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Autore: NowhereBoy    20/12/2023    0 recensioni
Ennis è un giovane ragazzo gay, appena trasferito a Napoli da Chicago, per scappare da un passato non troppo remoto. Ha comprato un appartamento ad un prezzo decisamente basso, e ben presto ne scoprirà la ragione.
La casa, infatti, è infestata da cinque spiriti eccentrici. Riuscirà Ennis a convivere con loro e con i ‘suoi’ fantasmi?
Genere: Comico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Angolo dell'autore: 
Ciao a tutti. Mi dispiace per il ritardo. Vorrei davvero riuscire ad aggiornare con una cadenza più regolare, ma sono giorni difficili, tra la sessione che avanza e i parenti che cominciano ad arrivare. Con questo capitolo voglio augurarvi buone vacanze natalizie, buone feste e buon Natale a chi ci crede. 
Vi invito a farmi sapere cosa ne pensate della storia. Purtroppo è l'unico modo che noi autori abbiamo per capire se stiamo scrivendo cagate o qualcosa di decente, e per migliorarci come scrittori. 
Un bacione e buona lettura :)
 

3.
Dopo quell’ultima apparizione, Ennis non aveva più visto i fantasmi. Certo, qualche volta aveva sentito scricchiolare il pavimento come se qualcuno vi stesse camminando sopra, o un paio di porte si erano aperte senza apparente motivo. Ma tutto sommato, si stava abituando all’idea di non essere solo. 

Una mattina, mentre era sotto la doccia, pensò addirittura che fosse un bene, la presenza di quegli spiriti. Dopotutto, non era abituato a vivere senza qualcuno in casa. Era passato da casa dei suoi, dove viveva con loro, suo nonno, un fratello e una sorella, alla residenza universitaria, dove condivideva gli spazi con altri sette studenti, e infine a convivere con Martin. Se non fosse stato per l’uomo in soffitta, si sarebbe anche trovato comodo, in quella situazione. 

Dopo che il ragazzino aveva annunciato l’esistenza di questa soffitta, Ennis aveva passato giorni a cercarne l’ingresso, non trovandone alcuno. Aveva anche controllato l'annuncio della vendita della casa, ma a parte i vani descritti anche dall’agente immobiliare, una soffitta non era indicata da nessuna parte. Per cui, passate quasi tre settimane, semplicemente aveva creduto che fosse uno scherzo da parte di Salvatore, e lo aveva rimosso. 

 

Il lavoro era diverso da come immaginava, anche se era piuttosto piacevole. I colleghi erano tutti molto cordiali e amichevoli. Era stato travolto da un’ondata di affetto al quale decisamente non era abituato. Aveva addirittura ricevuto una torta di benvenuto, con tanto di dedica personalizzata che recitava Welcome to purgatory Ennis. E ben presto si rese conto del significato. 

La casa editrice che l’aveva assunto era grande, decisamente. E non conoscendo ancora l’italiano, il suo responsabile si era ritrovato un po’ in difficoltà nell’assegnargli incarichi. Si trattava di una donnetta bassa e tarchiata, con un paio di occhiali decisamente troppo grandi con un giro di perle viola a tenerli intorno al collo, che rispondeva al nome di Assunta. A un paio d’ore dal suo arrivo in ufficio, il primo giorno, lo aveva rimbeccato sulla necessità di imparare l’italiano «bene e in fretta», poiché, naturalmente, la maggior parte dei lavori che curavano era in quella lingua. In ogni caso, gli era stato affidato un romanzo di un autore napoletano, il quale, preso da una strana euforia, l’aveva tradotto lui stesso in un inglesse sgrammaticato e aberrante. Ennis aveva il compito di correggerlo quantomeno nella forma. 

Di traduttori, la struttura ne aveva altri due: Simone, un ragazzo biondino dall’aspetto piuttosto malaticcio, che parlava inglese, portoghese e spagnolo, e Mar, una ragazza piuttosto adulta per essere neolaureata, con una capigliatura riccia increspata e dai vestiti eccentrici, che parlava inglese, francese, russo e polacco, ma stava studiando anche il tedesco. Era con loro che aveva la maggior parte dei rapporti umani in ufficio, essendo i suoi “vicini di scrivania”. Si chiedevano pareri, qualche battuta e qualche caffè in pausa. Tutto molto formale, seppure in uno strano clima famigliare. 

Fuori dal lavoro, poca vita sociale, limitata ad uscite nel fine settimana con Gervais e qualche suo amico. Una volta era anche andato a cena con i colleghi. Tuttavia, la malinconia era assillante. Il pensiero di Martin tornava spesso a fargli visita. Gli mancava, in fondo. E a mancargli era proprio la loro quotidianità, i messaggi, le sorprese all’uscita dal lavoro. Si era domandato spesso se avesse fatto la scelta giusta ad abbandonare Chicago, o se fosse stata troppo affrettata, quasi da dramaQueen. Dopotutto, in molti vengono mollati, ma quanti arrivano a cambiare addirittura Stato, pur di non incontrare il proprio ex? 

 

Un giorno, Ennis si trovava in cucina a preparare il pranzo. S’era svegliato, se alzarsi dal letto dopo una notte insonne poteva davvero considerarsi svegliarsi, con la notifica di una mail sul cellulare, che gli annunciava che l’ufficio sarebbe rimasto chiuso per qualche giorno a causa della disinfestazione. 

La cosa lo aveva messo di cattivo umore. Non tanto il fatto di non dover andare a lavorare, ma il poco preavviso. Ne aveva parlato con qualche messaggio con sua sorella Evelyn, quella stessa mattina, nonostante il fatto che se a Napoli fosse quasi mezzogiorno, a Chicago fosse almeno incredibilmente presto. Le domandò se si fosse svegliata presto o se non fosse ancora andata a dormire, ma la sorella lo aveva del tutto ignorato. E forse, con quella mossa, aveva comunque risposto alla sua domanda. 

Lei gli aveva solo dato dell’idiota, invitandolo a spassarsela in quei pochi giorni di libertà, ma lui aveva sbuffato, prendendo un pacco di pappardelle ai funghi precotto dal congelatore. 

 

Evelyn <3

so, u are in one of the most beautiful cities in the world, u are still a fairly attractive guy. 

use these days to fuck and don’t compain! (quindi, sei in una delle città più belle del mondo, sei ancora un ragazzo discretamente attraente. usa questi giorni per scopare e non lamentarti)

 

Ennis

A queen

 

Evelyn <3

the best one (la migliore)

If I were you, I'd make it so that I could get to work without being able to walk (fossi in te, farei in modo da arrivare a lavoro senza riuscire a camminare)

 

Ennis guardò il telefono increspando le labbra, quindi lo posò sul marmo della cucina, decidendo che Evelyn, semplicemente, fosse pazza. O declinando tutto il suo arrapamento al fatto che fosse poco più che ventenne. Non che lui non pensasse affatto al sesso, per carità. Ma era giunto alla conclusione che fosse una cosa incredibilmente sopravvalutata. L’idea di passare il weekend nei bar a rimorchiare per fasi una cavalcata non lo entusiasmava per niente. Sentiva l’orticaria solo all’idea di doversi preparare bene per uscire. E poi, ammesso anche che fosse riuscito ad abbordare qualcuno, senza spiccicare una parola in italiano, dove avrebbe potuto portarlo? Era vero che i fantasmi non si facevano vedere da giorni, ma poteva fidarsi? 

Scacciò quel pensiero dalla mente, e mentre mandava qualche altro messaggio a sua sorella, deviando il discorso su qualche fotografia che gli aveva inviato prima di darle la buonanotte, prese il coltello per tagliarsi qualche fetta di bacon da amalgamare in mezzo.

Guardò il suo pasto che cucinava in padella, domandandosi se fosse davvero quello l’aspetto che doveva avere quel piatto. Sembrava fosse stato masticato e sputato. 

Perfect pensò Another gorgeous shitty day (un altro splendido giorno di merda)

Si domandò, allora, se lui avesse sempre cucinato in quella maniera terribile, o se fosse una concessione che riservava soltanto a se stesso, come a volersi punire, dopo essere stato mollato. Martin aveva sempre detto che fosse un ottimo cuoco. E allora perché aveva come la sensazione di non riuscire a fare più niente di buono? Niente per cui valesse la pena?

Per un momento, pensò che Martin gli avesse sempre mentito anche su quello. Dopotutto, era un bugiardo patologico. Gli ripeteva ogni mattina che lo amava, eppure ad Ennis si era infiammata la cervicale a furia di sostenere il peso delle corna che gli erano cresciute in testa. Non che lui lo avesse mai sospettato. Martin era stato davvero bravo, in questo. Naturalmente, tutte le sue storie erano venute fuori solo dopo che il suo ex aveva deciso di mollarlo. Quindi Ennis non era riuscito, dopo nove anni di cui sei di convivenza, nemmeno a prendersi il piacere di mandarlo a cagare lui. No. 

Un moto di rabbia gli aveva afferrato lo stomaco, e convulsivamente si ritrovò a grattar via il cibo dal fondo della padella, anche se non ce n’era effettivo bisogno. Sentì quasi le lacrime pizzicare gli occhi, e un fortissimo desiderio di urlare e lanciare quel padellino contro la parete alle sue spalle, non curandosi del fatto che, se lo avesse fatto, probabilmente la parete sarebbe venuta giù, rendendolo il quinto, se non il sesto, fantasma in quella casa. 

Con rabbia, e la fame che gli era del tutto passata, gettò la poltiglia nel piatto e restò immobile a fissarlo, mentre il cuore decelerava i battiti, e il respiro tornava normale. 

Poi accadde che in un alito di vento, sentì una presenza al suo fianco, ma non si voltò a guardare chi fosse. Inizialmente chiuse gli occhi, domandandosi perché uno spirito fosse comparso dopo tutto quel periodo di assenza. Poi decise che non gli importava. Sentiva solo le forze abbandonarlo e voleva piangere dal nervoso e dormire tutto il giorno. 

«Bello schifo» disse lo spirito. Ed Ennis fu sicuro che si trattasse di Marilena. 

In tutta onestà, non se la sentì di controbattere. Quel piatto era davvero brutto. Si augurò che quantomeno fosse buono. 

«Maybe with some ketchup... (Forse con del ketchup…)» mormorò, accennando un sorriso e sbirciando il fantasma che si era messa a braccia conserte e sul viso s’era disegnata una maschera di disgusto. 

«È per questo che voi americani avete tutti problemi allo stomaco» mormorò lei. Seguì Ennis con lo sguardo, mentre questi prendeva il piatto ed andava a sedersi al tavolo della cucina per consumare il pasto. «È così cattivo come sembra?» 

«No» rispose lui, mettendo in bocca un altro pezzo di bacon con l’uovo. «Yeah» continuò. «But now… (sì, ma oramai…)» 

Marilena si strinse nella vestaglia, ridendo appena. Poi il suo sorriso si fece malinconico. «Sa, prima della Guerra, ‘rind a chesta cas non si pativa mai la fame. Io ero na cuoca esaggerata. Bravissima. Mamm m’aveva insegnato buono. Il dottor Marino, pover’uomo, lui non s’è mai sposato perchè faticava troppo. E veniva sempre qua per mangiare con noi, sa, pe’ stare in compagnia. Si sentiva nu profumo, ‘rind o palazzo… E cucinavo l’abbacchio, i sufflé, ‘a carne non mancava mai. Era nu brav avvocato, mio marito. Poi la Guerra ha cambiato ogni cosa…E mo siamo costretti a nasconderci» 

Ennis continuò a mangiare, ponderando le parole di Marilena. Sentì la tensione farsi piuttosto alta, quindi decise di smorzarla. 

«Insted, my mother didn't know how to cook (Invece, mia madre non sapeva cucinare)»

Marilena rise nuovamente. «Non so perchè, ma me l’aspettavo.»

«Really, She was terrible. I don't know how I survived in my childhood. Maybe it's because of the school cafeteria. (Davvero, era terribile. Non so come ho fatto a sopravvivere nella mia infanzia. Forse grazie alla mensa a scuola)» 

Ennis rincorse il ricordo di sé stesso ragazzo mentre faceva la fila alla mensa in compagnia di qualche amico di classe, nell’ansia tremenda di incontrare qualche spirito e non riconoscerlo come tale, facendo la figura del pazzo che parlava da solo. Del suo dono, dopo la reazione dei genitori, non ne aveva parlato con nessuno. Si vergognava. 

«E mo mammt non sta in apprensione sapendo che stai a morì di fame da qualche parte, da solo?»

«No, she passed away three months ago, in a car accident, with my father too. (No, è morta tre mesi fa, in un incidente stradale, assieme a mio padre.)»

Marilena sgranò gli occhi, ed allungò la mano a prendere la sua, distesa accanto al piatto ancora pieno. Un’ondata di gelo colpì la pelle di Ennis nel punto in cui le dita della donna gli accarezzavano il palmo. S’irrigidì, ma non accennò a spostarla. La donna non aggiunse parole. Restarono così, in silenzio, per un tempo incredibilmente lungo, tanto che la mano di Ennis sul tavolo cominciò a dolere. 

«E tu come stai?»

Ennis fece spallucce. Non se l’era domandato spesso, in effetti. Aveva vissuto il suo essere rimasto orfano in maniera piuttosto pragmatica. Non c’era molto spazio ai sentimenti. Suo fratello maggiore Phil stava per diventare padre, Evelyn era al college. Lui stava trovando un nuovo equilibrio dopo la rottura con Martin. L’uomo di casa era diventato suo fratello, sua sorella era la piccolina da proteggere. Ennis se la sarebbe cavata. Lo faceva sempre. 

«I'm like an orphan who didn't talk to his parents very often. (Sto come sta un orfano che non parlava molto spesso con i suoi.)»

Marilena spostò la mano, passandosela tra i capelli. Sospirò. 

«I tuoi dovevano essere molto orgogliosi di te. T’ si accattato na casa, c’hai nu lavoro buono. Quando Salvo sarà grande, vorrei che fosse comme a te.»

Ennis accennò una risata, cercando di mascherare le lacrime di commozione che gli erano salite agli occhi. In verità, lui non era molto convinto che i suoi fossero orgogliosi di lui. Erano stati anni di litigi, soprattutto quelli dell’università. E il suo dono non aveva certo aiutato a creare un dialogo con loro. Paradossalmente, cercò di ricordare quando fosse stata l’ultima volta che sua madre gli aveva chiesto come stesse. Non si diede una risposta. 

Non voleva dare un dispiacere a Marilena, però. Immagino che lei, da viva, dovesse essere stata una madre migliore per Salvo di quanto la sua non fosse stata per lui. 

«Patm è morto quando ero bambina. Mia mamma ha allevato me e sette fratelli tutta sola. Ess è morta all’inizio della Guerra, invece. Non ho molti ricordi con lei, e mi dispiace assai… Era na donna strana, molto silenziosa e severa. S’addolciva solo quando cucinava. Pe’ questo amavo guardarla, e le rubavo tutti i segreti del mestiere. Mi sarebbe piaciuto avere na figlia femmina, pe insegnarci tutto quello che sapevo. Salvo è nu bravo figliuolo, ma certe cose non le capisce proprio.»

Ennis sorrise appena. 

Poi, di getto, esclamò: «Could you teach me? As we have seen, I am not capable of doing anything. I thought I was good, my ex loved how I cooked. But at this point, I guess he was lying. (potresti insegnare a me? Come abbiamo visto, non sono capace a fare niente. credevo di essere bravo, il mio ex adorava come cucinavo. Ma a questo punto, immagino che mentisse.)»

Marilena rimase per un momento interdetta, stretta nella sua vestaglia. Lo scrutava, ed Ennis, per tutto quel tempo, si sentì come nudo. «Come on, don't let me beg you. Do you want me to starve myself eating this crap for the rest of my days? (Dai, non farti pregare. Vuoi che muoia di fame a mangiare questa schifezza per il resto dei miei giorni?)»

Lo spirito, allora, si aprì in una risata fragorosa. 

«Ja, va buon. Lezione uno, butta sta schifezza che stai a magna’. Sta roba nella busta non si può proprio vede’.»

Ennis non se lo fece ripetere due volte, travolto da un nuovo entusiasmo. 

 

Nei mesi che seguirono, Ennis imparò a tagliare le cipolle finemente col coltello, a preparare brodi vegetali, frittate di maccheroni, a cucinare la pasta facendo bollire prima l’acqua, e una svariata quantità di sughi, contorni e secondi piatti. Scoprì che riscaldare cose precotte non equivaleva a saper cucinare. Scoprì l’amore per il cibo, e il vero sapore delle pappardelle coi funghi porcini. Imparò a preparare i dolci. E mise su cinque chili, tornando normopeso. 

Ma la sera della sua prima lezione, Ennis si sentì come un cuoco provetto per aver imparato a preparare le uova bollite. Le aveva condite sotto lo sguardo attento e giudicante di Marilena, che ad ogni errore faceva cadere una sedia della cucina o lo toccava dietro il collo. 

S’era steso sul letto, stanco ma soddisfatto, a guardare il soffitto. Il giorno seguente voleva prepararsi i pancake, ma non era sicuro che quella donna sapeva cosa fossero. Pensò alla conversazione avuta in cucina. Facendosi due conti, Marilena e la sua famiglia dovevano essere morti intorno al ‘43, probabilmente con una rappresaglia in casa loro da parte dei fascisti. Dopotutto, erano convinti che lui, da americano, fosse venuto a salvarli. E poi quella donna gli aveva dato l’impressione di essere una brava persona. Non poteva essere una fascista. I fori di proiettile erano da spiegarsi solo in quel modo. 

Mentre stava per addormentarsi, un pensiero gli accarezzò la mente. Che il famoso uomo in soffitta di cui parlava Salvatore, fosse…

Sgranò gli occhi e scattò a sedere. Ecco perchè non trovava alcuna porta d’ingresso. Per forza doveva essere nascosta. Una botola in soffitto, magari? Corse ad accendere tutte le luci di casa ed indagò ogni singolo angolo del tetto. Niente. Notò, allora, che la casa avesse dei soffitti molto alti, circa quattro metri. Tutte le stanze. Tutte. Tranne il bagno. 

Ma nel bagno non c’era alcuna traccia, né di botole dal soffitto, né di porte nascoste. 

Sconfortato, andò in cucina a prepararsi un té. E mentre sorseggiava la sua bevanda calda, si rese conto che la cucina confinava col bagno. E sulla parete che la divideva da quella stanza, c’era un’enorme credenza, copriva per intero tutto il muro. 

Titubante, Ennis poggiò la tazza sul davanzale della cucina ed andò ad aprire gli sportelli, alla ricerca di un possibile doppiofondo, che tuttavia non trovò. Fu solo quando spostò la credenza, a fatica e facendo un rumore tremendo, che una porta di legno antica, intagliata, si palesò davanti a lui. Il cuore gli batteva forte, e il freddo tornò prepotente, come un’alitata di vento. 

Così prese un respiro profondo. 

E afferrò la maniglia.

 
   
 
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