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Autore: Memel    12/12/2023    2 recensioni
Ci sono storie che non possono essere cambiate, o aggiustate.
Non importa il numero di cancellature e riscritture, per quanto possiamo impegnarci il finale non cambia.
In questi casi la cosa migliore da fare è abbandonarle, accettare la sconfitta e ricominciare.
Ci sarà sempre una nuova pagina bianca ad attenderci, l’inizio di un nuovo capitolo, di una nuova storia.
~
Tratto dal prologo:
Fu soprattutto Bokuto ad attirare completamente la sua attenzione: imprimeva in ogni azione tutta la potenza che il suo corpo gli permetteva, e la sua passione traboccava da ogni sguardo ed esclamazione durante il gioco.
Sembrava davvero la persona più felice del mondo, intento a fare ciò che più amava e per cui era portato.
Era davvero al posto giusto, nel momento giusto.

[Characters Study / IC / OCxCanon + SideBokuAka]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E P I L O G O

始め 

 

 tracks n°70-71-72-73-74-75

chapter pics♡   

Nori 1 ; 2 ; 3

 

Era stato un mese insolitamente caldo, un Marzo quasi estivo più che primaverile.

Le finestre dell’Accademia, comprese quelle della palestra 3, erano spalancate e tra i corridoi e i cortili dell’istituto le voci festose dei diplomati si mescolavano alle risate e alle urla degli altri studenti, felici alla prospettiva delle vacanze che li attendevano.

Anche i sakura quell’anno sembravano splendere più del solito, rigogliosi nelle loro moltitudini di boccioli pastello, che dal rosa viravano al bianco, incantando tutti i presenti.

“Okay, e con questo possiamo chiudere il registro di quest’anno. Lo metto nello scaffale qui in alto, va bene? Oh, ora che ci penso siamo a corto di fogli! Dovrai ricordarti di ordinare qualche risma in più il mese prossimo… ehi su, Chizu-chan, non è il momento di piangere! Vedrai che ce la farai!” disse Nori, tentando di consolare la ragazza del primo anno che tra qualche settimana avrebbe ereditato il suo ruolo insieme alle responsabilità di manager della squadra

“Oh, siete qua. Vi stavamo cercando per fare una foto… va tutto bene?” chiese Akaashi, facendo capolino nello stanzino

“Sì, arriviamo subito! E vedi di dire a Fukuda che se lo vedo ancora usare la mia mirroless senza chiedermelo gli faccio fare una brutta fine. La carica di vicecapitano gli ha montato troppo la testa…” borbottò Shikako, porgendo un fazzoletto a Chizuru, per poi prenderla sottobraccio e accompagnarla verso il cortile antistante la palestra, dove il resto della squadra li stava aspettando

“Ah, Nori-san, penso che sia arrivato” disse Keiji dopo che ebbero terminato di scattare una dozzina di foto e l’ultima campanella della giornata finì di suonare i suoi rintocchi

“Cosa?! Gli avevo detto di mandarmi un messaggio… è sempre il solito!” sbuffò, per poi congedarsi dai suoi kohai, che la guardarono con occhi lucidi e commossi salutandola per l’ultima volta, e dirigersi verso il cancello di ingresso dell’Accademia, seguita a ruota da Akaashi

Non fu difficile per loro individuarlo: una piccola folla di curiosi, e probabilmente fan, lo circondava, alternandosi nello scattarsi selfie e chiedergli autografi.

“Eppure il coach glielo ripete sempre di mantenere un profilo basso quando è in pubblico…” sospirò Nori, scuotendo la testa, ormai abituata ad assistere a scene simili

Finalmente parve accorgersi di loro, e dopo aver salutato e liquidato velocemente il piccolo gruppo di ammiratori li raggiunse con aria festante.

“Non avevi detto di avere un meeting con uno sponsor oggi e che non saresti riuscito a venire?” chiese Shikako, con aria di finto rimprovero e un broncio forzato

“Beh sì, ma non potevo perdermi il vostro diploma per nulla al mondo!” le rispose Kotaro, afferrandola per i fianchi e sollevandola, sorridendo con aria compiaciuta

“È tua quella moto, Bokuto-san? Non mi ricordavo ne avessi una…” chiese Keiji, osservando la motocicletta nera e ingombrante che troneggiava dietro di loro, vicino al cancello

“Ah no, è di Inu-san! Me l’ha prestata per fare prima, se la porta sempre dietro quando abbiamo impegni a Tokyo! E comunque sono riuscito a saltare l’incontro, mi copre Tsumu con il coach!” spiegò loro, soddisfatto del piano che aveva architettato

“Allora, se davvero non vuoi che lo venga a sapere, avresti almeno potuto evitare di fare tutte quelle foto con i fan, non ti pare?” gli disse Shikako, una volta che la rimise finalmente giù

La faccia improvvisamente pallida e colpevole di Bokuto fece scoppiare a ridere sia lei che Akaashi, facendoli quasi tornare indietro di un anno, a quando episodi del genere erano per loro all’ordine del giorno.

“Sei pronta?” le chiese Kotaro, allungandole un casco, mentre prendeva posto in sella alla motocicletta sempre più scalpitante e rumorosa

“A cosa?”

“A salutare la Fukurodani!” aggiunse, indicando con un cenno l’edificio alle loro spalle, che brillava incandescente catturando le ultime luci del tramonto

“Lo sai che non mi sono mai piaciuti gli addii… e poi, nessuna porta si chiude mai veramente”

Scivolarono nelle luci e nel caos delle strade della capitale, tra clacson, insegne al neon e pubblicità colorate e accecanti, mentre la mente di Nori metabolizzava quello che era successo e che si era appena lasciata alle spalle.

Erano passati due anni da quel lontano pomeriggio in cui aveva trovato posato sul suo banco uno strano volantino che la invitava ad incontrare la squadra di pallavolo maschile dell’Accademia, spingendola a riavvicinarsi a quel mondo che credeva non le interessasse più, con cui pensava di aver troncato ormai ogni rapporto.

Eppure, se non fosse stato per Akaashi, e poi per Bokuto, non avrebbe mai avuto la possibilità di dare una seconda chance alla pallavolo, e di risvegliare così un interesse che credeva sopito, fornendole l’occasione di chiudere finalmente un capitolo lasciato incompleto da tanto, troppo, tempo.

Di mettere così la parola fine ad una parte importante della sua vita.

E che forse in qualche modo avrebbe continuano a portare con sé per ancora molto tempo.

 

*

 

Aprii lentamente gli occhi, disturbata dalla luce che filtrava dalle tende mosse dal vento, e, rabbrividendo per l’aria frizzante, scivolai ancora di più sotto le coperte.

Avevo sognato la mia cerimonia di diploma, il mio ultimo giorno alla Fukurodani, da cui ormai erano passati più di cinque lunghissimi anni.

Erano successe così tante cose.

Ero cambiata così tanto.

Ma non subito almeno.

Finite le superiori ero infatti rimasta a Tokyo, dove avevo frequentato un corso universitario specializzato in scrittura creativa per il cinema e la televisione, scelta che mi aveva spesso portata a dubitare delle mie capacità e delle mie aspirazioni visto il mondo altamente competitivo verso cui mi stavo lanciando.

Ma avevo tenuto duro, e subito dopo la laurea mi ero buttata a capofitto alla ricerca di un qualsiasi ingaggio, per quanto sottopagato e minuscolo che fosse: tutto pur di iniziare a lavorare davvero e cominciare a farmi conoscere nell’ambiente.

Dopo diversi tirocini in varie emittenti televisive, prima locali e poi nazionali, la fatica accumulata e le notti insonni sembravano finalmente star producendo i loro sudati frutti.

La gioia più grande la provai quando per la prima volta lessi il mio nome nei titoli di coda di un piccolo cortometraggio: lì, nel buio della sala di un vecchio cinema di quartiere, sentì sgorgare qualcosa dentro di me, un sentimento caldo e confortante che dava nuova luce e spessore alla fatica e alle paranoie accumulate nei mesi precedenti. 

Qualcosa capace di spazzare via ogni dubbio e tentennamento, lasciando spazio ad una fame creativa senza pari. 

Volevo e potevo farcela.

Gli anni successivi erano letteralmente volati, divorati dalla frenesia dei progetti che si accavallavano, costellati da piccoli ma sempre più frequenti consensi che andavo collezionando. 

Avevo finalmente visto realizzare le mie prime sceneggiature ed ero riuscita a farmi notare, sia nel panorama televisivo che in quello cinematografico, riuscendo a lavorare con molti dei nomi che pensavo irraggiungibili e che per anni avevo solo ammirato e studiato da lontano.

Eppure, sembrava come se fosse successo tutto in un lampo a ripensarci bene.

Tutto l’impegno profuso, le porte in faccia, le nottate al computer, le crisi di identità e i pianti, oltre che i curriculum mandati in ogni dove, sembravano come ricordi di una vita lontana se paragonati a quella che era diventata oggi la mia quotidianità, fatta di budget da stilare, copioni da rivedere e approvare, casting da presidiare, telefonate e riunioni da organizzare, oltre che eventi e interviste a cui partecipare. 

Un mondo nuovo e scintillante che aveva teso verso di me i suoi cancelli dorati, ma che nascondeva anche molte ombre, tante quante le stelle che lo illuminavano.

Ma questo non mi spaventava, non più ormai.

Beh, a voler essere sinceri, le notti in bianco e qualche lacrima qua e là continuavano ad esserci, pensai stropicciandomi gli occhi stanchi e contando mentalmente quante ore di sonno ero riuscita a racimolare.

Quattro? No, forse quattro e mezzo.

Guardai l’orologio sul comodino e decisi finalmente di alzarmi.

La me stessa di cinque anni fa probabilmente si sarebbe girata dall’altro lato e avrebbe ripreso beatamente a dormire, ma se c’era una cosa che avevo cercato disperatamente di smussare negli ultimi anni era la mia inesauribile pigrizia.

O almeno ci provavo.

Ma c’era un minuscolo e al contempo ingombrante dettaglio che ostacolava i miei tentativi di essere mattiniera e puntuale, ed era la persona che russava puntualmente accanto a me, e che si ostinava a tenermi prigioniera con i suoi abbracci stritolanti che limitavano ogni mia possibilità di movimento.

L’esperienza pregressa mi aveva fortunatamente portato ad imparare qualche piccolo trucchetto indispensabile, che mi permetteva di ritagliarmi ogni mattina una via di fuga.

Trattenni così il respiro, cominciando a sfilare lentamente le braccia ancorate sulla mia vita.

“Mmm no, ancora 5 minutiii…”

Sospirai, questa volta sembrava ancora più ostinato del solito.

Presi così il mio cuscino, e stando attenta a non fare movimenti bruschi lo feci scivolare al mio posto, mentre nel frattempo sgattaiolavo quatta quatta fuori dal letto, raggiungendo il bagno in punta di piedi.

Sentendolo continuare a ronfare tirai finalmente un sospiro di sollievo e cominciai a spogliarmi, aprendo con attenzione l’acqua della doccia, smorzando ogni possibile rumore.

Stavo per infilarmi nella nuvola di vapore che mi aspettava invitante quando mi ricordai di una cosa.

Fissai l’anello che da qualche giorno aveva preso posto sul mio anulare sinistro, indecisa se sfilarlo o meno, quando in quel momento sentii qualcosa di peloso sfiorarmi le caviglie nude, accompagnato da un miagolio che conoscevo fin troppo bene.

“Niku, è inutile che vieni ad elemosinare altro cibo, hai la ciotola piena! No, smettila con questa farsa da attrice consumata, non avrai altri croccantini finché non finisci prima quelli di ieri” sussurrai, cercando di farla uscire

“Niku-chaaan!” 

Le urla di Bokuto mi raggiunsero, facendomi alzare gli occhi al cielo: non sentiva sveglie o terremoti ma le suppliche della sua adorata gatta lo smuovevano subito.

Presi in braccio la colpevole in questione, decisa a raggiungerlo.

“Ecco qua, viziala pure come fai sempre! E meno male che eri quello che voleva un cane!” 

“Shhh, non dire queste cose davanti alla bambina, sai che si offende facilmente!”

“Kotaro, la smetti di trattarla come la regina della casa? Ti ricordo che l’altro giorno ha vomitato sul mio copione fresco di stampa e mi ha riempito la giacca nuova di peli!”

“Non ascoltarla Niku-chan, la mamma la mattina è sempre molto irascibile e lunatica, vieni da papà!” disse, allungandosi verso di lei mentre quasi gli lanciavo in faccia quella palla di pelo adorabile ma capricciosa

Sbuffai, dirigendomi a grandi falcate verso la doccia, facendomi scivolare addosso quelle accuse infondate. Sentirmi dare della lunatica e irascibile dalla stessa persona che per anni era stata la primadonna della Fukurodani era davvero comico, non vedevo l’ora di raccontarlo ad Akaashi e Yukie.

“Ehiii! Non mi aspetti? Arrivo anche io!” lo sentii dire, mentre con un tonfo secco mi chiudevo la porta del bagno alle spalle, girando la chiave nella serratura per sicurezza

“Non ci provare, oggi ho un casting importante e non posso permettermi di fare tardi! E la stessa cosa vale per te! Atsumu-san mi ha detto che oggi dovete registrare un’intervista con un’emittente televisiva nazionale, e non ho intenzione di sentirmi dire un’altra volta da Omi-san che arrivi sempre in ritardo per colpa mia!!” gli risposi, prima di infilarmi sotto il getto bollente dell’acqua, che per fortuna coprì e inghiottì ogni sua lamentela e rimbrotto

Emersi dai vapori del bagno più lucida che mai, la mente proiettata sull’agenda della giornata, decisa ad ignorare gli sbuffi e i sospiri di Bokuto che arrivavano dalla camera da letto.

Mi annodai l’asciugamano sul petto, sentendo i suoi occhi puntati sulla schiena, mentre cercavo di trovare in fretta un outfit decente. Il suo sguardo imbronciato continuò a seguirmi anche mentre mi vestivo e truccavo, fino a quando mi vide afferrare la borsa e sciogliermi i capelli ormai quasi asciutti.

Sapevo ormai bene che la migliore tattica con Kotaro era quella di non alimentare le sue scenate con ulteriori attenzioni fino a farlo arrivare all’esasperazione, momento in cui crollava e cedeva, passando alla seconda fase: la supplica finale.

“Nori-chaaan” mugolò, avvicinandosi a gattoni all’estremità del letto dove mi ero seduta in attesa del taxi, intenta a controllare le prime e-mail arrivate in mattinata

“Sì?” gli risposi, fingendomi distratta

“Sei bellissima” sospirò sul mio collo, spostando di lato alcune ciocche per appoggiare le sue labbra sulla mia spalla destra

Ecco che se ne usciva con il suo asso nella manica: smancerie e colpi bassi.

“Devo proprio andare, l’auto che ho chiamato arriva tra due minuti esatti! A proposito, dopo pranzo mi vedo con Yukie, mentre oggi pomeriggio raggiungo Akaashi in redazione per discutere del mio prossimo progetto e penso che ne avremo per un bel po’…” dissi, mascherando il mio crescente imbarazzo dietro un fiume di parole, cercando di non lasciarmi distrarre e lasciarlo così vincere “Però non dovrei fare troppo tardi, quindi vedi di aspettarmi per cena e di non ordinare come al solito tonnellate di cibo da asporto o di improvvisare esperimenti culinari, ok? A stasera!” 

Ma prima che potessi rialzarmi lo sentii afferrarmi per i fianchi e ritrascinarmi tra le lenzuola sfatte.

“Devo andare!!”

“Prima voglio un bacio…” mormorò, il tono ancora fintamente offeso

Alzai gli occhi al cielo, dandogliela finalmente vinta, nascondendo il mio sorriso compiaciuto e divertito annullando i pochi centimetri che ci separavano.

 

*

 

Nori sorseggiò il tè appena arrivato cercando di prendere tempo, mentre sentiva gli occhi dell’amica seduta di fronte a lei puntati addosso.

“Allora? Sto aspettando! Non mi hai ancora raccontato per filo e per segno come ha deciso di fare la proposta quel baka! Sono settimane che attendo che trovi un buco nella tua super agenda per vedere la tua vecchia senpai, e tu continui a tirarla per le lunghe!!” esclamò Yukie, ormai esasperata da quell’attesa snervante

“Ma te l’ho già detto per telefono, no? Non c’è altro da sapere!” tentò di difendersi Shikako

“See come no, mi hai liquidata in due parole dicendo che eri impegnata con le riprese e che ne avremmo parlato meglio un altro giorno. Quindi non tirare fuori altre stupide scuse e raccontami tutto senza tralasciare niente!” concluse, addentando con foga la fetta di torta che il cameriere le aveva appena portato

“E va bene, se insisti… anche se ti avverto che non c’è molto da raccontare…” esclamò Nori con aria sconfitta, sforzandosi di ignorare l’occhiataccia dell’amica “Come già sai, circa due settimane fa Bokuto è stato contattato dal comitato sportivo per ufficializzare il suo ingresso nella Nazionale giapponese, in vista delle prossime Olimpiadi. È sempre stato il suo sogno, ed era da mesi che mi faceva una testa così e passava le notti in bianco per vedersi tutte le registrazioni delle partite degli scorsi anni. Insomma, il giorno della firma del contratto mi invia un selfie con la nuova maglia, dicendomi che avremmo festeggiato dallo zio di Komi, e fin qui nulla di strano visto che ci andiamo almeno una volta al mese…”

“…e poi?”
 Nori riprese fiato, finì in un ultimo sorso quel che era rimasto del tè ormai tiepido ordinato, e cercò di ritornare con la mente a quella strana ma intensa serata di qualche settimana prima.

Era successo tutto così in fretta, tanto in fretta da non lasciarle nemmeno il tempo e la possibilità di riflettere davvero su quanto accaduto, o di metabolizzare come in una sola sera avesse dato una svolta alla sua vita, violando uno dei pochi ma importanti tabù che da sempre si era posta.

 

“Furuya-kun, ho mandato le ultime e-mail di conferma alla produzione. Il copione è in revisione dal comitato ma penso che per lunedì sarà già stato approvato, quindi puoi avvisare la troupe che le riprese possono iniziare senza ulteriori ritardi o intoppi”

O così almeno sperava.

“Li avviso subito, Shikako-san!”

Heiji Furuya era il nuovo stagista di Nori, un liceale fresco fresco di diploma, nonché nipote di uno dei produttori più facoltosi del nuovo film a cui stava lavorando. Nonostante le premesse si stava inaspettatamente rivelando un ottimo assistente, preciso e puntuale. Sapeva che tra qualche mese l’avrebbe lasciata per iscriversi all’università ma questo non le avrebbe impedito di rimpiangere il suo supporto, o di affezionarcisi.

“Ah, ha ricevuto alcune chiamate mentre era in riunione. Questa volta sembravano piuttosto urgenti ma-“

“Ma?”

“Ho resistito e non ho risposto!” disse fiero

Ovviamente non c’era bisogno di specificare di chi fossero le chiamate.

Solo due persone sapevano essere insistenti come Bokuto, ma entrambe, sua madre e sua nonna, erano alle Hawaii da alcuni giorni per festeggiare una piccola somma vinta al pachinko.

Nori sospirò scuotendo la testa, sapeva bene il perché di quelle telefonate. 

E sì, quella volta si trattava davvero di qualcosa di urgente. 

Non capitava tutti i giorni di diventare uno dei giocatori della nuova formazione della Nazionale di pallavolo. 

“Non ti preoccupare, questa volta me la vedo io…” sospirò drammatica, anche se un sorriso orgoglioso le increspava le labbra

“È sicura? Posso fare qual-“

“Non ti preoccupare, Heiji-kun, per oggi può bastare. Rivedi le note che ti ho condiviso e stampa i nuovi copioni per domattina. Buona serata!” disse con un cenno, chiudendosi la porta dell’ufficio alle spalle e dirigendosi con finta calma verso gli ascensori

Uno dei lati negativi del suo nuovo stagista era l’ammirazione viscerale per Kotaro. Neanche a farlo apposta aveva giocato come libero per tutti gli anni delle medie e delle superiori, ed era da anni un grande fan dei Black Jackals. Il primo giorno che vide Bokuto venire a prenderla in ufficio dopo una trasferta per poco non gli svenne davanti.

Sorrise a quel ricordo, oltrepassando le porte scorrevoli dell’ingresso, sentendosi come più leggera, mentre i rumori familiari delle vie trafficate di Ginza si mescolavano ai colori accesi di quel pomeriggio di inizio estate, accecandola per qualche istante.

Si diresse verso il primo distributore automatico di bibite nei paraggi e prese una bottiglietta di te verde sovrappensiero, mentre osservava l’elenco di chiamate perse di Bokuto.

Ma non furono quelle a catturare la sua attenzione, quanto un messaggio piuttosto singolare.

“Incontriamoci dove non ci sono gufi e dove hai scattato la tua prima foto”

Un’unica enigmatica frase, non proprio nello stile di Kotaro che alla brevità preferiva sproloqui e cornicette di emoji.

Eppure, il mittente era proprio lui.

Decise di stare al gioco e con andatura sicura si diresse verso l’entrata della metro più vicina: direzione Yoyogi Park.

Lì dove tutto era iniziato.

Mentre si lasciava cullare dall’oscillare della metro non poté fare a meno di sorridere, ripensando a quel pomeriggio di tanti anni prima, quando per la prima volta lei, Kotaro ed Akaashi si erano visti fuori dalle mura della Fukurodani. Per la ragazza introversa e chiusa che Nori era all’epoca, quel gesto voleva dire tanto: era un altro passo fuori dalla sua confort zone, verso un nuovo capitolo della sua vita che stava scoprendo giorno dopo giorno.

L’annuncio della sua fermata la scosse da quei ricordi nostalgici, che fece fatica a scrollarsi di dosso del tutto mentre seguiva sovrappensiero la folla di pendolari verso l’uscita.

Era da tempo che non metteva piede a Yoyogi Park: di solito, quando si avventurava in quelle zone, si limitava a girovagare tra Omotesando e Harajuku, che pullulavano di cafe colorati e atelier eclettici, e dove i liceali e gli universitari passeggiavano la domenica e il sabato pomeriggio sfoggiando gli outfit più particolari e variopinti.

Superò la piazza dell’orologio, meno affollata del solito, e si diresse verso il luogo che quella frase all’apparenza enigmatica nascondeva: l’area del parco dedicata al birdwatching. 

Si guardò attorno ma non vide nessuno oltre a lei e qualche anatra che sonnecchiava all’ombra di una grossa quercia. Ma proprio quando stava per tornare sui suoi passi intravide qualcosa luccicare alla luce del sole: una foto era stata malamente nascosta dietro il cartello che elencava le specie di uccelli ospitate nel parco. 

Ma non era uno scatto qualunque, era una foto di Bokuto davanti al tempio Sensoji di Asakusa: ricordava quanto l’avesse pregata di fotografarlo vicino ad uno dei tanti risciò che stazionava in quella zona, pronti a far scorrazzare i turisti avanti e indietro per le vie trafficate e cariche di banchetti di street food e souvenir. Kotaro aveva anche provato a chiedere ad uno di loro di poter provare a tenere il risciò ma si era dovuto accontentare di una semplice foto vicino alla carrozza, foto che Nori aveva scattato con piacere, trattenendo a stento le risate per la bizzarra scenetta a cui aveva dovuto assistere.

Quante volte Bokuto l’aveva fatta sorridere? 

Quante volte l’aveva spiazzata con il più semplice e buffo dei gesti, cancellando per un momento ogni pensiero, esitazione o ansia dalla sua mente?

Tante, troppe volte per poterle contare o ricordare.

Rigirò la foto sovrappensiero, notando solo allora una piccola scritta a mano: “Qui, dove tra melon pan e fuochi d’artificio puoi trovare i migliori omamori. Oggi ne avrò davvero bisogno!”

Il giorno della loro prima gita fuoriporta avevano effettivamente mangiato melon pan ad Asakusa, ma cosa c’entravano i fuochi d’artificio? 

Poi improvvisamente ricordò: vicino al Sensoji si trovava il Parco di Sumida, che si affacciava proprio sulle sponde dell’omonimo fiume, dove durante il loro primo Tanabata assieme Bokuto l’aveva portata ad ammirare i fuochi d’artificio, lontano dalla calca e dalla confusione, in quello che aveva chiamato il suo “posto speciale”.

E fu lì che si diresse, non senza prima fare una breve sosta per recuperare un omamori, un portafortuna, come Bokuto le aveva chiesto in quel secondo strano messaggio. 

Scese la scalinata che dal marciapiede portava al prato che costeggiava il fiume, mentre un filo di vento le accarezzava i capelli e il suo sguardo veniva rapito dal cielo: i tramonti di Tokyo sapevano essere unici e inaspettati, capaci di colorare il cielo di rosa, fucsia e magenta e incendiarlo, ma anche di virare alle tinte più tenui e pastello, ma senza mai deludere i suoi spettatori che, ovunque si trovassero, non potevano non staccarsi almeno per un istante dalla frenesia che li circondava per alzare gli occhi e il naso all’insu e lasciarsi incantare da quei magici colori.

Quando frequentava la Fukurodani non aveva mai avuto molti momenti in cui soffermarsi sulla bellezza che la circondava. Le lezioni iniziavano sempre troppo presto e gli allenamenti con la squadra terminavano sempre a buio inoltrato; ma ogni tanto, quando accompagnava Yukie a riempire le borracce nella fontanella del cortile o quando il coach decideva di fare il riscaldamento all’aperto, anche lei si lasciava ammaliare dalle delicate luci dell’alba, o dalle sfumature cangianti e accese dei tramonti che preannunciavano la sera. 

Piccoli attivi rubati duranti anni frenetici, che erano volati in un soffio e sembravano ora così lontani.

Un brivido la scosse, e la vibrazione del telefono abbandonato in tasca la fece sussultare. 

Un nuovo messaggio di Kotaro:

“Ti ricordi i colori della notte in cui gli amanti si incontrano?”

E subito dopo sullo schermo comparve il selfie scattato in quella stessa cornice alcuni anni prima: lei schiacciata tra Yukie e Kotaro, Kaori e Akaashi alle sue spalle, mentre le ultime scie e scintille dei fuochi d’artificio da poco sparati illuminavano il cielo di Tanabata, l’unica notte dell’anno in cui, secondo la leggenda, Hikoboshi e Orihime riescono a incontrarsi e a festeggiare il loro amore eterno.

Quella era stata una notte speciale anche per lei e Bokuto: stretta nel suo yukata nuovo, comprato per l’occasione, sforzandosi di sostenere lo sguardo rassicurante di Kotaro e di inghiottire l’ansia che l’attanagliava, aveva finalmente deciso di aprirsi con lui, di renderlo partecipe del suo passato.

Si era sentita subito più leggera, ma anche più esposta, più vulnerabile.

Ma Bokuto aveva saputo prendere tutte le sue debolezze per mano: aveva cancellato con un semplice gesto i suoi dubbi, i suoi incubi e le sue paure, restituendole una forza e un coraggio che non pensava di possedere. E l’aveva sempre fatto con un sorriso sulle labbra, senza forzarla mai, standole semplicemente accanto tutte le volte che ne aveva avuto bisogno.

Quella come tante altre volte. 

“Ora però l’omamori serve a te: se hai coraggio canta!” 

Un altro messaggio, un altro luogo, un altro ricordo che si faceva largo nella sua memoria.

Nori sorrise: questa caccia al tesoro si stava facendo sempre più interessante.

Poche fermate della metro Ginza e si ritrovò nella calca e nelle luci di Ueno, in cui i negozi dalle insegne scintillanti e invitanti si mescolavano ai banchetti del mercato caotici e affollati di turisti; dove il vociare dei venditori di street food e i jingle delle sale giochi si univano alle risate dei salary men appostati a bere tra i tanti izakaya che inondavano il quartiere tutte le sere. E proprio tra quei locali, Nori riconobbe un’insegna a lei familiare: quella del karaoke Molten, dove molti anni prima aveva festeggiato il suo primo compleanno in Giappone.

Entrò nel locale con aria tentennante: erano passati secoli dall’ultima volta in cui era entrata di sua spontanea volontà in un karaoke. Da sobria almeno.

“Salve, sono Shikako Nori, per caso qualcuno ha lasciato un messaggio per me?” chiese alla ragazza all’ingresso, rendendosi conto di quanto quella richiesta potesse suonare strana

Fortunatamente lei parve capire perché le sorrise divertita.

“Benvenuta! La stavamo aspettando, il suo ragazzo ha prenotato per lei la stanza numero 4, la prima nel corridoio a destra” le rispose, senza smettere di sorriderle

Nori seguì le sue indicazioni e si ritrovò presto nella penombra ovattata e calda di una saletta composta principalmente da un divanetto di pelle nera dall’aria vissuta, e uno schermo gigante che sembrava come osservarla in attesa, pronto ad animarsi ai suoi comandi e ad accogliere le sue richieste.

Scorse velocemente il catalogo, sicura della sua scelta.

Le note di Lemon di Yonezu Kenshi invasero le pareti della stanza, mentre si chinava a prendere il microfono senza perdere di vista le parole che cominciarono ad apparire sul display davanti a lei.

Chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quella melodia che evocava un capitolo della sua vita completamente diverso da quello che si trovava a vivere ora.

Se usava la sua immaginazione le sembrava quasi di sentire la voce di Yukie, la risata di Kaori, il chiacchiericcio caotico e disordinato della squadra tra cui spiccavano sempre Konoha e Komi; e poi il Nekoma, le battute taglienti e ironiche di Kuroo, la presenza silenziosa di Kenma e quella ingombrante di Lev, Taketora e Yaku.

E infine, ancor più distintamente sentiva: Akaashi, e il suo esserci sempre ma con discrezione, e Bokuto, un tornado di energie incapace di passare inosservato.

Riaprì gli occhi, la canzone era finita.

Anche se non l’aveva davvero cantata come l’ultima volta, aveva vissuto il ricordo di quella sera di tante estati prima come se non fosse trascorso un solo giorno da allora.

Una sera fatta non solo di canzoni, schiamazzi e risa, ma anche di pioggia, sospiri, sussurri, parole non dette e amori acerbi.

Se chiudeva nuovamente gli occhi riusciva a sentire ancora il muro freddo alle sue spalle, il lento ma incessante gocciolio dell’acquazzone da poco iniziato, lo sguardo di Bokuto fisso su di lei, il suo fiato caldo solleticarle la fronte, e le ciocche di capelli bagnati incollate alle guance bollenti.

In quella cornice improvvisata e inattesa Kotaro aveva addomesticato i battiti frenetici del suo cuore impazzito e aveva provato a renderla partecipe del suo presente: dei suoi sentimenti appena sbocciati e delle cose nuove che stava imparando a riconoscere e chiamare per nome. 

Proprio come il suo, “Nori”. Un sussurro capace di sconvolgerla e farla fuggire dalla realtà che evocava.

Lo squillo del telefono interno della saletta la destò dai suoi ricordi, scuotendola, come il risveglio improvviso da un sogno che non si è ancora pronti ad abbandonare.

“Stiamo per portarle la bevanda che ha ordinato!”

“Ma io non ho ordinato n-“

Non fece in tempo a finire la frase che la porta si aprì e la ragazza minuta dell’ingresso fece capolino assieme ad un vassoio che posò di fronte a lei, sorridendole prima di scomparire e lasciarla nuovamente sola.

Ma ad attirare l’attenzione di Nori non fu la bevanda sul vassoio quanto il biglietto attaccato sotto al bicchiere:

“Ora sarai stanca e senza voce, bevi un sorso di te! Ti aspetto al solito vecchio posto” lesse mentre sorseggiava il te freddo al limone

Quindi era arrivata alla parte finale di quella caccia al tesoro. 

Chissà se ad attenderla ci sarebbe stato anche un premio?

Il cielo era ormai scuro quando si lasciò l’insegna del karaoke alle spalle: l’aria densa di profumi speziati e invitanti, e pregna di un’umidità che annunciava l’arrivo ormai prossimo del caldo estivo e della stagione delle piogge.

Decise di camminare un po’, la sua destinazione in fondo non era troppo lontana.

La strada la conosceva bene, l’aveva percorsa per due lunghi anni: sotto la neve e il sole cocente; sotto una tempesta di petali di ciliegio e una cascata di foglie di acero rosso; con gli occhi rossi carichi di sonno e la mente rapita da impegni, compiti, scadenze, sogni, progetti; con il cuore a volte pesante, a volte leggero.

La sagoma scintillante del Tokyo Skytree la seguiva ad ogni passo, spuntando tra gli incroci deserti e le vie silenziose che costeggiavano il quartiere di Sumida, illuminando il suo tragitto e facendola subito sentire a casa.

Pochi passi e finalmente il profilo familiare dell’Accademia Fukurodani comparve dinanzi a lei: il cancello era socchiuso nonostante la tarda ora, segno che alcuni club si stavano ancora allenando. Ebbe un tuffo al cuore quando vide le luci della palestra 3 ancora accese.

Ma la sua meta non era quella, anche se la tentazione di avvicinarsi e sentire ancora una volta il rumore della palla rimbalzare contro i pavimenti di linoleum tirati a lucido era davvero forte.

Proprio vicino al suo vecchio liceo si trovava un conbini che aveva salvato più volte le sue giornate di studentessa e manager della squadra. Era davvero minuscolo ma era sempre riuscito a soddisfare le richieste di tutti, e soprattutto a placare gli attacchi di fame improvvisa e gli stomaci senza fondo di Yukie e Bokuto.

D’inverno facevano sempre le corse per accaparrarsi i nikuman caldi appena fatti o i dorayaki ripieni di marmellata anko; mentre invece d’estate era diventata una loro tradizione terminare gli allenamenti con un ghiacciolo Gari-Gari kun super rinfrescante che scoppiettava in bocca, o con un gelato soft serve al matcha.

E proprio a pochi passi dall’ingresso del minimarket si trovava un piccolo parco giochi semiabbandonato, rischiarato appena dalla luce pallida di un lampione stanco, composto solo da un’altalena cigolante e da uno scivolo a forma di arcobaleno stinto.

In quella penombra riconobbe subito la sagoma che stava rincorrendo da ore.

La stava aspettando, dondolandosi appena, proprio su quella stessa altalena dove anni prima lei aveva attinto a tutto il suo coraggio pur di non perderlo: dove aveva fatto il primo vero passo verso il futuro che avevano iniziato a vivere assieme da allora.

“Non ci hai messo molto a trovarmi, Nori-chan!”

La sua voce limpida ed entusiasta la investì come un’ondata di calda felicità, facendola sorridere incontrollabilmente.

Non lo vedeva solo da quella mattina, ma nonostante in passato avessero vissuto anche diversi mesi senza incontrarsi, per motivi di lavoro e studio, in quel momento le parve che le fosse mancato terribilmente. Quella mancanza fisica che solo un abbraccio può colmare.

“Devo ammettere che è stata una caccia al tesoro divertente, ma piuttosto facile” rispose, prendendo posto sull’altalena accanto a lui

“Una caccia al tesoro? Quindi pensi che sia stata tutta una caccia al tesoro?”

“È un modo gentile per dirmi che non ho vinto nessun premio?”

“Nessun premio oltre al sottoscritto, vorrai dire!”

Kotaro ghignò, stando al gioco, per poi alzare gli occhi al cielo, la sua espressione improvvisamente distesa, composta e solenne.

“Sai, quando ti ho chiesto di prendermi un omamori al Sensoji ero serio sul fatto che oggi mi servisse tanta fortuna…”

Nori non smise di fissarlo un secondo, rapita da quel cambio di tono insolito, il respiro sospeso, come in attesa.

“L’ultima volta sei stata tu ad essere coraggiosa. Proprio qui. Ora capisco quanto quell’invito ti sia costato” disse, ridacchiando appena, come per smorzare la tensione palpabile scesa tra loro “Se non lo avessi fatto, non so se saremmo qui a parlarne. O forse sì. Forse in un modo o nell’altro uno dei due avrebbe fatto qualcosa per farci riavvicinare. Non lo sapremo mai, vero?”

I cigolii si fermarono improvvisamente. Kotaro si era alzato e ora era di fronte a lei: fece per inginocchiarsi, fino a quando i loro occhi furono alla stessa altezza, le loro guance pericolosamente vicine e calde, le loro labbra incapaci di muoversi, come per timore di quello strano incantesimo sceso tra loro.

“Nori, il mio sogno più grande è sempre stato quello di giocare per la Nazionale Giapponese, questo lo sai bene. Ma da quando ti ho incontrata ho capito che quando avrei raggiunto quell’obiettivo avrei dovuto trovare un nuovo sogno da rincorrere e custodire per tutta la vita. E quel sogno sei tu.”

Una piccola stella sembrò prendere vita tra le mani di Bokuto: per un breve istante Shikako pensa di esserselo immaginato, ma poi lo vede davvero, un piccolo anello che brilla timido nel palmo teso verso di lei.

Non sa cosa fare, e improvvisamente sente caldo, come se una bolla la inghiottisse, spazzando via ogni rumore e sensazione.

Aveva sempre pensato che tutto questo non sarebbe mai capitato a lei: agli altri sì, prima o poi capita, ma a lei? 

Lei, che aveva perso fiducia in quella parola, “matrimonio”, ancora prima di conoscerlo, quando le liti dei suoi genitori erano l’unica ninna nanna concessa prima di chiudere gli occhi.

Lei, che aveva sempre avuto paura di prendere decisioni importanti, perché temeva che i “se” e i “ma” l’avrebbero perseguitata sempre;

Lei, che aveva smesso di credere nei sogni.

Ma poi lo aveva incontrato: aveva lasciato che quel tornado umano fatto di energia pura ed entusiasmo incrollabile spazzasse via tutte le sue certezze, che facesse a pezzi i suoi muri, che le mostrasse che le crepe che ci portiamo dentro non sono solo ferite che non rimargineranno mai, ma spiragli da cui lasciar entrare la luce, che prima o poi avranno la forza di cicatrizzare.

E lei aveva fatto tesoro di quegli insegnamenti, diventando la donna di successo, testarda e sicura di sé che era ora. 

Quindi perché non fidarsi anche questa volta?

Perché non lasciare che Kotaro la prendesse per mano ancora una volta e le mostrasse le cose da una prospettiva diversa, migliore, come aveva sempre fatto e come solo lui era capace di fare?

Tese la mano sinistra verso la sua, sorridendo, sentendo improvvisamente gli occhi lucidi e pesanti, ma nonostante le lacrime che le offuscavano la vista non voleva perdere nemmeno un fotogramma di quel momento.

Voleva che quel ricordo di loro due sull’altalena, protagonisti di quella tenera e inaspettata proposta, rimanesse indelebile nella sua memoria.

Una nuova tappa di una caccia al tesoro che era certa sarebbe durata ancora per molto, molto tempo.

“Alla fine ho vinto davvero un premio” sussurrò Shikako, ammirando l’anello che aveva preso posto sul suo anulare sinistro

Kotaro rise, una risata liberatoria che contagiò anche lei, mentre l’aiutava a rialzarsi dall’altalena.

“Forse a questo punto merito un premio anche io…” sospirò chinandosi sul suo collo scoperto, che baciò con dolcezza, prima di risalire verso le sue labbra, invitanti e calde.

Nori perse ogni contatto con la realtà che la circondava quando lo sentì annullare i centimetri che li separavano. Prima con delicatezza e calma, poi con voracità e impazienza.

Come se anche lui avesse percepito il suo stesso bisogno fisico di perdersi nei suoi abbracci, nelle pieghe del suo corpo e negli angoli delle sue labbra.

I suoi baci si fecero sempre più frenetici: si susseguivano in scie di sussurri e sospiri, senza lasciarle scampo. Il suo fiato umido e caldo le fece venire freddo mentre le ginocchia cedevano, giusto in tempo per essere afferrate dalla sua presa salda che la sospinse con non troppa delicatezza contro la rete metallica che circondava il parco, mentre le mani, ora libere, scivolavano tra i diversi strati dei suoi vestiti, accarezzando lembi di pelle e tessuto, facendole perdere ogni minima traccia di lucidità. Ma con uno slancio di energia inaspettato si incollò saldamente al suo petto, intrecciando le dita ai lembi della canotta, da cui intravide i suoi muscoli turgidi e tesi, una patina di sudore a illuminarli, creando una scia che arrivava fino al lampo di colore dei boxer che uscivano dai pantaloni della tuta allentata.

“Questo di solito è il momento in cui cerchi di fermarmi” scherzò Kotaro, staccandosi leggermente da lei così da osservarla meglio, un lampo di sfida e divertimento negli occhi

Nori arrossì, sorridendo compiaciuta, e decise di stare al gioco

“Questa volta a quanto pare ci hai pensato tu” osservò, mentre un tiepido alito di vento le solleticava la nuca e le ciocche sudate incollate alla schiena

“Non ho mai detto di volerlo fare…” ghignò lui, reprimendo una risata, calandosi nuovamente sul suo collo, mentre le sue mani riprendevano possesso del suo corpo

Ecco, forse questa parte della proposta non l’avrebbe raccontata a nessuno.

 

“Oh mio dio!” urlò Yukie, facendo voltare alcuni clienti del locale e facendo imbarazzare a morte Nori, che le lanciò un’occhiata quasi assassina “E meno male che non c’era molto da raccontare! Sembra la scena di un film!!”

“Bokuto tende sempre ad esagerare, questo lo sai, ma ti assicuro che questa volta non è tutta farina del suo sacco…”

“Che vuoi dire??”

“Beh, Il giorno dopo dovevo vedermi con Akaashi e dopo qualche minuto l’ho fatto subito confessare: è stato lui a indirizzarlo verso quel piano, perché tra le idee che erano venuta in mente a quello scemo c’erano quella di nascondermi l’anello dentro il mio dvd preferito o di improvvisare la proposta durante la diretta di una partita…”

Yukie scoppiò a ridere di gusto, sentendo le lacrime salirle nell’immaginarsi quella scena.

“Ricordami di ringraziarlo alla prossima riunione di classe, come minimo gli offro un giro di birra!”

Nori sorrise, scuotendo la testa, ancora grata a Keiji per averla salvata dall’umiliazione pubblica di vedere la sua faccia esplodere per l’imbarazzo in diretta televisiva.

“E così avete finalmente ufficializzato le cose… dopo tutti questi anni di convivenza mi pare proprio il minimo!” aggiunse Yukie dopo essersi ripresa dall’emozione

“Già, ed è tutto merito suo. Se fosse dipeso da me probabilmente avremmo continuato a frequentarci per il resto della nostra vita senza mettere mai la testa a posto, come dice sempre mia nonna, che per la cronaca è stata anche più felice di me quando gliel’ho raccontato!”

“Scherzi?”

“Per niente! Lo sai che non ho mai creduto molto nel matrimonio… ma visto che Kotaro ci tiene così tanto ho deciso di dargli una seconda possibilità…”

In fondo non era la prima volta che Bokuto l'aveva fatta ricredere su qualcosa.

E sicuramente non sarebbe stata l’ultima.

 

*

 

“Etciù!”

“Ehi, vedi di metterti la mano davanti quando starnutisci, non voglio rischiare di finire in panchina con il Campionato alle porte!” esclamò Atsumu Miya, allontanandosi teatralmente

“Bokuto-san, ti sei ammalato?” chiese Hinata Shoyo, voltandosi a guardarlo con aria seriamente interessata

“Eh? Ma figurati, il qui presente…”

“… non si è mai ammalato in tutti questi anni, sì lo sappiamo, lo dici ogni santa volta… ma arriverà il giorno in cui ti vedremo ammalarti come un comune mortale, Bokkun!”

“Non credo che succederà mai, Tsum-Tsum! Oh, Omi-kun, il coach ha detto che dopo tocca a te e a Inu-san, puoi pure usare il mio microfono se vu-“

“Non osare avvicinarti di un solo millimetro, e allontana quell’oggetto carico di microbi e batteri dalla mia vista!” gli rispose Sakusa Kiyoomi, estraendo dalla tasca della felpa il suo immancabile spray disinfettante, tirandosi su la sua fedele mascherina e lanciandogli un’occhiata minacciosa di avvertimento

“Non vorrai dirmi che hai paura di un semplice starnuto!? Sarà stata la polvere, non vedi che sono sano come un pesce? Guarda qua che muscoli!” disse Bokuto, avvicinandosi sempre più, mentre Sakusa continuava ad arretrare fino ad iniziare a correre per sfuggire all’insistenza di Kotaro, che non sembrava intenzionato a mollare la presa 

“Levatemelo di dosso! Non voglio essere contaminato!” lo sentirono urlare con tono isterico prima di vederlo scomparire oltre il corridoio dello studio televisivo, seguito a ruota da Bokuto che aveva colto la palla al balzo per divertirsi alle spese del compagno di squadra

Hinata e Atsumu scoppiarono a ridere non riuscendo più a trattenersi, abituati ormai a siparietti del genere e soprattutto alle scenette con cui Kotaro non mancava di farli divertire ogni giorno

“Se penso che quell’idiota l’anno prossimo si sposa mi sale il nervoso!” commentò sbuffando Miya, stringendo i pugni per quella che secondo lui era una vera ingiustizia

“E non sei felice? A te Nori-san sta simpatica, no?”
 “Certo che sì ed è proprio questo che mi dà fastidio! Certe persone hanno tutte le fortune del mondo… sposarsi addirittura prima del capitano, che rabbia!”

“Io non vedo l’ora, i matrimoni mi sono sempre piaciuti! E visto che mi sono perso quello di Tanaka e Shimizu quando ero in Brasile, sono davvero contento di essere stato invitato a questo!”

“Spero almeno che quell’idiota abbia la decenza di chiedermi di fargli da testimone!!”

“Mmm penso che quel ruolo spetti già a qualcun altro…”

“Eh?! E a chi?”

 

*

 

“Akaashi! Scusa il ritardo, c’è sempre un traffico pazzesco a quest’ora!” dissi, lasciandomi scivolare nella confortevole poltrona di fronte alla sua scrivania
 “Tranquilla, sono uscito proprio ora da una riunione con il capo-redattore e Tenma-san” rispose lui, sfilandosi gli occhiali e massaggiandosi le tempie con aria stanca

“Oh bene! Sei riuscito a convincerlo a cambiare quella sottotrama?”

“Forse… stiamo cercando di fargli capire che deve chiudere alcuni snodi narrativi se vogliamo lanciare la nuova serie sportiva in occasione del prossimo anniversario di Shonen Jump”

“Wow, non vedo l’ora di leggerla! So che è ancora materiale top secret quindi non ti chiederò altri dettagli… però sono davvero felice per questo vostro nuovo progetto! E anche io ho una bella news da darti!” esclamai, estraendo dalla borsa il copione ritirato qualche ora prima

“Abbiamo finalmente un produttore e sia lui che il regista hanno firmato la versione finale dello script. E io ho fatto il tuo nome come co-sceneggiatore…” aggiunsi, porgendogli il plico di fogli e sorridendogli entusiasta, non riuscendo più a trattenermi per l’emozione

“Cosa?! Stai scherzando? Lo sai che in questi anni ti ho sempre dato il mio parere con piacere, ma non sono così esperto a livello cinematografico da poter essere accreditato come professionista” tentò di protestare, sgranando gli occhi per quella notizia inaspettata

“Sei fin troppo modesto, il tuo nome ormai non circola solo nell’industria dei manga e so bene che hai rifiutato la direzione di diversi live-action… ma questa volta sarà diverso! Scriveremo a quattro mani e poi lo sai che il tuo è l’unico giudizio di cui mi fido… devo forse ricordarti cosa è successo l’ultima volta che abbiamo creato qualcosa assieme?”
 “Se ti riferisci alla recita del secondo anno di liceo non mi sembra un precedente valido, per quanto successo possiamo aver avuto si trattava pur sempre del festival scolastico”

“Lo so e questa è proprio l’occasione che ci serve per capire se possiamo scrivere qualcosa di altrettanto bello ma più ambizioso… e ti conosco abbastanza da sapere che stai tirando fuori tutte queste scuse per nascondere il tuo entusiasmo, quindi non sprecare altro tempo e dimmi che accetti!”

“Non mi sembra che tu mi stia lasciando molte alternative…”

Lo vidi sorridere, segno che ormai aveva ceduto e che potevo ritenermi vittoriosa.

“Alla fine hai deciso che titolo dare a questo film?”

“Ma certo, The Deer & The Owl

“Lo stesso del racconto con cui sei arrivata quarta a quel concorso, cinque anni fa?

“Esatto, ma questa volta le cose andranno diversamente… in fondo ogni storia merita una seconda possibilità, non credi?”

Sì, questa volta sentivo che sarebbe stata la volta giusta, pensai, prima di sciogliermi nello stesso sorriso emozionato che vedevo illuminare il volto di Keiji.

 

*

 

Ci sono storie che non possono essere cambiate, o aggiustate.

Non importa il numero di cancellature e riscritture, per quanto possiamo impegnarci il finale non cambia.

In questi casi la cosa migliore da fare è abbandonarle, accettare la sconfitta e ricominciare.

Ci sarà sempre una nuova pagina bianca ad attenderci, l’inizio di un nuovo capitolo, di una nuova storia.

È vero.

Ma ci sono anche storie che meritano di essere riscritte, che se riprese a distanza di anni, con sentimenti nuovi e prospettive diverse, sanno regalarci finali e risvolti inaspettati.

È per questo motivo che esistono le seconde occasioni.

Chance che pensiamo di dare agli altri ma che in realtà diamo a noi stessi, per dare alla vita il potere di cambiarci e di farci ricredere, e di trasformare ogni delusione in una lezione, ogni sconfitta in un punto di partenza.

Ricordandoci sempre che la parola fine è un potere che spetta solo a noi avere.

E a nessun altro.

 

 

 

- - -
 
N O T E
 
 
Chiudere una storia è sempre difficile, soprattutto per me che di storie (così lunghe) nella mia vita non ne ho mai chiuse davvero. Però mi sentivo troppo in debito con questa fanfiction per non darle il finale che meritava. 

Questo capitolo era pronto da più di un anno e mezzo, lo avevo scritto insieme al resto dei capitoli precedenti, ma gli mancava qualcosa o forse non avevo ancora la forza e gli strumenti per concluderlo del tutto. E infatti, rileggendolo a distanza di anni ho avuto modo di vederlo sotto una luce diversa e di trasformarlo in qualcosa di nuovo (che è proprio uno dei messaggi principali della mia storia). L’ho così trasformato in un viaggio nel viaggio, un salto temporale dentro un salto temporale, un modo per ripercorrere tutti gli avvenimenti successi finora e incastrare e far combaciare tra loro passato, presente e futuro. E con questo posso finalmente dire di aver messo la parola fine e concluso degnamente la storia di Nori e Bokuto! E ne sono davvero soddisfatta, perché anche se le cose possono essere sempre fatte in mille modi diversi e migliori, sono contenta di aver trovato il coraggio di mettere per iscritto questa fantasia e aver dato spazio ai miei pensieri e alle mie riflessioni.

Anche se la storia principale è conclusa non nego che mi piacerebbe tornare su questi due baka, magari scrivendo un sequel composto da una raccolta di brevi one-shot e drabble (non ho la forza e il tempo di impegnarmi in un’altra long lol). Quindi mai dire mai!

Per ora vi ringrazio tutt* per la fiducia e il tempo che mi avete dedicato.

E se vorrete sprecare due parole per dirmi la vostra dopo questo viaggio fatto assieme sarò davvero felice di leggervi!

P.S. Piccola curiosità: i kanji che ho usato come sottotitolo di questo capitolo (“始め”) sono gli stessi che ho usato nel primo, il prologo, ed in entrambi i casi significano “inizio”. Questo perché, anche se si tratta di un epilogo, la fine di una storia è sempre l’inizio di un’altra per come la vedo io. Sempre in tema circolarità, l’inizio del primo capitolo e la fine dell’ultimo sono speculari, infatti uso (quasi) le stesse parole, ma nell’epilogo le ho approfondite e spiegate.

P.P.S. Quando ho iniziato a scrivere questa storia sognavo perdutamente il Giappone, un sogno che rincorrevo da una vita intera, e ora a distanza di quasi 2 anni posso dire di averlo realizzato non una ma ben due volte (e spero anche di tornarci presto)! Ho avuto la fortuna e la possibilità di visitare tutti i luoghi che ho menzionato nella fanfiction ed è stata un’emozione unica a dir poco! Questo epilogo contiene anche una piccola dichiarazione d’amore a Tokyo, spero l’abbiate colta e di non avervi annoiato con le mie descrizioni, ma al contrario, di avervi incuriosito e spinto a visitarla prima o poi.

Grazie, 

Mel

   
 
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