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Autore: Helen_Rose    20/12/2023    1 recensioni
[Mare Fuori]
La mia idea di futuro, di prendersi finalmente quel mare fuori, per alcuni personaggi che lo meritano veramente.
Ringrazio in particolare America per l'ispirazione del primo capitolo, Angy per la consulenza linguistica costante e per la prima parte del primo capitolo, IRoccoPerSempre per il supporto e chiunque avrà voglia di leggere!
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bussa due volte contro lo stipite, per far capire che è lui: “Tarantè, hai finito? Posso entrare?”
“Vieni, vieni; devo asciugarmi i capelli, però intanto sto mettendo la crema per il viso.”
Carmine si affaccia sulla porta del bagno, prima parzialmente, poi di colpo la spalanca, solo per il gusto di vedere Rosa sussultare. “Ma tu si tutt scem, ndimen figliet tien ott ann ma è chiù matur’e te.” Come se fosse un elemento di straordinarietà: Futura dà le piste a tutti fin dalla culla, si può dire.
Sogghignando soddisfatto, si siede sul bordo della vasca, in contemplazione del corpo della moglie. Come di consueto, lei finge di non accorgersene, per evitare di ammettere quanto in realtà la lusinghi. Ormai, Massimo ha un anno e mezzo, quindi è tornata in forma da tempo; anzi, l’inappetenza dovuta alla depressione l’ha portata a perdere molto rapidamente i chili – inevitabilmente - in eccesso della gravidanza, purtroppo e per fortuna come si dice in questi casi. Tuttavia, complice il fatto che il corpo di qualunque donna cambi durante quel periodo delicato, una certa zona che prima dell’allattamento non era formosa ha goduto dei suoi benefici e, nonostante si sia concluso, non accenna a sgonfiarsi del tutto, per la gioia di Carmine nonché di Rosa stessa, che aveva un piccolo complesso al riguardo.
Per quel che concerne il corpicino minuto cui era sempre stata abituata, nei primi tempi il fatto che fosse completamente (tra)sformato anche a gravidanza conclusasi era uno dei motivi di disagio che l’attanagliavano; come di consueto, il fatto che il marito dimostrasse non solo di apprezzarla, ma le ricordasse costantemente di non addossarsi una pressione ulteriore rispetto a quella già presente, indubbiamente giocò un ruolo decisivo nel suo rilassarsi parzialmente sotto quel particolare aspetto.
Nella cultura che l’aveva formata durante l’adolescenza, una donna doveva piacere al proprio uomo e, sostanzialmente, dedicare vita, opere e pensieri unicamente a lui e alla sua soddisfazione personale; negli anni, aveva imparato a mediare tra quel concetto dannoso e malato, in primis verso sé stessa, e il normale principio per cui, talvolta, piacere agli altri aiuta a vedersi sotto una luce diversa, migliore.
Quei sette anni che racchiudono fidanzamento, convivenza e matrimonio, invece di aver incontrato una battuta d’arresto, una crisi per quanto riguarda la loro coppia, progressivamente non fanno altro che dimostrarle in quante occasioni vedersi con gli occhi amorevoli di Carmine l’abbia spinta ad assumere un atteggiamento più benevolo nei propri confronti, sia fisicamente che caratterialmente. Contro ogni pronostico iniziale, il marito può dire altrettanto: sarà la reciprocità, il loro segreto.
L’aspetto indiscutibile è che non siano mai stati più complici e uniti di così, per innumerevoli ragioni. Carmine e Rosa sono la dimostrazione vivente di come si possano davvero spostare le montagne, insieme: la quantità di ostacoli incontrati e superati malgrado la giovane età è alquanto sorprendente.
Va da sé che, arrivati a quel punto, lei non si rinchiuda in bagno a farsi la doccia e - più in generale - prendersi cura di sé per pudore nei confronti del marito, nonostante le oscillazioni dell’autostima; banalmente, ogni tanto ha bisogno di concedersi un momento da sola con sé stessa, che da quando è doppiamente mamma, capita sempre più raramente. Ognuno necessita di una bolla personale, ragion per cui, a prescindere dall’identità dell’interlocutore, prima d’infrangerla è bene chiedere il permesso.
Tuttavia, per sua fortuna, stasera non solo ha voglia di compagnia durante quel piccolo rituale di benessere, ma ha voglia precisamente della sua: oltre agli spazi personali, anche quelli dedicati a loro come coppia si sono progressivamente e inevitabilmente assottigliati; nonostante lo scenario esterno fosse oltremodo complesso, paradossalmente avevano quasi più privacy nell’IPM. Rosa sorride a fior di labbra al pensiero; Carmine non sa come interpretarne la curvatura - peraltro, paiono più morbide del solito alla vista, forse grazie all’applicazione di un balsamo - , ma stavolta decide di soprassedere.
Piuttosto, si concentra sull’infastidirla coll’osservazione di rito: “Prenderai freddo coi capelli bagnati!” cui lei risponde prontamente che, essendo racchiusi nel turbante, non potrà accadere nulla di male.
Dopodiché, indecisa tra l’impulso di indispettirlo e la necessità effettiva di pettinare la lunga chioma, china la testa verso il basso, leva di mezzo l’asciugamano dopo aver frizionato la cute e, avendo dato una sciacquata al pettine, opta per l’aiuto del marito nella titanica e odiata operazione di districaggio: immagina non ne possa davvero più, avendo trascorso l’intera giornata a occuparsi dei capelli altrui; ma altrimenti, dove dovrebbero risiedere i benefici dell’essere moglie - e socia - di un parrucchiere? Cogliendo l’antifona dallo sguardo, Carmine non si fa pregare ed esaudisce quel desiderio inespresso. “Poi, manco a dirlo, se fossi sempre io a sbrogliarteli con l’olio, non ti lamenteresti più dell’unto, ah?”
“Non vedo perché ci trovi qualcosa di strano; tanto più che stai qua da mezz’ora a perdere tempo…” Anticipandone la probabile reazione, cioè il fingere di tirarle una ciocca, si scansa preventivamente.
Tuorn cà, si no facimm ’nu maciell e aropp agg’a pulezzà sul ij pecché te piac assaj rà ’a colp a me…” la richiama, con tono divertito; ogni tanto, anche sua moglie si concede di essere un po’ bambina.
Assolvere in autonomia a quel rituale rappresenta un vero e proprio incubo per lei, benché da piccola le toccasse subire la mano poco delicata di adulte varie, il che - in un certo senso - era persino peggio. La sua espressione distesa e rilassata rivela, meglio di mille parole, quanto il talento, l’arte, la maestria, la sapienza, la professionalità di quest’uomo le facciano percepire appieno la fortuna d’averlo sposato; il dispiacere appena finisce potrebbe addirittura portarla a pensare di aver sperimentato un orgasmo.
Posiziona il pettine tra le labbra, curandosi di non levare il balsamo, e spalma la crema idratante sul corpo. Carmine sorride tra sé, ripensando alla prima volta in cui notò questa sua peculiare abitudine: soprattutto mentre s’asciuga i capelli, dato che se ne serve a più riprese, sostiene che le scocci posarlo; per quanto riguarda altre operazioni non direttamente correlate, si tratterà più di una fissa mentale. Ovviamente, si guardò bene dal puntualizzarlo con un tono meno che scherzoso, pena una ripicca.
Trascorsi alcuni istanti, Rosa si gira inaspettatamente verso di lui e incalza: “Cà… M’e ’a ricr coccos ?”
Sconvolto dalla sua telepatia, sonda più che altro per curiosità: “E come ti viene questo sospetto?”
“Dal fatto che stai fissando il vuoto e non me; non penso di essermi fatta così racchia in pochi giorni.” Suona quasi telegrafica, forse acida all’orecchio di chi non la conosce come lui, in realtà provocatoria.
Carmine reclina la testa all’indietro, in una risata cristallina; la capacità di Rosa di passare dagli abissi della mancanza di basilare autoconsapevolezza ai picchi massimi da egoriferita è davvero peculiare. Indubbiamente, va messa in conto una buona dose di perspicacia, nonché di conoscenza coniugale.
La paziente attesa di una risposta sensata viene presto ripagata: “Stavo pensando… Mia mamma, ogni tanto, torna alla carica co’ ’sta storia di incontrarci pure con mio padre ed Ezio... È quasi Natale…”
La sua interlocutrice sbarra gli occhi, presagendo automaticamente il peggio: non avrà forse covato la malsana intenzione di costringerla a un pasto di infinite portate con la famiglia Di Salvo al completo?
Nooo, ch’e capit ! Passeremo le feste coi nostri amici, come sempre.” s’affretta a precisare, tentando di reprimere una risatina: una Ricci in mezzo a quelle due grandissime teste di… Che spettacolo sarà.
Aaah! Don Piecr, nun ’o saij ca ’a grazia ’a può fà sulament ’a Maronn?” lo sfotte, alquanto sollevata.
Lui sogghigna; non lo chiamava più così da una vita. “Spiritos… Devo dedurre che va bene pe’ te?”
Prima che possa confermarglielo, un piccolo capogiro la costringe a sedersi sulla vasca accanto a lui, che è sbiancato per la preoccupazione: “Tranquillo, Cà, sarà l’emozione…” lo rassicura prontamente, sforzandosi di attenersi saldamente all’ironia, da brava ipocondriaca; approfondirà meglio in seguito.
“Vabbuò, ne riparliamo, sia di ’sto mezzo svenimento che di ’sta cosa, perché se ti fa ’sto effetto…”
Rosa lo interrompe con un gesto. “Aspè, mi stanno chiamando; guarda chi è, tengo le mani sporche.”
Attenendosi alla sdrammatizzazione, premette: “Se è l’amante tuo, il permesso me l’hai dato tu, ah…”
La moglie ignora di proposito l’aver dichiarato le mani inutilizzabili fino a un secondo prima, per assestargli una spintarella meritata. “Vir chi è e nun fà ’o spiritos; comm è scem chist, guarda là…”
Ridendosela spensieratamente, il temerario allunga lo sguardo. “È Nad; che faccio, rispondo io?”
Lei sbuffa, scocciata: “Tien bisogn r’o permess scritt? Ja, fà ambress, ca si no se chiur ’a chiammat !”
Senza riuscire a smettere di ridere, risponde lui: “Uè, Nadì, song ij… Rosa tiene le mani occupate.”
Silenzio dall’altra parte. La legittima proprietaria del cellulare chiede conto con l’espressione del viso, ma il marito fa capire di essere perplesso quanto lei. Dopo qualche istante, con un tono ironico, svela l’arcano: “Fratè, ’sta ridarella ca tien è pecché stanno impegnate in qualcosa di particolare, o…?”
Carmine butta la testa all’indietro, rischiando di fracassarla contro la parete della vasca - su cui è rimasto seduto dall’inizio della conversazione con la moglie - . “No, scimunita. Metto il vivavoce.”
“Ah, ecc… Uè, cor mij… Allor, tu e maritet nun stevev facenn ’e cos zozz? Pozz parlà ?”
Rosa strabuzza gli occhi, sorridendo a fior di labbra. “Ma staij ’mbriac? Che t ven ’ngap? Ric, jamm.”
Ora, a iniziare a ridere a crepapelle è proprio colei che ha avviato la telefonata. I coniugi tornano a consultarsi con lo sguardo. “Allor…? Nadì, ja, nun tenimm tt’a serat; ancor agg’a cucinà p’e criatur…”
“Ah, invec nuij bell’e buon amm’a fà ’o scioper r’a famm?” la interroga Carmine, beccandosi un’altra spintarella; a furia di dargliene, e di ridere come sta già facendo, prima o poi finirà in quella vasca. Completamente vestito. Non che, se hanno voglia di giocare, svestirlo sia mai stato un problema…
Facendo respiri profondi, Nad interviene: “Si me facit parlà… Finché ’o cumpagn vuost m’o lass fà…”
Sentendo nominare il compare, l’altro si ripiglia e replica prontamente: “Pecché, che sta succerenn?”
In sottofondo, si sentono proteste non meglio identificate, il cui autore con tutta probabilità è proprio Filippo. “Jamm, sbrigatv! At ’a verè co’ l’uocchie vuost; qualsiasi descrizione non renderebbe l’idea.”
Rosa sbuffa, più confusa di prima. “Ma vedere che cosa, Nadì? Già te l’agg ritt, teng ’o che fà…”
L’amica riprende a ridere forsennatamente. “Te preg, sulament cinc minut… Puortatv pur ’e criatur!
Carmine alza le mani, come per dire: ‘non guardare me, ne so quanto te’. Sospira. “E vabbuò, aspè.”
Rimettendosi il turbante in testa, prende Massimo, mentre Carmine va a chiamare Futura che, come prevedibile, è indubbiamente la più entusiasta di questa incursione non prevista in casa degli zii.
Tra uno sbuffo e un sospiro, Rosa commenta: “Devono ringraziare che stiamo a una porta di distanza… Uscire in queste condizioni, per andare a fare non si sa manco cosa… Siamo adulti…”
Non fa in tempo a finire l’affermazione che si mette a ridere da sola, seguita dal marito che, in ogni caso, avrebbe avviato in autonomia l’operazione di scherno, e dalla figlia, fin troppo consapevole. “Vabbuò, Tarantè, magari la parte della persona matura e irreprensibile la rimandiamo, eh…” Assicurandosi di non essere vista da Futura, che sta suonando il campanello, replica con la linguaccia.
Come se avesse indovinato con poteri telepatici che sarebbero sopraggiunti proprio in quell’istante – con maggior probabilità, avendo atteso nei pressi della porta per tutti quei minuti - , Nad la spalanca. “Menu mal, n’atu poc e ’o spettacl er frnut! Trasit, trasit, ciao bella r’a zij, jamm, andiamo in bagno…”
Tra il perplesso, l’attonito e il divertito, Rosa, Carmine e i pargoli seguono la padrona di casa, che nel frattempo recupera Valentina dal box. Per fortuna, il corridoio è sufficientemente largo per accoglierli tutti, ma l’ingresso del bagno richiede necessariamente dei turni per assistere al famigerato spettacolo; la cui natura, manco a dirlo, supera qualsiasi tipo di immaginazione, supposizione, sensazione, idea: Filippo Ferrari, noto e stimato concertista, membro di una famiglia benestante di Milano, persona rispettabile - non fosse per quella quisquilia, quell’irrilevante particolare della fedina penale sporca - , si sta sottoponendo passivamente alla derisione dei vicini, nonché amici fraterni cum nipoti acquisiti, mentre si cimenta in un’attività fino a quel momento a lui quasi del tutto estranea: la pulizia completa del bagno; almeno per stasera, gli verrà risparmiato il trattamento specifico anticalcare della doccia e dei rubinetti di tutti i sanitari in questione, ma perlomeno una passata di detergente sarebbe d’uopo.
Filippo Ferrari, per l’appunto, è chino sul wc del bagno di servizio, con un principio di ernia del disco - come se tutte quelle ore curvo sul pianoforte non fossero sufficienti - e gli occhi iniettati di sangue. Quest’ultimo particolare è il primo a essere notato da Rosa, che riceve prontamente rassicurazione da parte di Nad: “Nun te preoccupà, è solo stanco”; al che il tapino conferma con una specie di grugnito.
Gli amici si autoimpongono di trattenere le risate, benché le espressioni buffe di Futura lo rendano parecchio arduo; più che altro, è incuriosita da questo siparietto insolito e un filiiino umiliante, naturalmente sotto l’aspetto dello show, essendo abituata al fatto che suo padre pulisca in casa, non per aiutare sua madre come sostengono alcune amiche, bensì per una giusta suddivisione dei compiti.
Ad ogni buon conto, tiene a reiterare un: “Tutto bene, zio?”, che riceve il primo mezzo sorriso della serata, proprio perché sa perfettamente che la nipote non lo prenderebbe mai in giro; riserverebbe tale trattamento unicamente al padre, se mai si trovasse al suo posto, ma - ahilui - non è questo il caso.
Mosso se non altro dallo spirito di cameratismo maschile, l’amico s’azzarda a chiedere a nome della famiglia: “Nadì, ma se può sapè pecché c’e chiammat ’e corz pe’ vrè a maritet ca pulezz ’e cess ?” Immancabilmente, si becca uno sguardo di disapprovazione da parte della moglie per via del dialetto.
Pecché è n’evento, int’a sta casa.” replica lei, impassibile, mentre il marito si sforza di restare muto.
Dal canto suo, Rosa interviene in nome della solidarietà femminile: “Cioè, nun sap pulì int’o bagn ?” Dinanzi alla puntualissima recriminazione gestuale di Carmine, replica con un cenno di noncuranza: lo stupore è tale dinanzi a una simile rivelazione, che l’italiano non ne renderebbe le proporzioni. Intanto, Futura si gode la sceneggiata, termini scurrili compresi; se potesse, mangerebbe dei popcorn.
Prima che Filippo possa giustificarsi, la moglie interviene: “Comm; sap fà chell che sap fa pur figliet che è piccerell, cioè dare ’na passata di aspirapolvere e di straccio, ma giusto pecché ’e capill se vern ; bella, devi sapere che il signorino qui presente si preoccupa, e dunque si occupa, dello sporco visibile: eccerto, pecché ce stong ij, ’a pover scem r’a situazion, ca pulezz appress a iss; perciò nun dà rett. Però, m’ha fatt ’a guallera; ce ’mbar ’a tecnica ’na vot e pe’ semb, e vulev ’nu poc ’e conforto pe’ me.”
Carmine solleva le mani e fa un passo indietro: “Io non m’immischio; c’agg già ’mbarat a fà ’o liett.”
Aaah, pe’ chest è l’unica cosa bona ca sap fà; grazie, fratè.” Nad gli assesta una pacca sulla spalla.
A questo punto, l’orgoglio di Filippo gli impone di intervenire per autotutela: “Vorrei ricordarti che paghiamo una collaboratrice domestica una volta a settimana, non ti tratto di certo come una schiava.”
Soffoca un urlo di esasperazione: “Te l’agg ritt cient vot: in caso d’emergenza, devi saper fare tutto!”
Il marito torce completamente il busto nella sua direzione, strabuzzando gli occhi: “E tu mi vorresti far credere che pulire il bagno si qualifica come situazione di emergenza? Rischiamo tutti il colera?”
Naditza, esacerbata per usare un eufemismo, replica con voluta lentezza e misurata condiscendenza: “Non è questo il punto, Filì; devi essere più autonomo, non devo sempre starti appresso io per tutto! Ci hai messo mezz’ora solo per trovare i guanti, perché non stavano nel punto che ti aspettavi tu!”
“Allora devo pensare che tu mi abbia depistato appositamente? Se mi indichi un punto, io cerco lì!”
“Su questo ha ragione!” interviene prontamente Carmine, ignorando lo sguardo fulminante di Rosa. “È possibile che voi donne segnaliate un posto che non è mai quello dove effettivamente sta la roba?”
“Si tratta di allargare la visuale!” replicano praticamente in coro le due mogli, quasi l’avessero provato. “Se non trovo una cosa dove normalmente sta, o credo di averla messa, la cerco in giro! Sapete…”
“La casa nasconde, ma non ruba.” Stavolta, il coro tocca ai mariti, palesemente per far loro il verso. “Sapete,” continua Filippo, con tono polemico, “un conto è se l’avete messa e poi spostata voialtre; un conto è se tocca cercarla a noi poveri malcapitati, senza avere idea del vostro processo mentale!”
Uè, sientm buon, signor ‘processo mentale’: cheste so tutt scus, ’a verità è ca nun tenit genij ’e faticà. ’A cas è comm ’a ’nu spartit, Filì: esistono infinite combinazioni di note, basta solo provarne alcune.”
Rosa reagisce con un’espressione di pura ammirazione. “E chesta è bellissima, Nadì; chesta è logica.”
“No, Rò, è loggia, come diceva sempre una signora anziana che conoscevo giù a Napoli; hai voglia a spiegarglielo, quella s’offendeva. Allora, le facevo il verso dicendo: “Comm, è balcon!”, e non capiva!”
L’aneddoto è esilarante, ma l’espressione di Filippo di più: è stato messo in croce e alla berlina; è stato pure distratto, non ha ancora finito di pulire, e queste due pensano a fare salotto? Cos’e pazz
Ecco che, seppur involontariamente, richiama l’attenzione della moglie a causa dell’ennesimo errore. “No, nun è ’o ver; no, nun ce crer : Filì, ma comm sfaccimm faij a asciuttà si tien chella pezz accussì?”
Accussì come?” le fa il verso lui, sinceramente inconsapevole e ignaro, bloccandosi all’istante.
Accussì, tutta appallottolata; Mamm r’o Carmn, ij nun cia facc…” ed esce direttamente dal bagno, sia per prendersi una pausa che, involontariamente ma inevitabilmente, per concederla anche al marito.
A quel punto Rosa, impietosita e continuando a sforzarsi di non ridergli in faccia, verbalizza per lui: “Se la apri un attimo, la sciacqui, la strizzi e la tieni il più possibile distesa, asciuga molto meglio…”
“Perché, il mio metodo non ti sembra efficace?” ironizza, riprendendo il movimento precedente: sembra veramente uscito da una parodia, con una parannanza ridicola e la rifinitura del millimetro…
È più forte di lei: scoppia in una grassa risata, che ricordi non si è mai divertita tanto in vita propria. Dato che, a sua volta, Carmine non ricorda di averla mai vista sull’orlo delle lacrime per via del riso, evita di redarguirla anche solo per scherzo: solo loro sanno quanto sia in debito di serotonina.
Intanto, Nad si riaffaccia; lui è più che mai ricurvo, quasi cieco per lo sforzo di verificare che sia tutto lindo, e affaticato: non può fare a meno di commentare: “Sta facenn ’na faticat, s’asciuga il sudore…”
Futura, che si stava sbellicando da prima, esplode completamente riconoscendo la citazione di Totò.
Carmine, dal canto suo, decide di aver partecipato fin troppo a quell’umiliazione; perciò, fa un’uscita di scena drammatica su: “Io non ce la faccio ad assistere alla disfatta definitiva del mio commilitone.”
Varie maratone di cartoni animati lo portano a: “Il capo sono io, sono io che decido quand’è la fine.”
Al che, Futura conclude prontamente la citazione con tanto di dito puntato in direzione del padre già allontanatosi con Massimo in braccio, con fare studiatamente drammatico ma scherzoso: “È la fine.”
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“E comunque, per una volta potresti pure ammettere quanto sei fortunata, eh.”
Di fronte a questa recriminazione nient’affatto velata, Rosa si limita a scuotere la testa, concentrandosi piuttosto sul distribuire la crema sulle mani rovinate: ’sto sfaccimm ’e fridd gliele spacca letteralmente; se durante il giorno è impossibile mantenerla sotto i guanti in nitrile, poiché non riesce poi a infilarli, il bisogno di togliere spesso i guanti indossati all’interno poiché limitano la mobilità delle dita fa il resto. In sintesi, si è ormai rassegnata ad avere le mani in condizioni pietose per quattro mesi all’anno.
Ringalluzzito, Carmine incalza: “Sò serij : sono un marito modello, e mai ’na soddisfazione, oh.”
A questo punto, la moglie si rassegna a rispondere, ma per esteso e naturalmente a modo proprio: “Come se non te l’avessi mai detto… E per questioni ben più importanti della pulizia della casa.”
E ja, scherzo…” La raggiunge a letto, circondandole la vita con le braccia, attento a non sfiorare neppure un millimetro delle sue mani, pena la sordità; inizia a tempestarle il collo di baci delicati.
Vista la palese e voluta scorrettezza, lo interrompe proprio mentre sta discendendo verso la clavicola, ovvero il punto di non ritorno del suo autocontrollo: “Non te la cavi così, cap’e fierr: amm’a parlà…”
Sbuffa. “E c ciamm ’a ricr ? Ij vulev sul frnì chell c’avivm accummenciat, primm c ’a cumpagna toja…”
Ah, mo foss a cumpagna mij ! Però, quann te serv p te fà rà ragion…” inarca il sopracciglio, sfidante.
Nello staccarsi, scrollando le spalle con studiata noncuranza, all’improvviso è colto dall’illuminazione: “Si amm’a parlà, parlamm; però, ’e chell c’ è succies quann stiv quasi ’nderr, pecché nun agg capit…”
Rosa si morde la lingua, maledicendosi al contempo per averlo fatto con troppa forza, ma soprattutto per avergli ingenuamente servito su un piatto d’argento placcato oro l’occasione d’assillarla per primo. Non che l’evento sia stato liquidato nella sua mente - per quanto si sforzi di dimostrare il contrario - , essendo per l’appunto ipocondriaca, e poiché/nonostante abbia sviluppato un’attitudine di particolare autoconsapevolezza dal crollo dell’anno precedente: se ha imparato qualcosa da quel periodo, infatti, è proprio che specialmente in materia di salute, non ha alcun senso fasciarsi la parte lesa prima d’aver capito come e perché sia avvenuto il danno, per quanto il corpo e la mente segnalino già codici rossi: dare un nome a sensazioni e malattie dà modo di affrontarle o conviverci nella forma più opportuna.
L’aspetto più straordinario e insospettabile, in realtà, è che abbia smesso di crogiolarsi all’interno di visioni catastrofiche, senza tuttavia cercare riscontri immediati presso le fonti preposte e competenti; in altre parole, ha iniziato a insistere persino più di prima col marito e, per coerenza, ad applicare anche su di sé il principio che vale per i pargoli: all’insorgere di un problema, ci si rivolge ai medici. Più precisamente, ha imparato a non raggiungere lo stremo delle forze per farsi visitare e attribuire un nome e, di conseguenza, una cura al malessere di turno; ora sa convivere con la paura delle diagnosi. Ragion per cui non c’è bisogno che Carmine insista per strapparle l’ammissione che si senta spossata da qualche giorno ma abbia evitato di ingigantire la questione, nonché la promessa di un controllo.
“E comunque, l’intenzione mia era quella di parlare di come stai tu, ma tanto è ’na battaglia persa...” È francamente esausta di combattere contro il mulino a vento che è l’espugnare la sua riservatezza e la malsana abitudine di sorreggere i pali pericolanti altrui per ignorare la trave sul punto di accecarlo…
Eppure, per una volta, la psicologia inversa funziona persino con il solidissimo Carmine Di Salvo. “Tarantè, nun t tratt comm a ’na bambulell…” Schiva il sopracciglio inarcato con un bacio sulla spalla. “Agg penzat ca si vonn vrè ’e criatur, co’ lor s’hann ’a cumpurtà buon pe’ forz; si a me me trattan ’na chiavica, nun me ne fott nient, ce sò abituat… Quindi rimane solo la tua opinione; ’a chiù important.”
Rosa appoggia la fronte sulla sua. “Già te l’agg ritt : dove mi chiedi di andare, vado. Perciò, magnatill.”
Naturalmente, a livello emotivo, la situazione di entrambi è più complessa di quanto diano a vedere. In buona sostanza, Carmine si sente in colpa all’idea di esporre e sottoporre la propria vera famiglia, quella formatasi con una buona dose di incoscienza compensata da molti sacrifici e infinito amore, all’eventualità di spettacoli nel migliore dei casi poco edificanti e nel peggiore disastrosi, quasi alieni. Ma una promessa è una promessa, e l’affetto per sua madre - stranamente - finisce per prevalere.
Rosa non lo ammetterebbe mai, nondimeno l’idea di ritrovarsi nella fossa dei veri piecuri’ travestiti da leoni spiazza persino una lupa, non fosse che per l’essersi allontanata dal proprio branco a fatica. Come di consueto specie in quest’ambito, Carmine non ha mai suggerito, né tantomeno imposto ciò: fu lei, in totale autonomia, a prendere tale decisione sofferta ma necessaria, per non dire inevitabile; don Salvatore non avrebbe mai accettato che si rifacesse una vita, per giunta lontano da Napoli, senza imporre il suo controllo, perfino laddove non fosse riuscito a pretendere che rimanesse ‘nel giro’… Oltretutto, a ben guardare, il cordone era stato nettamente reciso quel giorno alla Piscina Mirabilis.
Eppure, non si trattò di fattori sufficienti ad attenuare la violenza lacerante dello strappo definitivo, benché non fosse da imputare ad altri che all’ingerenza - per usare un eufemismo - di suo padre; d’altro canto, lungi da lei colpevolizzare Carmine per averle chiesto quello che in fondo è un piccolo sacrificio, se comparato a frequentazioni regolari con due uomini che concorrono con don Salvatore quanto a disonestà morale e specialmente intellettuale, ragion per cui manterranno le debite distanze.
In sostanza, non saprebbe stabilire con chi prendersela, se non con la propria incapacità di stabilire le giuste distanze emotive rispetto a quel contesto, e soprattutto a chi lo anima e lo peggiora visibilmente.
Trascorse l’intero periodo della pre-adolescenza a sentirsi un pesce fuor d’acqua in famiglia - tranne con Ciro - , e a maggior ragione nell’intero ambiente di cui si trovava - suo malgrado - a fare parte. Possedeva un carattere determinato e fumantino di natura, ma la sua fragilità era altrettanto presente, ragion per cui la accantonò in modo da far spazio a un lato di sé del tutto sconosciuto: quello spietato; non ebbe neppure la possibilità di domandare a sé stessa cosa ne pensasse, forse proprio perché non sarebbe stata capace di ingannarsi fino al punto da ritenersi effettivamente meritevole di un plauso… Semplicemente, indossò con disinvoltura via via più presente un abito che pareva calzarle a pennello. D’altro lato, tagliò i ponti con tutte coloro che conoscevano ‘la vecchia Rosa’, sensibile ed empatica, poiché non avrebbero capito - né in quel momento né mai - i motivi che la spinsero a scordarsi di sé.
Quando morirono entrambi i fratelli, a breve distanza l’uno dall’altro, per comodità la sua mente era già stata programmata per ragionare con le leggi della giustificazione cieca ed estrema e della vendetta. Dentro a quell’odio sconfinato si sentiva potente e in controllo, ma paradossalmente anche protetta: affrontare appieno quel dolore opprimente avrebbe significato farsi schiacciare da esso, e sentiva di non poterselo permettere, soprattutto perché l’avrebbe resa vulnerabile agli occhi di troppe persone.
Finché non le capitò di scrutare quelli color cioccolato al latte di Carmine Di Salvo. E vi annegò. Inaspettatamente, inconsapevolmente e soprattutto involontariamente – nel suo caso in particolare - , quello sguardo le fece da specchio e finì per restituirle ciò che credeva di aver perso in via definitiva: la parte migliore di sé, quella che si concede di soffrire, di sbagliare, di volare, di perdonare, di amare. Con estrema naturalezza, smise di domandarsi quanto giusto o sbagliato fosse il suo modo di agire e di essere; e ora non vorrebbe esporsi al rischio di tornare a rimettersi in discussione con tale ferocia.
Fondamentalmente, nessuno dei due avverte l’impulso malsano di mettere a repentaglio la serenità così faticosamente (ri)costruita, per gettarsi tra le grinfie di un ignoto fin troppo noto a entrambi. Eppure, forse ciò che li anima a rischiare è proprio la curiosità di ottenere qualche riconferma in più. A dissuaderli dal ritrattare è una citazione de Il Gattopardo che Filippo talvolta riprende in memoria del suo primo periodo in carcere: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.”
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“Futura, jamm bell, peppiacer… Già te l’ho spiegato, devi metterti per forza l’impermeabile perché…”
Chic-che-chea.” È Massimo a completare la raccomandazione ormai reiterata innumerevoli volte.
Rosa sforza di soffocare il sorriso che le sta spuntando istintivamente sul volto: è sbagliato far sentire deriso un bambino che sta imparando a parlare, ma è più forte di lei, il suo cucciolo è troppo buffo. Tenta perlomeno di approfittare del suggerimento per intrappolare lui nel suo k-way giallo pulcino; ma il birbante sguscia via ridacchiando, concedendole di allentare il senso di colpa per alcuni istanti, dato che quel terremoto di suo figlio pare non farsi nessunissimo problema a prendersi gioco di lei.
Sbuffando, decide di riparare sul lato linguistico, benché - suo malgradissimo - in modo incompleto: “Si dice schiz-ze-chea, a mamma. Comunque, mi scordo sempre la parola in italiano, non va bene…”
“ ‘Pioviggina’.” interviene Carmine in suo soccorso sia figurato che letterale, incastrando il monello tra le proprie braccia, decisamente più possenti rispetto a quelle di Rosa; tanta sfrontatezza richiede una punizione esemplare: e via di pernacchie ovunque, sul collo, sulle braccia, sulla schiena, sul pancino...
La moglie vorrebbe tanto puntualizzare che, per l’ennesima volta, è più creatur  lui dei figli, votato irrimediabilmente a portare scompiglio; ma si rassegna con un sospiro, anche perché, se lo conosce almeno un po’, sarà una tecnica delle sue per convincere Massimo a vestirsi senza fare ulteriori storie.
Futura li osserva in disparte, improvvisamente dispiaciutissima di essere scampata alla morsa paterna. Adora il piccolo terremoto come poche persone al mondo, ma si ritrova inevitabilmente a sentirsi gelosa di quelle attenzioni che prima le venivano riservate con maggiore regolarità, oltre a invidiare in modo ancora più viscerale quei momenti che, da un punto di vista di corrispettivo in statura e peso, ha vissuto in minima parte rispetto al fratello; non li ricorderebbe comunque, ma sa che le mancano.
Nel giro di qualche istante, Carmine si volta nella sua direzione e, com’era prevedibile, si accorge dell’espressione indecifrabile ai più, ma chiara e cristallina ai suoi occhi, con cui Futura li sta fissando. Ma prima di passare a lei, si assicura di terminare ciò che ha cominciato: sotto lo sguardo attonito di Rosa, che se da un lato è rassegnata a queste tecniche ipnotiche, dall’altro non cessa di meravigliarsi, con una mano fa indossare a Massimo l’impermeabile, e con l’altra gli dà un buffetto sulla guancia ogni volta in cui si dimena complicandogli il lavoro, al punto da provocargli le guanciotte di Heidi.
Dopodiché, si avvicina alla figlia, si abbassa alla sua altezza, le sorride e le domanda direttamente: “Vorresti ripristinare del tutto il soprannome, pernacchiè? Giuro che non lo diremo a nessuno…”
L’ha già convinta; ciò nondimeno, deve pur darsi un tono. “Ormai sono grande, papi… È che…”
“Che?” incalza lui, scuotendo la testa; non riesce proprio ad essere credibile, per questo la ama tanto.
“Lo sai, l’impermeabile non mi piace; preferisco il cappotto rosa, quello che m’ha regalato la nonna.”
Ecco svelato l’arcano: vuole compiacere almeno la parente che conosce. Come darle torto: lui stesso ci ha provato infinite volte… Scoprendo di esserci riuscito proprio quando aveva smesso di curarsene. “Pernacchiè, sono sicuro che la nonna non vorrebbe che il cappotto si rovinasse… Ascolta mamma.”
Annuendo, senza aggiungere una sola sillaba, Futura lascia che Rosa l’aiuti a infilare il proprio k-way, con uno sguardo che da attonito si è tramutato in grato: non ha tempo, né voglia di sentirsi in difetto.
Massimo è troppo piccolo per capire, quindi Carmine si rivolge di nuovo alla figlia, per sicurezza: “Amore di papà, devi solo prometterci che, qualsiasi cosa accada, sarai semplicemente te stessa. Ok?”
Futura non ha ancora avuto modo di rendersi conto del motivo, ma ha già intuito che questa visita stia mettendo in insolita agitazione i suoi genitori; ma nel dubbio, si fida di loro come sempre. “Ok papi.”
-
Eppure, nel loro studiatissimo piano di non far percepire nulla di studiato e artefatto nell’incontro, per evitare spiegazioni scomode, per non far sentire Futura in dovere di essere e dimostrare alcunché, qualcosa dev’essere necessariamente sfuggito loro di mano: di norma, è talmente autonoma e matura da aver abbandonato persino con gli estranei gli atteggiamenti di ritrosia - volendo - tipici di quell’età, presentandosi senza tradire un’eccessiva timidezza e rispondendo ai quesiti rivoltile con puntualità; ora, davanti al nonno e allo zio che sta conoscendo per la prima volta, risulta praticamente impietrita, per non dire ‘diventata tutt’uno con la gamba del padre e il braccio della madre, una sorta di scultura’.
Ed ecco che in Carmine si fa strada il primo, lancinante timore che si era ripromesso di ignorare: quello che sfruttino la riservatezza della figlia come arma per arrivare a colpire lui, tanto per cambiare; la seconda parte, come ha già precisato a Rosa, da tempo immemore non lo sfiora minimamente… Ma se dovessero azzardarsi a proferire mezzo commento sui bambini, potrebbe non rispondere di sé.
Stranamente, almeno per ora, sembrerebbero aver cara la pelle: una volta esauriti i “Comm si bellell” e “Comm si gruoss” - dinanzi al quale Carmine si sforza con tutto sé stesso di non replicare: ‘Quann maij ’a avita vist, si stavat aret ’e sbarr ? Ten ott ann, avess a essr comm a Massimo ? ” - da copione, passano al piccolo appunto, il cui padre torna a respirare solo quando Wanda assume il comando: dopo aver salutato affettuosamente sia lui sia la moglie, monopolizza i nipoti con sollievo dei presenti.
Nel frattempo, hanno preso posto in un bar del centro… Sperando che non sia teatro di sceneggiate.
Gettando il fumo della sigaretta dalle narici con un pathos alquanto ridicolo, Ezio prende la parola e, com’era prevedibile, avvia il tracollo: “Camminiè, amm vist ca te si sistemat buon accà, complimenti.”
Scattando istintivamente in avanti, ma intercettando lo sguardo di Rosa che gli suggerisce di fare del suo meglio per non contribuire a segnare una disfatta su tutti i fronti, l’interlocutore replica, glaciale: “E perché, che avresti visto tu? Non mi risulta di averti accompagnato a casa, né al salone nostro.”
Ezio sogghigna. “E capit, pà ? Camminiell nuost mo vuò parlà tutt arrepulut… Ma a chi vuò fà fess ?”
Il suddetto si gira a propria volta verso don Mariano Di Salvo, scoprendo - con propria grande sorpresa - che, almeno per il momento, non sembrerebbe avere alcuna intenzione di intervenire.
La tentazione di Carmine sarebbe quella di replicare citando l’amico Pino: ‘Nun parlà bicin e gruoss’; tuttavia, suo malgrado giunge ben presto alla conclusione che sarebbe inutile, nonché improprio, poiché porterebbe Ezio a controbattere che sia lui il maggiore - solo all’anagrafe, com’è evidente - .
Decide piuttosto di attendere che quest’ultimo partorisca un’altra perla, che infatti non si fa attendere: “Ij e papà ancor nun amm vist nient, pe’ colpa toja ovviament; però, sapimm ca è ’nu bell quartier…”
Fulmina istantaneamente Wanda, che fa di tutto per ignorarlo; spera sia la fine dei particolari narrati.
E pò, ’sti vestiti sò bell assaje… E sapimm ca nun vulit ca mammà v’aiut… È vero o no, Camminiè?”
“E quindi?” lo rimbecca istantaneamente, sostenendone lo sguardo con una facilità quasi olimpionica.
“E quindi nun capisc pecché schif ’a mammet, e a tutt ’a famiglia toja, ca t’ha campat pe’ vint ann.” Stavolta, l’intervento è stato realizzato con tempismo perfetto e tono inflessibile da don Mariano.
Il figlio minore si volta verso di lui: eccellente scelta argomentativa per tornare a rivolgergli la parola. “Mi risulta che tu abbia fatto un calcolo approssimativo: sono stato autonomo dai diciott’anni in poi.”
Per tutta risposta, riceve una risata sprezzante: “Ndimen, pur matematic si addiventat… Ma famm ’o piacer. Nun capisc comm maij mammet nun t’ha ancor accis ’e mazzat, co’ sta superiorità che ci sbatti in faccia come fossimo bestie. Hai visto? L’italiano ’o sacc parlà pur ij, si vogl; ma nun cagn chi song.”
Abitualmente, Don Mariano Di Salvo è quell’individuo che ti stende con uno sguardo o una parola;  mantenendo una parvenza di impassibilità, è in grado di bluffare per poi disintegrarti in un istante. Inaspettatamente, anche Carmine possiede queste caratteristiche, ma le ha trasformate in reali qualità. Ciò nondimeno, non si aspettava che il genitore avrebbe commesso un passo falso con tale rapidità… Evidentemente, la vecchiaia e la lunga reclusione l’hanno portato a perdere colpi in modo grossolano.
Decide di scavarsi la fossa in maniera irreparabile quando tira in ballo Rosa, convinto com’è che una Ricci, soprattutto donna, non abbia il coraggio di rispondere a tono, specie se lontana dal suo branco: “Carmine, tu si ’nu Di Salvo; ancor nun agg capit pecché c’e pigliat gust ’a t’o scurdà, m’è a crerer, però mo ce stong ij pe’ t’o ricurdà semb. Statt accort, Rosa Ricci: primm o poij, pur ’o sang annacquat ’e sta disgrazij ca teng comm figl c’abbruciarà, e non ti converrà stare nei paraggi, visti i cognomi...”
Carmine ringrazia Dio, la Madonna e tutti i santi di essersi voltato in quel momento nella direzione di sua madre e dei suoi figli, perché se non avesse incrociato lo sguardo confuso e spaventato di Futura, non ci avrebbe messo nulla a fregarsene dei principi tanto decantati per coprire la distanza irrisoria che intercorre tra lui e il padre biologico per fargli rimpiangere di aver pronunciato quegli abomini.
D’altro canto, una parte consistente della sua mente - ancora in grado di ragionare lucidamente, con suo immenso stupore - confida nelle ottime probabilità che sia proprio sua moglie a disintegrarlo. Come volevasi dimostrare, Rosa si concede giusto il tempo di strabuzzare gli occhi, mettere in fila un paio di concetti e raddrizzare la schiena prima di contrattaccare, con imperturbabilità quasi estranea: “Quando sentirò mio marito rimpiangere l’allontanamento da ’na chiavic ’e famiglia comm ’a vost, allora potrei direttamente cambiare nome e, a questo punto, per assurdo, diventare io una Di Salvo.”
L’espressione prodotta da don Mariano, stralunato dall’uso dell’italiano e le parole scelte, è esilarante.
Soddisfatta del risultato, Rosa sferra il colpo di grazia: “Non abbiamo messo 800 chilometri tra noi e Milano per sentirci ripetere di guardarci le spalle di continuo, stando con il nemico; siete scontato.”
Esterrefatto, il suocero non può esimersi dall’esclamare: “Figlm t’ha lavat proprij buon ’a cap, ah…”
Ed è sotto lo sguardo che Carmine rispolvera solo quando si gode lo spettacolo della moglie che rimette a posto qualcuno, preferibilmente se la ragione è dalla sua, che la suddetta precisa fieramente: “Se pensate che vostro figlio possa fare il lavaggio del cervello a qualcuno, è l’ennesima dimostrazione che non lo conoscete per niente. Mi ha solo aiutata a capire che me l’avevano fatto quelli come voi.”
Equivocandone l’espressione, il padre sbotta indignato: “Ndimen, mo te nascunn aret ’e femmn ?”
A questo punto, Carmine fa per intervenire, ma Rosa lo ferma con un gesto: ha la risposta perfetta: “Solo gli uomini piccoli hanno paura di affidare il comando alle donne, e mi risulta che finché stavate in carcere, vostra moglie ce l’aveva; quindi, mo c r’è, vi mettete paura che non vi rispetteranno più?”
È troppo. Don Mariano Di Salvo non può tollerare un simile affronto, men che meno da una Ricci. “Co’ ’sto caratter ’e merd ca tien, forz ’e fai buon ’e bucchin, altrimenti nun capisc pecché figlm…”
È un attimo. Prevedendo lo scatto di Carmine, Rosa si sporge per trattenerlo, ma è già troppo tardi; mentre Ezio sta parandosi davanti al padre, con insospettabile agilità Wanda sopraggiunge e lo scansa: guadagnarsi fiducia e rispetto del marito non implicò mai che la denigrasse a tal punto nel processo, forse perché consapevole del fatto che ci avrebbe rimesso la pelle; lungi da lei trattenere Carmine dal dimostrare ai due disgraziati, una volta per tutte, come sia in grado di reagire senza esitazione se si tratta di proteggere chi ama. È l’onestissimo prezzo da pagare per averlo sottovalutato ostinatamente. Com’è naturale, sia lei, che Carmine, che Rosa stessa sanno perfettamente che ‘la vittima’ della questione saprebbe difendersi fin troppo bene da sé; tuttavia, ora come ora è del tutto irrilevante.
Carmine arriva a un millimetro dal viso di colui cui deve unicamente il cognome e metà del DNA, deciso a limitarsi ad afferrarlo per il bavero della giacca come ulteriore dimostrazione degli infiniti modi in cui gli è superiore, evitando che gli insegnamenti sul farsi rispettare gli si ritorcano contro. “Ma comm cazz te permiett ?” urla, al limite della furia che credeva avrebbe mai potuto provare.
Rosa vorrebbe tappare le orecchie e gli occhi di Futura, che hanno già visto e sentito a sufficienza. Spiegare le atrocità proferite dal nonno sarà un conto; giustificare Carmine sarà tutt’altro, teme… D’altronde, quella piccolina ha già sofferto e assorbito badilate di negatività nei primi anni di vita, e volente o nolente, fa indirettamente parte di quel contesto proprio come loro; immagina che questa sia un’occasione come un’altra per iniziare a coinvolgerla in verità che la riguardano così da vicino.
Nun agg maij ritt ’na parol ra quann sò nat… Facevat ’a gar a chi me trattav pegg e ij me stev zitt… Ndimen, manc ’o tiemp ’e arrivà e già stevev cacann ’o cazz… E ij me stev zitt, pecché ’a colp è d’a mij ca nun agg ritt ca nun vuliv vrè ’a facc vost manc in fotografia… Ce sò abituat a tutt ’sta merda…”
Nel frattempo, Massimo è scoppiato in un pianto inconsolabile. Carmine si volta d’istinto, e in quel richiamo realizza tutto ciò che si è sempre ripromesso di non replicare mai, di evitare come la peste: incutere terrore, seminare disprezzo e insicurezza come è sempre stato fatto a sue spese, dalla culla. La presenza dei suoi fantasmi non giustifica il fatto che, seppur indirettamente, una sua scenata stia riducendo in quello stato il bambino più allegro e spensierato che i geni suoi e di Rosa abbiano visto.
Rosa. Deve concentrarsi su di lei e terminare al più presto questa pagliacciata inutile, per il loro bene.
Ma bicin ’e criatur mij e ’a muglierm tu nun t’e a permettr maij chiù ’na cessat comm chell ch’e ritt. Nun me ’n fott si nun ce verimm maij chiù, tu nun tien ’o permess ’e penzà NIEND ’ngopp ’e figl mij, ’ngopp a Rosa, pecché song ’a vita mij. ’O sacc ca nun te ne fott nient si sò viv o muort, e vabbuò, primm manc a me me ne futtev pe’ colpa toja… Ma ra quann sò pat, ij so felice ca sò viv, ’o vrament. E si m’accir me ne fott, pecché lass sul ’e criatur e muglierm. E si faij suffrì a lor, tu accussì m’accir.
Wanda è stordita dall’insieme di emozioni che sta provando; in definitiva, non crede di essere mai stata tanto fiera del figlio, né felice che abbia finalmente conosciuto l’istinto di autoconservazione.
Perciò, si tien ancor ’nu poc ’e coscienza, nun penz ca te convien accirer ’o sang tuoij, comm ric tu. Mo lievt ’a ’nnanz ’a l’uocchie mij, ca nun teng genij ’e turnà là dint.” Futura non può ancora sapere.
Non si sofferma neppure a soppesare la reazione del padre; non gli interessa né lo riguarda più.
Nel dirigersi verso Rosa, non ha comunque il tempo di realizzare nulla che esuli dalla necessità di impedire che si sfracelli al suolo: sta avendo un altro capogiro, solo che stavolta sembra stordente. Diviso tra il panico e il senso di colpa dilaniante, lui e Wanda si assicurano che risponda agli stimoli, mentre Futura cerca di confortare il fratellino senza farsi sopraffare lei stessa dalla paura.
A quel punto, cede a un altro dei punti che si era giurato di evitare: il focus sul senso di rivalsa: “Quant’è ver Iddij, se Rosa si sente male per colpa vostra, ve ne pentirete amaramente, ve lo giuro.” Don Mariano ed Ezio sono praticamente ammutoliti: troppi eventi inaspettati tutti insieme.
Appena si riprende minimamente, Carmine si fa aiutare dalla madre a scortare lei e i piccoli all’auto.
Wanda saluta la nuora con una carezza e un “Mi dispiace” che vale più di mille lunghi discorsi.
Quello che rivolge a Carmine, invece, è intriso della speranza che non siano le ultime parole tra loro.
Il figlio replica con: “Lo so”, rafforzato da un sorriso stanco e consapevole e un bacio sulla guancia. “Ce vrimm ambress, mà; ’e niput tuoij escon pazz pe’ te, ’o saij. Te facc sapè pe’ Rosa. Buon viaggio.”
-
Ora, la sua preoccupazione è una sola. “Vita mij, giurm ca staij buon, te preg… Mi dispiace, mi…”
Lei lo interrompe con una carezza. “Sì, cor mij, è tutto passato, ’o vramentJammuncenn a cas.”
Non c’è nulla che Carmine desideri di più… Ma non pensa di riuscire a guidare in queste condizioni. Rosa finalmente si sofferma sulla sua espressione, accorgendosi con dolore lancinante che gli occhi caldi e familiari dell’amore della sua vita traboccano di lacrime represse per 26 lunghissimi anni. Potrà pure raccontargliela, ma non è unicamente l’angoscia per la sua salute a ridurlo in questo stato: persino lui torna fragile per strappi mai ricuciti con la carne della sua carne, il sangue del suo sangue, per quanto abbia preso le distanze da tempo, per quanto riceva e dia amore in abbondanza altrove.
“Cà, guardm…” La accontenta, sfinito. “Ora puoi dire di non avere rimpianti. Ora andrai avanti.”
È straordinaria. E ha scelto lui. “Tarantè, senza di te io mo non mi reggerei manco in piedi, lo sai?”
Scuote la testa, troppo lusingata per contraccambiare con una risposta all’altezza, anche perché già sa. “T’o si scegliut buon, ’o baston… A malapena mi reggo io, in questi giorni…” Fa una risata nervosa.
Carmine vorrebbe imitarla. Vorrebbe sorridere, e poi ridere fino a sentir male alle guance e alla gola. Ma ora come ora, quest’ultima parte del corpo riesce unicamente a bruciargli di sofferenza arretrata.
A dargli il colpo di grazia pensa Futura: “Siete sicuri di stare bene? Chiamiamo zia Nad e zio Fili?”
Il papà si volta con infinite sfumature di senso di colpa dipinte in volto: l’hanno terrorizzata pure loro, al punto da spingerla a cercare i rinforzi, perché i suoi genitori in quel momento non sono più un porto sicuro, ma ulteriori persone in difficoltà, da proteggere... Da sé stesse, specie nel caso di lui. “Mo andiamo subito a casa, gioia… Staij buon tu ? Scusa, scusa veramente, non avrei mai dovuto…”
Lo blocca sul nascere. È proprio figlia di sua madre. “Mi spiegherete poi… Però io sto bene, papi.”
Carmine la invita a sedersi in auto, come ha già fatto Rosa. Massimo è stato ancorato al seggiolino. “Guarda che non devi pensare a noi, noi siamo grandi… Ho proprio sbagliato a portarvi qua, scusa…”
Ed è in quel momento che Futura realizza: il motivo di quelle raccomandazioni sull’essere sé stessa, l’insolita tensione dell’ultimo periodo, nonna Wanda in pena come non l’aveva mai vista finora… Persino ora, il suo papà sta continuando a scusarsi perché è da tutta la vita che si sente sbagliato. Dev’essere stato terribile avere un genitore come quello, senza neppure il sostegno di un vero fratello. Capirà la fatica di cambiare i pattern sbagliati dei predecessori solo quando avrà figli a propria volta.
Eppure, chi meglio di una bambina, specie se giudiziosa come in questo caso, concepisce la pressione di dover compiacere gli adulti, specialmente chi ha alte aspettative ed è sempre stato amorevole… L’immane delusione di fare i conti con l’irremovibilità di certi altri, invece, la conosce indirettamente tramite la sua amica Greta: ha un pessimo rapporto con la madre, e uno meno peggiore col padre. Lei ha addirittura due mamme, di cui una disposta a sorbirsi i suoi occasionali capricci e i malumori; un papà premuroso e attento come di rado ce ne sono, stando a ciò che le assicurano le compagne.
Per quanto sia ancora scossa dalla scena a cui ha appena assistito, non riuscirebbe mai a incolparlo. “Papi, l’unica cosa che voglio è non vederli mai più; hanno trattato bene me e Massimo, ma non voi: non ho capito tutto quello che vi siete detti, ma mi sembravano cose bruttissime e non ve le meritate. Anzi, avrei dovuto dirgli che siete la mamma e il papà migliori del mondo, perciò facesser ’o cess.”
Lui era già distrutto a ‘papi’, ma l’ultima precisazione lo ha involontariamente ridotto in singhiozzi. Correndo seriamente il rischio di soffocarla, la stringe a sé come se ne andasse della sua stessa vita. Solo per quelle parole e quell’abbraccio, è valsa la pena di spostare montagne e attraversare mari.
Dopo averla assicurata al sedile con la cintura e un’infinità di baci adoranti, Rosa sussurra a Carmine: “Cert ca ’sta figl fa paur… Non le daresti un euro, e poi ti rimette a posto co’ ’na parol e ’nu sguard…”
Lui non ha manco il tempo di soffermarsi sulla possibile identità di eventuali ispiratori di tale pregio, prima che la moglie, conoscendo perfettamente il tipo di mentalità con cui si sta relazionando, rivela: “Futura è come te. Ha una forza incredibile, che ti travolge solo per aiutarti a mantenerti saldo…”
Attualmente, più che un giunco che si piega ma non si spezza, Carmine si sente un albero abbattuto; ma se ha imparato qualcosa, ultimamente, è a non rifiutare mai un apprezzamento, specie se sincero. Perciò, si limita a ricambiare con un misto tra un elogio e una punzecchiatura, molto nel loro stile: “Invece, Massimo è come te: strilla e si dimena, poi basta dargli un po’ di attenzione vera e smette. Già mo, fa tant ’o gruoss, sembra voglia proteggere la sorella… Se veramente serve, chist stende tutti.”
Inarca un sopracciglio e con tono scettico per far scena: “Vabbuò, lo prendo come un complimento.”
Una volta ripartiti, si sente intitolatissima a scasinare per scegliere la canzone adatta per quei minuti. Improvvisamente, l’illuminazione: se l’è fatta tradurre da Filippo, perché sentiva un richiamo istintivo con quelle parole, pur non conoscendone ancora il significato; certo, non l’ha ancora imparata tutta… Ma col ritornello se la cava, e compensa i difetti di pronuncia con la sua bellissima e potente voce: quando l’ha tirata fuori per davvero, Carmine è rimasto sconvolto dal confronto con i toni flautati che gli riservava i primi tempi, ma giusto perché si vergognava dell’eventualità di cannare qualche acuto.
Va da sé, la prima strofa vede una Rosa confusa e una Futura intenta a correggerla, benché divertita; ma appena ci si avvicina al ritornello, si sforza di scandire, così che Carmine ricordi la traduzione.
And if you feel the great dividing
I wanna be the one you’re guiding
Cause I believe that you could lead the way

I just wanna be somebody to someone, oh
I wanna be somebody to someone, oh
I never had nobody and no road home
I wanna be somebody to someone

And if the sun’s upset and the sky goes cold
Then if the clouds get heavy and start to fall
I really need somebody to call my own
I wanna be somebody to someone
Someone to you
Someone to you
Someone to you

Lo sa, lo riconferma, non esistono altre persone con cui vorrebbe stare: loro sono tutto il suo mondo.
È con comprensibile trepidazione, che Rosa apre l’e-mail coi risultati delle analisi: dev’essere arrivata in mattinata, ma impegnati com’erano coi preparativi per l’uscita, non ci hanno neppure fatto caso; ora che ci pensa, tra una tragedia e l’altra non hanno neppure pranzato: sarà il caso di rimediare… Prima, però, deve smettere di rimandare la scoperta dell’esito: è arcistufa di svenire ogni tre per due… Certo, se confermasse il suo sospetto, una parte di sé teme che si replichino le puntate precedenti…
L’urlo assordante che richiama Carmine, prima di qualsiasi informazione intelligibile e con un senso, è un misto di incredulità, eccitazione e uno spirito ancor più consapevole delle due volte precedenti: il suo ventre è abitato da una nuova vita che vedrà poco del caos di prima ma tutto della loro serenità.
   
 
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