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Autore: Enchalott    06/12/2023    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tra la vita e la morte
 
Il dardo si protendeva dall’abito da sposa, un’ombra funesta sul rosso nuziale. Mahati ebbe piena contezza dell’accaduto quando, come al rallentatore, vi si allargò una macchia scura. Sorresse la sposa, si piegò assecondandone lo scivolare a terra e quel peso inerte fu un’altra ferita.
L’ordine di Rhenn detonò come un proiettile ma gli risultò estraneo. Non intese chi stava chiamando i guaritori, chi si accalcava del cortile, chi assisteva all’agonia spartita tra chi si spegneva e chi era costretto a sopravvivere. La mente era nera, buia, nessuna virtù daamakha a varcare l’oscurità calata sull’anima. Ogni pensiero si sfilacciava, l’assenza di soluzioni gli strappava il respiro. Dentro di lui un fuoco azzurro salì al cuore e divampò in tizzoni di furia, bruciò in dolore cieco.
La voce concitata del fratello lo riscosse: lo stava scrollando, un ginocchio a terra, il manto cerimoniale teso a nascondere la scena.
«Dentro! Presto!»
Sollevò il viso e incontrò pozzi viola di un’identica disperazione. Non era una richiesta volta a salvare la faccia, era una sofferenza da condividere solo con chi ne provava altrettanta. Ansava nella mancata accettazione della realtà, la mano che gli artigliava la spalla era scossa da un tremito.
Si alzò per inerzia e si lasciò guidare all’interno: i Khai erano una parata di sculture di ghiaccio, i nisenshi bloccavano gli accessi, la forzata quiete induceva a pensare che avrebbero rivoltato ogni mattone. Qualcuno si fece avanti, Mahati non colse le parole e non gli prestò attenzione finché Rhenn non snudò gli artigli per allontanarlo.
Avahrin, ora ricordo…
«È un guaritore, lascialo!»
L’uomo tirò il fiato e annuì, approssimandosi cauto. Portava sull’uniforme i gradi di capitano, i tatuaggi indicavano l’appartenenza a un clan minore.
L’erede al trono lo scrutò come se fosse un pericolo letale, ma l’intervento del fratello lo persuase. Liberò l’ara dai paramenti affinché la principessa vi fosse deposta, poi seguì le mani del medico, che saggiavano il petto trapassato dalla freccia. Quando scostò la seta, gli ringhiò contro come se avesse subito un affronto.
«È confitta in profondità ma non ha colpito il cuore» decretò quello senza scomporsi «L’angolo d’incidenza consente di estrarre con un discreto margine di sicurezza.»
«Discreto?!» ruggì Rhenn.
Avahrin assentì con la pace di chi è avvezzo alle contestazioni.
«Vuoi dissanguarla!?» tuonò l’Ojikumaar «Dannato incompetente, da quando si cava uno strale strappandolo?!»
«Conosco la procedura, mio signore. Ma l’apice è avvelenato, rischierei di estendere la contaminazione.»
Mahati trasalì. Saggiò le dita insanguinate con la lingua, verificando la fondatezza della diagnosi. Intercettò lo sguardo del fratello e gli offrì muta conferma. Poi infilò l’indice tra le zanne, pronto a piantarsele nel polpastrello.
Rhenn lo bloccò, impercettibile ma eloquente: non sapevano se nel suo sangue era ancora presente il kori, di esso non avevano scoperto a sufficienza per capire se sarebbe stato fatale anziché curativo. A sua volta si lacerò il dito e lasciò cadere le gocce vermiglie tra le labbra della principessa, pregando che l’immunità khai ritardasse la diffusione della tossina.
Yozora emise un alito impercettibile e sollevò la mano diafana a sfiorare l’asta che sporgeva dal suo corpo, ma il marito la strinse nella sua a impedirlo. La premette contro il petto, come se il contatto potesse arrestare gli spasmi che lo squassavano.
I guaritori irruppero si fecero largo, scambiando scarni riscontri con Avahrin.
«È opportuno non muovere sua altezza. Procederemo sul posto.»
Gli assistenti disposero i teli bianchi e collocarono i vassoi con gli strumenti medici, invitando gli astanti a farsi da parte. I prìncipi rifiutarono di allontanarsi.
«Sommo Ojikumaar, supremo Kharnot» insistette l’uomo con la massima diplomazia «L’ambiente deve rimanere sterile, più siamo più è difficile garantirlo.»
«Vai» sibilò il secondogenito «Occupati di rintracciare il reo.»
«I reikan del primo stormo supportano la guardia reale» contestò Rhenn «Non hanno bisogno della bàlia.»
Mahati non reperì le energie per litigare e allo stesso tempo fu sorpreso dalla lucidità del fratello, che aveva subito indirizzato le ricerche. A prescindere non era propenso a tollerare le sue ingerenze.
«Nemmeno io.»
Il maggiore strinse i pugni, preparandosi al confronto.
«Mio prezioso, il tuo posto non è qui» la tensione fu spezzata dall’appello di Rasalaje «I clan reclamano notizie, così tuo padre. E tu, iwadar, facilita il compito ai guaritori. Non te lo perdoneresti, se le accadesse il peggio.»
I due uomini esitarono, poi decisero di esaudirla. I drappi candidi si chiusero alle loro spalle con un fruscio drammatico.
 
Rhenn tenne dietro alla moglie in una delle salette private. L’immagine esangue della principessa salki lo tallonò: essere strappato dal luogo in cui bramava restare, da colei che voleva stringere e che avrebbe potuto perdere era devastante.
«È utile che io resti qui?» sibilò, liberandosi dal contatto gentile di Rasalaje.
«Dovresti parlare con gli invitati. Potrebbero aver notato qualcosa.»
«Io sono l’unico testimone! L’idiota che non ha percepito il pericolo!»
«Nemmeno Mahati l’ha avvertito. Non lo trovi strano?»
Il principe si volse furente, gli abiti neri stormirono al movimento brusco.
«Un Khai possiede le doti per fuorviare i suoi pari!»
«Allora il tiratore è qui. Nessuno è uscito dal santuario.»
Rhenn piombò sul divano, le dita tra i capelli liberi dalle fasce rituali.
Si era concentrato su Ishwin, sebbene fosse apparsa candida come uno yurishi.
Non è tanto stupida.
Con la prospettiva di diventare regina, non avrebbe commissionato l’omicidio, dando modo a Mahati di contrarre nuove nozze e pretendere il trono. L’avrebbe torchiata per le eventuali connivenze, ma non era la responsabile.
Una ritorsione di Ŷalda per l’esecuzione dei suoi?
Tutto indicava quella direzione, persino la pacatezza esibita durante i convenevoli. Possedeva mezzi, uomini e movente, ma il fatto che avesse portato con sé moglie e figlio strideva con il piano criminoso. Inoltre, vendicarsi senza imprimere la firma non aveva senso per i Khai, nemmeno per uno viscido come lui.
Escludo i membri della sua famiglia, nessuno vanta gli attributi per disobbedirgli.
Ci avrebbe riflettuto a fondo, senza tralasciare le alternative: alcune portavano alle detestabili aristocratiche che languivano dietro a Mahati, delle quali Althāri era stata la manifestazione più lampante. Sollevò il capo, colto da una folgorazione.
Non per mio fratello ma per me.
«La mia dolce metà ha qualcosa da dichiarare?» domandò sarcastico.
Rasalaje spalancò gli occhi sbigottita mentre Rhenn si levava di scatto.
«Hai suggerito di interrogare i presenti» chiarì placido «Parto da te.»
«Pensi davvero che io…»
Lui assottigliò lo sguardo, una tempesta che l’avrebbe travolta senza pietà. La donna si sentì ferita dalla sfiducia che gli leggeva nei tratti. La nuova afflizione si aggiunse a quella che la stava già divorando.
«Non farei mai del male alla mia kalhar. La tua richiesta mi offende.»
«Non me ne frega niente! Non ti credo, prova a convincermi del contrario!»
La principessa realizzò che la visuale oscillava, eppure non si curò di trattenere le lacrime. Non aveva nulla da perdere, nulla cui aggrapparsi, nulla in cui credere o per cui vivere. Ogni speranza, ogni frammento di gioia, di dignità era stato polverizzato dalla mola priva di emozioni che era suo marito. Era sopravvissuta finché non aveva compreso che lui era in grado di provarle, addirittura di combattere per esse, poi la tormenta aveva disperso ciò che restava di lei.
Lo affrontò senza eludere l’immobilità glaciale con cui la fissava.
«Sei colui che avrei desiderato appagare, l’uomo per il quale il cuore batte e soffre. Sono caduta ai tuoi piedi senza desiderarlo, il mio animo si è scaldato al tuo fuoco, ho bramato legarti a me con la stessa passione che mi scorre nelle vene. Sono gelosa di te, Rhenn, provo un impulso ignobile e disgusto me stessa. Eppure quanto è presuntuoso da parte tua ritenerti la persona più importante della mia vita! Non lo sei, non hai meriti, vanti una rendita che non hai forgiato. Yozora lo è, un’amica, la sorella che amo più di me stessa. Nella sua dolcezza ho ridestato la speranza di rimanerti accanto, così come lei è riuscita a conquistare Mahati. Ho provato a difenderla, la coscienza di aver fallito mi annienta. Piuttosto che arrecarle danno, se un iniquo risentimento si fosse rovesciato contro di lei, mi sarei uccisa. Hanno provato a persuadermi che fosse la tua amante, ma tali accuse sono il risultato del tuo svago di adolescente e distano milioni di fars dalla realtà. Ho creduto a lei, non a te, non alle voci perfide del palazzo e ora una mano sacrilega si è levata a distruggere l’unico sole di questa terra infelice. È ora che tu cresca, Rhenn. Il tempo dei gioghi è finito. Un sovrano non si lascia dominare dalla collera, non imputa al prossimo colpe che legge in sé, non fugge dalle responsabilità. Il dolore che provi è identico al mio, fa’ che ci unisca, non che spezzi quanto aspiro a preservare.»
Il principe della corona lottò per mantenere la posa impassibile. L’analisi spietata staccava Rasalaje dal concetto di complotto e la trasformava in una persona capace di scegliere e distinguere la verità. Aveva usato il termine ahaki senza farlo sembrare sporco, senza vergognarsene, mentre lui era stato dipinto come un ragazzino scostante, che bramava la luna senza poterla raggiungere. Da lui scaturì una collera polare, priva di emozione.
«Dolore? Non parlare come se mi conoscessi. Sei solo mia moglie, non la mia coscienza. La tua arringa ti scagiona, non hai né la ferocia né l’orgoglio di un Khai.»
«Consegnami l’arciere, sarà l’occasione per dimostrarti il contrario.»
«Proferito da una femmina in lacrime suona grottesco.»
«Non più del tuo sviare la realtà.»
Rhenn sogghignò sprezzante e infilò la porta senza replicare.
 
Mahati si genuflesse davanti alla fiamma sacra. La disperazione traghettava al cuore parole che non credeva di possedere, restituiva il ritratto di un uomo prostrato, disposto a qualunque sacrificio pur di salvare la donna che aveva sposato.
Nobile Kushan, mai avrei pensato di comprendere le ragioni della tua ribellione. Per il sorriso di Dorcha hai sfidato gli Immortali, se anche una sola stilla del tuo sangue scorre in me, ti prego, parlami!
Cercò in sé lo sprazzo di una diversità interiore e realizzò che era presente da tempo: il giorno in cui aveva incontrato Yozora si era accesa sotto forma di sfida all’obbligato, poi si era concretizzata nel riconoscersi fallibile, infine era divenuta desiderio di scindere se stesso in essere umano e guerriero, affinché avere lei fosse prerogativa del primo. Questo aveva preso il sopravvento sul secondo, che non poteva difendersi dalla burrasca di sentimenti generatasi dal rapporto. Era il motivo per cui non stava conservando l’atarassia, per cui non riusciva a staccarsi dal contingente come gli era stato insegnato e lo sconforto lo divorava con la ferocia di una belva digiuna da secoli.
Cerco le risposte in una leggenda, nel tracollo dei nostri avi, in un potere che, quando concesso, mi getterebbe nel caos. Sommo Kushan, non ti rinnego, appartengo alla tua stirpe non per linfa bensì per animo… se è me che vuoi, restituisci quanto hai promesso e lo impiegherò per la salvezza della nostra gente. Yozora deve vivere!
Si accorse a malapena che Rhenn s’inginocchiava accanto a lui, il capo piegato in atto d’ossequio. Le dita tuttavia erano contratte e gli artigli parevano conficcarglisi nella carne a ogni spasmo. Rimasero in silenzio, vicini come non erano mai stati.
«Quali dèi stai invocando con tanta devozione?» domandò il maggiore all’improvviso.
«Tutti.»
«Io nessuno.»
«Che ne è della Fiamma di Belker?»
«E della spada che lo serve? Recrimino sulla benevolenza del nostro dio, sulle sue ricompense ai meriti e alla devozione.»
Si guardarono in una comunanza che varcava le parole, andare oltre sarebbe stato blasfemo.
«Di certo non ci aiuta a capire chi è stato» ammise il minore «Faremo da soli.»
«Non sarà semplice. La guardia reale non ha rilevato indizi, nemmeno arco e frecce. È impossibile che il tiratore si sia smaterializzato.»
La definizione gli smosse la memoria di Mahati.
«Che c’è?» lo incalzò il fratello.
«Ho ripensato all’assurdo fenomeno riscontrato a Minkar. Ombre nelle fiamme, ombre… tangibili. Sono riuscito a toccarle, perché escludere la possibilità opposta? Il fuoco sacro era robusto, il dardo è giunto da quella direzione.»
Rhenn aggrottò la fronte, tuttavia non considerò la cosa un abbaglio come la volta precedente, gli sembrò anzi l’unica soluzione papabile.
«Si tratterebbe di un intervento sovrumano. Sono scettico, ma ne verrò a capo. Mortale o Superiore, la mia spada farà giustizia!»
L’espressione algida esprimeva una furia pericolosa, differente da quella che mostrava le rare volte in cui perdeva le staffe. Era come se fosse stato toccato nell’intimo o sfidato nel privato, la dichiarata amicizia con Yozora non bastava a darne ragione. Comprenderlo appieno, poiché si sentiva come lui, aprì a Mahati uno scenario che lo turbò nel profondo.
«Perché t’importa tanto di lei?»
L’Ojikumaar eluse la trappola camuffata nella domanda.
«Di lei? Cosa ti dà la certezza che la saetta non fosse destinata a noi?»
Mahati strinse le palpebre: nessuno avrebbe usato il veleno per uccidere un Khai e Rhenn lo sapeva benissimo. Stava mentendo o sviando la richiesta.
«Domandiamo venia» i guaritori esitarono in attesa del consenso «Abbiamo estratto la freccia, l’emorragia si è arrestata. Tuttavia l’avvelenamento è esteso, sua altezza versa in gravi condizioni.»
«Inoculate l’antidoto!» sbottò Rhenn «O non ravvisate una semplice tossina!?»
«Sì, mio signore. È alzhar
Mahati avvertì una spaccatura nel petto. Era la componente principale del veleno khai e non esisteva antidoto. Non ne avevano bisogno, non ne producevano a favore degli shitai o di chi non apparteneva alla loro gente.
A noi non importa dei sottomessi, delle dorei o di… non ci importa se loro… dèi!
L’inorridito silenzio del primogenito enunciò i medesimi pensieri.
«Che intendete fare?»
Il guaritore scosse il capo, dichiarando la propria impotenza.
«Dannati traditori!» esplose Rhenn «Lascerò marcire le vostre esecrabili teste sulle merlature di Mardan! Inventate un rimedio! Adesso!»
«Altezza reale, non c’è tempo» mormorò l’uomo con sincero dispiacere «Siamo venuti per interpellare il sommo Kharnot, tocca a lui scegliere.»
Questi si alzò e uscì dalla stanza senza proferire parola. Il maggiore gli corse dietro in preda a un’angoscia incontenibile.
«Dannazione, non intenderai ucciderla! Mahati!? Rispondimi per gli dèi!»
Il minore lo trascinò fino all’ara su cui giaceva Yozora, ostinato nel doloroso mutismo. Scorgerla in bilico tra la vita e la morte, infierì sull’animo di entrambi.
«Che razza di uomini siamo, Rhenn? È la nostra ferocia a condannarla, la nostra mancanza di empatia, il disprezzo per ciò che non viene da Belker. Fa male, vero?»
«Se sfoderi la spada, giuro che ti trovi la mano per terra!» ribatté l’altro fuori di sé.
«Già, un dolore insopportabile persino per te. Eppure è così che viviamo e moriamo, così agiamo in modo onorevole. Perché per lei la legge smette di valere?»
«Non è una Khai!»
Mahati sorrise con immensa tristezza, sollevando la moglie tra le braccia.
«Ciò è la sua salvezza.»
«Sei impazzito!? Dove vuoi portarla!?»
«A Seera. Gli alchimisti salki studiano da vent’anni il vostro veleno, forse hanno la soluzione. In caso contrario Yozora si spegnerà nel luogo a cui appartiene, nell’abbraccio di chi la ama.»
Al richiamo del suo reikan, Fyratesh si posò sulla spalletta del recinto sacro.
«Aspetta!» intimò Rhenn offrendo altro sangue alle labbra della principessa «Lei ora appartiene a Mardan e anche noi…»
Non concluse, sfilò il mantello e coprì la ragazza. Mahati non indugiò oltre.
«Ikyhak
L’ordine di decollo fendette l’aria immota. L’uccello da guerra sparì dalla vista in pochi attimi. Rhenn rimase a fissare il cielo citrino, una voragine al posto del cuore.
Perché mi ha guardato così? Non intendevo dire che anche noi la amiamo.
Eppure avvertiva le zanne, feroci, nell’anima.
 
Il Šarkumaar attraversò il prasma con la celerità di una scheggia. Spronò, chiedendo al compagno alato uno sforzo straordinario.
«Tezha
Lo accolse un grigio plumbeo attraversato da scrosci di pioggia. Le nubi erano basse, l’umidità gli penetrò nelle ossa. Strinse la moglie a sé, sperando che il freddo non la intaccasse: nemmeno lui indossava gli abiti da volo e il caldo manto di pelliccia era rimasto nelle sue stanze. La veste cerimoniale sventolava leggera alle folate, madida d’acqua, la chioma intrisa si era appiccicata al collo e alle guance.
Ricordava la rotta, percorsa in ogni stagione alla testa dello stormo: la pioggia battente gli sembrò un pianto inconsolabile e il cuore non poté che condividerlo.
Tuffò Fyratesh nello strato impalpabile di nebbia, facendolo abbassare sulle colline rigogliose del regno sconfitto, e finalmente la sagoma del palazzo reale si stagliò all’orizzonte. La distanza gli sembrò infinita, le torri lontane, i fuochi di segnalazione puntini iridescenti nella notte. Conosceva il tempo per raggiungerla, ma esso si dilatava in uno spasmo dotato della volontà di abbatterlo.
Il vradak sporse le zampe, preparandosi ad atterrare sugli spalti che conosceva a menadito. Mahati si riscosse quando il sibilo dell’aria smise di assordarlo. Balzò d’arcione, la principessa tra le braccia, e imboccò il varco che lo avrebbe condotto nella sala principale della reggia.
I Khai di stanza all’ingresso snudarono le lame.
   
 
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