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Autore: Rota    18/12/2023    1 recensioni
Ortho fece roteare gli occhi e Idia sobbalzò. Nonostante fosse stato proprio lui a creargli quel nuovo viso, non riusciva davvero ad abituarsi: era fin troppo umano, e le espressioni fin troppo visive.
«Nii-san! Il cambio termico a bassa quota ha spostato le perturbazioni violente da Nord verso Sud, mentre l’Anticiclone proveniente dalle pianure continentali ha spinto gli agglomerati di nubi oltre la costa.»
Il viso di Idia era ancora illuminato dalla luce del display del videogioco, e gli occhi gli bruciavano un poco. Dovette sbattere le palpebre diverse volte e abbassare le cuffie fino alle spalle, prima di scuotere la testa e tutti i capelli blu.
«C-cosa hai detto?»
Con una pazienza davvero sovrumana, Ortho si ripeté.
«Il cambio termico a bassa quota ha spostato le perturbazioni violente da Nord verso Sud, mentre l’Anticiclone proveniente dalle pianure continentali ha spinto gli agglomerati di nubi oltre la costa.»
«Questo l’ho sentito. Ma non so cosa…»
«Fuori nevica, Nii-san.»
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Idia Shroud, Ortho Shroud
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
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Note autrice: Poteva mancare una (leggerissima) IdiaOrtho per Natale? Ovviamente no. Ovviamente no.
Mi sono immaginata Idia alle prese con la "umanizzazione" di Ortho, ed eccoci qua.
Idia qui festeggia il 16esimo compleanno, giusto per ribadire.
Buona lettura (L)














Ortho fece roteare gli occhi e Idia sobbalzò. Nonostante fosse stato proprio lui a creargli quel nuovo viso, non riusciva davvero ad abituarsi: era fin troppo umano, e le espressioni fin troppo visive.
«Nii-san! Il cambio termico a bassa quota ha spostato le perturbazioni violente da Nord verso Sud, mentre l’Anticiclone proveniente dalle pianure continentali ha spinto gli agglomerati di nubi oltre la costa.»
Il viso di Idia era ancora illuminato dalla luce del display del videogioco, e gli occhi gli bruciavano un poco. Dovette sbattere le palpebre diverse volte e abbassare le cuffie fino alle spalle, prima di scuotere la testa e tutti i capelli blu.
«C-cosa hai detto?»
Con una pazienza davvero sovrumana, Ortho si ripeté.
«Il cambio termico a bassa quota ha spostato le perturbazioni violente da Nord verso Sud, mentre l’Anticiclone proveniente dalle pianure continentali ha spinto gli agglomerati di nubi oltre la costa.»
«Questo l’ho sentito. Ma non so cosa…»
Non capiva cosa Ortho stesse cercando di comunicargli, in quel preciso momento.
I meccanismi del piccolo androide squillarono per lo sforzo di sintetizzare in modo efficace il messaggio che voleva - che voleva! - dirgli. Ortho rimase immobile per diversi secondi, fluttuando davanti al bordo del letto del giovane costruttore.
Idia cominciò ben presto a sentirsi a disagio. Forse era davvero quel nuovo viso a dargli tutte quelle emozioni negative, era stata una brutta idea costruirgli degli occhi mobili. Tanto avrebbe visto comunque, con tutti gli scanner di cui lo aveva dotato, e non serviva quell’imitazione.
«Fuori nevica, Nii-san.»
Idia non tentò neanche di soffocare una risatina liberatoria.
«Tutto qui? Tutte quelle parole per dire una cosa del genere?»
Sollevò di nuovo le cuffie a forma di orecchiette da gatto, gli occhi già sul display ancora luminescente.
«Qui è normale che nevichi, siamo sopra il mare.»
Il suo piccolo carro-armato riprese la propria corsa e cominciò a sparare - per alcuni istanti, il giovane non sentì più nulla se non la musichetta di accompagnamento della sua corsa alla distruzione.
Lui, Ortho, si intromise invece sul display e interruppe la musichetta, come un virus molesto.
«Non ti va di uscire fuori?»
Idia stoppò il gioco di nuovo e lo guardò, Ortho non aveva abbassato lo sguardo. E come avrebbe potuto? Lui non conosceva davvero le emozioni come la vergogna o il timore, come l’imbarazzo o la gentilezza: poteva solo imitare ciò che vedeva, con quegli occhi giganteschi.
Però lui le emozioni le provava eccome, e da che era stupito, cominciava a essere un po’ inquietato.
«Perché mi fai una domanda del genere?»
«Nell’ultimo film che abbiamo visto-»
«Ah, sì. Quello sul Natale. Una vera noia-»
«-i bambini! Giocavano nella neve. Anche noi potremmo giocare nella neve, Nii-san.»
«Ma fa freddo… e poi io non sono più un bambino. Ho già sedici anni!»
«L’adolescenza è a cavallo tra l’infanzia e l’età adulta, quindi è il momento perfetto per addurre a comportamenti infantili. E per il freddo, puoi usare il pigiama che ti ho regalato.»
Idia arrossì.
«Non dovresti emozionarti così tanto per quel kigurumi…»
«Non ti piace?»
«Non ho detto questo…»
Un altro errore che aveva fatto - solo un altro, non uno in più! - era stato permettere all’androide di comprargli qualcosa. Se n’era stupito, ovviamente, che riuscisse a prendere iniziative simili, ma si era anche scoperto impossibilitato a rifiutargli qualsiasi cosa. Forse aveva sviluppato una debolezza nei suoi confronti, e questo non andava affatto bene.
Ortho cominciava ad avere una coscienza vera e propria, una macchina con consapevolezza di sé e degli altri – specialmente di lui, che era tutto il suo mondo.
Ma Idia ci avrebbe pensato un’altra volta. Forse.
Il robottino finalmente interruppe il contatto visivo, si voltò e andò a prendergli il pigiama ben piegato dalla scrivania, dove lo aveva lasciato mezzo incartato. In mezzo ai fiocchetti, spuntavano le due orecchie da gattino, e la lunga coda tigrata.
Avrebbe voluto un gatto, non vestirsi da gatto, ma dubitava che Ortho riuscisse a intendere quelle sottigliezze semantiche - almeno, così com’era ora. Avrebbe davvero dovuto fare un upgrade al suo sistema d’apprendimento, ma temeva quali iniziative poteva intraprendere, a quel punto.
Magari, sarebbe riuscito a sviluppare una volontà omicida.
«Davvero non vuoi?»
«D-domani torniamo a casa, dai nostri genitori. Devo alzarmi presto…»
«Staresti sveglio tutta la notte a giocare in ogni caso. Almeno respirare aria fresca ti fa bene.»
Allargò gli occhi, sorpreso da tanta audacia, e non riuscì neanche a rispondergli. Ma quella frase la riconobbe, apparteneva a uno di quei terribili, angoscianti film sulla relazione genitori-figli che sua madre gli aveva fatto vedere tempo addietro, quando erano ancora alla base sottomarina. Si sorprese nel constatare che Ortho lo avesse memorizzato fino a quel momento, e chissà quanto aveva memorizzato senza che se ne rendesse veramente conto.
Chissà quando avrebbe detto altre frasi simili.
Allungò la mano verso il pigiama a forma di gatto.
Lo toccò a lungo, era molto morbido. Ortho rimase immobile finché non si decise a prenderlo - era forse un sorriso, quello sul suo viso? Scoprì essere difficile saperlo, in realtà, perché metà del suo viso era ancora coperto dalla museruola di metallo.
Almeno, non lo avrebbe visto nessun’altro.
«E va bene… ma solo perché è il mio compleanno.»
 
 
Faceva esageratamente freddo: era servito non altri che un passo oltre lo Specchio di Ignihyde perché Idia si pentisse di aver acconsentito a tutto quello. Si strinse nel proprio kigurumi e si abbracciò le spalle da solo.
«Ok, abbastanza attività fisica per oggi. Torniamo indietr-»
Ortho lo sollevò da terra, volò oltre l’ingresso della piccola costruzione e si immerse nella notte gelida. La neve li colse, nel suo scendere piano e inesorabile dal cielo, e ghiacciò il viso del giovane ragazzo.
Idia strillò «Ortho! Ortho- mettimi giù!»
Per tutta risposta, il robottino si abbassò di quota. Non gli aveva disobbedito, in effetti, aveva fatto esattamente quello che il suo padrone, il suo nii-san gli aveva detto di fare.
Nell’aprire di nuovo bocca per replicare a quell’atto di ribellione, Idia ingoiò diversi fiocchi di neve, che andarono direttamente in gola e lo obbligarono a sputacchiare, a tossire per la sorpresa.
Vide con la coda dell’occhio il suolo scorrere sotto i suoi piedi penzolanti. Non gli era mai particolarmente piaciuto volare, in quel modo ancora di meno. Ortho, d’altronde, non sembrava accusare la minima fatica: i suoi ingranaggi funzionavano a meraviglia, più veloci che mai. Quello che avrebbe percorso in venti minuti, riuscì a coprirlo in tre.
Ortho si sollevò ancora di quota, quando si avvicinarono abbastanza al grande promontorio che sollevava l’edificio scolastico. Ma invece di seguire la lunga scalinata verso l’ingresso maestoso, cominciò a girare il dorsale di roccia, fino ad arrivare dietro, dove c’era poca spiaggia e tanti scogli aguzzi.
In mezzo alle grotte scavate nella pietra, Ortho individuò un piccolo sprazzo orizzontale, largo quasi due volte la camera di suo fratello maggiore. La scogliera faceva da riparo del vento e il mare era tenuto lontano dalla spiaggetta sottostante. Era il luogo perfetto per fare una battaglia a palle di neve, soltanto loro due.
Idia fu depositato lì. Neve vergine, non pestata da nessuno. Neve morbida sotto i suoi piedi.
Fece un paio di passi in avanti, per sentire il suono scrocchiante delle proprie orme. La neve continuava a cadergli sulla testa, soffice come piume. Aprì il palmo della mano davanti a sé, e lasciò che la neve cadesse sulla sua pelle fredda, per sentirne la consistenza.
Fece un piccolo, piccolissimo sorriso. «Era da tanto che-»
Poi, una palla di neve non troppo morbida lo colpì in faccia, e la sorpresa lo fece balzare all’indietro. Il cappuccio del suo kigurumi da gattino scivolò all’indietro, e la cascata di capelli blu acceso uscì dal pigiama per sparpagliarsi ovunque, sulla neve candida.
Rimase immobile a guardare il nero nella volta celeste, mentre il piccolo Ortho faceva l’imitazione perfetta di una risata malefica. Era un sogno quello, davvero un sogno stranissimo.
«Ti basta così poco per cadere, nii-san?»
La sua mano ebbe uno spasmo, afferrò il vuoto. Lo sguardo di Idia scivolò piano verso il robottino, che ancora dondolava in aria e lavorava una seconda palla di neve, pronto all’ennesimo attacco. Le sue dita non erano calde, non scioglievano niente, ma modellavano con precisione mortale la prossima arma assassina.
Lo straniamento di Idia lasciò però ben presto posto a quel familiare sentimento di gioco che lo animava tutte le volte che accendeva una console, o uno dei suoi potentissimi computer. Ghignò, con tutti i suoi denti aguzzi, e mentre si alzava sulle ginocchia già cominciava ad ammassare neve contro il palmo della mano.
«Sciocco da parte tua sfidarmi-»
Dovette buttarsi a terra rapidissimo per evitare tre palle di neve dal robot. Rotolò a terra e si alzò di scatto, per contrattaccare – il robot, ovviamente, fu più veloce di lui, e con una piroetta in aria rese vani i suoi tentativi di difesa.
Lo guardava con occhi pieni di vita.
«Preparati alla sconfitta, nii-san!»
 
 
Disteso di schiena sulla neve schiacciata e fredda, Idia rivolgeva il viso al cielo. Il respiro ormai gli era tornato caldo, ma ogni volta che espirava una nuvoletta di condensa di alzava dalle sue labbra.
Piccoli fiocchi gli bagnavano la pelle accaldata. Sulle guance, sulla fronte, sulla punta del naso. Mosse ancora le braccia e le gambe, ricalcando quella figura che aveva scavato nella neve, attorno a sé. I suoi muscoli, però, cominciavano a essere pesanti, e gli sfuggì un piccolo sbadiglio.
«Comincio a essere stanco.»
Sentì gli squilletti degli ingranaggi di Ortho. Guardò verso sinistra, lo vide ancora sospeso nell’aria, con le ginocchia piegate sotto il corpo sottile, freddo. Non sapeva dove avesse imparato a muoversi in quel modo, sembrava così umano: esprimeva persino nella posa i propri pensieri e le proprie intenzioni, come se avesse un flusso di coscienza interno che non necessitava di essere esplicitato a parole, ma che comunque veniva comunicato. Quasi avesse persino dei sentimenti.
Erano passati solo quattro anni da che aveva costruito quel piccolo androide, eppure da quando era entrato in quella scuola, entrambi erano molto cambiati. Il contatto con il mondo esterno li aveva obbligati a un continuo scambio di informazioni, e questo ovviamente aveva portato a un arricchimento di Ortho che mai avrebbe potuto davvero prevedere. Invece che film e telefilm, il robot aveva potuto attingere a una fonte di informazioni viva e reale, inesauribile.
Ortho si chinò verso di lui. I suoi capelli fluttuavano sopra la testa perfettamente ovale, come se aria e gravità non esistessero. Ipnotici.
«Siamo qui da quasi due ore. Non sei molto abituato all’attività fisica, nii-san.»
«Combattere a palle di neve con te non è classificabile come attività fisica! È più un-» Gesticolò, senza trovare le parole. «-è come andare addosso alla Morte nera con un’astronave a cabina singola, senza equipaggiamento e con il motore in fiamme.»
Gli ingranaggi di Ortho squillarono, e lui sorrise.
Lui sorrise, perché aveva capito che quella che Idia aveva detto fosse una battuta, e la naturale reazione alle battute era la risata.
«Se vuoi che abbia quelle dimensioni, devi cambiarmi d’aspetto! Nii-san, posso essere quello che vuoi e quello di cui hai bisogno!»
Lo sapeva, lui non era umano. Non lo era per niente – non era il vero Ortho.
Si girò di fianco, perché all’improvviso non sopportava più la sua vista. Sentì gli squilli degli ingranaggi di Ortho, li odiò con tutto se stesso, e ancora prima che il robot potesse fare qualsiasi cosa, si era irrigidito con tutto il corpo e aveva mosso le spalle di scatto, per allontanarsi da lui.
«Non avvicinarti!»
Di nuovo silenzio, solo la neve che cadeva e cadeva e cadeva, lenta e inesorabile.
I suoi capelli luminescenti erano scivolati fuori dal cappuccio del kigurumi, ed erano sparsi ovunque sulla neve così pallida: illuminavano la neve di quel colore bluetto, rifranto in mille tonalità dai cristalli di ghiaccio. Ma c’era la Luna, alta, che dietro le nuvole rendeva quasi brillante ogni fiocco di neve.
Ortho non era suo fratello.
Ortho era Ortho, e lui voleva che restasse.
O non voleva.
O lo voleva.
O non lo voleva.
«Nii-san? Il battito del tuo cuore è sopra la norma consigliabile.»
Stupido robot e stupidi scanner visivi.
Idia chiuse gli occhi solo dalla seconda lacrima, e si pulì il viso sul bordo del kigurumi morbido e ormai freddissimo. «Sto bene, sto bene…»
Si alzò sulle ginocchia, mentre il robottino atterrava accanto a lui e lo guardava con quegli enormi occhi giallissimi. Lo scanner poteva fargli vedere tutto ciò che le parole provavano a nascondere: non potevano esserci bugie, tra di loro, neanche se avesse voluto. Quell’Ortho poteva davvero leggere la sua anima, e per qualche strana ragione Idia ne fu rassicurato, non spaventato.
Ortho sarebbe stato per sempre l’unico da cui non poteva davvero nascondersi, il suo appiglio anche di fronte all’oblio più tetro. Era la rassicurazione che la sua anima sinceramente voleva.
Sorrise sincero. «Grazie del regalo, Ortho. Ora sono felice.»
Aspettò che il piccolo robot registrasse le sue parole e le associasse a una reazione positiva, così da sorridere.
«Sono contento che tu sia contento, nii-san.»
Non ce l’avrebbe davvero mai fatta senza di lui.
«Ora dobbiamo tornare in camera. Almeno tre ore prima della partenza vorrei dormirle.»
«Certo, nii-san!»
Gli sembrò quasi che, quando lo prese in braccio per portarlo verso la Sala degli Specchi che li avrebbe portato a Ignihyde, il suo tocco fosse quasi più gentile e più morbido.
Oh, l’avrebbe davvero amato finché gli sarebbe rimasta vita in quel corpo fragile e mortale.
   
 
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