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Autore: AthenaD    24/12/2023    1 recensioni
Fin dagli albori della storia, prima della battaglia, i guerrieri si riuniscono intorno al fuoco e si danno coraggio, rievocando le proprie gesta, rievocando le gesta dei grandi che li hanno preceduti, le storie del loro popolo e dei loro eroi. Questa è una di quelle storie.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fratelli di scudo, sorelle di guerra, io vi narro stanotte, di Amana Sagara, regina di spade.
Nacque Amana Sagara da una famiglia di poveri mezzi, quando le pianure erano verdi, molte lune or sono.
Fin da bambina, attenta e devota, serviva la dea delle vergini Naarandra e le recava offerte. Accertata la sua perfezione del corpo e del cuore, venne accettata nel tempio e consacrata alla dea. Crebbe in tale bellezza che quando ebbe quattordici anni, Macronao, che regnava sulle pianure in quel tempo, vedendola officiare i riti sacri, non ebbe più pace, finchè non potè averla.
Non era, il re Macronao, un uomo crudele, le pianure erano prospere, sotto il suo regno, e crescevano messi, ma le donne erano la sua follia e la sua condanna e non mai si placava la sua sete.
Incurante dei voti e della volontà della fanciulla, fece sì che i sacerdoti la liberassero dal suo uffizio e la trascinò via dal tempio.
Il re prese Amana Sagara come diciottesima concubina e la violò la prima notte, appena tratti gli auspici, che pure erano oscuri e senza attendere i riti della purificazione, mentre la fanciulla piangeva ed invocava la dea.
Ma Naarandra, signora dalle bianche gote, tacque.
Amana Sagara, dunque, nel giaciglio disfatto, si asciugò le lacrime e col suo sangue di vergine votò se stessa a Takalidè, la Possente.
Per cinque anni fu la favorita del re. Per cinque anni dissimulò e tacque, ma trascurando le pratiche delle donne, si allenava con le armi e la dea le concedeva forza e potenza, ancor più che bellezza.
Frattanto, il re, mutato il suo volubile cuore, aveva messo l’occhio su una giovanissima sorella di Amana Sagara, non ancora pronta a conoscere uomo e inflessibile, l’aveva richiesta.
Dunque, Amana Sagara sentì che il tempo di subire era finito. Con la scusa di assistere la sorella nei preparativi della sua prima notte, si nascose nella stanza nunziale e quando il re si apprestava a prendere la fanciulla, gli spiccò il capo dal corpo.
Arrestata e messa a morte, Amana Sagara invocò i sacerdoti, ricordò il sacrilegio che era stato commesso, nello scioglierla a forza dai voti e chiese in nome di Naraandra, che era stata offesa, che le si concedesse il privilegio di sfidare il campione del re. I sacerdoti, che erano stati compiacenti con i capricci del re, le rifiutarono il privilegio di combattere.
Si fece avanti allora la Grande Vecchia, che nessuno vedeva da anni. Con incedere altero, la Signora dei Serpenti, sacerdotessa della Dea Terra, che non può essere nominata, giunse al centro del consiglio e per conto della dea, chiese che Amana Sagara venisse ammessa alla prova.
Non era pensabile un rifiuto.
Risero allora gli incauti e accettarono che la concubina assassina di re si battesse.
Le consentirono la sfida, pur sapendo che chiunque, assassino di un re, avesse ottenuto il giudizio dell’ordalia sul campione del consiglio, in caso di vittoria, avrebbe potuto reclamare il trono.
Le domandarono dunque con quale arma volesse battersi, poiché la spada con la quale aveva ucciso il sovrano le era stata tolta e non aveva altro che un corto pugnale ornamentale. Nessuno fu disposto a fornirle altra arma.
Il campione frattanto era giunto al centro della piazza. Era un gigante delle praterie del sud, enorme e scuro, ricoperto di ferro, con il collo grosso come quello di un toro.
Amana Sagara prese il piccolo pugnale e postolo sull’altare del sacrificio, pregò Takalidè che lo benedicesse.
Fu in quel momento che la terra prese a tremare, l’altare si spaccò come colpito da un fulmine. Con un rombo di tuono, una luce altissima e bianca si levò dall’altare in frantumi. Per il tempo di dieci respiri, una spada di un metallo chiarissimo, snella e lucente, come mai se ne erano viste nelle pianure, rimase sospesa in aria, per poi ricadere nella mano della concubina guerriera.
Fu allora che la bianca spada, “Purezza di vergine”, venne rivelata ai mortali.
Quella spada che tuttora è cinta al fianco delle nostre regine.
Ammutolì la folla e tremò il gigante, davanti al prodigio.
Amana Sagara, giovane e snella come una fiamma nera, fronteggiò l’immane campione. Takalidè, amante degli spirti guerrieri, era al suo fianco e ruggiva il suo potere, come un branco di leonesse, nel volteggiare della bianca lama. Il braccio di Amana Sagara era saldo. I colpi terrificanti del gigante spaccavano la terra, mentre la guerriera danzava la sua battaglia e fluiva liquida come le acque del Seratoha.
E il gigante tremava, tremava come una foglia in autunno, poiché sapeva che la sua ora era giunta.
All’improvviso ella gli si avventò contro con un balzo e il braccio di lei, delicato, piantò la lunga spada nel collo scoperto del gigante e vi affondò fino all’elsa.
Cadde il campione con schianto di ferro e Amana Sagara divenne regina.
Ella fu la più grande dei re guerrieri che il popolo delle pianure conobbe.
Ebbe, il popolo delle pianure, anni di grande espansione.
Amana Sagara, invincibile, Purezza di vergine in pugno, devota alla dea dal braccio possente, portava il suo stendardo in battaglia e portava battaglia oltre le terre delle pianure.
Per dieci anni la regina, implacabile, cavalcò alla testa dei suoi guerrieri, lungo le verdi vallate, da dove il sole nasce, fin dove muore.
Molti furono i popoli sconfitti e merci e schiavi e tributi fluivano verso il popolo delle pianure, che divenne sempre più prospero e ricco.
Ma non c’erano eredi. E i sacerdoti cominciarono a chiedere che la regina scegliesse uno sposo. Le si proposero molti nobili, cavalieri valorosi e signori di greggi e bestiame, ricchi in oro e argento e terre, di nobile stirpe.
Ma Amana Sagara non voleva mai più giacere con uomini.
Amava soltanto la sua spada e la guerra.
Continuò pertanto la cavalcata della regina per le grandi pianure.
La regina contava ormai oltre trenta primavere e il consiglio dei saggi non aveva più speranze di convincerla a dare al trono un erede.
Fu quando l’esercito del nostro popolo giunse a quel confine, segnato dal fiume Isarda, che il re del popolo dei cavalli intimò alla regina guerriera di fermarsi.
Amana Sagara, consapevole del grande valore in oro e cavalli, che vi era in quelle terre e del talento di allevatori di quel popolo, non numeroso ma fiero, rifiutò di ritirarsi ed anzi, dichiarò ancora una volta la guerra.
Fu il figlio del re, Ajil de Kajar a venirle incontro, chiedendo un ultimo confronto.
Era, il principe, un guerriero temuto, il più grande dei cavalieri del suo regno, imbattibile con le armi e di infallibile mira. Sul suo stendardo danzava Takhalidè la Possente, circondata da sette cavalli bianchi ed egli era bello come è bella l’alba sulle pianure.
Bastò un primo sguardo al principe e la regina seppe come il tempo della pace fosse infine venuto.
Era tempo di spegnere la sua sete di conquiste, poiché la dea le aveva condotto uno sposo degno.
E così il principe, vedendo Amana Sagara cavalcargli incontro, in tutta la sua fierezza, seppe di colpo che la dea gli aveva condotto una degna sposa.
Gli eserciti schierati, dietro agli stendardi che garrivano, al tramonto sulle pianure, ancor attendevano la guerra e non sapevano che una lunga pace stava per nascere.
Quando il principe e la regina furono l’uno di fronte all’altra, vi fu un lunghissimo silenzio d’attesa e di sguardi.
Morsero il freno i cavalli frementi, attesero i consiglieri.
In tutta la pianura si stese un manto di silenzio.
Il principe affiancò il cavallo di Amana Sagara e le domandò di cavalcare con lui nella pianura.
Ella accettò.
Furono celebrate le nozze quella notte stessa, davanti ai fuochi degli accampamenti preparati per combattere.
E venne dalla guerra il matrimonio tra la regina delle spade e il principe dei cavalli, che governarono con giustizia le terre delle pianure per molti e molti anni a venire.
Nacquero da quella unione sei figli. Di essi, la prima, Maarita la giusta, ereditò il trono e regnò fino alla fine di quell’era.
Ed è in quest’ora di guerra, fratelli e sorelle, che io a raccolta vi chiamo.
Non abbiate timore del nemico e ricordate la gloria degli antenati!
Il popolo del deserto preme ai nostri confini. Ma noi siamo forti, i nostri dei sono con noi, e Purezza di vergine è al fianco della nostra Regina, Naarita Maa, guerriera, degna erede di Amana Sagara.
La forza di Takalidè fluisce possente in lei.
Domani nella battaglia, seguite la bianca spada!
Proteggete la Regina!
E che la vittoria arrida ancora al Popolo delle Pianure!
 
  
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