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Autore: Lady Blood    13/12/2023    0 recensioni
Jason non era una brava persona.
In realtà era più corretto dire che Gotham non lasciava che le brave persone sopravvivessero. Essere una brava persona, specialmente se onesta, a Gotham era il miglior modo per farsi uccidere o finire a Black Gate. Nei Narrows essere una brava persona era sinonimo di essere stupidi e gli stupidi finivano con scarpe di cemento in fondo al fiume o a pezzi in sacchi di plastica.
Red Hood era nato per necessità, niente più di una semplice felpa rossa col cappuccio e un fazzoletto legato sul viso. Era così facile fingere di fare casino con le bande più grandi e altri criminali solitari, far credere loro che ci fosse addirittura una banda molto più grande ed organizzata dietro mentre l’anonimo, piccolo Jason Todd metteva felpa e fazzoletto nello zaino e se ne andava in giro a guadagnarsi da vivere per un altro giorno.
Quindi, con questa premessa, Jason non aveva nessuna possibilità di farsi elencare nella striminzita lista di brave persone. Assolutamente no.
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Oppure, quella fic che si colloca in un universo che vede i Robin già adulti quando Bruce è un ragazzino che ha perso i suoi genitori
Genere: Angst, Generale, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Batman, Bruce Wayne, Dick Grayson, Jason Todd
Note: AU, Traduzione, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Jason non era una brava persona.

In realtà era più corretto dire che Gotham non lasciava che le brave persone sopravvivessero. Essere una brava persona, specialmente se onesta, a Gotham era il miglior modo per farsi uccidere o finire a Black Gate. Nei Narrows essere una brava persona era sinonimo di essere stupidi e gli stupidi finivano con scarpe di cemento in fondo al fiume o a pezzi in sacchi di plastica.

Red Hood era nato per necessità, niente più di una semplice felpa rossa col cappuccio e un fazzoletto legato sul viso. Era così facile fingere di fare casino con le bande più grandi e altri criminali solitari, far credere loro che ci fosse addirittura una banda molto più grande ed organizzata dietro mentre l’anonimo, piccolo Jason Todd metteva felpa e fazzoletto nello zaino e se ne andava in giro a guadagnarsi da vivere per un altro giorno.

Quindi, con questa premessa, Jason non aveva nessuna possibilità di farsi elencare nella striminzita lista di brave persone. Assolutamente no.

Era semplicemente qualcosa con cui era venuto a patti. Le brave persone erano quelle come il Signor Demir della tavola calda all’angolo che regalava gli avanzi del giorno e anche di più ai senzatetto e ai bambini come Jason, come la Dottoressa Thompkins, che si occupava di chiunque ne avesse bisogno, che aveva tentato di salvare la madre di Jason fino all’ultimo, come l’Agente Rias, l’unico poliziotto decente che Jason avesse mai conosciuto e che faceva il suo dannato lavoro nonostante tutti i guai che aveva per questo.

Persone come Gloria.

Diceva di essere stata una modella, meno di un anno prima aveva sfilato sulle migliori passerelle di mezzo continente, prima di essere perseguitata da un bastardo su cui la legge non poteva mettere le mani. Non era difficile credere a storie come la sua, per Gotham in particolare era normale amministrazione. Specialmente se di mezzo c’era una bestia d’uomo che l’aveva gonfiata di botte come il giorno in cui l’aveva incontrata al rifugio per donne maltrattate. Era lì perché aveva sorpreso uno dei figli di quelle donne gironzolare dove non avrebbe dovuto e Dio sapeva che, anche a quell’età, Jason non avrebbe mai lasciato lì un bambino.

Gloria era entrata barcollando proprio nel momento in cui lui usciva, quasi finendogli addosso, vestita come se fosse appena uscita in pigiama, una borsa riempita di fretta e il terrore riflesso nei suoi occhi quasi chiusi dai lividi.

Jason poteva dare la colpa all’abitudine, ma prima che si rendesse conto di cosa stava facendo l’aveva già aiutata a sedersi e chiamato l’assistente del centro. In qualche modo la donna non aveva lasciato andare la mano di Jason per tutto il tempo che ci era voluto per sistemare gli ultimi dettagli. Se ne era andato subito dopo senza pensarci più di tanto, senza aspettarsi di rivederla.

Pochi giorni dopo stava attraversando la strada, proprio di fronte a Jason che cercava di tenere la testa bassa, aggirandosi vicino alla stazione del GCPD per tenere lontani un gruppo di ragazzi più grandi a cui aveva pestato i piedi una volta di troppo. Non si era reso conto di chi fosse neanche quando una macchina non aveva attraversato con il rosso, puntando sulla folla di pedoni.

Jason aveva afferrato istintivamente la signora davanti a lui, tirandola indietro per un lembo dei vestiti appena prima che la macchina sfrecciasse nel punto in cui lei si trovava.

“State bene Signorina?” aveva chiesto con il cuore che gli batteva all’impazzata e un’imprecazione lanciata in direzione della macchina che si allontanava. La donna aveva guardato in basso, sbattendogli le palpebre come se non avesse capito quello che era appena successo.

“Miss Stanson!” un uomo era uscito dalla folla, posando una mano sulla spalla della donna.

Gloria aveva sobbalzato come se fosse stata colpita, allontanandosi mentre stingeva improvvisamente Jason per le spalle come se volesse difenderlo.

E oh. . . Jason conosceva quel genere di reazione. Ci aveva messo poco a mettersi tra la donna e l’uomo, come se fosse grande grosso e non il fuscello che era.

Si sarebbe pentito dopo della sua stupidità.

L’uomo lo aveva guardato confuso. “E tu chi saresti?”

“Suo nipote,” aveva mentito prontamente. “Che la sta accompagnando alla centrale di polizia,” si assicurò di precisare. “Quindi, se vuole scusarci.”

La comprensione improvvisa aveva fatto alzare le sopracciglia dell’uomo fino alla punta dei capelli.

“Calma,” aveva scostato il cappotto, rivelando un distintivo appeso alla cintura. “Sono uno dei buoni.”

“Si certo.”

E prima che l’agente potesse ribattere, aveva afferrato la mano di Gloria ed erano sfrecciati di nuovo tra la folla, zigzagando per le strade, fermandosi all’imboccatura di un vicolo solo quando era stato sicuro di aver seminato l’uomo.

“Bene, penso che siamo abbastanza lonta. . .”

La risata improvvisa di Gloria lo aveva fatto sussultare. Era una cosa stridula e senza gioia, uno di quelli che Jason aveva sentito in situazioni che non gli piaceva ricordare. Si era domandato se non avesse fatto una cazzata. Ma si era esaurita velocemente, lasciando un sorriso quasi troppo spensierato tirato sul viso consumato e dagli occhi arrossati che parlavano di notti passate a piangere.

Lei gli aveva teso una mano.

“Sono Gloria, piacere di conoscerti.”

Jason l’aveva scossa cautamente.

“Jay,” aveva fornito, non fidandosi di dare il suo nome completo a qualcuno che poteva chiamare i servizi sociali.

Ci aveva messo poco a capire che Gloria era una di quelle persone belle dentro e fuori. Aveva grandi occhi azzurri e capelli biondi che anche nei momenti più miserabili le ricadevano sulla fronte in un grazioso disordine, tutto coronato da quell’aria di leggera morbidezza, priva di quella scheggia dura che tutti avevano lì intorno.

Ma ovviamente Jason era Jason e non era sopravvissuto fidandosi delle persone a vista, quindi era comprensibilmente quasi scappato quando la donna glia aveva offerto un posto dove dormire. Ma Gloria era Gloria e aveva insistito che voleva solo ripagare la gentilezza di Jason.

Gloria era stata la prima persona a definirlo gentile dopo la morte di sua madre.

Si rannicchiavano entrambi sul piccolo letto gibboso al riparo dal tempo pazzo di Gotham, svegliandosi l’un l’altra nel cuore della notte per i loro rispettivi incubi. Jason aveva pensato che il presunto debito sarebbe stato pagato in un paio di giorni, una settimana se era fortunato e quella donna era davvero gentile come sembrava. Ma un paio di giorni divenne una settimana e poi due e Jason era ancora lì, lasciandosi abbracciare dopo un incubo e tenendo i capelli di Gloria quando vomitava anche l’anima, impedendole di scorticarsi la pelle quando si strofinava incessantemente per ripulire il sudiciume.

Non gli dispiaceva farlo, non quando era lei che gli accarezzava la schiena dopo un terrore notturno particolarmente brutto e gli disinfettava le nocche che si era sbucciato in un’altra rissa.

Rispetto a prendersi cura di un drogato era una passeggiata.

Aveva detto a tutti che Jason era suo nipote e tutti avevano fatto finta di crederle. Se fosse perché era riuscita a farsi volere bene da tutti in meno di una settimana o perché Jason teneva i loro figli lontano dai guai non lo sapeva, ma non si sarebbe lamentato del cavallo donato.

Ma nonostante tutto Jason pensava ancora che Gloria fosse semplicemente troppo buona e che presto avrebbe superato il suo benvenuto. La conferma sembrò arrivare un pomeriggio, quando Jason, dopo un furto particolarmente proficuo -il riccone a cui aveva preso il portafoglio non ne avrebbe sentito la mancanza e quello che Gloria non sapeva non gli avrebbe fatto male- era tornato al rifugio con i biscotti alla frutta preferiti della donna solo per trovare il letto rifatto e nessuna traccia di lei.

Era tardi, almeno per Gloria che non usciva mai a quell'ora per non trovarsi nei Narrows di notte. Jason ci impiegò poco per mettere insieme i punti e constatare che la donna se ne era semplicemente andata. Non era riuscito neanche a sentirsi arrabbiato per non essere stato avvisato.

Dopotutto Gloria non gli doveva nulla.

Aveva raccolto velocemente le cose che per un motivo o un altro aveva lasciato nella loro stanza ed era uscito senza una parola, portandosi dietro i biscotti con tutta l’intenzione di mangiarli quando la nausea avrebbe smesso di fargli venire voglia di vomitare.

Fu solo a sera inoltrata, quando si era ormai rassegnato al fatto che la sua schiena avrebbe sofferto di nuovo per il prossimo futuro che si ritrovò con Gill, uno dei ragazzi più grandi del rifugio, che lo afferrava per un braccio.

“Jay! Cazzo finalmente ti ho trovato!”

Si era scrollato la mano di dosso con uno strattone più duro del necessario. “Che cavolo vuoi?”

“Hai anche il coraggio di chiedermelo? Ti stiamo cercando tutti, tua zia sta per svenire dalla preoccupazione!”

Erano bastate quelle semplici parole per far andare il cervello di Jason in cortocircuito. Si era lasciato condurre per un braccio di nuovo al rifugio come in trance, senza osare dire all'altro che non era possibile, senza osare sperare che. . .

“Dove eri finito?!” aveva chiesto Gloria singhiozzando, trattenendo Jason in uno di quegli abbracci spezza ossa con cui lo stringeva dopo i suoi incubi peggiori, cullandolo come se fosse stato un bambino piccolo.

“M. . .mi dispiace,” ricordava di aver balbettato. “Ho incontrato alcuni vecchi amici e non mi sono reso conto dell'ora.”

A quanto pareva Gloria era andata dal dottore e non c'era da stupirsi se aveva fatto tardi, la clinica della Dottoressa Thompkins era sempre affollata. Si era preoccupata così tanto quando Jason non si era fatto vivo, ancora di più quando non aveva trovato nessuna delle sue cose al solito posto.

Jason aveva promesso di fare attenzione mentre tutti gli altri avevano sospirato sollevati, come se tutti fossero stati in pensiero per lui.

Se la camicetta di Gloria era umida nel punto in cui aveva premuto il viso di Jason non erano affari di nessuno.

Da quel giorno cominciò a non aspettare più l'ultimo momento possibile per andare al rifugio, passando il tempo con Gloria e tenendo i ragazzi più piccoli lontano dagli spacciatori sempre in cerca di nuovi corrieri o futuri clienti. C'era persino un’ex insegnante al rifugio, fuggita dal marito che l'aveva costretta a lasciare il lavoro, che faceva lezione ai figli delle altre ospiti e sembrava particolarmente contenta quando Jason dimostrò di poter stare al passo con gli altri e anche oltre nonostante avesse lasciato la scuola anni addietro.

A Jason era mancata così tanto la scuola.

Gloria intanto aveva messo a sua disposizione il suo repertorio di lingue imparate dai posti in cui aveva sfilato e potevano passare una giornata intera a borbottare in lingue diverse. Altri giorni invece erano dedicati all'etichetta. Non quella che qualsiasi bambino imparava normalmente, ma cose come quale posta scegliere in mezzo ad altre dodici, a tutti i modi diversi in cui la postura poteva cambiare il modo di camminare e il modo di parlare farlo sembrare una persona completamente diversa.

“Sii ciò che sembri,” gli aveva detto un giorno di fronte allo specchio. “Questo è l’inizio di uno scioglilingua che abbiamo letto l’altro giorno dentro Alice nel Paese delle Meraviglie, ricordi cosa significa?”

“Che se le persone ti vedono in un certo modo ci crederanno anche se probabilmente non è vero.”

“Precisamente,” aveva detto con un tono di voce acuto ed arioso, accompagnato da un'espressione dagli occhi vacui e un sorriso troppo largo che urlava oca svampita a chiunque non la conoscesse.

“Solo poche persone di solito vanno oltre l'immagine percepita alla prima impressione,” la sua espressione cambiò di nuovo, le palpebre leggermente abbassate e un sorriso più tenue e tagliente, cambiando l'aria attorno a lei in quella di un gatto altezzoso.

“Se sembri un playboy idiota non avrai neanche bisogno di essere davvero uno sciupafemmine per convincere gli altri. Una cicatrice sulla faccia e un cipiglio possono farti sembrare davvero minaccioso, un tono di voce più alto o più basso li convincerà che quello che hanno davanti è esattamente quello che credono che sia.”

All’epoca Jason credeva che quel genere di cose non avesse usi pratici, ma ogni volta che riusciva in qualsiasi cosa, anche la più insignificante, sul suo viso si apriva un enorme sorriso che sembrava brillare di luce propria, gli occhi ancora più azzurri illuminati da un orgoglio che Jason aveva visto solo su Catherine.

Jason avrebbe fatto di tutto per farla sorridere sempre in quel modo.

I giorni si susseguivano con una velocità allarmante e, nonostante la vita non fosse più facile di prima, era meno miserabile.

Meno solo.

Jason avrebbe dovuto sapere che non sarebbe durato.

Allora non lo sapeva, ma le cose sarebbero cominciate a precipitare il giorno in cui l’Agente Rias aveva visitato il rifugio.

Jason era tornato da una delle sue passeggiate. Aveva promesso a Gloria che non avrebbe più rubato, ma erano a Gotham e Jason non voleva contare sulla generosità del rifugio senza dare almeno qualcosa in cambio. Ma quando aveva visto la volante della polizia parcheggiata davanti all’edificio il suo stomaco si sentì come un unico, solido pezzo di pietra fredda e senza accorgersene si era messo a correre. Il cuore di Jason aveva battuto così forte da far male finché non aveva avvistato Rias davanti la porta della loro stanza.

Il sollievo di vedere l’uomo era durato poco però. Gloria era uscita poco dopo vestita con i suoi vestiti migliori, un tubino bianco che la faceva sembrare una specie di angelo, con la determinazione di qualcuno deciso a fare qualcosa di molto stupido.

“Menomale che sei rincasato presto,” aveva detto con un sorrisetto e un sopracciglio alzato che diceva che sapeva esattamente cosa aveva fatto. Ma Jason era stato troppo preoccupato anche solo per sembrare adeguatamente imbarazzato. Gloria non sembrava affatto turbata, doveva solo andare in centrale a rispondere ad alcune domande e sarebbe tornata giusto in tempo per il pranzo.

L’ultima volta che Jason aveva sentito una cosa del genere aveva visto Willis ammanettato e portato via, nessuno poteva incolparlo per essersi aggrappato al braccio di Gloria con la tenacia di una trappola per orsi.

Gloria lo aveva guardato, sbattendogli le palpebre sorpresa. Era raro che Jason fosse il primo a toccare chiunque, persino lei. Jason voleva dirle che non poteva andare da sola, che non tutti i poliziotti erano come Rias che. . .

Qualcosa nella sua espressione doveva essere stato davvero brutto perché lei si era piegata alla sua altezza prendendoli il viso tra le mani. Jason non avrebbe mai dimenticato come si sentivano sul suo viso: esili e leggere, ma non troppo magre come quando era arrivata la prima volta.

Qualsiasi cosa le avesse dato la Dott. Thompkins aveva funzionato alla grande perché Gloria aveva smesso di vomitare alla mattina e alla sera, mettendo su un po’ di peso. Quella visione lei, sana, serena e felice lo aveva ancorato a terra come niente prima di quel momento.

Giusto, ricordava di aver pensato allora. Gloria non è Catherine.

La donna gli aveva spiegato pazientemente che l'uomo che le aveva fatto del male non sarebbe stato punito per quello che le aveva fatto, ma Gloria poteva aiutare a farlo estradare e finire dentro per droga.

La prima reazione di Jason era stata quella di essere arrabbiato. Non serviva l’immunità diplomatica se avevi troppi soldi da spendere a Gotham. Quel bastardo se la sarebbe cavata con uno schiaffo sulle mani, tornando a fare quello che faceva prima.

Non era fottutamente giusto.

“Non preoccuparti ragazzo, la scorterò personalmente,” Rias gli aveva scompigliato i capelli con un sorriso incoraggiante. “E prima lo farà e prima potrà ritornarsene a casa.”

Oh

Casa sua.

Giusto. Gloria aveva una vita fori dai Narrows, una casa, una famiglia ed amici dai cui sarebbe ritornata, scrollandosi di dosso la polvere di quel posto come i resti di un brutto sogno.

Una vita senza Jason.

Riuscì ad annuire ubbidientemente mentre Gloria gli raccomandava di non mettersi nei guai mentre lui sentiva il pavimento mancargli da sotto i piedi. Era uscito di nuovo non appena la volante era sparita dalla strada. Non sapeva quando Gloria se ne sarebbe andata, doveva controllare che i suoi posti per dormire non fossero occupati da qualcun altro, iniziare a racimolare roba da mangiare non deperibile. Ormai non era una questione di sé, ma di quando.

Ricominciò a tornare al rifugio sempre più tardi, ignorando la brutta sensazione alla bocca dello stomaco e quel peso al petto che gli impediva di respirare, come se avesse di nuovo un attacco d'asma in pieno dicembre. Gloria non faceva molte domande al riguardo, lei stessa era troppo impegnata in qualsiasi cosa che la tenesse fuori tutto il giorno, ogni volta che tornava sembrava un po’ più felice.

Probabilmente sistemando le cose per ritornare a casa sua, aveva pensato amaramente.

Poi era arrivato quel giorno.

Ere sembrato un pomeriggio come tutti gli altri, aveva lasciato che Gloria gli sistemasse i capelli, ormai sapeva meglio che contraddirla su quel fronte, e lo aveva salutato con un bacio sulla fronte come faceva sempre, raccomandandogli di non mettersi nei guai come se Jason stesse semplicemente uscendo con degli amici.

“Non fare tardi stasera,” gli aveva detto. “Hai una sorpresa che ti aspetta.”

Jason aveva annuito distrattamente, troppo occupato a ripassare mentalmente tutti i posti che aveva da controllare.

Se solo lo avesse saputo.

Quel giorno era stato particolarmente fruttuoso. Aveva lo zaino pesante di snack e una collana in una mano. Era un pezzo di paccottiglia che aveva comprato su una bancarella -con soldi rubati ma lo aveva ancora comprato- tre fili di perle finte abbastanza realistiche da non sembrare un giocattolo. Sapeva che era improbabile che Gloria la indossasse, ma lei era quel genere di persona che apprezzava il gesto e chissà, magari tra qualche anno avrebbe guardato quella cosa insignificante e avrebbe ricordato che non tutto di quel periodo era orribile.

Era stato così stupido.

L'ambulanza aveva le porte spalancate quando era arrivato al rifugio, i paramedici stavano estraendo una barella con un sacco da obitorio

Jason non ricordava di essersi bloccato.

Sua madre era dimagrita così tanto che ci era voluta una sola persona per sollevarla e metterla sulla barella.

Jason non ricordava di aver corso.

La zip del sacco nero si era chiusa senza tante cerimonie con un suono assordante.

Jason non ricordava di aver chiamato Gloria con i polmoni in fiamme.

Non aveva alzato lo sguardo quando uno dei paramedici gli aveva messo una mano sulla spalla e chiesto se aveva qualcuno con cui poteva stare.

Non ricordava che Gill lo avesse chiamato né che lo avesse afferrato per un braccio.

“Jay! Jay aspetta! Non entrare!”

Non ricordava di averlo quasi spinto a terra per liberarsi.

Ricordava lo snap della collana che si spezzava, le perle che cadevano con un ticchettio sordo sul pavimento.

Ricordava che una era rotolata vicino al piede ancora penzolate di Gloria.

Ricordava di aver alzato lentamente lo sguardo, percorrendo la linea snella della schiena della donna fino ai capelli, troppo corti per nascondere il nodo della corda con cui si era impiccata.

Non ricordava di essere svenuto.

§

Era un funerale riservato, solo per la famiglia ed alcuni amici stretti. La morte di Gloria era diventata il caso dell'anno e come qualsiasi pettegolezzo avrebbe smesso di fare notizia, ma per il momento erano state prese tutte le precauzioni per evitare che la stampa e qualsiasi altro avvoltoio volesse avventarsi sulla proverbiale carcassa. Questo non gli aveva impedito di avvicinarsi il più possibile. Il dannato tempo di Gotham sembrava essersi scatenato solo per l'occasione e la giacca a vento di Jason era troppo consumata per fornire davvero riparo dalla pioggia, ma non gli importava. Si sentiva così intorpidito che l'acqua che scrosciava incessantemente sembrava solo una pressione insensibile. Le persone del rifugio avevano raccolto quello che potevano per mandare una corona di fiori. Era patetica a confronto a quella fatta dall'agenzia funeraria, ma era stata messa cerimoniosamente sulla bara assieme alle rose degli amici di Gloria. Jason non riusciva a sentirsi grato per questo, non riusciva a sentirsi grato per nulla, perché non doveva essere così. Ci sarebbe dovuto essere il sole, per quanto tiepido potesse essere a Gotham, ci sarebbero dovute essere più persone a piangere Gloria, si meritava almeno il doppio dei fiori, la bara avrebbe dovuto essere bianca perché era il suo colore preferito, avrebbe. . .

Non avrebbe dovuto essere morta.

Quando cominciarono a calare la bara nella fossa, un brutto, aspro singhiozzo gli scosse il petto, seguito da un altro e da un altro ancora. Si accovacciò sull'erba bagnata tenendosi le ginocchia al petto, affondando il viso nel cerchio delle sue braccia, con le unghie che scavano nella pelle per impedirsi di correre lì e di gridare a quegli idioti di tirarla fuori da quella fossa perché non era possibile che fosse morta.

L'aveva vista solo un paio di giorni prima, viva e sorridente.

Lo aveva salutato con un bacio sulla fronte.

Aveva promesso a Jason una sorpresa al suo ritorno.

Non poteva essere morta.

Jason non aveva la forza di preoccuparsi di chiunque potesse sentirlo quando urlò.

Quando le urla e le lacrime si esaurirono aveva smesso di piovere e il funerale era finito da tempo. Jason si alzò, le gambe irrigidite dal freddo e i segni sanguinanti delle unghie sui palmi delle mani e barcollò verso il rifugio. Il vento freddo gli pizzicava la pelle bagnata e le gambe non volevano muoversi correttamente, ma Jason era troppo testardo per fermarsi a morire di freddo.

Arrivò al rifugio all’ora di pranzo, sentiva il tramestio nella mensa, il chiacchiericcio sommesso e l’odore di cibo. Jason fissò con rabbia la scheggia di luce lasciata dalla porta aperta nel corridoio vuoto. Se la sua gola non fosse stata così gonfia avrebbe urlato di nuovo. Come potevano stare lì a mangiare come se niente fosse? Perché non si erano accertati dell’identità del bastardo quando aveva chiamato? Dove erano quando Gloria aveva appeso quella corda? Dove erano tutti gli amici e i parenti che si disperavano al funerale quando l’unico posto in cui si sentiva al sicuro era un rifugio nel fottuto Park Row? Tutti quei giornalisti che avevano scritto articoli commoventi e drammatici solo quando era un corpo freddo in una bara?

Dove cazzo era Jason?

Si passò le mani sul viso, respirando a fondo e dolorosamente attraverso la gola irritata, cercando di calmarsi. Non voleva fare una scenata, erano stati tutti molto tolleranti con le sue stronzate e non voleva farsi cacciare prima di aver recuperato le sue cose.

Alla fine il mondo continuava a girare, l’inverno sarebbe arrivato e Jason non poteva permettersi di perdere niente.

Camminò in punta di piedi nella loro stanza, ricordandosi troppo tardi che non c’era nessuno che avrebbe rischiato di svegliare. Ingoiò quello che prometteva di essere un altro attacco di pianto e aprì le ante dell’armadio alla ricerca del suo zaino.

Tutte le cose di Gloria erano state restituite alla sua famiglia, eppure c'era ancora qualcosa in fondo al mobile, nascosto vicino al suo zaino, sotto una coperta che Jason aveva tutte le intenzioni di portarsi via.

Gli dispiaceva rubare al rifugio, ma gli sarebbe dispiaciuto di più quando avrebbe avuto le palle congelate lì fuori.

Giusto, solo praticità e nulla a che fare con il fatto che quella fosse la coperta in cui lui e Gloria si rannicchiavano per leggere.

“E questo cosa dovrebbe significare?” borbottò a nessuno in particolare mentre rivelava due scatole sotto la coperta, lo stemma di un negozio costoso e un biglietto con su scritto X Jay in cima a tutto. Lo aprì, leggendo la scrittura chiara e svolazzante Gloria che diceva: Spero di aver indovinato la taglia e il colore.

Era forse quella la sorpresa?

Sentì una fossa nello stomaco allargarsi solo al pensiero, la mezza idea di lasciarlo lì che si formava lentamente. Ma Jason era troppo curioso e, prima che se ne rendesse conto, stava già aprendo la scatola più grande a forma di cubo. Era uno zaino, uno di quelli di vera, morbida pelle beige con le cinghie d’ottone con abbastanza spazio da mettere tutto quello che un esploratore dei libri di avventura avrebbe potuto aver bisogno. Nella seconda scatola, piatta e rettangolare, c'era un compleo di tutte le cose. Era uno di quei completi con camicia e cravatta che Jason ricordava di aver indossato per andare a messa la domenica, quando era più piccolo e Catherine non aveva ancora irrimediabilmente perso la fiducia in qualsiasi cosa non fosse una siringa. Tranne che quello che aveva davanti sembrava anche più costoso dello zaino, tinto di quel color ottanio che si abbinava bene agli occhi di Jason, troppo blu sul bordo dell’iride per essere verde e troppo verde attorno alla pupilla per essere blu.

Jason fece un respiro profondo, poi due e tre, ma l’aria non voleva saperne di entrare. Prese la scatola con tutto il vestito, pronto a gettarla lontano per puro dispetto.

A cosa servivano ora?!

Che senso aveva comprargli cose del genere se doveva andarsene?!

Che senso aveva uccidersi?!

Ma improvvisamente qualcosa nascosto sotto la giacca scivolò via, aprendosi per terra con un fruscio di carte. Era un pesante fascicolo di documenti. Jason si abbassò per raccoglierli, la curiosità che lo distraeva momentaneamente.

“Mi stai prendendo in giro,” quasi soffocò quando si rese conto che cosa erano. Il certificato di nascita, schede mediche, la storia di Jason con i servizi sociali, domande e ingiunzioni del tribunale e un certificato d’adozione in attesa di essere approvato.

C’era anche una lettera.



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*Sbuca dalle ombre in cui si era ritirata anni fa, sibilando alla luce del sole*
Salve a tutti, se ai pochi fan che seguono ancora EFP leggono anche AO3 c'è la possibilità che sappiano già che questo tipo di AU è abbastanza comune e di solito vede l'ordine di adozione e le rispettive sotrie dei Robin nell'ordine inverso o comunque diverso da quello canonico, in questa in particolare vedermo i Robin -Damian escluso per ovvi motivi- già adulti mentre Bruce sarà il piccoletto dlela situazione.
Se vi sembra di aver già letto questa storia è perchè ho iniziato ha pubblicarla nel mio inglese stentato su AO3, quindi non preoccupatevi e fatemi sapere cosa ne pensate!
   
 
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