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Autore: effe_95    14/12/2023    1 recensioni
[Questa raccolta partecipa al Writober2022 indetto da Fanwriter.it ]
***
31 racconti diversi, ambientati in 31 universi alternativi.
Universi in cui Tooru e Wakatoshi si incontreranno - anche in forme e generi diversi - dimostrando che l'amore, se predestinato, sceglie sempre le stesse persone, non importa quanto diverse esse appaiono.
[ Ushijima x Oikawa ]
***
28. Band
-
«Ehi Tooru, aspetta!». La voce di Tobio lo inseguì, ma lui stava correndo via.
Correva davvero, con i polmoni in fiamme. Sentiva dentro una strana tempesta.
Aveva quasi raggiunto l'altro lato della strada, quando sentì il foulard che aveva messo attorno al collo scivolare sulla pelle. Lo toccò automaticamente, sentendolo sfuggire dalle dita. A quel punto si voltò di scatto e Wakatoshi era dietro di lui, con l'affanno a sua volta, e il suo foulard stretto nel pugno della mano piena di anelli.
«Tooru» lo chiamò per la prima volta con una voce profonda e monocorde, facendo muovere quella tempesta dentro di lui come un mare agitato «ti prego, diventa il cantante della mia band!».
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Gender Bender, Mpreg, Tematiche delicate
Capitoli:
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“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Band

N° parole: 11.444

Note: sono tornata! (non so quanto questo sia un bene). Lo so, ci ho messo davvero una vita per decidermi a scrivere questo prompt. Però vediamo almeno il lato positivo, non essendo una long, ma una raccolta di one-shot, nessuno è rimasto in sospeso! *come arrampicarsi sugli specchi con arte*.
La seguente storia, come avevo già anticipato sulla pagina Instagram (effe9_5), è ispirata (oppure un omaggio, come preferite) all’opera manga/anime Nana di Ai Yazawa. Per chi non lo sapesse, adoro lei e tutte le sue opere. Con un prompt come questo non potevo che cogliere la palla al balzo.
All’inizio avevo un’idea diversa per questa one-shot, lo ammetto. Un’idea che ho dovuto cambiare in corso d’opera, perché altrimenti il racconto sarebbe stato davvero troppo lungo e due parti non sarebbero bastate (e non volevo andare oltre quelle). Così ho eliminato dei personaggi, delle interazioni e mi sono limitata allo stretto necessario. Ci sono rimasta male, ma pazienza. Avrò altre occasioni.
Per chi ha letto Nana, o ha visto l’anime, sarà facile riconoscere delle scene, le battute, alcuni elementi, le atmosfere.
Tutto ciò che è diverso rispetto all’opera originale è voluto per motivi di trama. Ultima cosa, ma non meno importante.
La canzone riportata nella one-shot: Promise, di Laufey. È cantata da una donna nella sua versione originale, ma nella storia la prestiamo a Tooru, che è un uomo.
Vi metto qui il link di una cover bellissima che a mio avviso può rendere benissimo come ho immaginato una versione cantata da lui:
https://www.youtube.com/watch?v=2KADPjQuOZk
Detto questo, buona lettura ^^

 

 
 
Red Roses
 
 
 
It hurts to be something
It's worse to be nothing with you
 
 
 
 
~ Presente ~
 
 
Tooru non avrebbe dovuto accettare di accompagnare Shouyou a quel concerto.
Quando il gamberetto si era presentato da lui con gli occhi brillanti di gioia, implorando che lo accompagnasse in quella che aveva definito: “una bellissima avventura tra coinquilini”, sapeva che la sua incapacità di dire no avrebbe portato a quella terribile sensazione che provava nel petto proprio in quel momento. La sensazione di voler scappare da quello che sarebbe venuto, dai propri pensieri, o dai propri sentimenti.
O peggio ancora, dai ricordi che aveva disperatamente tentato di soffocare da qualche parte dentro la sua testa. E tentava di non pensare a tutto quello mentre era seduto al tavolo imbandito di quella famiglia felice, ospite per la notte.
Il concerto dei Golden Eagle - la band del momento per cui l'amico impazziva -, si sarebbe tenuto proprio nella sua città natale, motivo per cui Tooru era stato trascinato fin lì dopo un lungo viaggio in treno. Era un ambiente piacevole, doveva ammetterlo.
 Nulla che lui - abbandonato dalla madre quando era solo un bambino di pochi anni - avesse mai avuto. Una famiglia qualsiasi, con pregi e difetti, composta da un padre, una madre e una sorella minore. Una di quelle da pubblicità o telefilm, in cui si dimostrava il proprio affetto prendendosi in giro e facendo sentire gli ospiti bene accetti con risate e gesti gentili. E tra quelle risate e quell'affetto poteva quasi fingere di sentirsi parte integrante di quel momento, di sentirsi parte di qualcuno.
Poteva sempre sorridere e far finta che da qualche parte poco distante, tra le luci di una città che non conosceva, non ci fosse la persona che aveva più amato e odiato nella sua breve e intensa vita. E che la sola idea di rivederla lo terrorizzasse più di qualsiasi cosa lo avesse mai terrorizzato prima di allora.
 
Tooru aveva conosciuto Shouyou su un treno, durante una bufera di neve che aveva interrotto il circolo del convoglio per delle ore.
Scappavano entrambi dal passato, quella buia sera di tempesta, soli e stanchi.
Erano diventati amici in quel momento, senza saperlo. Poi si erano ritrovati a condividere un appartamento, la propria vita, e alla fine se ne erano finalmente resi conto.
Tooru avrebbe mentito se non avesse ammesso che Shouyou era stato come un faro nel mare in tempesta della sua vita.
Aveva rinunciato alla musica - la sua unica ragione di esistere, l'unico talento ricevuto -, quando era partito lasciando indietro i suoi amici, i membri della sua vecchia band. Rompendo promesse fatte e rinunciando a desideri di rivalsa.
Era partito solo con sé stesso e l'idea di fare tutto senza di loro.
Poi gli altri lo avevano seguito, e Shouyou aveva fatto da collante tra loro. 
Tooru era tornato a cantare. E la vita non era poi così male, dopotutto, da quando quel gamberetto ne era entrato a far parte.
 
«Ho sistemato i futon »
Tooru smise di osservare distrattamente la neve che cadeva lenta fuori dalla finestra della camera di Shouyou. L'amico che se ne stava in attesa sul pavimento, di fronte ai loro letti sistemati con cura e pronti per essere usati. Indossava già il suo pigiama a quadretti arancione e lo osservava nervoso.
Era da tutta la sera che lo era. O meglio, da quando erano partiti da Tokyo quella mattina.
«Grazie» Rispose semplicemente, toccando con una mano la stoffa morbida.
Nel loro appartamento sgangherato dormiva su un materasso senza testiera del letto, perché troppo pigro per ordinarne una.
Qualche secondo di silenzio di troppo, poi: «Mi dispiace tanto, Tooru» Shouyou si morse il labbro inferiore, spuntando fuori parole che forse teneva dentro già da un po’ di giorni «Ti ho costretto a venire al concerto nonostante tu …» E poi si interruppe di nuovo, arrossendo. Tooru - che non si era aspettato proprio quelle parole -, non rimase nemmeno troppo sorpreso. Aveva percepito qualcosa di strano in lui.
Si stava solo domandando quando avrebbe sputato il rospo, e quale fosse la causa.
Ora che lo sapeva, si rendeva conto che essendo ormai alla vigilia del concerto Shouyou non aveva più resistito.
«Hajime te lo ha detto» Indovinò. Non era arrabbiato. Non era nemmeno deluso.
Era invece piuttosto certo di non essere stato un buon amico per non aver detto niente prima. Ma tutto sommato non avrebbe saputo come, senza sembrare un grande bugiardo o una persona un po’ folle. E poi doveva aspettarselo, era da giorni che Hajime lo minacciava con frasi simili. Shouyou abbassò lo sguardo e lui sospirò.
«Sto bene, Shouyou. Davvero» Allungò una mano per toccare quella dell'altro in un gesto rassicurante, ma Shouyou scattò in una delle sue improvvise invettive.
«Ma ti ho costretto! Insomma, ancora faccio fatica a credere che tu - Se avessi saputo che avevi una storia con - Starai ancora soffrendo, e io ti ho praticamente obbligato a venire qui per il suo concerto. E così domani sarai obbligato a -».
«A vedere Wakatoshi, si».
Tooru lo interruppe, sorridendo leggermente di fronte alla percepibile difficoltà che aveva l'amico nel pronunciare il nome di uno dei membri della band più famosa del paese. 
Shouyou tacque, fissandolo con dolore. Si mordeva le labbra, e aveva gli occhi lucidi e le sopracciglia aggrottate, i pugni delle mani appoggiati con fare teso sul futon.
Tooru poteva capire quella reazione. Chissà che cosa gli aveva raccontato Hajime.
Una storia strappalacrime, probabilmente. E di lacrime, in effetti, ne aveva versate molte, non voleva fingere che non fosse così. Ma non voleva che Shouyou percepisse il suo terrore o il suo dolore, né che si sentisse in colpa quando non avrebbe dovuto.
«Ma va tutto bene, Shouyou. Non avrei accettato di venire altrimenti».
Riuscì a toccargli la mano quella volta, un buffetto affettuoso sul dorso.
Shouyou non cambiò espressione.
«Perché non me l'hai detto prima?».
Tooru ci mise qualche minuto per rispondere a quella domanda che, ormai, si era aspettato di ricevere. Avrebbe potuto dire che non sapeva come spiegargli di aver avuto una storia d'amore durata due anni con il chitarrista più famoso del loro paese.
Che non sapeva come spiegargli di conoscere anche gli altri componenti del gruppo, perché erano cresciuti insieme. Di avere dei trascorsi con loro. Oppure avrebbe potuto semplicemente dire di non averci pensato, e di volerlo tenere per sé.
«Perché è passato» Disse invece. Perché è tutto finito. Come un sogno.
Shouyou non parlò per un po’. Tooru poteva capire come si sentisse in quel momento. Non aveva fatto altro che blaterare dei Golden Eagle e del suo amore per Atsumu - il bassista del gruppo - fin dal primo momento in cui si erano conosciuti, su quel treno bloccato dalla neve sui binari. Anche in quel momento, se guardava la sua camera da bambino, quella band era ovunque, come nel loro appartamento.
Poster di vecchi dischi, CD, figurine, pagine di giornali. Atsumu, Satori, Tetsurou e Wakatoshi - i Golden Eagle - erano dappertutto. Come sui cartelloni lungo le strade, o nelle gallerie d'attesa della metro.
Tooru avrebbe dovuto spiegargli che ci era abituato, e che Wakatoshi non era mai davvero uscito dalla sua vita, poiché incrociava i suoi occhi un po’ dappertutto.
E che non gli aveva fatto del male con quel suo continuo parlarne, perché era abituato anche a quello. Alla distanza.
«Ma comunque …» Brontolò Shouyou. Tooru sorrise, sospirando.
Poi si infilò nel suo futon caldo, sotto lo sguardo sorpreso dell'altro, e gli fece cenno di accomodarsi accanto a lui. Si sentiva rilassato e stranamente sereno.
«Stenditi accanto a me Shouyou. Vuoi che ti racconti la nostra storia?» L'altro si sistemò di fretta sotto le coperte e annuì con convinzione, gli occhi grandi e sgranati.
Tooru sorrise di nuovo. Gli era venuto spontaneo proporre una cosa simile, raccontare quella storia come se fosse una favola della buona notte, mentre erano viso a viso in quella sera nevosa che moriva lentamente con la luce intensa della luna.
Strinse la mano di Shouyou nella sua e parlò.
 
Gli risultò facile, come se stesse scrivendo la canzone di qualcun'altro.

 
***
 

~ Quattro anni prima ~
 
Tooru era appena stato espulso da scuola. Al suo terzo e ultimo anno, prima del diploma. La cosa in realtà non lo aveva turbato tanto. Non facevano altro che giudicarlo a causa del suo aspetto da sempre, sarebbe stata solo questione di tempo prima che trovassero una scusa per cacciarlo, vera o falsa che fosse. Sapevano tutti che era attratto dagli uomini, non lo aveva nascosto, perché avrebbe dovuto?
Voleva essere sé stesso, senza nascondersi, poco importava cosa pensassero gli altri.
Voleva amare un uomo, mettere lo smalto nero, avere dei piercing e dei tatuaggi, cantare e truccarsi gli occhi, erano cose che gli piacevano, per cui non doveva dar conto a nessuno di chi voleva essere e come. Ma quel suo modo di fare era certamente stato il pretesto per cacciare lui e quel professore di matematica pervertito che metteva le mani addosso alle sue studentesse. Solo perché erano usciti insieme dal bagno degli uomini un pomeriggio, Tooru era stato accusato di aver avuto una relazione di natura sessuale con lui, ed ecco fatto, fuori entrambi senza pensarci due volte.
Poco importava sentire la sua versione dei fatti o accertarsi che il tutto fosse vero - cosa che non era, perché quel porco schifoso non avrebbe mai messo le mani addosso ad un uomo, né Tooru lo avrebbe mai permesso.
Ma ad ogni modo la scuola gli stava stretta, la odiava. E sua nonna comunque non avrebbe detto niente, era severa con lui, ma non le importava di certe cose.
Va a lavorare e porta i soldi a casa! gli avrebbe detto una cosa simile, tutt'al più.
Non si guardò nemmeno indietro mentre andava via fischiettando una melodia, la cartella sulla spalla.
«Tooru! Ehi, aspetta!»
Una mano pesante e grande gli strinse la spalla con forza, arrestando i suoi passi.
Aveva riconosciuto la voce di Tobio ancora prima di voltarsi e trovarselo lì piegato in due con l'affanno, la mano libera sul ginocchio.
«Te ne vai così? Senza salutare e accettando questa terribile ingiustizia?!».
Tooru fece un sospiro e si voltò.
«È proprio per questo motivo che non ti ho salutato. Perché avresti fatto la lagna».
Tobio mise subito il broncio, era bravo in quello.
Sapeva aggrottare benissimo le sopracciglia e sembrare minaccioso.
Non erano proprio amici, ma quasi.
Tooru era stato gentile con lui una volta, quando lo aveva beccato ad esercitarsi con la chitarra sul tetto della scuola - dove era proibito andare - e gli aveva dato dei consigli musicali, e aveva cantato per lui una canzone. Da quel momento, Tobio lo aveva seguito un po’ dappertutto come un cagnolino molesto.
Aveva un grande talento con la chitarra e con le dita, sarebbe andato lontano, ma Tooru era troppo orgoglioso e invidioso per dirglielo, motivo per cui un po’ lo teneva a distanza. Non funzionava mai con Tobio, era talmente stupido da non comprendere come funzionassero certe interazioni sociali.
Ma per natura, Tooru stava sempre un po’ alla larga da tutti.
Era stato abbandonato da bambino, e anche se non ricordava niente, doveva comunque essere stato un trauma. E quel trauma doveva aver avuto un impatto su di lui, che fosse riuscito a vederne i risultati o meno. La poca comprensione che avevano gli altri nei suoi confronti, o la mancanza di fiducia da parte sua, doveva nascere da lì.
«Non mi sto lagnando! Trovo solo che non sia giusto tu sia stato accusato di una cosa che non hai assolutamente fatto!».
«E chi te lo dice?» Lo provocò immediatamente, cogliendo la palla al balzo.
Tobio lo guardò con occhi da pesce lesso.
«Mi hai detto che sei vergine. E che non hai mai fatto niente di simile prima. E poi so che non faresti mai una cosa del genere».
«Ti ho detto troppe cose di me» Sbuffò, riprendendo a camminare come se nulla fosse. Tobio gli stette subito dietro.
«Tooru, dai. Non puoi accettarlo!».
«Tobio, frena. Non me ne frega niente. E non fregherà nemmeno a mia nonna, tranquillo. Mi metterò a lavorare». Si fermò di nuovo e guardò l'amico - nemico.
Non voleva la morale, né il discorso su quanto fosse ingiusto quello che gli stava capitando. Inoltre, intendeva ogni parola. Tobio fece di nuovo il broncio.
«Non ci vedremo più». Ah, ecco il punto.
Tooru fece un altro sospiro e un altro sorrisetto. Gli diede un buffetto sulla guancia.
«Ci vedremo, tranquillo. Verrò a casa tua».
«No, aspetta. Vediamoci già stasera!». Tobio lo afferrò di nuovo per la spalla.
Tooru cominciava a trovarlo fastidioso, oltre che estremamente doloroso.
«Senti già la mia mancanza, moccioso?». La voce gli uscì un po’ forzata, come la stretta che ci mise per allontanare la mano dell'altro dal suo braccio.
Tobio scosse la testa con frustrazione, come se non avesse colto la velata presa in giro - mista ad irritazione - nelle sue parole.
«No. Ma stasera suona lui! Devi assolutamente venire a sentirlo!».
Tooru sollevò un sopracciglio, nervoso.
«Lui chi? » Sbottò, senza più nascondere la sua irritazione nei confronti dell'altro.
«Il chitarrista migliore di sempre. Suona nei magazzini del porto, ci viene un botto di gente! È un mio amico, ti piacerà, vedrai!». Tobio sembrava entusiasta. Tooru lo guardò con sospetto, era stato vago, ma non aveva motivo di preoccuparsi più di tanto, lo sapeva. Tobio sapeva spiegare le cose come un bambino delle materne, ovvero male.
«Va bene, va bene. Vengo. Se è l'unico modo che ho per farti stare buono!».
Lo accontentò, per nulla contento.
Tobio gridò: «Si!», con tanto di pugno della vittoria. Tooru alzò gli occhi al cielo.
«Ti vengo a prendere io!». Gli gridò dietro il minore, mentre lui prendeva di nuovo a camminare per allontanarsi. Tooru gli fece il segno del pollice senza nemmeno guardarlo.
 
Non aveva idea di quanto quell'invito avrebbe cambiato per sempre la sua vita.


 

 
***
 

I magazzini del porto li conoscevano tutti.
Era una zona particolare - ci facevano anche il mercato -, e Tooru non c'era mai stato di notte. Era tutto illuminato a giorno e soprattutto pieno di vita. Tooru guardò Tobio mentre entravano in un magazzino in particolare, affollato di giovani che bevevano e chiacchieravano allegramente appoggiati a dei barili di latta convertiti in tavolini.
«Come conosci un posto del genere?».
Era una cosa troppo sospetta se veniva da quell'ingenuotto di Tobiuccio.
Tooru temeva frequentasse gente pericolosa.
«Lo conosco tramite Hajime».
«Hajime?».
«Si, quello con cui sto formando la band!».
«Ah si, si …». Tooru liquidò in fretta la questione.
Tobio aveva quell’idea malsana da qualche settimana e pareva aver trovato un folle batterista - Tooru conosceva Hajime di vista, ci aveva scambiato giusto due parole - che lo assecondasse in quella follia, ma non voleva essere coinvolto, per cui tacque a riguardo.
Il magazzino dentro era … particolare.
Non aveva altro che pilastri di cemento, un ring da pugilato al centro - a cui erano state tolte le delimitazioni - come palcoscenico, e una sorta di bar improvvisato a cui Tooru non avrebbe mai attinto niente.
«È stato Hajime a presentarmi Wakatoshi. Devi sentirlo Tooru, è un genio».
Smettendo di guardarsi attorno con aria incuriosita, Tooru si concentrò sull'amico.
Sembrava euforico, ed era un'emozione strana per un tipo di carattere come quello di Tobio. Lui, d'altro canto, era scettico a riguardo. L'unico genio che conosceva era essenzialmente se stesso e, forse, Tobio.
«Cosa avrebbe di così speciale?».
Si fermarono nei pressi di una colonna portante, quasi sotto il palco improvvisato.
La gente aumentava gradualmente, il posto diventava caldo e affollato, i rumori molesti, con la musica di sottofondo caotica.
Tooru - che non era mai davvero stato in un posto simile perché sua nonna, donna estremamente severa su alcuni aspetti, non voleva - cominciava a provare disagio insieme al pizzico di trasgressione provata.
«Devi sentire per capirlo». Tobio, come al solito molto esaustivo, guardava il palco tutto accigliato. Tooru avrebbe voluto tirargli uno scappellotto dietro la nuca, ma si trattenne.
«Puoi dirmi altro su questo Wakatoshi?».
Dato che mi sono preso la briga di venire fin qui, litigando furiosamente con mia nonna …
«È stato abbandonato appena nato. Lo hanno gettato nei cassonetti del porto».
Tooru si girò di scatto e guardò Tobio, che parlava con serenità, braccia conserte mentre continuava ad osservare il palco.
Una cosa in comune, più o meno, fu il pensiero che gli attraversò la mente, consapevole che quel tizio gli sembrava improvvisamente molto interessante.
«Lo hanno trovato i pescatori, la gente di qui, insomma, e lo hanno cresciuto. Fin da neonato ha vissuto qui. La sua casa è uno di questi magazzini abbandonati, sai?».
Tooru si guardò di nuovo intorno, pensando che tutto sommato dovesse essere figo vivere in un posto del genere tutto da solo.
Aveva solo diciassette anni, ma nella sua situazione non faceva alcuna differenza.
«E la musica?». Chiese, tornando a fissare Tobio con una certa intensità.
«Uno dei pescatori che lo hanno cresciuto trovò una vecchia chitarra un po’ rotta e gliela diede. Wakatoshi ha imparato a suonarla senza aiuti, da solo. La riparò con i soldi di alcuni lavoretti … è un genio, te l'ho detto!». Insistette Tobio. Tooru rimase per qualche secondo a riflettere. Quel tipo era un po’ come lui, sicuramente.
Anche lui abbandonato da genitori che non lo volevano, con un talento innato per la musica. Tooru avrebbe dovuto provare affinità emotiva, ma non era quello il sentimento che gli stava nascendo dentro.
Mentre se ne stava distratto, cercando di comprendere perché provasse tanta rabbia, non si accorse di come tutto si fosse fatto improvvisamente silenzioso.
Poi, inaspettatamente, il riff di una chitarra.
Tooru sentì un brivido lungo tutta la spina dorsale e sollevò la testa di scatto, puntando gli occhi sul palcoscenico.
Erano solo tre persone, che stavano facendo musica prevalentemente strumentale, ma i suoi occhi lo trovarono senza bisogno di domandare niente a Tobio.
Era come una stella cometa in un cielo di stelle comuni.
La giacca di pelle sul petto nudo, con gli addominali scolpiti pieni di giochi d'ombra creati dalle luci, jeans stracciati. Un volto bellissimo e pieno di piercing.
Era magnetico. Tooru non aveva mai trovato un uomo tanto bello prima di allora, e non aveva mai provato nemmeno tanta rabbia nello stesso momento in cui si rendeva conto di essere incredibilmente attratto da lui e dalla sua musica. Da tutto quello che era.
Senza rendersene conto aggrottò le sopracciglia mentre Wakatoshi si voltava lentamente, facendo un cenno con la mano al pubblico.
Aveva gli occhi bassi e non sorrideva, ma quando si voltò e li aprì, taglienti e di un colore indecifrabile, Tooru sentì una trazione nella bocca dello stomaco.
Si guardarono. Furono pochi secondi.
Ma si guardarono.
E per Tooru nulla fu più lo stesso.
 
La sera del giorno in cui fu espulso da scuola, vestito come mai prima d'ora, ed emozionato per quell'avventura trasgressiva, conobbe Wakatoshi.
 
Fuori nevicava.

 
***
 

Tooru trovò lavoro in un negozio di musica.
Un posto che amava, in un ambiente che amava.
E i mesi successivi trascorsero in quel modo, lavoro, casa e ogni tanto Tobio.
La scuola non gli mancava mai, anche se con la nonna le cose non andavano bene, perché a differenza di quanto aveva pensato, se l'era presa davvero a male per la questione dell'espulsione. O meglio, il motivo. Da parte sua, Tooru non aveva mai smentito niente, lasciando che le cose tra loro restassero in cattivi termini.
Era proprio a lavoro, in un momento morto di una calda giornata estiva, con le cuffie nelle orecchie e la musica a tutto volume, che Tobio gli inviò un messaggio.
 
Vieni a casa mia domani mattina. Hai il giorno libero, no? Ti aspetto. Ciao.
 
Nulla più di quello. Come se nemmeno si aspettasse una risposta da parte sua.
Tooru fu tentato in un primo momento di fare il bambino capriccioso e negarsi, ma era da giorni che non vedeva Tobio o non faceva altro che stare a casa o a lavoro.
Inoltre, non riusciva a togliersi dalla testa quel Wakatoshi da mesi.
Ogni volta che pensava a lui provava un'invidia terribile mista a gelosia, e una frase nella mente gli sussurrava sempre: sono più bravo io. Era nervoso.
E si sentiva sciocco, perché si era preso una bruttissima cotta - odio per un tizio che nemmeno conosceva e con cui non aveva mai nemmeno parlato.
Si erano solo guardati per un po’ con irritazione e frustrazione repressa.
Andare da Tobio poteva essere un ottimo modo per distrarsi e togliersi quella roba di mente una volta per tutte. Così lo fece.
 
La madre dell'amico lo accompagnò fino alla porta della sua cameretta, dove Tooru riusciva a sentire le voci e le risate anche attraverso il legno socchiuso.
Era nervoso anche già prima di entrare, perché Tobio non gli aveva detto che avrebbe avuto ospiti a casa e la cosa non gli piaceva. Lo metteva terribilmente a disagio.
Appoggiò la mano sull'uscio e spinse leggermente, aprendo piano.
La prima cosa che sentì fu la propria voce uscire dall'altoparlante di un apparecchio tecnologico, stava cantando.
Poi vide i tre ragazzi seduti attorno ad un kotatsu, rilassati sui loro comodi posti.
Tobio che gli dava le spalle e mostrava un vecchio video a Wakatoshi, proteso verso di lui. Hajime sulla destra che cercava una sigaretta nel pacchetto mezzo sfondato.
«Lo vedi quanto è bravo?! Sarebbe perfetto, no?». Stava dicendo Tobio con uno strano entusiasmo nella voce, anche se non si leggeva affatto nella sua espressione.
Wakatoshi non disse nulla, sul suo volto non si leggeva niente, pareva stranamente immobile e Tooru sentì le sopracciglia aggrottarsi automaticamente.
Stavano parlando di lui, dopotutto.
Perché quella reazione impassibile?
«Sei sicuro che sia affidabile?». La domanda arrivò da Hajime, che era riuscito ad accendersi la sigaretta, e stava fumando in un ambiente perfettamente chiuso.
Ma quanti anni hai?!, pensò Tooru indignato.
«Tooru sarebbe il cantante perfetto per la nostra band!».
«Ehi!» Esplose lui senza riflettere. A quel punto, tre paia di occhi si voltarono a guardarlo, ma furono solamente quelli di Wakatoshi ad attirarlo come una calamita.
«Ehi, Tooru! Sei venuto? » lo salutò invece Tobio, che non si era accorto di nulla «Vuoi cantare nella nostra band? L'abbiamo creata giusto ieri! Ci chiameremo i Red Roses, come il bar in cui è nata! Che ne dici?». Lui non rispose, continuando a tenere lo sguardo fisso in quello di Wakatoshi mentre la sua voce riecheggiava nel video ancora in movimento tra le mani di Tobio. Ci furono alcuni minuti di silenzio.
Quello sguardo addosso lo fece arrossire.
«Sono passato perché pensavo … non importa» scattò alla fine, troppo esposto a quella situazione «Ne ho approfittato per portarti il CD che mi hai prestato, ecco. Grazie».
Lo tirò fuori dalla borsa di pezza che portava a tracolla e lo appoggiò sul tavolino, poi andò via senza guardare nessuno negli occhi.
«Ehi Tooru, aspetta!». La voce di Tobio lo inseguì, ma lui stava correndo via.
Correva davvero, con i polmoni in fiamme. Sentiva dentro una strana tempesta.
Aveva quasi raggiunto l'altro lato della strada, quando sentì il foulard che aveva messo attorno al collo scivolare sulla pelle. Lo toccò automaticamente, sentendolo sfuggire dalle dita. A quel punto si voltò di scatto e Wakatoshi era dietro di lui, con l'affanno a sua volta, e il suo foulard stretto nel pugno della mano piena di anelli.
«Tooru» lo chiamò per la prima volta con una voce profonda e monocorde, facendo muovere quella tempesta dentro di lui come un mare agitato «ti prego, diventa il cantante della mia band!».
 
La tempesta nel suo cuore gridava forte, forte, forte, ma con quelle parole le emozioni dentro di lui si trasformarono in voce.
 
Da quel pomeriggio d'estate divennero la band dei Red Roses.

 
***
 

Erano uno strano assortimento.
Quattro soggetti con un carattere particolare.
Ma funzionavano bene, in un modo strano, non solo sul palco ma anche tra di loro.
Un mese dopo aver formato la band, la nonna di Tooru morì inaspettatamente, lasciando che le cose tra di loro non si aggiustassero mai.
Fu un periodo difficile, strano.
Se non fosse stato per Tobio, Hajime e Wakatoshi non avrebbe saputo come fare.
Si era sempre sentito un po’ solo, era un bambino abbandonato dopotutto, e sua nonna aveva di certo fatto del suo meglio, ma non era una donna affettuosa.
Però era pur sempre l'unica famiglia che aveva.
La band fu una salvezza per lui.
Divenne un po’ come una famiglia, quella che non aveva mai davvero avuto.
Facevano concerti un po’ ovunque, nei magazzini, nei locali di seconda mano, in quelli un po’ più rinomati, per strada.
Furono giorni felici, nonostante la malinconia.
Hajime divenne un buon amico, inaspettatamente. Tobio era sempre lì per lui, quel moccioso talentuoso e irritante. Con Wakatoshi invece era diverso.
Vi era desiderio tra di loro. Attrazione. Innegabile attrazione.
E rivalità, anche quella del tutto innegabile. E amicizia, e complicità.
Quando cantava, finalmente libero di esprimere se stesso, Tooru scherzava con lui sul palco. Gli strizzava l'occhio, recitava delle frasi guardandolo con un sorrisetto.
E alla fine di ogni concerto se ne andavano via insieme abbracciati, ricoperti di regali dei loro fan, con Hajime e Tobio che li prendevano in giro. Quelle passeggiate erano le migliori, nel cuore della notte, tra i muri conosciuti e le loro risate spensierate.
Sotto il braccio di Wakatoshi sulla sua schiena, con il suo profumo di spezie e sandalo nel naso, Tooru si sentiva al sicuro. E quando i loro sguardi si incrociavano in quell'abbraccio, il suo pieno di lacrime causate dalle risate e quello di Wakatoshi impassibile per natura, provava uno strano calore nel petto. Amore, tenerezza.
Vi si aggrappò come un disperato.
 
La prima volta che andò a letto con Wakatoshi fu ad un anno esatto di distanza dal concerto al magazzino. Nevicava, come allora.
Avevano appena concluso con successo un concerto, ed euforici e adrenalinici, se n'erano andati mano nella mano sui frangiflutti innevati, e dove avevano fatto un po’ di baldoria chiassosa. Poi si erano messi a sedere sul muretto bagnato di neve, con i vestiti di pelle troppo leggeri per proteggerli dal gelo, e avevano cominciato a sbirciare nelle buste con i regali dei fan.
«Oh guarda, una torta!». Tooru ne aveva trovata una ancora nel cartone, intatta.
Era ricoperta di panna e fragole, e aveva una scritta con la glassa rossa che diceva: Merry Xmas Tooru, anche se era passato da qualche giorno ormai. Tooru ci immerse un dito dentro, osservando la cremosa panna bianca formare delle onde.
Wakatoshi lo osservò, seduto al suo fianco ma dalla parte opposta rispetto alla sua.
«Potrebbe essere avvelenata». Se ne uscì inaspettatamente, con una serietà disarmante. Tooru, che stava per mettersi il dito in bocca, si immobilizzò. Ormai aveva capito che Wakatoshi non aveva il senso dell'umorismo, motivo per cui non stava scherzando.
Era tremendamente serio … «Forse l'ha preparata una mia fan. Forse è gelosa di una nostra possibile relazione e ha pensato di farti fuori in questo modo» ... e tremendamente arrogante. Tooru sollevò un sopracciglio, cercando di ignorare la serietà dietro quella dichiarazione. Allungò il dito verso di lui, sorridendo con aria stizzita.
«Assaggia tu allora!» sbottò irritato, spingendo il dito in direzione di Wakatoshi, che lo guardava impassibile come sempre, con quegli occhi taglienti «Non voglio morire per una colpa che non ho commesso!». Calò il silenzio per qualche secondo mentre si osservavano ostinati. Alla fine, Wakatoshi allungò una mano e gli afferrò il polso, proprio nel momento in cui lui stava per abbassare il dito ancora sporco di panna.
Lo tirò lievemente in avanti e Tooru ebbe l'impressione che avrebbe davvero assaggiato lui per primo, ma all'ultimo secondo lo vide alzare il viso.
E prima che se ne rendesse conto lo stava baciando, lì, sul muretto dei frangiflutti, con la neve che si muoveva intorno a loro agitata dal vento.
 
Fu tutto così improvviso che Tooru dimenticò persino di chiudere gli occhi, come aveva desiderato fare per il suo primo bacio.
Wakatoshi si allontanò appena, restando comunque molto vicino al suo viso.
«Ecco, adesso sei davvero colpevole. Puoi morire senza sentirti in colpa».
E si mise il suo dito in bocca, assaggiando la panna.
Tooru lo osservò allibito mentre stringeva la sua mano inerte nella propria, leccandosi le labbra sicuramente zuccherose. Quando Wakatoshi tornò a guardarlo pensò che ormai non gli importasse nemmeno più tanto di morire. E quando gli avvolse le braccia attorno alle spalle per baciarlo di nuovo, pensò di volere solo lui, tanto, tanto, tanto da morire.
Lo voleva da quel giorno nel magazzino, così quella stessa sera fece l'amore con lui proprio lì dove i loro sguardi si erano incontrati per la prima volta.
 
Non era mai stato di nessuno, prima di allora.
Appartenere a qualcuno lo rendeva felice.

 
***
 

Andarono subito a vivere insieme.
Non aveva senso non farlo, dopotutto. Entrambi erano soli, avevano un lavoro part-time che pagava poco, e volevano vivere di musica. 
Si trasferirono nel magazzino convertito in appartamento in cui viveva Wakatoshi, nel posto in cui era stato gettato via e allevato.
Fuori dalla porta di casa misero una targhetta con su scritto: Wakatoshi e Tooru.
Lui si fece il tatuaggio di una piccola aquila stilizzata sul braccio sinistro quando scoprì che era l'animale guida di Wakatoshi. E per il suo ventesimo compleanno gli regalò una collana a lucchetto con l’iniziale del suo nome sopra: T.
 
Wakatoshi gli aveva regalato la gioia di cantare con passione, con amore, gli aveva insegnato a suonare la chitarra mentre vivevano insieme e il piacere di vivere.
Di essere libero come non lo era mai stato.
 
Furono pochi mesi, ma furono felici.
 
Finì tutto una sera d'inverno dell'anno successivo.
Avevano avuto un concerto, come sempre. E come sempre, in sere come quelle, si erano infilati entrambi nella minuscola vasca da bagno per lavarsi insieme.
L'acqua aveva bagnato il pavimento e il sapone era eccessivo come al solito.
Wakatoshi si era tirato i capelli umidi all’indietro e lo osservava con una mano appoggiata al viso, pensieroso.
«Ti ricordi quando ci siamo incontrati?».
Tooru gli porse la domanda mentre giocava con le bolle nella vasca, le loro gambe si sfioravano, perfettamente incastrate sotto l'acqua ormai tiepida e un po’ torbida.
«Indossavi una giacca di pelle rossa».
Lo sorprese Wakatoshi, con un dettaglio che Tooru non credeva si sarebbe ricordato.
Aveva litigato con la nonna quella notte, per l'espulsione da scuola, perché lei aveva davvero creduto che avesse fatto una cosa simile. Si era messo quei vestiti che tanto amava - e lei tanto disprezzata - per la prima volta in vita sua e lo aveva fatto per farle un dispetto, ma si era sentito libero.
«Non credevo lo ricordassi». Ammise.
Wakatoshi allungò una mano per spostare una ciocca di capelli umidi dalla sua fronte.
«Eri il ragazzo più irritante di tutto il pubblico, mi fissavi ostile. Mi sei rimasto impresso nella mente per mesi».
Tooru gli scostò la mano e fece un broncio nervoso, aggrottando le sopracciglia.
«Quella sera avevo litigato con la nonna. Ero nervoso, e tu mi sembravi solo uno sbruffone!»
«Tu mi sei piaciuto fin dal principio».
Wakatoshi lo afferrò per un polso e se lo trascinò addosso, facendolo sedere tra le sue gambe, stretto tra le sue braccia. Rimasero in silenzio per qualche secondo.
Erano stati abbandonati entrambi da bambini. Soli per tutta la vita, avevano dovuto cavarsela come meglio potevano. Wakatoshi non aveva mai raccontato molto del suo passato, ma non sembrava mai turbato quando diceva di essere stato gettato nei cassonetti con il cordone ombelicale ancora fresco. Sapevano tutto l'uno dell'altro.
Ad un certo punto di quel silenzio, in un momento così intimo e abituale tra loro, Tooru si voltò, mettendosi a cavalcioni su di lui e lo baciò.
Facevano sempre l'amore nella vasca troppo stretta per contenere entrambi.
In momenti come quelli Tooru provava quasi sempre una strana sensazione, mentre era tra le sue braccia e si muoveva su di lui. Una sensazione soffocante che strisciava come un serpente sotto la sua pelle, una sensazione che lo faceva oscillare in preda all'ansia.
Ogni giorno vissuto con Wakatoshi gli sembrava come un sogno impossibile, e lui era un po’ come il sole, luminoso, radioso e lontanissimo.
L'antica invidia che aveva provato la prima volta tornava a tormentarlo.
Non sei niente senza di lui, bisbigliava quella voce nella sua mente, perfida, cattiva.
E Tooru pensava, mentre si lasciava travolgere dal desiderio, che quel sole non lo avrebbe mai raggiunto. Ma scoprire di avere ragione significò anche la fine del mondo.
 
«Vorrei farlo in un posto più grande la prossima volta».
Tooru si allacciò l'accappatoio in vita e fece un sospiro, la stanchezza del concerto stava cominciando a gravare su di lui. Era tutto indolenzito.
«La vasca è piuttosto stretta, hai ragione».
«Parlavo del concerto!». Guardò Wakatoshi con una brutta occhiataccia, ancora rilassato nella vasca da bagno troppo stretta per due.
«Oh» si passò una mano tra i capelli bagnati «Allora provate a trovarne uno».
Tooru smise di frizionare i capelli in un panno. Poi si mise seduto sul letto.
«Parli come se la cosa non riguardasse anche te». Wakatoshi lo guardò dalla vasca.
Non disse niente in un primo momento, poi si alzò, uscendo grondante d'acqua, e si avvolse un panno attorno alla vita. Tooru grattò il tatuaggio sul braccio distrattamente, seguendo ogni suo movimento.
«Per caso c'entra qualcosa quello di cui stavate parlando tu e Hajime prima?».
Li aveva visti discutere alla fine del concerto.
Non stavano proprio litigando, ma la conversazione sembrava tremendamente seria. L'avevano interrotta non appena si erano accorti di lui. Tooru non aveva voluto dargli troppa importanza, ma forse … forse la paranoia che provava non era poi così insensata. Wakatoshi gli si fermò davanti - costringendolo ad alzare lo sguardo per guardarlo - e gli passò una mano nei capelli.
«Hajime si preoccupa troppo».
Non è quello che ti ho chiesto, pensò Tooru, lasciandosi accarezzare.
«Ho capito, chiederò a lui direttamente. Mi dice sempre tutto».
«Tooru».
«Uhm?».
«Cosa significherebbe per te smettere di cantare?». La domanda lo colse di sorpresa.
Wakatoshi sembrava ancora più serio di quanto non lo fosse solitamente.
«Perché me lo chiedi?». Una strana ansia stava crescendo dentro di lui, ma non voleva stare a sentirla. La voleva soffocare.
«Immaginavo solo una vita diversa, in cui tu non canti. Come sarebbe per te?».
Tooru la trovava una domanda un po’ crudele.
Cantava ancora prima di conoscerlo, lo faceva da sempre.
Scriveva i suoi testi e cantava, era solo un talento. Non era un genio, né aveva una voce particolarmente riconoscibile, ma cantare era parte di lui.
Non lo aveva mai fatto per Wakatoshi. Con lui aveva solo imparato la vera gioia di farlo per qualcosa, per qualcuno, con qualcuno al proprio fianco che capisse.
«Sarebbe come morire». Tooru disse solo la verità, quello che sentiva dentro.
Non aveva idea delle ripercussioni che avrebbero avuto quelle parole.
«Lo immaginavo». Wakatoshi si chinò in avanti e gli diede un bacio sulla fronte, allora Tooru lo abbracciò stretto, dando sfogo all'ansia in quel gesto. Poi se lo trascinò addosso, dove finirono stesi sul materasso del loro letto che occupava mezzo magazzino.
La loro casa era una stanza unica, con la cucina separata dalla camera da letto - bagno con un paravento. Si baciarono, poi Tooru se lo strinse al petto. Calarono alcuni secondi di silenzio, abbastanza intenso da sentire la neve che infuriava oltre la saracinesca abbassata.
«Tooru». Wakatoshi lo chiamò, sollevando appena la testa con i capelli ancora umidi.
Tooru gli aggiustò una ciocca un po’ ondulata dietro l'orecchio, per poi accarezzarlo mentre aspettava che continuasse a parlare.
«Io andrò a Tokyo …» non comprese immediatamente «… quindi sentiti libero di vivere come preferisci».
 
Quella fu la fine del mondo.
Arrivò in quel modo, silenziosamente, in una notte di neve tempestosa qualsiasi.
Tooru non ebbe nemmeno la prontezza di reagire, rimase a guardarlo come se non avesse capito, gli occhi appena sgranati.
 
Wakatoshi non sorrideva spesso. Quella volta lo fece.
Le labbra appena sollevate per ricordargli per sempre quel
momento.

 
***
 

«Andrai a Tokyo insieme a lui, vero?».
Tooru era a lavoro quando Tobio entrò come un tornado nel piccolo negozio.
Posò le mani sul bancone con violenza e lo guardò fisso, accigliato e immusonito.
Completamente impreparato da quel benvenuto, Tooru lo fissò con una cuffietta tra le dita per alcuni secondi, domandandosi se fosse impazzito.
Ma no, quella reazione era tipica di Tobio. Senza preamboli, un uragano caotico.
Fece un sospiro e tolse definitivamente le cuffie, stoppando la musica sul cellulare.
«Quindi sei qui per questo». Sospirò.
Wakatoshi andava a Tokyo per debuttare con i Golden Eagle, una band delle loro parti che aveva avuto parecchio successo. Tooru ne conosceva i componenti, ma sapeva bene che Wakatoshi ed Hajime ci avevano avuto a che fare spesso.
Atsumu, Satori e Tetsurou gli avevano chiesto di debuttare con loro, poiché non avevano un chitarrista. E Wakatoshi, che non aveva fatto altro che puntare alla vetta da sempre, aveva accettato senza nemmeno guardarsi indietro.
Ma forse quello non era del tutto corretto. Tooru lo aveva compreso lentamente. Wakatoshi gli aveva fatto quella domanda sulla musica perché la risposta avrebbe determinato sicuramente la sua decisione.
Vuoi venire a Tokyo con me? Sarebbe stata quella, la domanda, se Tooru non avesse risposto che senza musica sarebbe stato come morire per lui. Ed era chiaro che per seguirlo avrebbe dovuto abbandonare la sua voce, il suo sogno di cantare.
Wakatoshi non sarebbe mai stato abbastanza egoista da chiederglielo.
Sentiti libero di vivere come preferisci. Così gli aveva dato la scelta di restare e continuare a cantare, senza che si sentisse in colpa per questo. Era quasi crudele.
«Sappi che se vai a Tokyo vengo con te!».
«Non dire sciocchezze!». Tooru lo guardò male, come se Tobio fosse un bambino capriccioso. La faccia era quella, dopotutto.
«Dico sul serio! Cerchiamo un nuovo chitarrista a Tokyo e vediamo anche noi dove possiamo arrivare! Se i Red Roses dovessero cambiare cantante adesso, non credo che me la sentirei ancora di suonare!» Tooru rimase per un attimo allibito di fronte l'accorata invettiva dell'amico «Anche Hajime è d'accordo con me! Non vuole suonare con nessuno che non sia tu». E mentre l'amico parlava gli occhi gli si riempirono di quelle lacrime che non aveva ancora versato da quella notte.
«Non dirmele tu …». Mormorò, portandosi entrambi i pugni chiusi delle mani sulla fronte mentre dava sfogo ad un pianto che aveva trattenuto a lungo.
le parole che avrei voluto sentirmi dire da Wakatoshi nonostante tutto, non dirmele tu!
«Resto qui, Tobio. Non vado a Tokyo». Disse invece, tirando su con il naso.
Non piangeva dal funerale della nonna, era passato troppo tempo perché quella sensazione umida potesse piacergli.
«Ma perché?! Non vuoi stare con Wakatoshi? Guarda che ti ama davvero!».
Tobio alzò di nuovo la voce.
«Lo so!». Sbottò Tooru a sua volta, poi distolse lo sguardo mentre si asciugava il volto congestionato con una certa stizza.
«Per lui non saresti un fastidio, Tooru». Tobio abbassò il tono di voce, come se si fosse reso conto solamente in quel momento che aveva pianto davanti a lui.
«Ma dovrei stare a casa senza far niente, ad aspettarlo tutti i giorni come se fossi una specie di mogliettina … non fa per me, Tobio. Non voglio vivere così. Voglio vivere della mia musica. Migliorarmi e convincermi che posso farcela a diventare qualcuno anche senza di lui. Wakatoshi lo sa …». Per questo non mi ha chiesto di andare con lui, ma quello non lo disse. Era nel profondo del suo cuore, quel punto annerito dall'invidia e dall'orgoglio. Quella punta di fastidio che aveva provato la prima volta che aveva ascoltato la sua musica geniale e posato gli occhi su di lui. Sperava solo che Wakatoshi non la vedesse, ma forse non era stato così bravo da nasconderla nel profondo di sé.
«Sto bene! Davvero!». Prese le mani di Tobio con foga e lo guardò negli occhi.
Mal sopportava quel moccioso maledettamente talentuoso, tanto che a volte si sentiva inferiore perfino a lui, ma gli voleva bene. Era stato lui a dargli la band.
«Migliorerò, lo prometto. E quando saremo pronti andremo a Tokyo anche noi. Fino ad allora, dovrai sopportarmi qui».
Tobio resse il suo sguardo per qualche altro secondo, accigliato, poi fece un sospiro.
«Diventeremo i migliori!». Commentò.
E Tooru rise, asciugando i residui di lacrime.
 
Se non fosse stato per Shouyou, avrebbe infranto quella promessa.


 
***
 

Ci aveva pensato a lungo, per giorni, nella vasca da bagno ormai solo sua.
Aveva pensato a tutto quello che Wakatoshi aveva fatto per lui. La band, la chitarra, la casa insieme, i giorni felici. La voglia di vivere che gli aveva donato.
E poi aveva pensato a tutto quello che lui non aveva fatto per Wakatoshi.
Aveva pensato che forse sarebbe stato felice anche senza musica, senza il suo sogno.
Stare lì a casa ad aspettarlo, dargli una specie di famiglia dove l'uno sarebbe sempre stato il rifugio dell'altro. Per due come loro, che non avevano mai avuto niente di simile, poteva valere molto più di qualsiasi sogno irrealizzabile.
 
Eppure non lo aveva fatto.
Non era andato a Tokyo con Wakatoshi.
Era troppo egoista e troppo invidioso per riuscirci. Per fare qualcosa per lui.
 
Il giorno della sua partenza erano andati tutti.
Hajime, Tobio. La loro band l'ultima volta insieme sui binari di quel treno in partenza.
Wakatoshi aveva sulla spalla solo la chitarra, bene avvolta e protetta nel suo fodero.
«Porti solo quella?». Fu la domanda ingenua di Tobio, lì accanto ad Hajime.
Tooru invece era ancora stretto a Wakatoshi, che gli aveva poggiato un braccio sulla spalla. Non si sarebbero lasciati con animosità, avevano fatto la propria scelta.
«Ha spedito le sue cose a Tokyo giorni fa».
Intervenne con voce gioviale, prima che potesse farlo Wakatoshi.
«Non ti farò più da schiavo eh?».
Tobio aveva la voce un po’ tirata, ma sforzava un sorriso spaventoso sulle labbra.
«Il tuo assistente patirà parecchio». Fu invece il commento di Hajime.
Il loro modo di salutare, senza addii strappalacrime o arrivederci menzogneri.
«Coraggio Wakatoshi, il treno sta per partire».
Intervenne a quel punto Tooru, per non prolungare troppo quella sofferenza.
Cadde un silenzio di qualche secondo in cui si guardarono per un istante - Tobio pareva quasi sul punto di mettersi a piangere. Wakatoshi frugò nella tasca della giacca di pelle e ne estrasse un plettro tutto rovinato. Lo passò a Tobio, che lo prese in silenzio stringendolo nel pugno della mano.
Senza aggiungere altro, con il braccio ancora stretto attorno alla sua spalla, salì sul treno portandosi dietro Tooru. Rimasero sull'ingresso, stretti in quel modo.
Si guardarono per un istante, trovare le parole non serviva, non in quel caso.
Tooru si alzò sulla punta dei piedi e lo baciò, tentando di memorizzare il suo profumo di spezie e sandalo, o la forma delle sue spalle o il freddo ruvido della sua giacca di pelle.
Sentì le lacrime premere dietro gli occhi, il fischio del treno suonò fonte nell'aria.
Si staccò velocemente, e prima che potesse farsi vedere, scese dal treno.
Cadde sulle ginocchia, strinse forte le palpebre.
Non vide Tobio che seguiva il treno, per poi fermarsi quando si accorse che anche Wakatoshi non stava trattenendo le lacrime. Non vide Hajime dargli le spalle.
Rimase lì, a piangere quell'addio.
 
E dopo un anno e tre mesi, all'inizio di una primavera ancora spruzzata di neve, la loro storia finì.


 
***
 
~ Presente ~
 
non ci siamo detti addio a parole, ma sapevamo entrambi che la nostra storia avrebbe avuto fine in quel momento. Perché stare insieme senza potersi abbracciare non aveva senso … Vivere senza di lui i primi tempi era soffocante per me, e ci sono state più volte in cui mi sono pentito … soprattutto nelle notti di neve come questa, ad esempio. Mi trovavo a sperare che qualcun altro fosse lì a riscaldarlo. E così dopo un anno e qualche mese, quando ho compiuto vent'anni, mi sono regalato un biglietto per Tokyo. E il resto della storia la sai già …
 
Shouyou ripensava ancora alle parole di Tooru della notte precedente mentre sedevano entrambi sul pullman che li avrebbe portati al concerto.
 Credeva ancora che fosse una storia incredibile. Allo stesso modo in cui non riusciva a frenare la colpa che provava, o quel desiderio struggente di far sì che potessero ritrovarsi.
Shouyou non aveva saputo molto di Tooru fino alla sera precedente, e ora lo capiva.
Sembrava una storia inventata, la sua.
Gli piacevano i Golden Eagle dal giorno del loro debutto, come a molte altre persone.
Ma essendo personalità pubbliche e di successo, tendevano a sembrare distanti, lontane.
Irreali, in un certo senso. Ci si dimenticava a volte di avere a che fare con persone, persone con un passato comune prima che diventassero qualcuno.
E mai come mentre Tooru parlava, Wakatoshi dei Golden Eagle gli era sembrato umano.
 
Il concerto si teneva in un posto chiuso.
Una platea enorme, senza più biglietti a disposizione. Shouyou aveva dovuto comprarli quasi un anno prima, e si era guadagnato la prima fila. Avrebbe dovuto andarci con il suo fidanzato, ma lo aveva tradito giusto qualche settimana prima.
Era stato un episodio che aveva avvicinato moltissimo lui e Tooru - ci era mancato tanto così che riempisse il suo ex di botte proprio fuori il locale dove lavorava, il giorno in cui Shouyou aveva scoperto malamente del suo tradimento con un altro collega.
Aveva chiesto a Tooru di accompagnarlo, insistendo anche con un certo fervore, senza sapere niente. Lo aveva costretto ad accettare, senza immaginare il dolore che avrebbe provato nell'intraprendere quel viaggio nel passato.
In piedi davanti al suo posto, nel silenzio di una platea che aspettava l'entrata in scena della band, Shouyou guardava il profilo del suo amico nella penombra, desiderando che Wakatoshi potesse accorgersi di lui tra la folla. Sperando in una sorta di miracolo.
E quando calò il buio e si accesero le luci sul palco, e i Golden Eagle apparvero sulla scena cominciando l'ultimo singolo del nuovo album, e vide Tooru illuminato appena, perso a guardare Wakatoshi con nostalgia, una lacrima che gli solcava la guancia, allora pregò perché quel suo desiderio si avverasse.
Pregò perché Wakatoshi potesse in qualche modo percepire il suo desiderio.
Perché Tooru potesse ritrovare la sua felicità, e non aveva mai pregato tanto prima di allora. Nemmeno per se stesso.

 
***
 

Era la pausa prima del bis, quello che il pubblico aveva chiesto insistentemente, ma che era già in programma perché sapevano tutti che sarebbe stato richiesto.
Wakatoshi era nel suo camerino, solo.
Appoggiato allo schienale della ballerina, scorreva la rubrica telefonica alla ricerca di un numero che non chiamava da un po’. Fuori non sembrava provare niente, dentro si sentiva una tempesta. Trovò il nome della persona interessata, telefonò. Tre squilli.
«Il concerto è finito? ». La voce di Hajime.
«Non ancora. Manca il bis» rispose con serenità, quella che non stava provando affatto in quel momento «Hajime, Tooru è venuto al concerto?». Andò subito al dunque. Ci furono pochi secondi di silenzio.
«Te ne sei accorto, allora». Wakatoshi guardò le dita tremanti della propria mano, quella con cui faceva gli accordi, la sinistra.
«Ho sbagliato un pezzo quando l'ho visto. Ho dovuto cambiare arrangiamento».
Confessò, solo per sentire la risata roca e divertita di Hajime nell'orecchio.
Avrebbe voluto dirgli che non lo trovava divertente, ma non avrebbe saputo come. Rivedere Tooru era stato come ricevere un pugno nello stomaco.
Non sbagliava mai a suonare.
«Perché non scendi dal palco e lo abbracci con trasporto? Sarebbe una scena commovente, non credi? ». Di sottofondo Wakatoshi sentì il rumore del traffico della strada, un clacson. Delle voci femminili.
«Non lo posso fare, ho il concerto». A volte Hajime diceva delle cose davvero strane.
Lo sentì sospirare nella cornetta.
Spam. Qualcuno bussò con violenza alla porta del suo camerino.
«Wakatoshi, esci! Dobbiamo fare il bis!». Riconobbe la voce di Atsumu, il bassista.
«Arrivo». Rispose con calma.
«Vai, se devi. Ti giro il numero del coinquilino di Tooru, così potrai contattarlo e parlare con lui. Quello sbadato ha dimenticato il suo a Tokyo, scarico».
Parlò Hajime attraverso la cornetta.
Wakatoshi strinse il pugno tremante della mano, che portò sulla fronte.
«Lascia stare, Hajime. Non ho il diritto di contattarlo, nessun diritto».
«Ehi, Wakatoshi … sono stanco di questa storia. Non sono disposto ad appoggiarti più. Se non hai intenzione di vedere Tooru … allora sappi che questa è la volta buona che me lo prendo io».
«WAKATOSHI!». Sbraitò Atsumu fuori dalla porta, senza pazienza, ma lui aveva già avuto un sussulto prima. Fissò lo schermo luminoso del cellulare con la chiamata ancora in corso. Lo riportò all'orecchio.
«Dammi quel numero».

 
***
 

I made a promise, to distance myself
Took a flight, through aurora skies
Honestly, I didn't think about
How we didn't say goodbye
Just “see you very soon”.
 
It hurts to be something
It's worse to be nothing with you.
 
So I didn't call you
For sixteen long days
And I should get a cigarette
For so much restraint
No matter how long I resist temptation
I will always lose
 
It hurts to be something
It's worse to be nothing with you
 
I've done the math
There's no solution
We'll never last
Why can't I let go of this?
 
Shouyou accarezzò con i polpastrelli il foglio di carta abbandonato sul pavimento accanto al futon di Tooru. La penna era ancora lì con il tappo tolto, accanto ad un rigo cancellato con ferocia. Shouyou conosceva quella canzone. Tooru l'aveva cantata una volta sul tavolo della loro cucina, proprio agli inizi della loro conoscenza.
Shouyou ricordava ancora l'emozione che aveva provato quella volta.
Il modo in cui il suo coinquilino aveva improvvisato un testo su una base appena ricevuta da un membro della sua band. Aveva pensato che Tooru fosse un genio.
Ma il testo di quella canzone si interrompeva lì, senza un finale. Pieno di cancellature.
Adesso che lo rileggeva, inginocchiato lì accanto con i capelli ancora umidi dal bagno recente, quelle parole avevano tutto un altro sapore. Tutto un altro senso.
Shouyou guardò la porta socchiusa del bagno, dove sapeva trovarsi l'amico in quel preciso momento. Gli era sembrato che in un paio di occasioni, durante il concerto, Wakatoshi avesse posato lo sguardo su di loro. Ma solo prima del bis.
Durante il ripetersi di alcune canzoni il chitarrista era stato impeccabile, concentrato, e Shouyou si era rassegnato al fatto che era solo frutto del suo desiderio disperato.
Wakatoshi era una star, impossibile da raggiungere.
E Le sue speranze solo una sciocchezza da ragazzino romantico.
Fece un sospiro e lasciò perdere il testo stropicciato su cui Tooru lavorava da tempo.
Non aveva avuto il coraggio di chiedergli come si sentisse, ma aveva il presentimento che Tooru comunque non glielo avrebbe detto.
Aveva già pianto davanti a lui, si era già lasciato troppo andare.
Lo schermo del suo cellulare - messo in carica lì accanto al futon - si illuminò per l'arrivo di un messaggio, catturando la sua attenzione.
Era da parte di un numero sconosciuto. Aggrottando le sopracciglia, lo aprì.
Ci mancò poco che l'apparecchio non gli cadesse di mano.
 
Sono Wakatoshi. Hajime mi ha dato il tuo numero. Avrei bisogno di parlare con Tooru, so che era al concerto stasera. Questo è l'indirizzo dell'hotel in cui mi trovo e il numero della mia stanza. Di a Tooru che lo aspetto se vorrà venire.
 
Con il cuore che gli esplodeva nel petto in modo violento, Shouyou si precipitò nel bagno aprendo malamente la porta. Tooru sussultò appena, guardandolo di traverso. Era rilassato nella vasca, con i capelli bagnati tirati tutti all'indietro.
«Hai l'abitudine di entrare in bagno quando sai che è già occupato?».
Lo rimproverò, l'espressione infastidita.
Shouyou liquidò la cosa senza provare nemmeno imbarazzo a riguardo.
Si mise in ginocchio davanti alla vasca e gli spinse il cellulare in faccia.
«Guarda, Tooru. Guarda!». Strepitò.
L'amico gli strappò l'oggetto di mano e lesse, con le sopracciglia che si aggrottarono a mano a mano che diventava consapevole.
Shouyou lo osservava con gli occhi sgranati dal bordo della vasca, sembrava quasi un cagnolino impaurito in attesa della reazione del suo padrone. Alla fine, Tooru fece un sospiro pesante e si prese il ponte del naso tra indice e pollice, massaggiandolo.
«Puoi chiamare Hajime?». Gli chiese.
Shouyou eseguì velocemente con mani tremanti, agitato come se toccasse a lui fare direttamente quella telefonata. Trovò Hajime tra i contatti in rubrica.
Quando era entrato a far parte della vita di Tooru, gli altri si erano aggregati inevitabilmente, come se fossero tutti parte dello stesso pacchetto - prendi uno, ne hai tre in regalo. Ma Shouyou non aveva molta confidenza con Hajime, andava d'accordo - per modo di dire - solo con Tobio.
E ora che conosceva la storia di Tooru e della loro band, anche lui gli appariva diverso.
Ma non era la sua storia quella.
Passò il cellulare a Tooru mentre squillava.
L'amico se lo portò all'orecchio con aria serena, facendo attenzione a non farlo cadere accidentalmente nell'acqua tiepida.
«Ehi, Shouyou ». La voce burbera di Hajime lo raggiunse anche attraverso la cornetta.
«Ehi un corno, Hajime! Come cazzo ti è venuto in mente di dare il numero di Shouyou a Wakatoshi eh?». Tooru scattò a sedere nella vasca, facendolo trasalire con quel tono di voce alta che sapeva tanto di rimprovero. Era palesemente infastidito dalla situazione.
«Ha chiamato? ». Hajime sembrava calmo, invece, per nulla impressionato dalla collera evidente del vocalist della sua band. Shouyou sentiva appena le sue parole dalla cornetta leggermente spostata dell'orecchio bagnato di Tooru.
«No» sospirò l'amico «Ha mandato un messaggio dei suoi, criptico e colpevole».
«Che diavolo aspetta dell'idiota? La provocazione non è servita a niente?».
Shouyou vide Tooru aggrottare le sopracciglia nel sentire quelle parole, si passò una mano tra i capelli bagnati.
«Non dovevi provocarlo, Hajime! Cosa gli hai - anzi, no. Non mi interessa. Io e Wakatoshi non abbiamo niente da dirci comunque, quindi non andrò da lui».
Shouyou sentì il cuore sprofondare nel petto.
Perché no? se lo lasciò quasi sfuggire di bocca, aggrappandosi con maggior forza al bordo della vasca da bagno. Non ti arrendere così, Tooru!
«Se non vuoi più avere niente a che fare con lui, diglielo direttamente. Hai ancora la chiave del vostro magazzino, no? Portargliela e falla finita, Tooru. Wakatoshi è ossessionato da un uomo che non può avere. Quindi sei tu a dover chiudere questa storia ». Tooru rimase in silenzio per qualche secondo, osservando l'acqua torbida di bagnoschiuma rosa.
Shouyou notò che le rughe sulla sua fronte non si erano appianate mentre rifletteva sulle dure parole del suo batterista.
«Va bene, ho capito». Mormorò alla fine, poi agganciò senza nemmeno salutare.
Rimasero in silenzio per qualche secondo.
Shouyou temeva che solo il battito del suo cuore si sentisse. Era quasi assordante.
«Posso mandare un messaggio, Sho?».
La voce di Tooru sembrava un filo teso.
Annuì veementemente, senza trovare le parole per rispondergli con slancio.
Sbirciò lo schermo mentre scriveva:
 
Sono Tooru. Arrivo da te a breve. Devo parlarti di un paio di cose.
 
«Potresti prestarmi questo cellulare mentre vado da lui? Per l'indirizzo, sai?».
Shouyou distolse lo sguardo dallo schermo e trovò l'amico a fissarlo, con una strana espressione di disperazione e timore.
«Ma certo». Mormorò.
«Grazie». Replicò Tooru, per poi stringere le ginocchia al petto e seppellirvi la fronte contro, nel tentativo di tranquillizzarsi.
Rimasero così per un po’.
 
Fa che vada tutto bene, ti prego!
Fa che Tooru sia felice.
 
Shouyou non aveva altro pensiero che quello.

 
***
 

L'hotel in cui alloggiava Wakatoshi era il migliore del centro cittadino, e non ci voleva molto considerato quanto fosse piccolo.
Tooru si fermò all'ingresso, osservando con fare annoiato il mucchio di fan che si erano ammassati proprio lì fuori nella speranza di poter incontrare uno dei loro idoli.
Guardò la chiave dell'appartamento che stringeva nel pugno della mano.
Una di quelle chiavi un po’ vecchie, d'ottone.
Quando Wakatoshi se n'era andato a Tokyo, e lui era rimasto indietro, gli aveva lasciato ogni cosa. Il magazzino, la vasca da bagno troppo stretta, il tatuaggio sul braccio.
La brutta sensazione di non poterlo mai raggiungere. La rivalità che provava per lui.
Tooru non aveva lasciato andare nemmeno una sola di quelle cose nel tempo in cui non si erano più visti e la vita aveva fatto il proprio corso. Hajime aveva ragione, se voleva chiudere con Wakatoshi doveva lasciare andare tutto quella sera.
Strinse la chiave nel pugno e fece un sorrisetto amaro.
Si era preparato all'idea di doverlo rivedere dal vivo quando aveva accettato l'insistente invito di Shouyou, ma non aveva immaginato tutto quello.
La vita era davvero una brutta puttana.
Entrò nel lussuoso atrio deserto e, dopo aver riposto la chiave in tasca, tirò fuori il cellulare di Shouyou. Il messaggio diceva che la stanza era al piano 28, una suite.
Tooru rispose il telefono nella tasca del giubbotto di pelle e si avviò all'ascensore, evitando di passare davanti alla reception.
Non voleva domande scomode o inutili.
Ma quando arrivò al piano destinato, dopo un viaggio in quello spazio chiuso che sembrava essere durato una vita intera, si scontrò direttamente con un tizio in smoking nero che aveva tutta l'aria di essere uno della sicurezza. Merda, imprecò dentro di sé.
Il corridoio era lussuoso, così come l'unica porta visibile ai suoi occhi.
Maledetto idiota, potevi dirmelo che avevi tutto il piano solo per te!
«Lei dove crede di andare?». La guardia del corpo aveva una voce profonda e intimidatoria, in perfetta combo con il suo corpo massiccio. Tooru doveva ammettere che possedeva tutte le caratteristiche perfette per svolgere l'impiego.
«Senta, so che le sembrerà assurdo, ma ho appuntamento con il signor Ushijima».
Sospirò, sentendosi uno sciocco mentre pronunciava quelle parole che sapeva sarebbero state totalmente inutili. Era una causa persa.
Solo uno stupido lo avrebbe fatto passare così facilmente.
Tooru avrebbe dovuto lavorarci sopra, se fosse riuscito a pronunciare qualche altra parola prima di essere cacciato via a calci nel sedere. Avevano organizzato male la cosa.
«Si, certo. Se ne vada immediatamente, prima che chiami la polizia».
L'energumeno lo afferrò malamente per il braccio, come Tooru si era aspettato, spingendolo con una certa energia verso l'ascensore da cui era appena uscito.
Rischiò di inciampare mentre tentò di voltarsi nuovamente e spiegarsi.
«Ascolti, posso farle vedere il numero di cellulare da cui ho ricevuto il messaggio, e potrebbe verificare che -».
«Scordatelo! Li conosco quelli come te! Tutti fan fuori di testa di questi tempi!»
Non sono un cazzo di fan! Tooru avrebbe voluto gridarle quelle parole, prendendo il tizio a testate, ma la presa sul suo braccio faceva male, e doveva lottare per non cadere a causa degli strattoni.
«Ehi, la vuoi piantare di -».
«Questo ragazzo l'ho invitato io».
Tooru fu investito da un familiare profumo di spezie e sandalo.
Sentì una presenza alle sue spalle, poi una mano callosa e calda scivolò lungo il suo braccio, allontanando quella della guardia.
L'energumeno pareva in difficoltà.
«Chiuda un occhio». Disse ancora Wakatoshi, caldo e vivo proprio dietro di lui.
Tooru sentì il cuore battere forte nel petto e desiderò ardentemente che non fosse così.
Non cedere, non cedere! non poteva cedere solo per quel misero ed effimero contatto.
Wakatoshi non diede il tempo alla guardia del corpo di rispondere, né a Tooru di capire che cosa stesse succedendo.
Si ritrovò ad incespicare lungo il corridoio, osservando la nuca familiare di Wakatoshi, mentre lo tirava velocemente verso la porta della sua suite megagalattica.
Prima che potesse prendere un respiro, Tooru vi si ritrovò dentro, nella penombra appena di un lume acceso. Il cuore che pompava violento dentro di lui era l'unico rumore che riusciva a sentire. Osservò Wakatoshi chiudere la porta e provò un forte disagio.
Lo sapevo, non sono pronto, lo aveva pensato anche prima, rannicchiato nella vasca a casa di Shouyou.
«Che sorveglianza» la buttò lì, nel tentativo di stemperare un po’ la situazione e farsi forza «Mi spiace, forse non sarei dovuto venire …». A quel punto, Wakatoshi si voltò a guardarlo. Nei suoi occhi - in cui Tooru si ritrovò paralizzato - vi lesse una disperazione che non aveva mai visto prima. Sarebbe voluto scappare seduta stante, ma non ci riuscì. Wakatoshi lo strinse con un tale possesso, che entrambi indietreggiarono fino ad urtare contro un mobile dall'aspetto costoso.
Tooru fu pervaso dal suo profumo, calore, dalla familiarità di quel contatto.
Qualcosa si contorse dentro di lui.
«Wakatoshi …» lo colpì sul petto con un pugno, poi tentò di spostarlo «Lasciami andare! Non ho nessuna intenzione di - sono venuto solo per -».
«Quanto mi sei mancato, Tooru …». Scivolarono a terra, nel momento esatto in cui bastarono quelle semplici parole per farlo crollare come uno sciocco senza forza.
Serrando gli occhi per trattenere le lacrime che salirono impetuose, Tooru si strinse forte a Wakatoshi, anche lui come un disperato.
«Lo sapevo …» pianse «… non sarei dovuto venire …».
 
Il bacio che seguì aveva il sapore delle loro lacrime.
Delle notti d'inverno passate distanti. Dell'illusione di poter ricominciare.
 
Di lui che ripensava alle parole di quella sera.
Sarebbe come morire.
Sentiti libero di vivere come preferisci.
E le trasformava nella sua mente in: “andiamo a Tokyo e vediamo cosa possiamo fare per stare ancora insieme senza rinunciare alla musica, senza odiarci, senza rinunciare a noi” Quello che avrebbero dovuto dirsi, potuto dirsi, se non fossero stati troppo giovani. Quelle parole Tooru le immaginò in quel momento.
 
Gli diedero pace. Pace, dopo molto tempo. 

 
***
 

Wakatoshi si svegliò qualche ora più tardi nel grosso letto della camera che lo ospitava per quella notte. Prima di aprire gli occhi aveva provato la sensazione di avere qualcuno tra le braccia, ma in quel letto enorme, con le lenzuola di seta sfatte, c'era solo lui, nudo.
Lasciami andare! Non ho nessuna intenzione … le parole di Tooru gli rimbombarono nella mente. Si mise a sedere sul letto, accarezzando con il palmo pieno di calli il posto ancora caldo accanto al suo.
Aveva colto la provocazione di Hajime, ma doveva aspettarselo che nulla sarebbe cambiato. Lo aveva avuto solo per quella notte, era stato solo un inciampo, un errore. Tooru non lo aveva seguito a Tokyo, aveva preferito il suo sogno a lui.
Wakatoshi lo aveva rispettato, senza trovare il coraggio di domandargli di ripensarci, o di trovare insieme una soluzione che potesse andare.
E nulla di ciò che li aveva allontanati era cambiato, dopotutto. 
Nemmeno le infinite notti insonni in cui aveva lottato con i suoi sensi di colpa, con la sensazione di essere un traditore della peggior specie.
Di aver rovinato tutto per la musica, la chitarra, la sua fedele compagna.
Si portò un pugno sulla fronte, immaginando - con il cuore a pezzi - Tooru che tornava a casa del suo amico in un taxi notturno.
Poi sentì un rumore strano. Di acqua smossa.
Si alzò in fretta dal letto e andò nel bagno. Una stanza enorme con una vasca immensa.
E lui era lì, immerso nell'acqua bollente. Gli dava le spalle, tutto intento a staccare i petali di alcune rose rosse ricevute dai fan e lasciarle cadere senza cura attorno a sé.
Il suo cuore provò un profondo sollievo. Si avvicinò.
Accortosi della sua presenza, Tooru sollevò lo sguardo e gli sorrise con una strana tenerezza. Wakatoshi si chinò per baciarlo lievemente, poi entrò nell'acqua e se lo strinse addosso nel silenzio della notte. Entrambi stavano pensando alla vecchia vasca del loro magazzino, dove a malapena riuscivano a stare seduti.
«Un bel cambiamento, vero?».
Tooru ridacchiò delle sue parole, dando voce a quel pensiero. Il vibrare familiare della sua voce melodiosa contro il petto lo rese nostalgico. Se lo strinse un po’ di più contro, appoggiando il mento sulla sua spalla.
«La vasca del nostro appartamento era stretta, ma io mi ci trovavo più a mio agio».
Era diventato un musicista di successo, ma tutti i soldi ricevuti in cambio non avevano cambiato nulla di quello che era: un neonato abbandonato nella spazzatura, che non era mai stato amato da nessuno prima di Tooru.
«Sai, quel posto adesso è vuoto. Dovremmo sbarazzarcene».
Lo so, ma non lo disse. Hajime gli aveva detto tutto, ogni cosa. Ogni passo della vita di Tooru. Ma non voleva rovinare il momento con quella confessione.
«Preferirei di no. È la nostra casa. Vorrei che ci tornassimo un giorno, quando saremo vecchi, per viverci insieme di nuovo».
Tooru voltò leggermente la testa nella sua direzione, incrociando il suo sguardo.
Era bellissimo, con quei piercing sul volto spigoloso, gli occhi grandi da cerbiatto.
Lo avevano attirato fin dal primissimo momento.
«Lascia decidere a me se voglio invecchiare con te». Fu la risposta.
Wakatoshi non disse niente, si limitò a baciargli la spalla, quella sinistra.
Tooru continuò a riversare costosi petali di rosa nell'acqua, che galleggiavano solitari.
Averlo lì, anche se non come prima, era un sollievo di cui non si era nemmeno reso conto di aver bisogno prima di allora.
«Wakatoshi, senti …». Guardò la nuca di Tooru, i suoi capelli umidi, le spalle delicate.
La pelle attraversata da piccoli nei. Aspettò.
«Dici sul serio?».
«A cosa ti riferisci?». Tooru si allontanò appena, continuando a dargli le spalle leggermente incassate mentre parlava.
«Come sai, sono una persona molto orgogliosa. Non tornerò a vivere con te a partire da oggi ma, sai … mi piacerebbe che ci vedessimo così, qualche volta. Come stasera. Stare insieme, fare l'amore e parlare dei nostri problemi …» la voce gli si inclinò appena mentre prendeva un respiro «E poi un giorno, quando sarò vecchio e avrò dimenticato l'orgoglio … e mi sarò stancato di cantare, o quando non proverò più questa sensazione di inferiorità … potrò tornare a vivere anche io nel vecchio appartamento … insieme a te? ». Le spalle gli tremarono, scosse da un pianto silenzioso. Wakatoshi non rispose, si limitò ad abbracciarlo di nuovo, baciandogli una tempia con amore.
 
Quella notte trovò la pace. La pace, dopo molto tempo.

 
***
 

Shouyou si svegliò di soprassalto nella notte.
La sua camera da letto era buia, ma dalla persiana del balcone filtrava la luce della luna. Non era in grado di capire che cosa lo avesse svegliato, esattamente.
Si era addormentato di colpo, mentre aspettava invano che succedesse qualcosa.
Senza cellulare era davvero frustrante starsene ad attendere, fuori dal mondo.
Guardò la stanza familiare e il cuore gli balzò nel petto.
Tooru dormiva nel futon accanto. Sembrava rilassato, profumava di spezie e sandalo. Shouyou non aveva idea di quando fosse rientrato, non aveva sentito niente.
Si mise a sedere sul futon, mezzo stordito, e la mano urtò qualcosa poco sopra la testa di Tooru, sul pavimento. Una penna. E un foglio.
Li riconobbe entrambi, e si rese conto che Tooru si era addormentato scrivendo, poiché il tappo era ancora tolto. Shouyou avvicinò il testo alla luce della luna.
 
So I broke my promise
I called you last night
I shouldn't have, I wouldn't have
If it weren't for the sight of a boy
Who looked just like you
Standing out on Melrose Avenue
 
It hurts to be something
It's worse to be nothing with you,
 
Aveva terminato la canzone, finalmente.
Una canzone lunga quasi due anni.
Shouyou sorrise, riponendo il foglio dove l'aveva trovato, e osservò l'amico.
 
Quella notte fece un sogno. Non ne ricordava esattamente il contenuto, ma era sicuro fosse un sogno pervaso di tepore, e di una piacevole sensazione di felicità.
 
 
 
No matter how long I resist temptation
I will always lose
 
(Promise - Laufey)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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