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Autore: S iberia    03/12/2023    1 recensioni
"Perché la colpa era anche sua. Doveva semplicemente essere sua.
Il suo pianto, lo sapeva, avrebbe avuto su tutti loro l’effetto d’un richiamo malato a cui non avrebbero saputo sottrarsi, nemmeno volendo – glielo dicevano l’attenzione carnivora e marziale con cui la Viverna covava il tranquillo scorrere della sua mestizia insanabile; i palpiti di insofferente pietà con cui l’incandescente tempra del Garuda scandiva i loro incontri; la fredda compassione con cui il filo dello sguardo del Grifone intesseva i contorni della devastazione nel suo animo."
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Garuda Aiacos, Grifon Minos, Pandora, Wyvern Rhadamanthys
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La cancellai in un raptus, e da allora non l'ho più guardata. Fino a aqualche mese fa, quando è ritornata a galleggiare nel mio subconscio e ad infiammere le mie sinapsi.
Ci saranno delle differenze rispetto alla versione più vecchia, sarà meno ironica ed un po' più cupa. Le note, che spero di mettere solo nel primo capitolo e poi mai più, sono però rimaste le stesse.
Grazie a chi avrà voglia di buttari un occhio!

Doverose, noiosissime precisazioni: nella mia personalissima visione delle cose, dopo la guerra sacra del 1500 gli Dei Hypnos e Thanatos sono tornati nell’abisso di Nyx ed Erebos come ‘dormienti’. A parte gli Oneiroi, Ker, Moros, le Moire e tutta la popolazione che ‘porta avanti’ l’Ade quando Hades e la sua amabile paredra Persephone non sono presenti, l’influenza degli Dei gemelli permane. Il sigillo di Athena sigilla solo una parte dell'Anima dei suoi nemici, anche per un discorso di ‘rispetto dei confini’, per cui ciò che degli Spectres è imprigionato nella torre è solo una parte, probabilmente quella che determina un atteggiamento più bellicoso in senso umano e che permette loro di menar fendenti nelle battaglie, così da consentire loro di proseguire con il ciclo delle rinascite. Non vi tedio oltre su questo punto. 
Non so se riuscirò mai a pubblicare tutto quello che a tema ‘Spectres’ ho scritto, dunque non so se tutti i tasselli del mosaico troveranno la loro giusta collocazione: questa storia narra di una specie di ‘evento particolare’ all’interno della pasticciata linea cronologica saintseiyana che io ho pasticciato ulteriormente. Ho messo l’etichetta ‘AU’ proprio per questo. E lo stesso discorso vale per l’ ‘OOC’: non solo io avrei una visione specifica su ciascuno Spectre, ma qui questa visione è ulteriormente velata da ’altro’. Dunque non sono solo ‘OOC’ per i canoni di Saint Seiya probabilmente, ma a tratti lo sono anche per i miei canoni, e dunque sicuramente lo saranno anche per i vostri.  
Scelte.  
Per quanto riguarda i ‘’’concetti’’’, vivendo tutto come un grande sincretismo per me non vi è errore alcuno nel mischiare Mitologia, Induismo, Gnosi e quant’altro – con le dovute accortezze. Soprattutto penso sia naturale quando si ha a che fare con una surplice come quella di Garuda data ad un antico re mitologico greco. Ma a scanso di equivoci…preciso.
Non c'è una vera e propria coppia all'interno di questa narrazione, semplicemente il rapporto tra Rhadamanthys e Pandora è un po' su di un confine ambiguo, ed anche quello tra Aiacos e Minos, nonostante non sia assolutamente inteso in chiave yaoi.

Ed ora basta :)    

 




Līlā  

 

Ade, segrete della Giudecca, 1666* 

Lo sferragliare della porta della cella è per un momento assordante.
L’aria, persino lì nelle segrete, s’ è fatta irrespirabile, acre e sa di bruciato ed è bollente. Ancora, sono riusciti a carpire da vaghi discorsi di soldati anonimi alla loro memoria, sebbene il balrog giaccia senza vita al confine tra l’ottavo ed il nono Cerchio, le sue fiamme non si sono estinte del tutto ed il Cocito va fondendo.
La cella è un’orbita livida priva d’alcuna vista, si gonfia in pareti convesse scavate nella ruvida roccia del sottosuolo dell’Ade e tra le rughe della carne dei suoi confini raccoglie rigagnoli d’umido sbigottimento, mentre nel centro del suo buio ventre va fermentando il nauseabondo tanfo del sangue. Ciascuno di loro sa d’essere avviluppato in un sudario di quel medesimo fetore marcescente, sa che si trova anche addosso agli altri e che sarà impossibile liberarsene, resta solo da rassegnarsi in fretta ed evitare di dare di stomaco aggiungendo altre esalazioni mefitiche con cui poi essere costretti a soggiornare.

Il dio Thanatos incombe su di loro nel corpo ora succube di Asterione.
Lo hanno riconosciuto nel tempo di una boccata del suo cosmo di tenebra sebbene si fosse presentato in quelle vestigia ingannevoli. Lo avevano sentito emergere, sole eclissato che dardeggiava giavellotti di ira squassante, quando le cose si erano volte al peggio, perché dall’abisso del suo riposo era stato scomodato col fratello quando l’intero Ade aveva tremato fin nel suo budello più buio. Privo d’un veicolo, aveva dovuto insediare la carne più vicina per poter intervenire e placare la furia sguinzagliatasi, prima dell’estinzione della delicata struttura dell’oltretomba.
Inchiostrata d’ombra, l’immagine del dio è scalfita delle sbarre della cella, alle sue spalle una danza di veli sfrangiati e fiammeggianti, impigliati nel capo oliato d’una torcia rende la sua immobile presenza ancora più sinistra; invade lo spazio del corridoio, galassia di artica china in espansione, domina ergendosi al di sopra di tutto persino trascinato da un compito sgradevole nei sotterranei del sottosuolo; si erge al di sopra di tutti, accanto alla piccola Pandora dalle guance di mela, rotonde e floride e ora seccate da rigagnoli di sale.
La fanciulla sta a capo chino, timida colomba che si cela dietro all’ ala di seta nera dei suoi capelli. Cela un’espressione di dolore, l’acutizzarsi della malarica colpevolezza che porta sul volto come un velo di vestale dal giorno del suo risveglio.

”Pezzi d’ imbecilli! Tu!” il dito del dio, arcigno come l’ artiglio che ti strappa la vita di dosso, indica il buio che avvolge Aiacos nella cella: “Tu l’ ho sempre saputo che sei un elemento instabile! Gravemente instabile! Ma voi due. Minos, Rhadamanthys!” Latra ciascun nome con sprezzo sbranante. ”Che Zeus possa fulminarvi adesso, cancellarvi, e che la polvere che resta di voi non trovi pace in nessuno strato della Creazione! Nemmeno nel più infimo! Dovreste seppellirvi nel Cocito per la vergogna da soli, ma dal momento che siete cani vigliacchi vi costringerei io! Vi farei scavare la vostra stessa fossa a mani nude se non fosse che per ora non ho nemmeno la certezza se vi sarà ancora, il Cocito! Ve lo prometto: ogni istante, da adesso a quando non avrò deciso che cosa farne di voi, vi terrò appesi al filo dell’agonia fino a poco prima che morte sopraggiunga, e siccome sono io la Morte, potete stare certi che sarà una faccenda lunga.”

La pallida mano di fanciulla gli sfiora il braccio, dopo un tremito che per un istante pare invincibile vi si appoggia. Nonostante l’orrore che le trapassa quasi fatale il petto quando il dio la scansa di malagrazia, Pandora ancora tenta di ammansire la sua furia. Ancora posa la mano su quell’avambraccio teso dal furore bruciante, che scorre in getti di fiele sotto la pelle. ”Per ora resterete qui. E domani, appena avrò trovato tre buche abbastanza profonde, buie e silenziose, vi ci butterò dentro. Uno per uno. Maledetti ratti ingrati! Dovreste giudicare un’umanità intera, e peccate di tale boria! Cosa pensavate di fare, di poter padroneggiare una potenza tanto distruttiva con quel patetico straccio di Cosmo che siete riusciti a risvegliare? Siete così stupidamente piccoli, stolti ai limiti della follia.”. e così concludendo, il dio si volta, i suoi passi si allontanano lungo il corridoio delle segrete, e subito dietro all'impronta dei suoi tuoni piove lo scalpiccio di Pandora.

La fanciulla ha negli occhi ancora impresso l’inquietante tenebra giustiziante della cella.
Tremebonda, riflette cercando di non perdere il proprio passo.

L’ unica cosa che può fare è tentare di placare il dio della Morte, sperando che la repulsione che il gemello nutre nei confronti della violenza le venga in soccorso.

Sì, si dice mentre il cosmo del dio sigilla l’entrata alle segrete, lei è una donna, e le donne possono intercedere...nella ragnatela dei nervi s’impiglia con fragilità di farfalla un volto di donna ed il suo sorriso di luce impalpabile e rinvigorente, della stessa pacata potenza ineclissabile del cero acceso ai piedi della Statua dell’Immacolata. Lo stesso sorriso di calmo trionfo sulla porcellana tiepida del volto della Vergine ammantata nell’azzurro della profondità del Cielo. 'Advocata nostra, ora pro nobis', sua madre non aveva avuto il tempo di pregare né d'intercedere, né per se stessa, né per lei, la sua bambina. Giaceva distesa sul marmo della cappella col sorriso freddato dalla fissità di un sonno comatoso sconfinante nell’oblio senza ritorno, lo stesso sorriso di brina immortalato sul volto dell’effige sacra ormai celato dalla sottile trama glaciale del fumo del cero spento.
Procede seguendo la tetra scia della Morte, lasciando sulla sua via come molliche di pane le immagini di una vita che vorrebbe non ricordare più, e singhiozzi che desidera tacitare per sempre.

Sì, si dice mentre il cosmo del dio l’avvolge per scudarla dall’impossibile calore che si rimescola nell’aria via via che si risale in superfice, lei è una donna, e le donne possono intercedere.
Tenterà, anche se fu proprio colui che ora l’avvolge nelle rigide falde del proprio insondabile potere a dimostrarle che al suo cospetto le parole non sono che frutti rinsecchiti appesi ai rami tremanti di voci sconfitte, che cadono in uno squallido nulla che non si specchia nel vuoto limpido del trapasso mortale.

Tenterà lo stesso anche se, pensa con un brivido che annacqua la sua fermezza, tutte coloro che giungendo le mani possono invocare la Grazia come una pioggia salvifica, l’Ade lo osservano con occhi pieni di Stelle e di cheta Compassione dalle sfere più alte, dove lei non è mai stata e mai vi sarà.

Deve comunque tentare. In fondo…non è stata un pò anche colpa sua, tutta quella faccenda?
Se non fosse stato per il sacrosanto terrore che quei gemelli divini le incutono col solo respiro dormiente che sale dall’abissale grembo materno di Nyx la divina - se non fosse stato per le lacrime che avevano continuato a crollarle inarrestabili dalle ciglia, Rhadamanthys non si sarebbe sentito in dovere di fare qualche cosa, di portarla lontana dalla Giudecca e dal suo cuore vacuo e funereo.

Lo sapeva che lui avrebbe risposto al suo lacrimevole sconforto.
Non già per amore, ma per dovere.
Lo sapeva, ascoltava quella certezza nel respiro ribollente delle sue iridi citrine, nel loro stoico e divorante desiderio.
Sapeva che che il suo pianto avrebbe avuto per lui l’effetto d’un ordine.

Se avesse smesso subito di piangere…invece lo sterminato orizzonte cangiante dell’Ade ed il suo spirito fattosi nei secoli sempre più sulfureo, avvelenato dalle paure degli uomini e che ora è così diverso da quello che può ricordare contemplando frammenti di sogno nella propria memoria, l’aveva lasciata singhiozzante aggrappata all'anelito della presa leale della Viverna che avrebbe voluto sentire intorno alla propria mano.
Se avesse smesso subito di piangere Aiacos non avrebbe sfoderato l’arma del suo sorriso magnifico e sensuale, con cui faceva vacillare la gracile volontà delle ancelle della Giudecca, dicendo: “il divino Thanathos non deve farti paura, non è certo invincibile e per com’è messo adesso è poco più di un bambinello addormentato tra le braccia della mamma! Vieni! Ti mostriamo qualche cosa che farebbe cagare sotto anche lui, vuoi?” – era un sorriso che recava ancora le superbe tracce d’una spensieratezza giovane ed arrogante, che l’ignoranza avrebbe potuto scusare se non avesse vestito la surplice di un giudice.
Se avesse smesso di piangere ed avesse detto di no, se avesse avuto fiducia nella disapprovazione negli occhi della Viverna invece di annuire asciugandosi le guance col dorso della mano, Minos non avrebbe decifrato quella pagina piena di caratteri neri vergati in qualche buia terra del settentrione.

Ma non aveva smesso di piangere.
E la disapprovazione era tramontata all'albeggiare d'una curiosità indomabile, il sorriso aveva sfavillato certezza incrollabile e la voce fina aveva dato grazia alla gugliata lingua del nord.

Li aveva sommersi di fascino annichilente la mostruosità del balrog che risaliva dalle viscere più impenetrabile della terra, ed era stato bello, quasi dolce, quando guardando Rhadamanthys Pandora s'era sentita investire dall’onda d’eccitazione di cui il giovane era ricolmo, mentre estasiato passava gli occhi sulle corna ricurve del demone. Era stato eccitante il potente ruggito della bestia, immaginare il divino Thanathos schiacciato dalle mandibole possenti, o tranciato dallo staffile infiammato che improvvisamente era guizzato in aria…minaccioso…era stato in quel momento che aveva smesso di essere divertente, quando la spavalderia fiammante nella voce di Aiacos s’era spiumata sotto una manciata di cenere, “d’accordo”, aveva detto, il riso sfumato nella vastità attonita degli occhi, “ora però rimandiamolo giù, eh”. Avevano guardato Minos, il libro in mano, ed avevano visto palesarsi sul suo volto il pallore d’un’improvvisa, calpestante consapevolezza: “Io...non so come fare.” Le pagine inchiostrate si erano incendiate tra le sue mani. Il ragazzo non aveva gridato, aveva solo gettato il grimorio alla terra sottraendo la carane al supplizio della fiamma, mentre la frusta era saettata in aria contro il cielo livido, contro la sua esile figura…e Pandora era piombata nel tartaro che ricopriva il suolo, trascinata dalla protettiva mole della Viverna, e poi solo il caos che incominciava.

Sì. Sarà quello il suo compito adesso: intercedere per ottenere il perdono.
Perdono per le sue lacrime, per non aver saputo mettere abbastanza distanza tra sé e le sue inquietudini, tra sè ed una tristezza che in qualche modo aveva preteso venisse richiamato un demone.

Perché la colpa era anche sua. Doveva semplicemente essere sua.
Il suo pianto, lo sapeva, avrebbe avuto su tutti loro l’effetto d’un richiamo malato a cui non avrebbero saputo sottrarsi, nemmeno volendo – glielo dicevano l’attenzione carnivora e marziale con cui la Viverna covava il tranquillo scorrere della sua mestizia insanabile; i palpiti di insofferente pietà con cui l’incandescente tempra del Garuda scandiva i loro incontri; la fredda compassione con cui il filo dello sguardo del Grifone intesseva i contorni della devastazione nel suo animo.

Lo sapeva, lo rammentava quando rammentava il proprio nome che ogni disgrazia era da lei cagionata.

*

Una nota raminga, alta e chiara come solo le corde sanno cantarle si dissolve nella vastità infinita della volta.

L’assenza del Divino Signore dei dominii mortiferi non gravita soltanto su quel trono vuoto oltre ai pesanti tendaggi che celano l'abside della grande sala della Giudecca, è greve ed occupa l’intero Ade, come un crespuscolo senza fine.

Nessun Re…e nessuna Regina.
Nell’Ade non rimangono che sudditi sbandati, questa volta troppo giovani e troppo inquinati per sapersi mantenere immobili nella contemplazione del proprio compito.

“Non tollero una tale mancanza di polso…sono completamente obnubilati…”, è la voce lieve del divino Thanatos che striscia fuori dalle labbra di Asterione. Seccata.
Pandora pizzica ancora la corda. Esita.
“Suona.”

Guardarlo è agghiacciante.
Lo sguardo di quell’uomo retto e severo che conosce ormai bene ha perduto la calda infusione di un sentimento ancora umano. Asterione, che con la propria saggezza quando la sentiva singhiozzare assediata da memorie di disfatta e di tormento, da rimembranze di colpa e pestilenze, e malattie e morti -quelle degli altri, le sue-  trovava sempre  il modo gentile per rendere sopportabile un Destino insito nella perfetta combinazione dei caratteri di un nome, non vi è più.
Quell’uomo ridestato dal sonno dei Giusti perché ancora una volta si facesse istruttore così che anche gli uomini che ancora credono nella morte non subiscano un’ingiusta sentenza, è solo un involucro per la giustizia senza passione della Morte in persona, ora.

Pandora sente di venir meno un po’ quando fissa in quegli occhi tremendi.
Ricordano un poco lo sguardo del suo Signore, e sospira languida ricordando quello sguardo che impari ad amare temendolo, perché solo quando è tanto tremendo può essere capace di mondare l’orribile che esonda nel mondo dai suoi abitanti.

“Suona ancora. Suona una ninnananna che sia gradita al demone, che possa tornare a dormire per altri mille anni.”

E Pandora suona, estorcendo alle corde note tremebonde che la tradiscono.
E’ ancora solo una fanciulla, poco più che una bambina.
Lo sono tutti.

 
*

* Il numero è puramente iconico, o meglio, ha senso con quello che rappresenta questa storia, ma è un numero solare che nulla ha a che fare col Satanismo becero che ci proprinano.
  
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