Jason
non era una brava persona.
In
realtà era più corretto dire che Gotham non
lasciava che le brave persone sopravvivessero. Essere una brava
persona,
specialmente se onesta, a Gotham era il miglior modo per farsi uccidere
o
finire a Black Gate. Nei Narrows essere una brava persona era sinonimo
di
essere stupidi e gli stupidi finivano con scarpe di cemento in fondo al
fiume o
a pezzi in sacchi di plastica.
Red
Hood era nato per necessità, niente più di una
semplice felpa rossa col cappuccio e un fazzoletto legato sul viso. Era
così
facile fingere di fare casino con le bande più grandi e
altri criminali
solitari, far credere loro che ci fosse addirittura una banda molto
più grande
ed organizzata dietro mentre l’anonimo, piccolo Jason Todd
metteva felpa e
fazzoletto nello zaino e se ne andava in giro a guadagnarsi da vivere
per un
altro giorno.
Quindi,
con questa premessa, Jason non aveva nessuna
possibilità di farsi elencare nella striminzita lista di
brave persone.
Assolutamente no.
Era
semplicemente qualcosa con cui era venuto a patti.
Le brave persone erano quelle come il Signor Demir della tavola calda
all’angolo che regalava gli avanzi del giorno e anche di
più ai senzatetto e ai
bambini come Jason, come la Dottoressa Thompkins, che si occupava di
chiunque
ne avesse bisogno, che aveva tentato di salvare la madre di Jason fino
all’ultimo, come l’Agente Rias, l’unico
poliziotto decente che Jason avesse mai
conosciuto e che faceva il suo dannato lavoro nonostante tutti i guai
che aveva
per questo.
Persone
come Gloria.
Diceva
di essere stata una modella, meno di un anno prima
aveva sfilato sulle migliori passerelle di mezzo continente, prima di
essere
perseguitata da un bastardo su cui la legge non poteva mettere le mani.
Non era
difficile credere a storie come la sua, per Gotham in particolare era
normale
amministrazione. Specialmente se di mezzo c’era una bestia
d’uomo che l’aveva gonfiata
di botte come il giorno in cui l’aveva incontrata al rifugio
per donne
maltrattate. Era lì perché aveva sorpreso uno dei
figli di quelle donne
gironzolare dove non avrebbe dovuto e Dio sapeva che, anche a
quell’età, Jason
non avrebbe mai lasciato lì un bambino.
Gloria
era entrata barcollando proprio nel momento in
cui lui usciva, quasi finendogli addosso, vestita come se fosse appena
uscita
in pigiama, una borsa riempita di fretta e il terrore riflesso nei suoi
occhi
quasi chiusi dai lividi.
Jason
poteva dare la colpa all’abitudine, ma prima che
si rendesse conto di cosa stava facendo l’aveva
già aiutata a sedersi e
chiamato l’assistente del centro. In qualche modo la donna
non aveva lasciato
andare la mano di Jason per tutto il tempo che ci era voluto per
sistemare gli
ultimi dettagli. Se ne era andato subito dopo senza pensarci
più di tanto,
senza aspettarsi di rivederla.
Pochi
giorni dopo stava attraversando la strada,
proprio di fronte a Jason che cercava di tenere la testa bassa,
aggirandosi
vicino alla stazione del GCPD per tenere lontani un gruppo di ragazzi
più
grandi a cui aveva pestato i piedi una volta di troppo. Non si era reso
conto
di chi fosse neanche quando una macchina non aveva attraversato con il
rosso,
puntando sulla folla di pedoni.
Jason
aveva afferrato istintivamente la signora
davanti a lui, tirandola indietro per un lembo dei vestiti appena prima
che la
macchina sfrecciasse nel punto in cui lei si trovava.
“State
bene Signorina?” aveva chiesto con il cuore che
gli batteva all’impazzata e un’imprecazione
lanciata in direzione della
macchina che si allontanava. La donna aveva guardato in basso,
sbattendogli le
palpebre come se non avesse capito quello che era appena successo.
“Miss
Stanson!” un uomo era uscito dalla folla, posando
una mano sulla spalla della donna.
Gloria
aveva sobbalzato come se fosse stata colpita,
allontanandosi mentre stingeva improvvisamente Jason per le spalle come
se
volesse difenderlo.
E
oh. . . Jason conosceva quel genere di reazione. Ci
aveva messo poco a mettersi tra la donna e l’uomo, come se
fosse grande grosso
e non il fuscello che era.
Si
sarebbe pentito dopo della sua stupidità.
L’uomo
lo aveva guardato confuso. “E tu chi
saresti?”
“Suo
nipote,” aveva mentito prontamente. “Che la sta
accompagnando
alla centrale di polizia,” si assicurò di
precisare. “Quindi, se vuole
scusarci.”
La
comprensione improvvisa aveva fatto alzare le
sopracciglia dell’uomo fino alla punta dei capelli.
“Calma,”
aveva scostato il cappotto, rivelando un distintivo
appeso alla cintura. “Sono uno dei buoni.”
“Si
certo.”
E
prima che l’agente potesse ribattere, aveva
afferrato la mano di Gloria ed erano sfrecciati di nuovo tra la folla,
zigzagando per le strade, fermandosi all’imboccatura di un
vicolo solo quando
era stato sicuro di aver seminato l’uomo.
“Bene,
penso che siamo abbastanza lonta. . .”
La
risata improvvisa di Gloria lo aveva fatto
sussultare. Era una cosa stridula e senza gioia, uno di quelli che
Jason aveva
sentito in situazioni che non gli piaceva ricordare. Si era domandato
se non
avesse fatto una cazzata. Ma si era esaurita velocemente, lasciando un
sorriso
quasi troppo spensierato tirato sul viso consumato e dagli occhi
arrossati che
parlavano di notti passate a piangere.
Lei
gli aveva teso una mano.
“Sono
Gloria, piacere di conoscerti.”
Jason
l’aveva scossa cautamente.
“Jay,”
aveva fornito, non fidandosi di dare il suo
nome completo a qualcuno che poteva chiamare i servizi sociali.
Ci
aveva messo poco a capire che Gloria era una di
quelle persone belle dentro e fuori. Aveva grandi occhi azzurri e
capelli
biondi che anche nei momenti più miserabili le ricadevano
sulla fronte in un
grazioso disordine, tutto coronato da quell’aria di leggera
morbidezza, priva
di quella scheggia dura che tutti avevano lì intorno.
Ma
ovviamente Jason era Jason e non era sopravvissuto
fidandosi delle persone a vista, quindi era comprensibilmente quasi
scappato
quando la donna glia aveva offerto un posto dove dormire. Ma Gloria era
Gloria
e aveva insistito che voleva solo ripagare la gentilezza di Jason.
Gloria
era stata la prima persona a definirlo gentile
dopo la morte di sua madre.
Si
rannicchiavano entrambi sul piccolo letto gibboso
al riparo dal tempo pazzo di Gotham, svegliandosi l’un
l’altra nel cuore della
notte per i loro rispettivi incubi. Jason aveva pensato che il presunto
debito
sarebbe stato pagato in un paio di giorni, una settimana se era
fortunato e
quella donna era davvero gentile come sembrava. Ma un paio di giorni
divenne
una settimana e poi due e Jason era ancora lì, lasciandosi
abbracciare dopo un
incubo e tenendo i capelli di Gloria quando vomitava anche
l’anima, impedendole
di scorticarsi la pelle quando si strofinava incessantemente per
ripulire il sudiciume.
Non
gli dispiaceva farlo, non quando era lei che gli accarezzava
la schiena dopo un terrore notturno particolarmente brutto e gli
disinfettava
le nocche che si era sbucciato in un’altra rissa.
Rispetto
a prendersi cura di un drogato era una
passeggiata.
Aveva
detto a tutti che Jason era suo nipote e tutti
avevano fatto finta di crederle. Se fosse perché era
riuscita a farsi volere
bene da tutti in meno di una settimana o perché Jason teneva
i loro figli
lontano dai guai non lo sapeva, ma non si sarebbe lamentato del cavallo
donato.
Ma
nonostante tutto Jason pensava ancora che Gloria
fosse semplicemente troppo buona e che presto avrebbe superato il suo
benvenuto. La conferma sembrò arrivare un pomeriggio, quando
Jason, dopo un
furto particolarmente proficuo -il riccone a cui aveva preso il
portafoglio non
ne avrebbe sentito la mancanza e quello che Gloria non sapeva non gli
avrebbe
fatto male- era tornato al rifugio con i biscotti alla frutta preferiti
della
donna solo per trovare il letto rifatto e nessuna traccia di lei.
Era
tardi, almeno per Gloria che non usciva mai a
quell'ora per non trovarsi nei Narrows di notte. Jason ci
impiegò poco per
mettere insieme i punti e constatare che la donna se ne era
semplicemente
andata. Non era riuscito neanche a sentirsi arrabbiato per non essere
stato
avvisato.
Dopotutto
Gloria non gli doveva nulla.
Aveva
raccolto velocemente le cose che per un motivo o
un altro aveva lasciato nella loro stanza ed era uscito senza una
parola,
portandosi dietro i biscotti con tutta l’intenzione di
mangiarli quando la
nausea avrebbe smesso di fargli venire voglia di vomitare.
Fu
solo a sera inoltrata, quando si era ormai
rassegnato al fatto che la sua schiena avrebbe sofferto di nuovo per il
prossimo futuro che si ritrovò con Gill, uno dei ragazzi
più grandi del
rifugio, che lo afferrava per un braccio.
“Jay!
Cazzo finalmente ti ho trovato!”
Si
era scrollato la mano di dosso con uno strattone
più duro del necessario. “Che cavolo
vuoi?”
“Hai
anche il coraggio di chiedermelo? Ti stiamo cercando
tutti, tua zia sta per svenire dalla preoccupazione!”
Erano
bastate quelle semplici parole per far andare il
cervello di Jason in cortocircuito. Si era lasciato condurre per un
braccio di
nuovo al rifugio come in trance, senza osare dire all'altro che non era
possibile, senza osare sperare che. . .
“Dove
eri finito?!” aveva chiesto Gloria
singhiozzando, trattenendo Jason in uno di quegli abbracci spezza ossa
con cui
lo stringeva dopo i suoi incubi peggiori, cullandolo come se fosse
stato un
bambino piccolo.
“M.
. .mi dispiace,” ricordava di aver balbettato. “Ho
incontrato alcuni vecchi amici e non mi sono reso conto
dell'ora.”
A
quanto pareva Gloria era andata dal dottore e non
c'era da stupirsi se aveva fatto tardi, la clinica della Dottoressa
Thompkins
era sempre affollata. Si era preoccupata così tanto quando
Jason non si era
fatto vivo, ancora di più quando non aveva trovato nessuna
delle sue cose al
solito posto.
Jason
aveva promesso di fare attenzione mentre tutti
gli altri avevano sospirato sollevati,
come se tutti fossero stati in pensiero per lui.
Se
la camicetta di Gloria era umida nel punto in cui
aveva premuto il viso di Jason non erano affari di nessuno.
Da
quel giorno cominciò a non aspettare più l'ultimo
momento possibile per andare al rifugio, passando il tempo con Gloria e
tenendo
i ragazzi più piccoli lontano dagli spacciatori sempre in
cerca di nuovi
corrieri o futuri clienti. C'era persino un’ex insegnante al
rifugio, fuggita
dal marito che l'aveva costretta a lasciare il lavoro, che faceva
lezione ai
figli delle altre ospiti e sembrava particolarmente contenta quando
Jason
dimostrò di poter stare al passo con gli altri e anche oltre
nonostante avesse
lasciato la scuola anni addietro.
A
Jason era mancata così tanto la scuola.
Gloria
intanto aveva messo a sua disposizione il suo
repertorio di lingue imparate dai posti in cui aveva sfilato e potevano
passare
una giornata intera a borbottare in lingue diverse. Altri giorni invece
erano
dedicati all'etichetta. Non quella che qualsiasi bambino imparava
normalmente,
ma cose come quale posta scegliere in mezzo ad altre dodici, a tutti i
modi
diversi in cui la postura poteva cambiare il modo di camminare e il
modo di
parlare farlo sembrare una persona completamente diversa.
“Sii
ciò che sembri,” gli aveva detto un giorno di
fronte allo specchio. “Questo è l’inizio
di uno scioglilingua che abbiamo letto
l’altro giorno dentro Alice nel Paese delle Meraviglie,
ricordi cosa
significa?”
“Che
se le persone ti vedono in un certo modo ci
crederanno anche se probabilmente non è vero.”
“Precisamente,”
aveva detto con un tono di voce acuto
ed arioso, accompagnato da un'espressione dagli occhi vacui e un
sorriso troppo
largo che urlava oca svampita a chiunque non la conoscesse.
“Solo
poche persone di solito vanno oltre l'immagine
percepita alla prima impressione,” la sua espressione
cambiò di nuovo, le
palpebre leggermente abbassate e un sorriso più tenue e
tagliente, cambiando
l'aria attorno a lei in quella di un gatto altezzoso.
“Se
sembri un playboy idiota non avrai neanche bisogno
di essere davvero uno sciupafemmine per convincere gli altri. Una
cicatrice
sulla faccia e un cipiglio possono farti sembrare davvero minaccioso,
un tono
di voce più alto o più basso li
convincerà che quello che hanno davanti è
esattamente quello che credono che sia.”
All’epoca
Jason credeva che quel genere di cose non
avesse usi pratici, ma ogni volta che riusciva in qualsiasi cosa, anche
la più
insignificante, sul suo viso si apriva un enorme sorriso che sembrava
brillare
di luce propria, gli occhi ancora più azzurri illuminati da
un orgoglio che
Jason aveva visto solo su Catherine.
Jason
avrebbe fatto di tutto per farla sorridere
sempre in quel modo.
I
giorni si susseguivano con una velocità allarmante
e, nonostante la vita non fosse più facile di prima, era
meno miserabile.
Meno
solo.
Jason
avrebbe dovuto sapere che non sarebbe durato.
Allora
non lo sapeva, ma le cose sarebbero cominciate
a precipitare il giorno in cui l’Agente Rias aveva visitato
il rifugio.
Jason
era tornato da una delle sue passeggiate. Aveva
promesso a Gloria che non avrebbe più rubato, ma erano a
Gotham e Jason non
voleva contare sulla generosità del rifugio senza dare
almeno qualcosa in
cambio. Ma quando aveva visto la volante della polizia parcheggiata
davanti
all’edificio il suo stomaco si sentì come un
unico, solido pezzo di pietra
fredda e senza accorgersene si era messo a correre. Il cuore di Jason
aveva
battuto così forte da far male finché non aveva
avvistato Rias davanti la porta
della loro stanza.
Il
sollievo di vedere l’uomo era durato poco però.
Gloria era uscita poco dopo vestita con i suoi vestiti migliori, un
tubino
bianco che la faceva sembrare una specie di angelo, con la
determinazione di
qualcuno deciso a fare qualcosa di molto stupido.
“Menomale
che sei rincasato presto,” aveva detto con
un sorrisetto e un sopracciglio alzato che diceva che sapeva
esattamente cosa
aveva fatto. Ma Jason era stato troppo preoccupato anche solo per
sembrare
adeguatamente imbarazzato. Gloria non sembrava affatto turbata, doveva
solo
andare in centrale a rispondere
ad
alcune domande e sarebbe tornata giusto in tempo per il pranzo.
L’ultima
volta che Jason aveva sentito una cosa del
genere aveva visto Willis ammanettato e portato via, nessuno
poteva
incolparlo per
essersi aggrappato al braccio di Gloria con la tenacia di una trappola
per
orsi.
Gloria
lo aveva guardato, sbattendogli le palpebre
sorpresa. Era raro che Jason fosse il primo a toccare chiunque, persino
lei.
Jason voleva dirle che non poteva andare da sola, che non tutti i
poliziotti
erano come Rias che. . .
Qualcosa
nella sua espressione doveva essere
stato davvero brutto perché lei si era piegata alla sua
altezza prendendoli il
viso tra le mani. Jason non avrebbe mai dimenticato come si sentivano
sul suo
viso: esili e leggere, ma non troppo magre come quando era arrivata la
prima
volta.
Qualsiasi
cosa le avesse dato la Dott. Thompkins aveva
funzionato alla grande perché Gloria aveva smesso di
vomitare alla mattina e
alla sera, mettendo su un po’ di peso. Quella visione lei,
sana, serena e felice
lo aveva ancorato a terra come niente prima di quel momento.
Giusto,
ricordava di
aver pensato allora. Gloria non è Catherine.
La
donna gli aveva spiegato pazientemente che l'uomo
che le aveva fatto del male non sarebbe stato punito per quello che le
aveva
fatto, ma Gloria poteva aiutare a farlo estradare e finire dentro per
droga.
La
prima reazione di Jason era stata quella di essere
arrabbiato. Non serviva l’immunità diplomatica se
avevi troppi soldi da
spendere a Gotham. Quel bastardo se la sarebbe cavata con uno schiaffo
sulle
mani, tornando a fare quello che faceva prima.
Non
era fottutamente giusto.
“Non
preoccuparti ragazzo, la scorterò personalmente,”
Rias gli aveva scompigliato i capelli con un sorriso incoraggiante.
“E prima lo
farà e prima potrà ritornarsene a casa.”
Oh
Casa
sua.
Giusto.
Gloria aveva una vita fori dai Narrows, una
casa, una famiglia ed amici dai cui sarebbe ritornata, scrollandosi di
dosso la
polvere di quel posto come i resti di un brutto sogno.
Una
vita senza Jason.
Riuscì
ad annuire ubbidientemente mentre Gloria gli
raccomandava di non mettersi nei guai mentre lui sentiva il pavimento
mancargli
da sotto i piedi. Era uscito di nuovo non appena la volante era sparita
dalla
strada. Non sapeva quando Gloria se ne sarebbe andata, doveva
controllare che i
suoi posti per dormire non fossero occupati da qualcun altro, iniziare
a
racimolare roba da mangiare non deperibile. Ormai non era una questione
di sé,
ma di quando.
Ricominciò
a tornare al rifugio sempre più tardi,
ignorando la brutta sensazione alla bocca dello stomaco e quel peso al
petto
che gli impediva di respirare, come se avesse di nuovo un attacco
d'asma in
pieno dicembre. Gloria non faceva molte domande al riguardo, lei stessa
era
troppo impegnata in qualsiasi cosa che la tenesse fuori tutto
il giorno,
ogni volta che tornava sembrava un po’ più
felice.
Probabilmente
sistemando le cose per ritornare a casa
sua, aveva pensato amaramente.
Poi
era arrivato quel giorno.
Ere
sembrato un pomeriggio come tutti gli altri, aveva
lasciato che Gloria gli sistemasse i capelli, ormai sapeva meglio che
contraddirla su quel fronte, e lo aveva salutato con un bacio sulla
fronte come
faceva sempre, raccomandandogli di non mettersi nei guai come se Jason
stesse semplicemente
uscendo con degli amici.
“Non
fare tardi stasera,” gli aveva detto. “Hai una
sorpresa che ti aspetta.”
Jason
aveva annuito distrattamente, troppo occupato a
ripassare mentalmente tutti i posti che aveva da controllare.
Se
solo lo avesse saputo.
Quel
giorno era stato particolarmente fruttuoso. Aveva
lo zaino pesante di snack e una collana in una mano. Era un pezzo di
paccottiglia che aveva comprato su una bancarella -con soldi rubati ma
lo aveva
ancora comprato- tre fili di perle finte abbastanza realistiche da non
sembrare
un giocattolo. Sapeva che era improbabile che Gloria la indossasse, ma
lei era
quel genere di persona che apprezzava il gesto e chissà,
magari tra qualche
anno avrebbe guardato quella cosa insignificante e avrebbe ricordato
che non
tutto di quel periodo era orribile.
Era
stato così stupido.
L'ambulanza
aveva le porte spalancate quando era
arrivato al rifugio, i paramedici stavano estraendo una barella con un
sacco da
obitorio
Jason
non ricordava di essersi bloccato.
Sua
madre era dimagrita così tanto che ci era
voluta una sola persona per sollevarla e metterla sulla barella.
Jason
non ricordava di aver corso.
La
zip del sacco nero si era chiusa senza
tante cerimonie con un suono assordante.
Jason
non ricordava di aver chiamato Gloria con i
polmoni in fiamme.
Non
aveva alzato lo sguardo quando uno dei
paramedici gli aveva messo una mano sulla spalla e chiesto se aveva
qualcuno
con cui poteva stare.
Non
ricordava che Gill lo avesse chiamato né che lo
avesse afferrato per un braccio.
“Jay!
Jay aspetta! Non entrare!”
Non
ricordava di averlo quasi spinto a terra per
liberarsi.
Ricordava
lo snap della collana che si
spezzava, le perle che cadevano con un ticchettio sordo sul
pavimento.
Ricordava
che una era rotolata vicino al piede ancora
penzolate di Gloria.
Ricordava
di aver alzato lentamente lo sguardo,
percorrendo la linea snella della schiena della donna fino ai capelli,
troppo
corti per nascondere il nodo della corda con cui si era impiccata.
Non
ricordava di essere svenuto.
Era
un funerale riservato, solo per la famiglia ed
alcuni amici stretti. La morte di Gloria era diventata il caso
dell'anno e come
qualsiasi pettegolezzo avrebbe smesso di fare notizia, ma per il
momento erano
state prese tutte le precauzioni per evitare che la stampa e qualsiasi
altro avvoltoio volesse avventarsi sulla proverbiale
carcassa. Questo non
gli aveva impedito di avvicinarsi il più possibile.
Non
avrebbe dovuto essere morta.
L'aveva vista solo un paio di giorni prima, viva e sorridente.
Lo aveva salutato con un bacio sulla fronte.
Aveva promesso a Jason una sorpresa al suo ritorno.
Non poteva essere morta.
Jason non aveva la forza di preoccuparsi di chiunque potesse sentirlo quando urlò.
Quando le urla e le lacrime si esaurirono aveva smesso di piovere e il funerale era finito da tempo. Jason si alzò, le gambe irrigidite dal freddo e i segni sanguinanti delle unghie sui palmi delle mani e barcollò verso il rifugio. Il vento freddo gli pizzicava la pelle bagnata e le gambe non volevano muoversi correttamente, ma Jason era troppo testardo per fermarsi a morire di freddo.
Arrivò al rifugio all’ora di pranzo, sentiva il tramestio nella mensa, il chiacchiericcio sommesso e l’odore di cibo. Jason fissò con rabbia la scheggia di luce lasciata dalla porta aperta nel corridoio vuoto. Se la sua gola non fosse stata così gonfia avrebbe urlato di nuovo. Come potevano stare lì a mangiare come se niente fosse? Perché non si erano accertati dell’identità del bastardo quando aveva chiamato? Dove erano quando Gloria aveva appeso quella corda? Dove erano tutti gli amici e i parenti che si disperavano al funerale quando l’unico posto in cui si sentiva al sicuro era un rifugio nel fottuto Park Row? Tutti quei giornalisti che avevano scritto articoli commoventi e drammatici solo quando era un corpo freddo in una bara?
Dove cazzo era Jason?
Si passò le mani sul viso, respirando a fondo e dolorosamente attraverso la gola irritata, cercando di calmarsi. Non voleva fare una scenata, erano stati tutti molto tolleranti con le sue stronzate e non voleva farsi cacciare prima di aver recuperato le sue cose.
Alla fine il mondo continuava a girare, l’inverno sarebbe arrivato e Jason non poteva permettersi di perdere niente.
Camminò in punta di piedi nella loro stanza, ricordandosi troppo tardi che non c’era nessuno che avrebbe rischiato di svegliare. Ingoiò quello che prometteva di essere un altro attacco di pianto e aprì le ante dell’armadio alla ricerca del suo zaino.
Tutte le cose di Gloria erano state restituite alla sua famiglia, eppure c'era ancora qualcosa in fondo al mobile, nascosto vicino al suo zaino, sotto una coperta che Jason aveva tutte le intenzioni di portarsi via.
Gli dispiaceva rubare al rifugio, ma gli sarebbe dispiaciuto di più quando avrebbe avuto le palle congelate lì fuori.
Giusto, solo praticità e nulla a che fare con il fatto che quella fosse la coperta in cui lui e Gloria si rannicchiavano per leggere.
“E questo cosa dovrebbe significare?” borbottò a nessuno in particolare mentre rivelava due scatole sotto la coperta, lo stemma di un negozio costoso e un biglietto con su scritto X Jay in cima a tutto. Lo aprì, leggendo la scrittura chiara e svolazzante Gloria che diceva: Spero di aver indovinato la taglia e il colore.
Era forse quella la sorpresa?
Sentì una fossa nello stomaco allargarsi solo al pensiero, la mezza idea di lasciarlo lì che si formava lentamente. Ma Jason era troppo curioso e, prima che se ne rendesse conto, stava già aprendo la scatola più grande a forma di cubo. Era uno zaino, uno di quelli di vera, morbida pelle beige con le cinghie d’ottone con abbastanza spazio da mettere tutto quello che un esploratore dei libri di avventura avrebbe potuto aver bisogno. Nella seconda scatola, piatta e rettangolare, c'era un compleo di tutte le cose. Era uno di quei completi con camicia e cravatta che Jason ricordava di aver indossato per andare a messa la domenica, quando era più piccolo e Catherine non aveva ancora irrimediabilmente perso la fiducia in qualsiasi cosa non fosse una siringa. Tranne che quello che aveva davanti sembrava anche più costoso dello zaino, tinto di quel color ottanio che si abbinava bene agli occhi di Jason, troppo blu sul bordo dell’iride per essere verde e troppo verde attorno alla pupilla per essere blu.
Jason fece un respiro profondo, poi due e tre, ma l’aria non voleva saperne di entrare. Prese la scatola con tutto il vestito, pronto a gettarla lontano per puro dispetto.
A cosa servivano ora?!
Che senso aveva comprargli cose del genere se doveva andarsene?!
Che senso aveva uccidersi?!
Ma improvvisamente qualcosa nascosto sotto la giacca scivolò via, aprendosi per terra con un fruscio di carte. Era un pesante fascicolo di documenti. Jason si abbassò per raccoglierli, la curiosità che lo distraeva momentaneamente.
“Mi stai prendendo in giro,” quasi soffocò quando si rese conto che cosa erano. Il certificato di nascita, schede mediche, la storia di Jason con i servizi sociali, domande e ingiunzioni del tribunale e un certificato d’adozione in attesa di essere approvato.
C’era anche una lettera.
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*Sbuca dalle ombre in cui si era ritirata anni fa, sibilando alla luce del sole*
Salve a tutti, se ai pochi fan che seguono ancora EFP leggono anche AO3 c'è la possibilità che sappiano già che questo tipo di AU è abbastanza comune e di solito vede l'ordine di adozione e le rispettive sotrie dei Robin nell'ordine inverso o comunque diverso da quello canonico, in questa in particolare vedermo i Robin -Damian escluso per ovvi motivi- già adulti mentre Bruce sarà il piccoletto dlela situazione.
Se vi sembra di aver già letto questa storia è perchè ho iniziato ha pubblicarla nel mio inglese stentato su AO3, quindi non preoccupatevi e fatemi sapere cosa ne pensate!