
Wylan piegò la testa da un lato pensieroso. «Non lo so, non l’ho mai mangiata.»
«Cosa? Non l’hai mai mangiata?» Chiese Jesper incredulo e sgranò gli occhi quando Wylan scosse la testa per confermare. «Domani te ne porto un po’.» Affermò risoluto.
«Davvero?»
«Certo, la mia mamma la fa sempre per il mio compleanno perché è la mia preferita.»
«Domani è il tuo compleanno?»
«Sì! Faccio nove anni.» Disse con tono fiero, poi si rese conto di non avere idea dell’età del suo amico. «Ma tu quanti anni hai?»
«Sette. Tra due mesi però ne faccio otto.»
«Allora chiederò a mamma se può fare la torta di ciliegie anche per il tuo compleanno.»
«Davvero? Grazie!» Wylan sorrise con entusiasmo.
Jesper si sentì felice di vedere il suo amico così elettrizzato che, due mesi più tardi, decise che una torta non era abbastanza. Per due mesi Aditi lo aiutò a capire come modellare il metallo e insieme alla fine riuscirono a realizzare quello che sarebbe diventato il regalo di compleanno di Wylan: una chiave per aprire il cancello del giardino che lo teneva confinato dentro la villa.
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La seconda estate con Jesper

«Jes! Non ci credo!» Wylan si portò le mani alla bocca che aveva spalancato per la sorpresa.
«Te lo giuro! Non sapevo neanche di essere capace di farlo, era la prima volta che toccavo un fiore e gli toglievo il colore.» Jesper gesticolava mentre raccontava di come, ad appena sei anni, avesse scritto un’enorme parolaccia nel campo di jurda della fattoria di famiglia senza neanche essere consapevole di come ci riuscisse. Da quando Wylan aveva scoperto che Jesper fosse in grado di trasferire il pigmento naturale delle piante, ogni tanto si divertivano insieme a sperimentare con i colori: Wylan portava il suo album da disegno, ci faceva uno schizzo veloce con i carboncini e Jesper rubava dalla flora circostante i colori per dipingere i suoi disegni.
«E tuo padre era tanto arrabbiato?»
«Arrabbiato?» Jesper si fermò un attimo a riflettere. «No, pa’ era solo preoccupato che lo facessi di nuovo di fronte a qualche sconosciuto.»
Wylan rimase più sbalordito dalla reazione del padre di Jesper che dalla marachella in sé. Non era normale che i papà fossero sempre arrabbiati, che urlassero e che picchiassero i figli quando questi sbagliavano?
«Qual era la parola?» gli chiese senza trattenere la curiosità del proibito.
Jesper si guardò attorno circospetto prima di avvicinarglisi. «Te la dico all’orecchio, ma tu non dirla a nessuno» si raccomandò, poi gli posò una mano sulla guancia, quel tocco leggero gli fece il solletico, ma non si sottrasse, e poi con un sussurrò Jesper gli disse la parola più oscena che Wylan avesse mai sentito.
«Jes!» gridò scandalizzato mentre il suo amico rideva.
«Sei diventato tutto rosso», lo prese in giro con le lacrime agli occhi dalle risate e Wylan non potè fare a meno di arrossire ancora di più. «Aspetta, stai fermo lì.» Jesper afferrò un fiore blu lì vicino e con un rapido tocco la tinta dei petali si trasferì sulle sue dita. Wylan lo osservava incantato e immobile, ma fece un piccolo salto quando si ritrovò le dita macchiate di colore di Jesper sulle guance. «Ecco, adesso non sei più rosso. Sei blu.»
«Jesper!» si lamentò Wylan prendendo l’orologio da taschino per vedersi riflesso nel metallo argenteo. Su entrambi i lati del suo volto si vedevano chiaramente le impronte fugaci di blu che Jesper gli aveva lasciato. «Toglimele subito!» gli ordinò, ma non appena alzò lo sguardo dal suo riflesso un altro dito gli sfiorò in fretta il naso. Immediatamente guardò la superficie riflettente dell’orologio, adesso si era aggiunta una macchia gialla sulla punta del suo naso.
A quel punto Wylan si scagliò su Jesper giusto in tempo per bloccargli una mano completamente verde di clorofilla. Purtroppo però non si era accorto che nella mano libera stringeva ancora la foglia a cui aveva rubato parte del colore e non ebbe i riflessi abbastanza veloci per fermarlo dal piazzargli la foglia in fronte, ricoprendola di un verde vivido. Jesper non si trattenne più e scoppiò in una risata rumorosa nel guardare il risultato del suo scherzo; la faccia di Wylan era un miscuglio di colori, tra il rossore delle sue guance e le macchie che gli aveva lasciato. Ma quel rossore non era più imbarazzo, lo aveva fatto arrabbiare e lo sapeva bene, perché subito iniziò a correre, mentre Wylan lo inseguiva con tutta la forza che riusciva a mettere nelle gambe.

Alla fine Jesper aveva riso così tanto che si era fermato per tenersi la pancia dolorante, così Wylan lo aveva raggiunto e costretto a ripulirgli la faccia. Non poteva certo tornare a casa con il viso tutto sporco.
«Signorino Wylan! Ma come ha fatto a sporcarsi così?» lo sgridò Gerta nel vederlo rientrare alla villa. Wylan si voltò verso il grande specchio del salone e solo in quel momento notò i suoi vestiti. Si era così concentrato sulle macchie di colore che aveva sul viso, ma non rendersi conto di essersi riempito i calzoncini e la camicia di fango a causa della corsa. «Su, venga che le preparo un bel bagno.» Wylan prese la mano che la domestica gli stava porgendo e le obbedì silenziosamente.
“Almeno i disegni sono venuti bene” si disse mentre si lasciava guidare da Gerta verso il bagno.

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La terza estate con Wylan

Il proiettile schizzò fuori dalla canna della pistola con una piccola esplosione e nel tempo che le ciglia di Jesper impiegarono per chiudersi e riaprirsi aveva già terminato la sua corsa. Jesper fece un sospiro frustrato quando lo vide piantarsi nel legno della recinzione anziché sulla mela che ci era posizionata sopra come bersaglio.
«La tecnica richiede pazienza, coniglietto.» La mano calda di sua madre gli stringeva una spalla. La differenza d’altezza tra i due era sempre di meno, Jesper avrebbe raggiunto Aditi e presto l’avrebbe superata, ma il nomignolo non sarebbe mai cambiato. «E per ora tu non hai nessuna delle due.»
«Ma’, non ci riesco! È troppo difficile quand’è così lontano e quella mela poi è minuscola, come dovrei fare a prenderla?» Jesper mise il broncio, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo accigliato dal fastidio.
Aditi non rispose immediatamente alla domanda del figlio. Prima gli sfilò dalle mani la rivoltella e con un gesto rapido eseguì uno sparo che fece esplodere la mela in centinaia di pezzetti succosi. «Così, dovresti fare.» disse infine soddisfatta.
Jesper rimase senza parole davanti alla velocità e alla precisione di sua madre, lei rise della sua espressione sbalordita e posando l’indice sotto il suo mento gli chiuse la bocca ancora spalancata dall’incredulità. «Riprova, coniglietto. Questa volta ascolta bene che cosa ha da dirti il tuo strumento, lascialo cantare sotto le tue dita. E ricorda di trattenere il respiro prima di sparare.» lo invitò restituendogli l’arma.
Jesper soppesò la pistola tra le mani, quando si concentrava abbastanza poteva percepire i metalli della lega e gli intarsi di legno che si mescolavano tra di loro per darle quella forma così perfetta da essere stretta tra le dita. Chiuse gli occhi e per un istante gli sembrò persino di sentire il punto esatto in cui il proiettile riposava. Era come se stesse aspettando che il suo indice scattasse sul grilletto per prendere vita e volare verso il bersaglio. Si riempì i polmoni d’aria e lentamente la sputò fuori, mentre i suoi occhi puntava verso la mela che lo osservava dall’alto dello steccato. Quando il colpo partì, tutti i pensieri di Jesper erano rivolti a quel proiettile, quello che lo aveva cercato. Sgranò gli occhi quando il frutto si disintegrò con un solo colpo.
«L’ho presa! Ma’, ce l’ho fatta!» Saltellò come una molla, troppo carico di entusiasmo per rimanere fermo.
«Bravissimo, coniglietto.» Aditi gli sorrise orgogliosa. «Per oggi basta così, possiamo tornare a casa.» Dall’altezza del sole doveva essere tarda mattinata, presto Colm sarebbe rientrato dai campi per pranzare insieme a loro. Jesper porse la pistola a sua madre, come sempre dopo i loro allenamenti. Per quanto Aditi gli avesse promesso di insegnargli a sparare, Jesper era ancora troppo piccolo per possedere un’arma. Ma quel giorno sua madre rimase immobile, non allungò la mano per prendere la rivoltella, lasciando Jesper con l’espressione confusa e il braccio teso. «Oggi compi undici anni, sei grande abbastanza.»
Il viso di Jesper si aprì in un sorriso smagliante. «Davvero? Posso tenerla?»
«Certo.» Aditi gli accarezzò il viso. «Ma i proiettili li tengo io.» E con un gesto veloce aprì il tamburo della rivoltella e li fece scivolare tutti nella sua mano.

 

Jesper non stava più nella pelle, il suo compleanno era iniziato alla grande ed era solo destinato a migliorare. Non vedeva l’ora di andare da Wylan per mostrargli la sua nuova pistola, così camminava a passo svelto con una scatola sotto braccio con gli avanzi di torta alle ciliegie di Aditi e con la rivoltella ben sistemata nella fondina che suo padre gli aveva regalato poco prima.
«Wy!» lo chiamò con un sussurrò affacciandosi all’alto cancello che separava la villa dal resto del mondo. Ma per diversi secondi non arrivò nessuna risposta, il che era strano visto che Wylan era sempre pronto e puntuale ad aspettarlo. «Wy, ci sei?» lo cercò adocchiando tra le sbarre del cancello e le foglie della siepe.
I suoi occhi scorrevano su ogni centimetro di prato alla ricerca del suo amico, quando finalmente notò un ciuffo di capelli rossicci che sbucavano da dietro la corteccia di un albero. Ma non importava quando Jesper ripetesse il suo nome, Wylan non rispondeva. Si era addormentato lì mentre attendeva il suo arrivo? Jesper non era conosciuto per essere una persona paziente, così smise di aspettare una risposta; appoggiò con forza il palmo della mano sulla serratura del cancello e, nel giro di qualche minuto di lavoro e concentrazione, la fece scattare.
Si introdusse nel giardino come aveva fatto già centinaia di volte, pronto a trovare Wylan con la schiena appoggiata sul tronco dell’albero a sonnecchiare, ma quando si sporse oltre la grande corteccia, non vide ciò che si aspettava. Il suo amico se ne stava rannicchiato, con la faccia nascosta tra le ginocchia che teneva strette a sé.
«Wy, che c’è? Ti fa male la pancia?» gli chiese avvicinandosi a lui.
«No,» gli rispose con un tono strozzato. «Buon compleanno.» Il borbottio di Wylan arrivò alle orecchie di Jesper con grande fatica.
«Grazie, ti ho portato la torta di ma’.»
«Non ho fame, scusa.» Wylan non aveva ancora alzato la testa e Jesper continuava a sforzarsi di guardarlo in faccia.
«Va bene, puoi mangiarla più tardi.» Jesper posò la scatola per terra e si sedette al fianco di Wylan. «È andato via il tuo papà?»
«È ripartito stamattina» confermò lui, ma non aggiunse altro. Jesper non aveva idea di cosa gli stesse passando per la testa, forse si sentiva triste perché suo papà era tornato in città e lo aveva lasciato lì.
«Guarda che mi ha regalato ma’ per il compleanno.» Gli mise davanti agli occhi la rivoltella scintillante sotto i raggi del sole che filtravano tra le foglie degli alberi.
Wylan alzò il viso dal suo nascondiglio per osservare quello che Jesper gli stava mostrando. «È molto bella, Jes.»
«Vero? La adoro, mi piace troppo. Però ma’ dice che i proiettili mi insegnerà a farli quando sarò più grande.»
«Sono sicuro che sarai bravissimo.»
«Wy, ma che succede? Perché stai seduto così?» Jesper cercò di tirare il suo avambraccio per vedere il suo viso, ma non appena gli poggiò una mano sulla manica Wylan scattò. Subito si protesse il punto in cui Jesper lo aveva toccato con la mano libera e fece un sibilo di dolore. Quella reazione così istintiva aveva fatto scoprire a Wylan il viso e Jesper si era ammutolito nel vedere che uno di quegli occhi blu che conosceva così bene era cerchiato di un colore rosso violaceo che stonava enormemente con le miriadi di lentiggini marroni. «Sono caduto dalle scale.» disse immediatamente Wylan rispondendo alla domanda che Jesper non aveva ancora trovato le parole per formulare.
Jesper lo continuava a osservare. Ora che lo guardava meglio, indossava una camicia e dei pantaloni lunghi, a coprire ogni centimetro della sua pelle chiara. Eppure quel giorno era così caldo che doveva essere asfissiante un abbigliamento così pesante. «Fa tanto male?»
«Sto bene.» Wylan se ne stava ancora raggomitolato, stringeva ancora più forte le braccia intorno alle gambe, come se volesse sparire dentro se stesso. «Jes, io devo rientrare a casa.» disse alzandosi di scatto e voltandogli le spalle.
«Ma dovevamo andare a nuotare al fiume.»
«Non posso.» Wylan tirava la manica della camicia nervosamente.
«Perché non puoi? Hai detto che non fa male.»
«Invece mi è appena venuto mal di pancia, non posso più. Ciao.» Wylan non gli diede più occasione di ribattere e in un attimo sparì dentro la villa a cui a Jesper era negato l’accesso. Lui rimase per un lungo istante immobile a guardare il punto in cui il suo amico era appena scomparso, incerto se sentirsi ferito, arrabbiato o entrambe le cose. Non sapendo più cosa pensare, si alzò dal prato su cui si era accomodato per tornare alla fattoria e solo in quel momento notò un foglio di carta nell’esatto punto in cui Wylan era stato fino a quel momento. Un versione di sé ad acquerelli gli sorrideva circondato di fiori arancioni.

 

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La quarta estate con Jesper

La sera a Novyi Zem non era come quella di Ketterdam. L’aria era fresca, ma gli alberi attutivano il vento che gli sfiorava le braccia e non sentiva freddo. Wylan ormai viveva nelle campagne assolate da quattro anni e continuava a sorprendersi di quanto fossero diverse dall’umidità e il freddo a cui era abituato. Alzò il naso verso il cielo e tra le fronde degli alberi cercò la luna. Da quando era arrivato il nuovo tutore si era appassionato di astronomia, non faceva altro che parlare di stelle e di come volesse vederle. Il maestro gli aveva spiegato che proprio quel giorno c’era una grande probabilità di osservare un fenomeno che aveva chiamato “stelle cadenti” e Wylan ne era rimasto così affascinato che aveva passato l’intero pomeriggio a parlarne con Jesper.
«Cosa? Vuoi dire che non le hai mai viste?» Jesper lo aveva interrotto bruscamente.
«No» Wylan si sentì improvvisamente in imbarazzo ad ammetterlo. «Non mi è permesso uscire quando fa buio.»
«Questa cosa cambierà oggi stesso.» Jesper aveva in faccia quell’espressione decisa che Wylan gli vedeva ogni volta che stava per premere il grilletto e fare centro. Era in qualche modo rassicurante e spaventosa, non sapeva spiegarsi la sensazione che gli dava. «Questa sera fatti trovare a mezzanotte vicino al cancello, ti porto in un posto.»
Non era stato neanche troppo difficile sgattaiolare fuori dal letto in gran silenzio ed uscire dalla porta di servizio. Gerta gli ripeteva sempre che era un bambino così docile, mentre suo padre amava ricordargli che non era capace di fare niente di sua iniziativa. Quindi, forse, nessuno si sarebbe potuto aspettare che quel piccolo undicenne osasse uscire di casa di notte di nascosto.
Wylan dondolava le gambe per sfogare l’ansia di aver trasgredito le regole e pregava che Gerta non decidesse improvvisamente di affacciarsi dalla finestra. Era talmente preso dal panico che non sentì il cancello aprirsi alle sue spalle.
«Wy, andiamo» lo chiamò Jesper facendolo saltare sul posto dallo spavento.
«Arrivo» si ficcò la chiave del cancello in tasca e in tutta fretta seguì il suo amico oltre l’alta siepe. Il mondo era lo stesso di sempre, ma era la prima volta che Wylan lo vedeva avvolto nel buio e illuminato solo dalla luce della luna. Più si allontanavano dalla villa e più sembrava di un blu luminoso, piuttosto che una macchia di nero informe. «Jes, dove stiamo andando?»
«Conosco un posto, fidati di me» rispose lui enigmatico, ma a Wylan parve bastare. La strada gradualmente stava diventando una salita, sempre più ripida. Gli unici rumori intorno a loro erano i grilli, il frusciare dell’erba e quello che sembrava il gorgogliare di un torrente non troppo lontano da loro. Alzando gli occhi in alto Wylan si rese conto che la luce si stava facendo più intensa, le stelle splendevano ancora di più ora che si trovavano più in alto. Era rimasto talmente tanto preso da quello spettacolo che rischiò di inciampare nei suoi stessi piedi. «Ehi, occhi sulla strada, le stelle le puoi guardare dopo.» Jesper rise per la sua goffagine, ma poi lo prese comunque per mano per assicurarsi che non cadesse sul serio.
Dopo qualche altro minuto di camminata, nascosta dalla vegetazione folta svettava una struttura in pietra che aveva tutta l’aria di essere una vecchia torre abbandonata. Quella che doveva essere la porta d’accesso ormai era solo una grande asse di legno poggiata sull’entrata, Jesper la spostò senza troppi problemi e Wylan si lasciò guidare dentro quelle mura che avevano l’odore della muffa e dell’umidità di un luogo che non viene ventilato da tempo.
«Come conosci questo posto?» Ogni passo di Wylan era cauto e ben calcolato, sul pavimento erano cresciute erbacce e c’erano macerie sparse ovunque.
«Quando ero piccolo io e papà siamo andati ad esplorare e l’abbiamo trovata.» Iniziò a spiegare Jesper mentre aspettava pazientemente che Wylan lo raggiungesse verso la scala che portava al piano superiore. «Una volta era una torre d’avvistamento, papà dice che era stata usata in una guerra, ma non mi ricordo quale.»
«È sicuro stare qui?» Wylan si fermò indeciso davanti al primo scalino dall’aspetto poco solido.
«Di che ti preoccupi? Ci sono io con te.» Jesper era più spavaldo che mai e quella grande sicurezza che aveva in se stesso in qualche modo riusciva ad essere un conforto anche per Wylan. Salirono la lunga scalinata che si attorcigliava intorno alla torre come un serpente fino a raggiungerne la cima, non appena Wylan scorse il cielo che li aspettava dimenticò istantaneamente tutte le sue ansie.
«È stupendo.» Non riuscì a trovare altre parole per descrivere la forte sensazione di smarrimento e appagamento che gli dava vederle le stelle così grandi, così numerose, così brillanti. Trasalì quando davanti agli occhi una di loro sparì lasciandosi dietro una scia splendente.
«Ti piace?» La voce di Jesper aveva un tono soddisfatto e orgoglioso.
«Non sai quanto!» Wylan aveva voglia di saltare, ma non poteva staccare lo sguardo dal cielo nemmeno per un istante per paura di perdersi una stella cadente.
«Ho portato delle coperte, stendiamoci così è più comodo guardare in su.» In un attimo si erano sistemati, nonostante la vicinanza di Jesper e la coperta che lo copriva Wylan iniziava a sentire il naso congelato. La temperatura era scesa e il vento lì in cima sembrava essere più forte, ma non ci badò.
«Jes! La riconosco, quella è la costellazione della Spada di Sankt Juris!» Indicò un punto nel cielo dove un agglomerato di stelle aveva preso una forma precisa davanti ai suoi occhi, esattamente come il suo tutore gli aveva insegnato.
«Quale? Non la vedo.»
«Vedi lì? Ci sono due linee che si incrociano, una più corta e una più lunga.»
«Dove? Ah! Credo di averla vista. Dici quella?»
«Sì, bravo! E invece quella credo che…»
«Un’altra stella cadente!» Lo interruppe Jesper entusiasta.
«Davvero? Dove? Non l’ho vista.»
«Non fa niente, vedrai la prossima.»
Quella notte Wylan conto altre ventitré stelle cadenti. Il giorno dopo fu difficile spiegare a Gerta come avesse fatto a prendersi quel brutto raffreddore in piena estate, ma ne era valsa la pena.

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La quinta e ultima estate con Wylan

«Certo che sono veramente buoni questi stroop… come li hai chiamati?» Jesper masticava con gusto la cialda dolce.
«Stroopwafel.» Wylan si tolse un paio di briciole dagli angoli della bocca con un fazzoletto di stoffa. Jesper lo trovava tanto elegante quanto inutile, quando bastava usare le mani per pulirsi la bocca. «Purtroppo questi erano gli ultimi. Gerta dice che ha finito la cannella e che al mercato non l’ha trovata da nessuna parte. Però sono contento che ti siano piaciuti. Mia madre li adora… Adorava».
Non era una novità che Wylan facesse una piccola pausa prima di correggersi, Jesper non sapeva mai cosa dire, così aveva iniziato a fare finta di niente. Forse era da codardi, ma che altro avrebbe potuto fare? «Quand’è che torna tuo papà? Magari può portarti altri stroop…cosi.» Fece un tentativo per distrarlo.
«Sarà qui tra qualche giorno.» Wylan si stese sull’erba e con un lungo sospiro incrociò le mani dietro la testa. L’albero sotto cui erano seduti aveva la chioma abbastanza larga da coprili da sole scottante della tarda mattinata, la sensazione dell’erba sotto la pelle era ancora più rinfrescante della brezza che li accarezzava. «Ti va se di finire il libro? Manca solo un capitolo.»
Jesper cercò immediatamente nella borsa il volume ceduto da suo padre. Negli ultimi mesi Wylan non faceva altro che ripetere che la voce di Jesper si era fatta più profonda e che era stupenda. Non sapeva neanche come aveva iniziato, ma era da qualche tempo ormai che Jesper chiedeva sempre nuovi libri a suo padre solo per sentire i complimenti di Wylan sul suo tono baritonale e armonioso. Colm ne era piacevolmente stupito, suo figlio era diventato uno studente modello dal giorno alla notte e non aveva alcuna intenzione di chiedergli come mai di quell’improvviso interesse per la letteratura, lo avrebbe solo incoraggiato. «Dobbiamo ancora vedere se il pirata cattivo è morto quando si è lanciato da quella rupe.»
«Certo che è morto, come può essere sopravvissuto alla caduta?»
«Perché è caduto in acqua.»
«Ma era a decine di metri di altezza, in quel caso la superficie dell’acqua è dura come pietra all’impatto.»
«Va bene, sapientone. Adesso leggiamo questo ultimo capitolo e vediamo chi ha ragione.» Con un gesto deciso aprì il libro e iniziò a recitare il testo. Il pirata era chiaramente ancora vivo. Wylan roteò gli occhi dal fastidio, inneggiando alla “poca accuratezza scientifica” mentre Jesper si vantava: «Chi se ne frega della tua scienza, è un libro, deve essere divertente.»
«I libri non devono essere divertenti. Possono esserlo, ma non sono costretti a esserlo.» L’ultima vocale troncata da uno sbadiglio che nascose subito dietro il palmo della mano ricoperta di lentiggini. Era impressionante come non dimenticasse le buone maniere neanche quando sembrava del tutto rilassato.
«Hai sonno?»
«Un po’.» Gli occhi di Wylan si chiusero lentamente, le palpebre appesantite.
«Dormi, ti sveglio io tra mezz’ora.»
Wylan mugolò un piccolo assenso e con un sorrisetto stampato in volto si addormentò.

Jesper non era mai stato bravo a stare fermo, c’erano dei momenti in cui si sentiva come se dovesse saltare per il puro gusto di farlo. Iniziò a tamburellare sulla copertina del libro con le dita, poi si bloccò quando pensò che il rumore che stava provocando avrebbe potuto svegliare l’amico che si riposava al suo fianco. Si voltò lentamente per assicurarsi che Wylan fosse ancora profondamente addormentato.
La testa era leggermente piegata verso di lui, la fronte libera dai ricci che di solito la coprivano era rilassata. Un braccio steso lungo il fianco, l’altro posato sul petto si alzava al ritmo del suo respiro, lento e calmo. La bocca dischiusa gli dava un’espressione pacifica. Ultimamente si era ritrovato a osservare molto Wylan. Lo conosceva da anni, era il suo migliore amico, sapeva perfettamente com’era fatto. Eppure gli capitava sempre più spesso di indugiare sulle ciglia castane, il naso dritto e poi quelle labbra rosa, sottili ma con una piacevole forma arrotondata.
Non era la prima volta che Jesper guardava Wylan in quel modo diverso e nuovo, ma Jesper avrebbe ricordato per tutta la vita che quello era stato il primo giorno in cui aveva pensato di volerlo baciare.

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La quinta e ultima estate con Jesper

Erano ormai due settimane che Jesper non si faceva più vedere e Wylan non sapeva cosa pensare. Il giorno prima aveva trovato una lettera tra le sbarre del cancello, ma naturalmente non aveva idea di quale fosse il suo contenuto. L’inchiostro ballava sulla carta ogni volta che ci posava gli occhi. Così l’unica cosa che gli era rimasta era fare supposizioni.
Jesper non poteva essere malato, i Grisha non prendono il raffreddore e in ogni caso non sarebbe potuto arrivare fino lì per lasciare una lettera se stava male. Forse aveva fatto qualche marachella e i suoi genitori lo avevano messo in punizione, il che, conoscendolo, non era improbabile. Non era da escludere la possibilità che lo stesse evitando. Wylan aveva riflettuto al lungo chiedendosi se ci fosse qualcosa che aveva detto o fatto e che l’avrebbe potuto ferire o far arrabbiare. L’opzione che lo terrorizzava di più però era che Jesper si fosse accorto che Wylan aveva una cotta per lui. Se lo avesse scoperto e ne fosse rimasto disgustato? Poteva davvero essere possibile che non volesse essere più suo amico?

Wylan si avvicinò alla porta e rimase a guardare la trama del legno per diverso tempo prima di fare un lungo respiro e raccimolare abbastanza coraggio per bussare.
«Avanti.» La voce di Jan Van Eck gli arrivò attutita dalla distanza.
La maniglia di ottone brillante non doveva essere così pesante, ma gli costò un grande sforzo girarla e fare il primo passo nello studio di suo padre. «Buongiorno, padre. Volevi vedermi?» La figura autoritaria di Jan si stagliava di fronte alla finestra, in controluce Wylan non riuscì e distinguere la sua espressione e questo non fece che aumentare la sua ansia.
«Vieni, figliolo. Siediti.» Quel che suonava come un invito cordiale Wylan aveva imparato bene a interpretare come un ordine perentorio, in fretta si accomodò sulla seduta che suo padre gli aveva indicato con un cenno dello sguardo.
Il padre tuttavia non prese posto alla scrivania, ma iniziò a vagare per la stanza con le mani incrociate dietro la schiena. I suoi passi lenti e gli occhi distratti ad esplorare il soffitto gli davano l’aria di qualcuno che stesse passeggiando spensieratamente, lasciando il ragazzo confuso. Non aveva idea di che cosa stesse per succedere. Erano solo le nove del mattino, l’orario in cui suo padre gli impartiva personalmente lezioni di lettura si svolgevano solo di sera, dopo che aveva terminato il suo lavoro giornaliero. Sembrava così tranquillo, ma Jan Van Eck non lo era mai in sua presenza, era sempre nervoso, scocciato. A che stava pensando? Stava forse sperimentando un nuovo modo di metterlo alla prova?
«Come procedono i tuoi studi?» La domanda improvvisa lo fece saltare sulla sedia.
«Bene, padre.» Wylan deglutì nel tentativo di nascondere il tremore nella voce. «Il signor Thompson dice che eccello in fisica, chimica e algebra. Dal prossimo semestre inizieremo con la filosofia e sono piuttosto eccitato di conoscere il pensiero politico, etico e logico dei più grandi filosofi della storia.»
Jan Van Eck non aveva smesso per un attimo di misurare la stanza a passi misurati e quando il figlio aveva risposto alla sua domanda, non aveva dato segno di stare ascoltando. Il silenzio che era calato nella stanza aveva creato una tensione tale che Wylan, non sapeva neanche quando aveva iniziato, si stava mordicchiando il pollice nervosamente.
«Suvvia, figliolo. Non ti ho educato così.» Lo corresse il padre facendo un cenno al dito ancora serrato tra i denti. Finalmente Jan Van Eck gli stava davanti e lo stava guardando, eppure il suo viso gli appariva ancora impossibile da interpretare.
«Mi scuso.» Wylan tolse in fretta il pollice dalla bocca e si mise a sedere ancora più dritto di prima.
«E invece, dimmi,» suo padre si sedette sulla grande scrivania di quercia proprio di fronte a lui, mantenendo lo sguardo in una posizione di superiorità che faceva sentire Wylan piccolo e indifeso. «Come procede con le arti?»
«Le arti, padre?» chiese sorpreso di quell’interesse mai dimostrato prima. Jan Van Eck aveva sempre considerato la musica come una pratica per “gentaglia troppo pigra o stupida per fare qualcosa di realmente utile”. «Attualmente sto studiando un Singspiel di Mozart, Il Flauto magico.»
«No, Wylan. Non mi riferisco alla musica.» Il tono di Jan era cambiato improvvisamente, se prima era di un calmo artefatto adesso mostrava il tipico disprezzo che Wylan era abituato a sentirsi divolto. «Tu disegni, dico bene?»
«Sì, padre.» Wylan era sempre più rigido sulla sedia, istintivamente si aggrappò ai braccioli incerto su dove volesse andare a parare quella conversazione.
«E che strumenti usi di solito?» Jan Van Eck si alzò e si diresse dal lato opposto della scrivania, aprì un cassetto e vi cercò qualcosa che Wylan non riusciva a vedere da dove si trovava.
«Strumenti, padre?» ripeté sempre più confuso. «Uso della semplicissima carta, ma anche matite, inchiostro, pennelli…»
«E questo? Mi sai dire cos’è questo oggetto?» Suo padre posò delicatamente sulla scrivania il piccolo manichino di legno con le giunture mobili che Jesper aveva fabbricato per lui come regalo del suo ultimo compleanno. Wylan impallidì, dalla bocca secca non uscì alcun suono. «Serve come esempio per disegnare, dico bene? L’ho trovato stamane nel giardino, la domestica dice di non aver acquistato niente del genere. Capirai bene che la domanda mi è sorta spontanea: come hai ottenuto questo oggetto?»
«Padre, io non…» Wylan guardava in basso, incapace di sostenere gli occhi di ghiaccio di suo padre.
«Non provare a mentirmi, so che è tuo. Ti ho fatto una domanda molto semplice: chi te l’ha dato?»

La furia che si scatenò quella mattina ebbe diverse conseguenze, dalle urla di Jan Van Eck, fino a un occhio nero per Wylan. Eppure questo non bastò come punizione; il giorno stesso fecero le valigie, la vita a Novyi Zem era appena finita, da quel momento in poi Wylan sarebbe tornato a Ketterdam sotto il costante controllo di suo padre. Non era servito a niente supplicarlo di non partire, giurargli di non aver mai rivelato a Jesper il suo segreto e che non avrebbe portato vergogna sul suo nome.
Wylan avrebbe passato le estati successive a Ketterdam, a chiedersi che cosa ci fosse scritto in quella lettera e a pentirsi di non aver potuto salutare per un’ultima volta il suo migliore amico. O almeno così credeva, finché non si incontrarono ancora, in un laboratorio nei bassifondi del Barile.

  
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