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Autore: Nocturnia    20/12/2023    1 recensioni
"È vero." le conferma Wesker, gettandole un'occhiata pigra, saziata.
Alex posa la guancia sul cuscino, alzando un sopracciglio.
"Le assomigli." mormora, fissando il soffitto - un profilo durissimo, che la debole luce che filtra dalla finestra rende ancora più compatto,
esigente.
"Pallida, fredda: la Koljada portava doni e punizioni." aggiunge, la sua voce poco più di un sussurro - la pressione esercitata da più ruoli e maschere cominciare a mostrare i primi segni.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker, Annette Birkin, Ozwell Spencer, William Birkin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"You were the vampire in my dream.
My perfect one."
- Anne Rice -





Killers are quiet




"Assomigli alla Koljada."
Così esordisce Sherry mentre si accendono le luci dell'albero di Natale su Raccoon City - un obbrobrio che il sindaco ha pensato bene di strappare dalla foresta di Arklay per metterlo poi in piazza e decorarlo in un tripudio di palle colorate e nastri dorati.
"Chi ti ha insegnato quella parola?" le chiede Alex, cercando Annette tra la folla.
Sherry le cammina al fianco evitando tutte le piastrelle grigie del lastricato in una strana versione del gioco della campana, dando ogni tanto un morso al suo biscotto e spargendo nell'aria l'odore della castagna, quello delle nocciole.
"L'ho letta." ribatte lei, tranquilla - sua madre un puntolino distante in fila davanti a un chiosco di dolci.
Alex continua a muoversi in mezzo alla folla; non le prende la mano, ma Sherry ha abbastanza buonsenso da aggrapparsi alla manica del suo cappotto, seguendola in silenzio.
"Ne hai ancora per molto?" le chiede, alzando la voce di qualche ottava per farsi sentire il mezzo al rumore.
Annette si volta, fissandola - negli occhi un qualcosa di simile al divertimento.
"Qualche minuto." replica, posando poi lo sguardo su Sherry e abbozzando un sorriso.
"Le hai comprato un calzoncello." constata poi, neutra.
Alex si scrolla nelle spalle, evitando accuratamente un moccioso poco più grande di Sherry con un orrendo cappello da renna addosso e il viso sporco di cioccolato.
"È roba costosa." puntualizza Annette, intrecciando le proprie dita a quelle della bambina e prendendola in consegna.
Alex arriccia il naso, aggiustandosi la sciarpa attorno il collo.
"Sì, be', deve farsi cadere i denti dalle carie sempre meglio una specialità italiana di questa... roba che vuoi prenderle tu." chiosa, scuotendo la mano destra davanti a sé.
Annette porge un fazzoletto a Sherry, avanzando di qualche metro nella fila - le labbra leggermente screpolate dal freddo, un grumo di mascara sulle ciglia dell'occhio sinistro.
"Gli omini di pan di zenzero piacciono anche a Will: ho pensato di farne scorta per l'inverno." le spiega, e Alex tace, gettando un'occhiata in tralice alle facce sorridenti dei biscotti.
"E poi il loro profumo è rassicurante." aggiunge, adesso a solo due persone dal bancone.
Alex inspira con forza, nasconde metà del viso dietro la sciarpa, sollevando il bavero bordato in pelliccia del cappotto.
Giù per la gola l'odore della cannella di quegli stupidi omini di panpepato è nauseante.


"È vero." le conferma Wesker, gettandole un'occhiata pigra, saziata.
Alex posa la guancia sul cuscino, alzando un sopracciglio.
"Le assomigli." mormora, fissando il soffitto - un profilo durissimo, che la debole luce che filtra dalla finestra rende ancora più compatto, esigente.
"Pallida, fredda: la Koljada portava doni e punizioni." aggiunge, la sua voce poco più di un sussurro - la pressione esercitata da più ruoli e maschere cominciare a mostrare i primi segni.
Alex lo guarda scivolare nel sonno, lo veglia per qualche minuto, raggomitolandosi poi al suo fianco e coprendo entrambi con la trapunta pesante.
E io?, vorrebbe chiedergli, E io cosa porto, Al?
La neve riprende a cadere, lasciando senza risposta la sua domanda.


Stretta in un abito da sera asimmetrico bianco è davvero la Koljada del mito - tra le sue dita
raso envers crêpe e seta.
Alex inclina il viso verso di lui, osservandolo con la coda dell'occhio mentre scivola con la punta delle dita sulla spalla sinistra, dove l'emblema di Medusa arriccia il tessuto, è un Versace, Al, gli aveva detto qualche istante prima, abbozzando un sorriso storto.
"Ti piace." mormora, e non è una domanda.
Wesker sfrega tra il pollice e l'indice la stoffa del vestito, le sfiora la curva del seno - piccolo, modesto; che può facilmente racchiudere nel palmo della sua mano.
Alex ride - un suono sommesso, raro - negli occhi un baluginio furbo, ambiguo.
Nell'oscurità della sua auto Wesker la bacia mentre Villa Spencer attende.


Non le piace; questo l'ha capito fin dall'inizio.
Anche William lo ritiene un ostacolo - un vecchio di merda che non ha ancora capito il mio valore, sbottava spesso - ma il disgusto di Alex è viscerale, spaventato.
Wesker la osserva rimanere ben dritta sulla sedia, le spalle gettate all'indietro in una posa militare, rigida - un muscolo nel collo tendersi, insieme al nervo sotto la mandibola che le crea una piccola fossetta vicino all'orecchio destro.
C'è del prosciutto glassato davanti a loro, carote arrostite e diverse salse tra cui spicca quella di mirtilli - i piccoli sorsi con i quali Annette cerca di bere un Barbera d'Asti senza peggiorare la sua dipendenza da Daparox.
Non so perché si ostini a convocarci a queste cene, si era lamentato William fermandosi nel mezzo del vialetto e aggiustandosi la camicia stropicciata.
Voglio dire, crede forse non gli faremo il culo alla prima occasione utile? Cristo, ci ha educato lui così, aveva aggiunto, imbrociandosi quando Annette gli aveva sistemato la cravatta.
Giuro, l'unica cosa divertente è osservare le reciproche reazioni quando vengono servite le pietanze; tutti a spiare i piatti dell'altro per vedere chi mangerà per primo e se è avvelenato, aveva ridacchiato, aprendosi poi in un sorriso un po' troppo tirato quando Patrick li aveva invitati a entrare nella villa.
Alex spinge un grumo di purè con i rebbi della forchetta, trattenendo una smorfia alla salsiccia avvolta dal bacon.
Spencer annuisce allo sproloquio di William, Patrick rimane immobile al suo fianco - un profilo che la mente di Wesker sembra ricostruire, ricordare.

Impossibile.

Alex deglutisce e lui riesce a percepire quel suono - il disagio espandersi da lei a ondate, ma Wesker si rende conto che è l'unico a sentirlo come se fosse palpabile, evidente.
Quando le posa la mano sulla coscia gli occhi di Alex si riempiono di qualcosa di simile alla gratitudine.


Non c'è differenza tra dono e punizione quando è Alex a dispensarle - il suo corpo una curva tiepida, che lo accoglie con una naturalezza disarmante.
Si solleva sui gomiti, lo bacia - gli fa desiderare di poterla aprire e raggomitolarsi dentro di lei, nel sangue che pulsa sotto le sue dita, là, dove le ha premuto il pollice sulla carotide.
Ed è bianca, Alex; un pallore che a volte lo abbaglia - un candore che non ha nulla di innocente o casto, quanto piuttosto gli ricorda la consistenza degli idoli levigati dal tempo.
È rossa, Alex; tra le cosce, sulle labbra - lungo gli zigomi quando tutto è troppo, e l'orgasmo la rende arrendevole, soffice.
È lo stesso colore che assumono i suoi sogni quando è al suo fianco - una tempesta di bianco e rosso nella quale due bambini annuiscono, obbediscono, assolvono le volontà di un Padre dai polpastrelli sporchi d'inchiostro e la ch dura.
Il gemito che le strappa quando si spinge in lei ha lo stesso sapore della neve.


Il sole si rifiuta di sorgere su Raccoon City, accogliendo la notte più lunga e la vittoria di Černobog - Sherry si è fissata su un libro di mitologia slava che ha trovato in biblioteca, aveva spiegato loro Annette, masticando un bastoncino di liquirizia ripiena.
C'è un piattino colmo di amaretti sulle lenzuola stropicciate, nell'aria mandorle e zucchero - veleno ed Alex.
Ne spezza a metà uno, porgendoglielo e tenendo in equilibrio precario la tazza tra le ginocchia.
Wesker vi getta un'occhiata incerta, osservando la cioccolata ondeggiare pericolosamente vicino al bordo - i piedi di Alex nascosti dalla coperta, i muscoli dei polpacci tesi per mantenere la presa.
"Non cadrà." lo rassicura, il vento aumentare di intensità, sbattendo contro la finestra dita di neve e ghiaccio.
Wesker mette in bocca l'amaretto, schiacciandolo con la lingua contro il palato - tra di loro un rapporto in grado di scivolare nella quotidianità fin troppo facilmente perché non generi in lui una sensazione strana, aliena.
La studia in silenzio, cogliendo in lei guizzi infantili e incredibili perversioni - una creatura in grado di infliggere dolore e di rifuggirne con la stessa forza.
Dobbiamo essere tutti un po' matti per lavorare qua dentro, aveva detto a William quando si era sposato.
Forse è per questo che ci hanno scelto, il pensiero, lasciato cadere tra di loro mentre un cerbero femmina sbranava la sua rivale.
Forse è per questo che mi piace, non si era permesso di ammettere nemmeno a se stesso, osservandola ridere mentre un uomo si spezzava i polsi, il delirio post-infezione spingerlo a strapparsi la pelle di dosso mentre cercava di raffreddarsi - temperatura corporea superiore a 41 gradi celsius, frequenza cardiaca sopra i 150 battiti al minuto, elettrocardiogramma completamente fuori scala.
Alex smette di mangiare gli amaretti, fissando gli ultimi due rimasti - un profilo spigoloso, che non tradisce la fame con la quale divora il cibo e le persone.
"Non siamo matti." lo prende in contropiede, bevendo un sorso di cioccolata.
"Non più del resto del mondo." aggiunge, pulendosi il labbro superiore con il pollice.
Wesker la guarda, aspetta - si scopre perdersi nel suo viso, trovandovi ogni volta una simmetria nuova; una microespressione che gli ricorda se stesso, un momento sospeso nella sala di attesa di un ambulatorio dell'Umbrella.
Sposta il piattino verso di lui con il piede, tra le cosce un filo perlaceo intrappolato nella sottile peluria bionda dell'inguine.
Wesker lo trae a sé e accetta il dono della Koljada per quello che è: una resa e una confessione.


Tutto è bianco, tutto è freddo.
Raccoon City giace sotto una coltre di neve e ghiaccio, dal terreno alzarsi una nebbiolina che rende il paesaggio simile a quello di una cartolina dell'orrore - alberi secchi e rami che si contorcono verso l'alto alla ricerca di un singolo raggio di sole; una città che galleggia nell'aria invernale come se fosse già morta.
C'è un rivestimento cristallino sul vetro della finestra della stanza; si apre in minuscole schegge che lo percorrono come crepe, donando a quell'istante un senso di eternità - un attimo intrappolato nel tempo e nella memoria.
Alex respira piano raggomitolata contro il suo petto, un braccio premuto tra di loro e l'altro attorno la sua vita - i capelli biondi lasciarle scoperta la nuca, il viso.
Wesker la fissa nel silenzio sospeso di quel momento, chiedendosi perché non riesca a ucciderla: perché non riesca a ricollocarla - che cosa muova la sua mano lasciando che le accarezzi una guancia invece di firmarne la sentenza.
A volte me lo chiedo anche io, Al, aveva mormorato sulla sua bocca, punendolo lasciando che le chiudesse le dita attorno la gola e gemendo il suo nome quando si era spinto in lei - costringendolo ad accettare che no, non l'avrebbe uccisa.

Né ora, né mai.

Le percorre la linea dalla spalla al polso con le nocche della mano, soffermandosi sull'anulare sinistro e ruotando tra il pollice e l'indice una fascia in oro bianco e ossidiana uguale alla sua - nasce dal luogo più inospitale dalla terra, le aveva detto, osservandola indossarla.
Come noi? aveva sorriso lei, ma nella sua voce c'era stato un tremore - una vibrazione che aveva cercato di nascondere l'incertezza.
Come noi, le aveva risposto, i rubini posti a corona della pietra riflettersi nei suoi occhi, tingendogli l'iride di rosso.
Alex si stiracchia, inarcandosi verso di lui e spingendolo con i piedi verso il bordo del letto - sul comodino una tazza vuota con ancora l'alone del cioccolato lungo la rima.
"Dormi, Al." sussurra, tra il sonno e la veglia.
Wesker inclina il mento verso il basso, la guarda - le palpebre chiuse, le ciglia ombreggiare un viso aristocratico, troppo simile al suo perché qualcosa non gli si arrotoli tra le costole, facendo fiorire in lui una strana sensazione di orgoglio e possesso.
Mia, sussurra quella sensazione.
Mia da amare, distruggere, proteggere, insiste l'eco di quella percezione, bruciandogli il fondo della gola, le viscere.
Mia e basta, si spegne poi quel mormorio, lasciando spazio al respiro di Alex - al silenzio della neve.
La Torre dell'Orologio di San Michele batte la mezzanotte, saluta un Natale ghermito dal buio e dalla galaverna - tra di loro un tepore che gli fa venir voglia di fermarsi e riposare, almeno per un altro po'.
Wesker chiude gli occhi e ascolta il battito del cuore di Alex diventare il suo.




"Love me. You have destroyed everything!
But if you love me, it can all be restored in a new form.
Love me."
- Anne Rice -




   
 
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