Questa
storia è la continuazione di Broken Ice.
Non è necessario averla letta per seguirla ma farlo
aiuterà a comprenderne le varie sfacettature.
** Attenzione **:
Contiene la delicata tematica del non riuscire ad avere dei figli,
perciò ne sconsiglio la lettura a chiunque possa sentirsi a
disagio.
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Il loro primo bacio era
avvenuto sul ghiaccio, come avrebbe
potuto essere altrimenti?
Jack aveva cominciato
ad aspettarla, o direttamente
accompagnarla, ogni volta che sentiva la necessità di
rimettersi i pattini ai
piedi. Dapprima si era limitato ad essere un ammirato spettatore
silenzioso ma,
volta dopo volta, aveva preso coraggio e aveva cominciato ad
affiancarla.
La sua pattinata era
energica, come il suo sport richiedeva:
lo aveva anche ripreso, assieme a tutta la squadra, per questo. La
verità era
che Jack sui pattini era nel suo mondo, scivolava come sospinto dal
vento e
sembrava essere nato per quello, proprio come lei.
Quella
consapevolezza, talvolta, arrivava a pungolarla come un
tarlo subdolo e una piccola punta di invidia si faceva largo nel suo
cuore: una
minuscola crepa capace di incrinare la superficie ghiacciata e di
risucchiare
tutto nelle sue tenebrose acque.
Prima che questo
avvenisse, però, Jack arrivava sempre in
suo soccorso come se, in qualche modo, avvertisse questi suoi
improvvisi cambi
di umore e, per risollevarla, iniziava ad allestire figure ardite e dal
dubbio
gusto che, però, avevano l'incredibile potere di farla
tornare a sorridere, sempre.
Anche quella volta si
era azzardato a metterne in atto una
che sembrava impossibile anche solo da pensare, tuttavia la risata le
era morta
in gola quando l'aveva visto cadere. Allarmata era scivolata rapida
verso di
lui e si era inginocchiata al suo fianco: Jack era riverso sul
ghiaccio, gli
occhi chiusi e nessun segno di vita. Con l'ansia che già
premeva per uscirle
dagli occhi, gli aveva preso una spalla e lo aveva fatto voltare
delicatamente,
sussurrando il suo nome a fior di labbra.
Era stato in quel
momento che lui aveva riaperto un occhio e
le aveva regalato un sorriso sbieco, meritevole di un milione di
schiaffi. Non
lo aveva riempito di insulti solo perché, svelto, le aveva
preso il volto fra
le mani e le aveva, di fatto, tappato la bocca con la sua.
Improvvisamente,
tutta la rabbia si era trasformata in
qualcos'altro e si era ritrovata a ricambiare quel bacio con una
passione che,
fino a quel momento, aveva messo solo nel pattinaggio: si era spinta in
avanti,
intrappolandolo fra il suo corpo e la lastra ghiacciata. Questo aveva
avuto il
potere di dare a Jack maggior sicurezza, tanto da farlo azzardare a
schiudere
le labbra per cercarle la lingua con la sua.
Così
avevano iniziato ad imparare un nuovo tipo di danza e,
quando si erano staccati, erano fradici e gelati ma anche tanto, tanto
felici.
La prima volta che
fecero l'amore, invece, fu un'esperienza
tragicomica, finì in fretta e con ben poche soddisfazioni,
soprattutto per lei.
Non aveva mai visto Jack così abbattuto ma l'unica colpevole
da ricercare era
la loro inesperienza, nulla di più. Di una cosa,
però, Elsa non si sarebbe
scordata mai: il modo in cui l'aveva guardata quando era stata nuda di
fronte a
lui. Si era sentita adorata e si era innamorata di
quell’adorabile irritante
ragazzo una volta di più. Le occasioni per migliorarsi, poi,
non erano di certo
mancate e lo avevano fatto, eccome.
E anche ora che erano
adulti, sposati e vivevano nella
stessa casa, c'era una cosa che lui continuava a fare che aveva sempre
il
potere di lasciarla senza fiato, sì, decisamente in
più modi.
Talvolta
anziché abbandonarle le labbra - per lasciarle una
scia di baci roventi sul collo, torturarle i seni con la lingua e i
denti,
proseguire sul ventre e affondare la testa nel calore delle sue cosce,
per
farla sciogliere in una polla di piacere liquido - faceva il percorso
inverso:
partiva dal piede e lo baciava centimetro per centimetro, salendo pian
piano
per soffermarsi sulla cicatrice dell'operazione che segnava - e per
sempre
avrebbe segnato - la tibia della sua gamba destra. Era come se la
ringraziasse
per avergli permesso di avvicinarla, amarla. E, forse, l'arrivo di Jack
nella
sua vita l'aveva aiutata ad approcciarsi in modo diverso a
quell'incidente che,
sì, le aveva tolto tutto ma, inaspettatamente, le aveva
anche dato tanto. Così
quel sogno che sembrava spezzato per sempre era stato riempito di
speranza
nuova e si era trasformato in qualcos'altro: se le gare le erano state
negate
come atleta, nessuno avrebbe potuto impedirle di passare dall'altra
parte, la parte
dell’allenatrice.
«Di nuovo.
»
La sua allieva non
fece un fiato: annuì e tornò in
posizione. Si concesse solo qualche secondo per recuperare la
concentrazione
necessaria e, poi, si staccò decisa dalla balaustra,
iniziando la sequenza
a serpentina che stavano preparando da giorni.
Chasse, twizzle,
controvenda, controtre, hop, mohawk…
Elsa
assottigliò gli occhi e aprì appena la bocca.
«Più
espressiva, lo so. » L'anticipò la ragazza,
bloccando
la sua transizione con stizza. Tornò al suo posto,
più decisa di prima,
strappandole un sorriso. Già dal primo passo si rese conto
che sarebbe stata
perfetta ma, quando arrivò al momento del salto, qualcosa
nel suo sguardo cambiò
e, ancor prima che sbattesse la schiena sulla lastra di ghiaccio, Elsa
era già
al suo fianco.
«Tutto a
posto? » Si assicurò subito delle sue condizioni
di salute.
«Sì…
» Balbettò quella paonazza di vergogna.
«Che
è successo?»
«Non lo
so… » Si schermì l'altra, sfuggendo il
suo sguardo.
Per sua sfortuna,
però,
Elsa riuscì comunque a notare dove la coda dell'occhio della
sua
allieva si fosse posata prima di concentrarsi sulla lastra gelata. Era arrivato. Ora capiva meglio da dove
venisse tutto quel rossore. Alzò gli occhi al cielo con un
sospiro rassegnato, tuttavia aveva un sorriso divertito ad incresparle
le labbra. «Va
bene, basta per oggi. Fila sotto la doccia. »
«Sì,
coach! »
Si alzò
con lei ma non la seguì negli spogliatoi, anzi, mosse
i pattini verso l'altra parte della pista. Si fermò,
scivolando con grazia, di
fronte all'uomo appena arrivato e lo accolse con un ghigno ironico e le
braccia
incrociate. «Quante volte ti ho detto di non venire a
deconcentrare le mie
allieve? » Gli chiese, fermando il naso ad un soffio dal suo.
Lui le
posò un bacio a fior di labbra. «Mettiamola
così:
quando il tuo avvenente marito smetterà di essere fonte di
distrazione, saprai
che saranno pronte. »
«Ti sei dimenticato di dire modesto. »
Celiò di rimando. «Devi solo
ringraziare gli ormoni se hai tutto questo potere. »
«Menti
sapendo di mentire. » La punzecchiò ancora ma, per
quanto la sfida fosse allettante, arrivare in ritardo alla cena
organizzata
dalla sorella non era un’opzione contemplata.
«Vado a
cambiarmi. » Depose, quindi, le armi,
restituendogli il bacio. «Ci vediamo all’ingresso,
ok? »
Arrivarono di fronte alla
porta di casa di Anna e Kristoff
in perfetto orario.
«Pensi che
riuscirai a non fare impazzire mia sorella,
questa volta? » Chiese divertita, il dito ad un soffio dal
campanello.
Jackson sorrise ma in
un modo che aveva poco di rassicurante.
«Ci proverò ma non posso prometterti nulla.
»
Elsa scosse il capo,
spingendolo un poco con una spalla e,
finalmente, suonò.
«Ciao,
Elsa! » La accolse il cognato con un largo sorriso e
un caldo abbraccio.
«Ciao,
Kristoff! » Gli rispose lei, ricambiando la stretta.
«Jack…
»
«Kriss…
»
«Coraggio,
entrate: Anna arriva subito, è andata un attimo
in bagno. »
Jackson gli porse un
sacchetto di carta. «Qui c’è del
gelato, meglio metterlo in fresco. »
«Spero tu
abbia preso il cioccolato. » Celiò
l’altro con un
mezzo sorriso.
«Come
dimenticarsene? » Stette al gioco lui, lanciando
un’occhiata eloquente alla propria moglie.
«Quanto
siete spiritosi… » Li riprese bonariamente Elsa,
appendendo la propria giacca all’ingresso e sostituendo le
scarpe con un paio
di comode ciabatte da interno.
«Siete
arrivati! » Anna si illuminò gioiosa non appena li
vide e, letteralmente, si lanciò fra le braccia della
sorella.
«Ehi, ti ha
travolto un uragano? » La salutò Jack, cordiale
quanto una cinquina sul muso. «Hai una pessima cera.
»
Elsa
ricambiò la stretta senza risparmiare
un’occhiataccia
al marito che, però, aveva ragione. «Stai bene?
» Le chiese preoccupata. «Ti
vedo pallida. » Aggiunse, spostandole amorevolmente una
ciocca di capelli
ramati dietro all’orecchio.
L’altra
sorrise. «Non preoccuparti: passa subito, basta
solo mettere qualcosa sotto ai denti. Grazie per il tatto. »
Concluse,
cambiando repentinamente espressione mentre puntava i suoi occhi, ora
pericolosamente assottigliati, in quelli di Jack.
«E’
sempre un piacere. » Soffiò lui mellifluo,
lasciandole
un bacino ruffiano sulla guancia per salutarla.
«Ti perdono
solo perché ho sentito che hai portato il
gelato al cioccolato. » Gli concesse la sua grazia.
«Coraggio, andiamo. »
Anna e Kristoff avevano
allestito una sorta di cena da fare
in piedi, con tanti sfiziosi stuzzichini da consumare direttamente
senza piatto
fra una chiacchiera e l’altra. La serata era trascorsa
piacevole, eppure Elsa
aveva una strana sensazione: c’era un non so che di strano
nel comportamento della
sorella, come se le stesse nascondendo qualcosa.
«Tesoro,
credo sia giunto il momento… » Sentì
sussurrare a Kristoff,
quando l'ultimo bicchiere fu riposto nella lavastoviglie per il
lavaggio notturno.
Anna tirò
un grosso respiro e annuì. «Elsa, Jack, lo
sapete: avervi ospiti e passare del tempo con voi è una cosa
di cui non ci
stancheremo mai… » Fece una pausa, «A
dir la verità, di te, ogni tanto, sì. »
Celiò, lanciando una finta occhiataccia al cognato.
Jackson la
guardò con un ghigno furbetto. «Devi accettare
la sconfitta: il cuore di tua sorella è mio. »
Colpì senza pietà, portandosi la
mano della diretta interessata alle labbra.
«Mai!
» Quasi ringhiò l’altra, stringendo il
pugno.
Elsa
sospirò. «Ancora devo capire chi sia il
più sciocco
fra voi due… »
«Lui!
»
«Lei!
»
Risposero entrambi
all’unisono.
«Credo che
tu abbia la tua risposta. » Le fece presente
Kristoff, con una mezza risata. «Quel che Anna sta cercando
di dirvi è… »
«Che
stasera vi abbiamo invitato per un motivo preciso,
perché dobbiamo dirvi una cosa. » Riprese parola.
Un brivido percorse
la schiena di Elsa e la testa le girò ma
niente aveva a che fare con quello che aveva bevuto: quello strano
malessere,
l’attenzione nel mangiare solo determinate cose, la bibita
analcolica… lei era…
«Sono
incinta! » confessò Anna in un colpo, guardandola
dritta negli occhi. «Volevamo che foste i primi a saperlo
perché so quanto… »
Non riuscì
a terminare la frase: si ritrovò con il volto premuto
sul petto della sorella, la testa appoggiata alla sua e le sue braccia
a
stringerla forte. «Sono così contenta per voi, per
te! » Le disse Elsa, con la
commozione ad inumidirle gli occhi.
Tirò su
col naso, le guance bagnate. «Dici sul serio?
Avevo così paura che… »
«Sssh…
» La rassicurò l’altra. «Non
devi sentirti in
colpa. E’ una notizia bellissima, sono certa sarete due
genitori fantastici. »
«Grazie.
»
Risero assieme delle
rispettive lacrime.
«Come ti
senti? »
«Tutto
sommato bene, a parte le nausee che si fanno avanti
sempre nei momenti meno opportuni, come poco prima del vostro arrivo,
ad
esempio. »
«Sarà
una bambina! » Li informò Kristoff orgoglioso.
«Già
innamorato, eh? » Lo canzonò Jack.
«Sappi che non
potrai competere con lo zio più figo e divertente di tutti.
»
«Ehi!
» Sbottò l’altro, preoccupato.
«Stavo solo
scherzando. » Gli fece presente. «Forse…
»
Ghignò, per poi distendere il viso in
un’espressione serena. «Congratulazioni,
amico. »
«Grazie.
»
E si abbracciarono
nella maniera goffa di chi non è abituato
a certe effusioni.
Rimasero tutti e
quattro così, ancora per qualche minuto,
prima di tornare alla loro serata. Quando si spostarono sul divano e si
sedettero, Elsa si ritrovò la mano di Jack nella sua e non
gliela lasciò più
andare.
Quella mano la tenne
stretta anche per tutto il viaggio di
ritorno verso casa, lasciandogliela giusto il tempo necessario alle
manovre di
parcheggio e l’abbandonò solo quando lei gli fece
presente di voler farsi una
doccia prima di andare a dormire.
La vide sparire nel corridoio, ripensando a quel pesante
silenzio che li aveva avvolti nell’abitacolo
dell’auto e che nessuno dei due
aveva avuto il coraggio di spezzare. Si levò il maglione e
si versò del whisky
che centellinò assorto sul divano. Cominciò a
preoccuparsi quando, dopo
mezzora, di Elsa non c’era ancora traccia. Con uno strano
senso di allarme, si
avviò verso il bagno e, una volta di fronte alla porta,
sentì come il getto
dell’acqua fosse ancora in funzione.
Bussò.
«Elsa! »
Non ottenne risposta. La aprì senza indugi e, per un attimo,
il suo cuore si fermò nel non trovarla nel box doccia.
«Elsa! » Chiamò ancora,
quasi nel panico e, finalmente, la vide. «Cristo! »
Era seduta, rannicchiata, sul pavimento: impossibile vederla
in viso, nascosto com’era dalle braccia e dalle gambe.
Senza neanche pensare di togliersi il resto dei vestiti che
aveva addosso, aprì i vetri e le fu subito accanto.
L’acqua era gelata.
«Elsa! » La chiamò ancora, alzando una
mano a miscelare una
temperatura più mite.
Lei alzò lo sguardo su di lui, stravolto dal pianto.
«Amore mio… » Le disse, stringendola
forte fra le braccia.
«Sono una persona orribile. » La sentì
dire fra i
singhiozzi. «Perché non riesco ad essere felice
per una notizia così bella? »
Si aggrappò alla sua maglia completamente zuppa,
conficcandogli le unghie nella
carne. «Dovrei essere piena di gioia e, invece, riesco a
pensare solo a perché
lei sì? Sono un mostro. »
Jackson inspirò a fondo e, se possibile, la strinse ancora
di più. «Non sei un mostro, Elsa, sei un essere
umano.
» Le disse, nonostante pure la sua gola si stesse
stringendo
in un nodo subdolo. «Tu sei felice per
Anna e Kristoff. Ti ho vista a casa loro, la notizia ti ha devastato ma
–
nonostante questo – non stavi fingendo con tua sorella. Solo
che
non sei felice per te,
non sei
felice per noi.
» Cercò di rassicurarla. «Ci abbiamo
provato così tanto… » La
voce gli si spezzò.
Questa volta furono le braccia di lei a scattare e la testa
di lui ad essere cullata, mentre le lacrime di entrambi si mescolavano
con lo
scroscio tiepido dell’acqua.
«Perché non ci riusciamo? » Chiese
esasperata. Se era vera
l’esistenza di un’entità superiore,
perché si ostinava a volerla vedere
infelice?
Le aveva dato il dono di essere una regina del pattinaggio
per poi strapparglielo via. Le aveva messo un ragazzo meraviglioso, ora
uomo,
sulla sua strada ma le aveva negato una qualsiasi
possibilità di creare una
famiglia con lui. Perché? Perché?
«Io non lo so… » Le rispose Jack.
«Abbiamo fatto tutti gli
esami possibili e non abbiamo niente che non va… »
«Forse, siamo semplicemente incompatibili…
» Soffiò,
gelida.
Lui si staccò di colpo, allarmato. «Cosa stai
cercando di
dire? Che dovremmo lasciarci? »
Lei annuì, mordendosi le labbra con dolore.
«Elsa, che cazzo dici? » Sbottò,
scrollandola per le
spalle.
«Tu metti sempre il mio dolore prima del tuo, lo stai
facendo anche adesso ma io lo vedo! Finirai per odiarmi! »
Gli sputò addosso
tutte le sue paure. «Tu li adori i bambini, maledizione! Tu
sei nato per
farli divertire: saresti uno stupido, pazzo, meraviglioso
papà perfetto ma, con
me, non potrai mai esserlo. » Distolse lo sguardo.
«Tu vuoi una famiglia che
io non ti posso dare. »
Jack strinse i denti, arrabbiato. «Guardami! » Le
prese il
mento per farle riportare gli occhi nei suoi: avvertì
resistenza. «Ti ho detto
di guardarmi! »
Lei cedette, riportando lo sguardo frustrato e arrossato su
di lui. «Noi siamo già una famiglia: tu sei mia
moglie, cazzo! Io ti amo e ti
amerò per sempre e se non potremo avere bambini
vorrà dire che saremo degli
stupidi, pazzi, meravigliosi, perfetti – e soprattutto
fighissimi – zii. » Non
si sa come, riuscì a strapparle un sorriso fra i singhiozzi.
«Non parlare come
se l’avere un figlio fosse solo un mio
desiderio. Pensi che non noti il sorriso che ti spunta sulle labbra
ogni volta
che ne incrociamo uno? O credi davvero che la maschera di
severità che indossi
con le tue allieve incanti qualcuno? Tua sorella ha voluto che fossi la
prima a
sapere della sua gravidanza perché sa quanto ci tieni e
aveva paura di averti
tradito. Smettila di addossarti tutte le colpe, anche tu potresti avere
dei
figli con un altro uomo, perché dovrei essere proprio io a
stufarmi di te? »
«Perché io non potrò mai stufarmi di
te. » Affermò
risoluta. «Tu mi hai salvata quando stavo per scivolare nel
momento più buio
della mia vita, hai guardato oltre il ghiaccio di cui mi ero ricoperta:
non
vorrò mai nessun altro oltre te. »
«Sciocca… » La riprese bonariamente lui,
trasformando la sua
presa in una carezza sul viso. «Raggiungerti su quella pista
di pattinaggio,
quel giorno, è stata una delle migliori decisioni mai prese
in vita mia. » La
attirò a sé, baciandole la fronte bagnata.
«Tutto ciò che voglio è vederti
felice e se pensi di riuscire ad esserlo con me, anche se un figlio non
dovesse
arrivare mai, io su di noi voglio continuare a
scommetterci. Nella buona
e nella cattiva sorte, ricordi? Non sono uno che molla. »
Lo sguardo di Elsa riprese, finalmente, determinazione.
«Neanche io. »
Jackson sorrise. «Bene. » Decretò,
lasciandole un leggero
bacio sulle labbra. «Ora, che ne dici di uscire da qui? Non
nego che questi
vestiti zuppi comincino a darmi parecchio fastidio. »
Il pianto cessò.
Uscirono dalla doccia e si
asciugarono in silenzio ma,
questa volta, non saturo di negativa frustrazione. Era un silenzio di
consapevolezza nuova, di aver trovato una via d’uscita in
quello che sembrava
un vicolo cieco.
Una volta finito, si
misero i pigiami e si lavarono i denti.
Elsa, con il suo
bicchiere di
acqua in mano, raggiunse la
camera da letto che il marito era già coricato. Si
infilò
sotto alle coperte:
lui non diede alcun segno di veglia e continuò a darle le
spalle. Rimase a
guardare il soffitto, illuminato dalla tenue luce
dell’abat-jour,
e sospirò. «Sei sveglio? » Chiese a
bassa voce.
«Sì.
» La risposta arrivò rapida e decisa.
Lei gli si
avvicinò, cingendogli un fianco con il braccio e
allacciando una gamba alla sua. «Jack… »
Lo chiamò, posando il capo sulla sua
schiena.
«Mmh?
»
«Grazie per
essere quello che sei. »
Jackson si
girò: aveva gli occhi stanchi ma un sorriso gli
increspava le labbra. «Grazie anche a te per essere quella
che sei. » Le
rispose, stringendola a sua volta.
«Possiamo
dormire così? » Gli chiese, le gote appena
arrossate.
«Certo.
» Le confermò, regalandole un bacio.
«Tutto quello
che vuoi. » Continuò, dandogliene un altro ancora.
«Buona notte. »
Lei
ricambiò ognuno di quei baci e ne aggiunse ancora uno.
«Buona notte. »
A
volte ritornano. Innanzitutto, ciao! Il mio contatto con la scrittura è stato bloccato per molti mesi ma, ancora di più, sono stata lontana dai miei due ghiaccioli preferiti. Eppure eccomi, di nuovo, qui con questo scritto che è uscito in una maniera quasi inaspettata perché, dovete sapere, che questa idea è nata veramente pochissimo tempo dopo Broken Ice e ce l'ho a ribollire nei meandri del mio cervello praticamente da un paio di anni. Non so di preciso perché sia uscita proprio ora ma mi sento di ringraziare BlueBell9 perché in questi mesi di blocco mi ha sempre spronato a riprendere la penna in mano e, quindi, questo exploit è anche un po' merito suo e la ringrazio, inoltre, di aver letto questa OS in anteprima e di avermi tranquillizzata perché, sì, avevo un po' di timore a pubblicare qualcosa con questo tipo di tematica. Spero davvero di averla trattata con il giusto rispetto. Ci tengo a sottolineare che la ricerca del titolo mi ha fatto penare ancora una volta ma alla fine ho optato per questa parola dalla natura duplice che sta al concetto di rimettere a posto, tanto quanto a quello di rifugio e protezione che, per me, Elsa e Jack potranno sempre trovare l'una nell'altro. Infine, ringrazio anche voi per aver letto fino a qui. Vi mando un grosso abbraccio e vi auguro buone feste. Cida
P.S. Ebbene sì, l'intro è parte di una canzone dei MeControTe. ù///ù |