Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: solandia    30/12/2023    2 recensioni
Un Diavolo incompleto.
Due zingare di periferia.
E un Angelo bruno sullo sfondo del cielo lontano.
Una favola dark sulla scoperta di se stessi e del proprio io.
Una favola su un'inestinguibile anelito alla Libertà.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Kikyo | Coppie: Inuyasha/Kagome, Inuyasha/Kikyo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Limbo, Girone VI

Quando Inuyasha riaprì gli occhi, c'era qualcosa che non quadrava.

Il sole stava calando, il che significava che aveva dormito per più di mezza giornata.

E già questo era strano: una dose del genere avrebbe dovuto dargli tregua per non più di un paio d'ore.

Ma la cosa più assurda era che stava benissimo. Parola sua, era fresco come una rosa e non gli capitava da mesi!

Si alzò e si guardò attorno stupefatto, ma nel fluire lento del canale non notò nulla di diverso dal solito. Niente che potesse spiegare quel miracolo, quantomeno.

Almeno ad una prima occhiata.

Poi, con stupore, si rese conto del silenzio: anche se si concentrava, il rumore dell'Acheronte non giungeva alle sue orecchie.

Solo allora si accorse dell'ombra proiettata dal ponte e il sangue iniziò a galoppargli imbizzarrito nelle vene.

C'era quella bambina.

Lassù, seduta sulla balaustra: la sua aura era inconfondibile.

E lui avrebbe dovuto esserne terrorizzato, invece, come un cretino, si scoprì a cercare la sagoma della sorella più grande senza nemmeno ricordarsi di respirare nel frattempo.

Ma l'ombra della ragazza non c'era.

E no, non ne era né lieto né sollevato.

Dannazione.

La bimba gli dava le spalle e tendeva la mano ai passanti lassù, apparentemente ignara, eppure Inuyasha era sicuro che fosse più che consapevole della sua presenza lì sotto. Anzi, era quasi certo che quel suo inaspettato benessere fosse proprio dovuto a lei.

Si schermò dietro l'aspetto del bel moro dagli occhi verdi, affondò le mani nelle tasche del giaccone e si avviò verso la bimba, risalendo pigramente la scaletta in pietra che conduceva sopra al ponte.

Lei fece finta di nulla fino a quando il Mezzodemone non le fu seduto accanto.

«Cosa vuoi?» gli chiese poi, senza guardarlo.

«Non si usa più salutare, scarafaggio?»

«Ciao. Cosa vuoi?» ripeté lei, come un automa.

Lui fece spallucce: «Sei stata tu, vero? Come hai fatto a curarmi?»

Nessuna risposta.

La zingarella continuava a tendere la mano ai passanti, cantilenando una panzana melodrammatica sulla povertà sua e dei suoi sette fratelli, e non lo degnava di uno sguardo.

Inuyasha la prese per una spalla e la costrinse a voltarsi verso di lui: «Insomma, cosa mi hai fatto, piccola Strega?»

La bambina si ritrovò d'un tratto sull'orlo del pianto. Scrollò via la sua mano artigliata e lo fissò dritto in faccia: «Non lo so» biascicò fra le lacrime.

Il Tentatore ne fu sorpreso: «Non lo sai?!».

«Non lo so, va bene? Eri lì tutto in un mucchio, sembravi un rottame. Ho visto roba in discarica che stava messa meglio, giuro. Ti ho trovato perché sentivo il tuo odore così forte... quell'odore di zolfo così triste e soffocante e soffocato... Facevi impressione, eri tutto livido. E dall'Acheronte qualcuno rideva. L'ho sentito: ti guardavano e ridevano. Allora li ho tagliati fuori. Poi mi sono avvicinata e ti ho sfiorato un fianco. Non so perché, mi è venuto così. Ed è stato bruttissimo: c'è stata una frustata di calore che è entrato dalla mia mano e mi faceva male, un male boia, ma non riuscivo a staccarla da te. E mentre io stavo sempre peggio, il tuo respiro si calmava e il tuo colore tornava piano piano quello di sempre. Solo quando la tua faccia si è rilassata la mia mano si è staccata dal tuo fianco. Ma adesso mi sento male per colpa tua! Non mi devi venire vicino!» gli gridò in faccia la bimba, sconvolta.

«Ehi, scarafaggio, se non volevi che ti venissi vicino, avresti dovuto startene lontano da me.»

«No: dormivi. Quelli potevano farti qualsiasi cosa, non ti potevo lasciare lì. Ho continuato a tagliarli fuori, ma adesso che stai in piedi voglio che vai via!»

«Quelli chi?»

«Quelli che ridevano, là, dentro il vortice del fiume.»

«Vuoi dire i miei Gerarchi giù all'Inferno?! Di' un po', li stai tagliando fuori anche ora?»

Lai tirò su col naso: «Sì».

«Scusa, ma cosa significa di preciso?»

«Che non ci vedono e non ci sentono.»

«Davvero?!»

Per provare le parole della bimba, Inuyasha assottigliò gli occhi e cercò di guardare Oltre, nel tentativo di scorgere i flutti possenti dell'Acheronte, ma non ne fu in grado. Non poteva percepire il proprio Mondo.

Fissò la bimba con grande stima e si abbandonò a un fischio soddisfatto: «UAO! Ma come lo fai?»

Lei abbassò il capo, triste: «Non lo so. Lo faccio e basta.»

«Ci sono un sacco di cose che fai senza sapere come, a quanto pare. E l'ultima deve averti spaventato a morte.»

La bimbetta annuì.

Lui socchiuse gli occhi e provò a studiarne l'aura. Era molto ridotta, quasi accartocciata. E parecchio ingrigita. Non sembrava però una slavatura dovuta all'umore della piccola, quanto piuttosto un inquinamento che proveniva dall'esterno: evidentemente, per risanarlo, aveva assorbito da lui molta negatività. Dato che teneva l'aura così ripiegata su se stessa non riusciva a smaltirla e ne veniva avvelenata nell'anima e nel corpo.

Ma non era nulla di grave.

«Anch'io posso curare, sai?» le disse con finta allegria: «Al momento fa stare un po' male, ma se ti abitui passa subito. Visto che ti sei presa cura di me, io farò lo stesso con te.»

E così dicendo le mise una mano davanti al viso e lasciò che si sprigionasse la consueta aura verdognola. Che nessuno a parte la bimba avrebbe visto. E che non poteva granché contro quella corruzione che lui stesso aveva in corpo fino a poche ora prima e della quale non era riuscito a liberarsi, ma il suo piano prevedeva ben altra medicina.

Kaede infatti iniziò a ridacchiare: «Ehi, mi fai il solletico!»

Lui ricambiò la risata e l'aura della piccola tornò lentamente a dischiudersi.

E dischiudendosi lasciava evaporare spontaneamente i miasmi che la inquinavano.

Cinque minuti dopo la zingarella sembrava tornata il peperino impertinente di sempre. Sembrava felice che qualcuno stesse occupandosi di lei e la cosa la riempiva di aspettative. Inuyasha non poteva leggerglielo nel cuore, ma glielo vedeva chiaramente dipinto in faccia.

«Senti, ma siamo diventati amici?» gli chiese infatti, non appena lui ritrasse definitivamente la mano.

«Non farti strane idee: un Demone del mio calibro non può certo diventare amico di una palla di stracci come te!»

«Cattivo! Ma io ti ho aiutato!»

«Nessuno te l'ha chiesto.»

«Sì, ma potevi crepare, se non c'ero io!»

«Per la cronaca, sappi che io non posso crepare.»

«Però...»

«Ehi, ehi, ehi» la interruppe lui, di colpo più serio: «Lo so. Hai fatto tanto. Non sono uno scemo, lo capisco. E ti sono anche grato, se è questo che vuoi sentirti dire. Ma non sono da considerare un amico».

«Perché hai le corna?»

«Perché sono quello che sono. Non è solo questione di corna: girami al largo e camperai cent'anni, pulce.»

«E tu, quanto camperai?»

«In Eterno. E non è divertente.»

«Se diventiamo amici sarà divertente!»

Lui sospirò: «Non sarà divertente: io non potrò mai fare niente di buono per te. Sto dicendo che non potrò, mi capisci? Non è che non voglia... quello che io faccio non è quasi mai una mia scelta. Le leggi dei Mondi... sono loro a comandarmi. E io posso solo seguirle.»

Lei si fece seria: «Dici? Beh, non mi sembri il tipo che sta alle regole.»

«Non badare a ciò che sembro. Sembro tante di quelle cose... ma in fondo non so nemmeno io chi o che cosa sono.»

«Sembra grave» sentenziò la bimba soppesandolo con aria seria.

«Lo è» assentì lui. E si sentì d'un tratto nuovamente stanco fino al midollo.

«Oh, beh. Abbiamo tutti le nostre grane. Non credere che le tue siano tanto speciali» ribatté la bimba.

E lo guardò.

E gli sorrise.

A Inuyasha fece un effetto stranissimo, quel sorriso. Perché era il primo ad essere davvero rivolto a lui, da quando aveva abbandonato il suo Angelo bruno tanto tempo prima. Tutti quelli che gli erano stati rivolti in quegli anni erano per il fighetto di vent'anni, o per il trentenne dalla barba sfatta, o per qualche altro adulto border-line che recitava saltuariamente per Lavoro. Mai per il Diavolo Incompleto che lui era e che, a guardarlo bene in faccia, poteva dimostrare sì e no una quindicina d'anni.

Già. Era da quindici anni che dimostrava quindici anni.

Il suo reale aspetto era quello di un adolescente imberbe (con aggiunta di dettagli come corna ed ali, ma vabbè). Perché quello era, in fondo: una creatura mai diventata adulta, una specie di grottesco Peter Pan.

Sospirò.

La strana coppia formata dalla zingarella e dal giovane Mezzodemone stette in silenzio sul parapetto del ponte per un bel po'. Un silenzio complice, senza imbarazzi. E senza il sottofondo dell'Acheronte ruggente.

A quell'ora la luce era ancora troppo forte e Inuyasha chiuse gli occhi. Con le braccia incrociate sul petto, sembrava quasi dormisse, cullato dal ritornello melodrammatico che la bambina sciorinava ai passanti per farsi elemosinare qualche spicciolo.

In realtà vegliava come non mai.

Anzi, gli sembrava di essersi svegliato solo in quel momento, come se per tutti quegli anni avesse sempre dormito.

Non poteva essere amico della bambina, questo era certo. Perché i Demoni non sanno cosa sia l'amicizia.

Ma poteva stringere con lei una sorta di alleanza. Anzi, doveva: Kaede aveva doti che potevano tornargli largamente utili. Ed era sorprendentemente ben disposta verso di lui.

Aveva bisogno di quella bambina per sganciarsi dalla sua Gerarchia. E aveva morbosamente bisogno di sua sorella.

Un terrificante, devastante bisogno.

La piccola da sola non l'avrebbe mai cavato dai guai, non era una Strega abbastanza potente. Serviva l'immenso potenziale di quella Kikyo.

Ma cosa avrebbe dovuto chiedere un misero Tentatore anche alla più potente delle Streghe, per avere salva la vita? O, almeno, per averne una?

Non ne aveva idea.

Non ne aveva davvero la più pallida idea.

Ma era un problema che si sarebbe posto in seguito.

Ora, il primo passo era ingraziarsi la ragazza.

Poi avrebbe dovuto risvegliarne il potere. E il solo pensiero lo riempiva di ansia.

Ma una Strega con i poteri sigillati non gli sarebbe stata di utilità alcuna.

«Arriva» annunciò a un tratto, levando il capo di colpo.

«Chi?» si stupì la bambina, che lo credeva davvero addormentato.

«Tua sorella. È a circa mezzo chilometro di distanza e punta dritta da questa parte».

«Come fai a saperlo?»

«Ne sento l'odore».

«Ammazza, che naso fino che hai!» esclamò lei entusiasta.

«Senti chi parla» la canzonò Inuyasha.

Pochi minuti dopo, la figuretta esile di Kikyo fece la sua comparsa sul Corso.

Inuyasha sudava freddo.

Certo, a prima vista sembrava essere tornato a pisolare placido, ma in realtà era terrorizzato, tanto che le sue mani tremavano impercettibilmente.

Ok, delle tante cazzate che aveva fatto nella sua breve vita, questa davvero prometteva di svettare nella top-ten. E, per la prima volta, era perfettamente conscio della gravità dalla cosa. Ma, se voleva sfruttare quelle Streghe a proprio vantaggio, era importante che stessero dalla sua parte. E che Streghe fossero, a tuttotondo e coscienti di se stesse.

Quindi aveva deciso: avrebbe fatto aprire gli occhi a Kikyo.

Doveva farlo.

Era lanciato.

Questo però non impedì a un'ondata di panico di avvinghiargli gli intestini, quando la ragazza giunse vicino a loro.

Ne sentì l'odore trafelato.

Ne avvertì il profumo di donna.

Venne investito dalle onde della sua aura come da violente frustate, tanto da doversi riparare il viso coi gomiti. E fu cullato dal suono della sua voce come mai avrebbe creduto. Anche se quella voce non era per lui, si stava limitando a sgridare Kaede.

Aprì un occhio e la sbirciò di sottecchi: era bellissima.

Tanto da far male.

Si costrinse ad abbassare le braccia, per guardarla apertamente. Ormai poteva reggere la pressione della sua aura, dato che era solo nel momento in cui ne veniva improvvisamente investito che avvertiva un picco di dolore. La ragazza era più stanca e sporca della volta precedente: aveva i capelli arruffati e profonde occhiaie ne segnavano il viso. Sembrava un fagotto sgraziato. Un fagotto di fulgida bellezza.

L'assurdità di tutto ciò lo fece sghignazzare.

All'udirlo, Kikyo levò il capo, come se si fosse accorta solo in quell'istante della sua presenza.

«Oh. Tu sei il ragazzo della volta scorsa...»

«Esatto» rispose il Mezzodemone, sfoderando il suo miglior sorriso per mascherare la strizza che aveva in quel momento all'idea di discorrere con una creatura tanto potente da solo mezzo metro di distanza.

In ogni caso, Kikyo non sembrava più a suo agio di lui: aveva abbassato subito lo sguardo, evitando i suoi occhi verdi per scrutare con interesse l'acciottolato del marciapiede.

«Perché continui a seguire mia sorella?» osò domandargli con un filo di voce, in un italiano zoppicante e stentato.

«Ehi dolcezza, chiariamo una cosa: semmai è quella pulce che segue me dappertutto. Anzi, ti sarei grato se riuscissi a tenermela fuori dai piedi» rispose lui esprimendosi scioltamente nel dialetto delle due ragazze.

Kikyo lo fissò con occhi sgranati: «Tu parli romanì?»

«Io parlo molte lingue» commentò Inuyasha scendendo dalla balaustra e avvicinandosi lentamente a lei. «O forse non ne parlo nessuna...» concluse enigmatico.

«È la prima volta che incontro qualcuno che parla la nostra lingua, pur non essendo uno del nostro popolo» continuò meravigliata la ragazza.

«Ma lui non sta parlando il nostro dialetto» si intromise Kaede.

Kikyo posò gli occhi su di lei, crucciata: «Kaede, ti prego, non ricominciare con le tue stramberie».

«No! Ascoltalo Kikyo. Perché non lo vuoi ascoltare? Sei testona!»

Già. Perché Kikyo non lo ascoltava?

O meglio, perché non lo Sentiva?

E perché, pur avendo un'energia spirituale così traboccante, non lo Vedeva?

Perché lo stava guardando e non vedeva altro che il bel moro di vent'anni, quando invece la sorellina by-passava il suo Schermo con una naturalezza spaventosa?

Per svegliare la ragazza, era fondamentale scoprire la causa del suo blocco. E, per farlo, il Diavolo avrebbe dovuto spingere quel gioco all'estremo.

«Non ha peli sulla lingua la piccola, eh?» commentò.

«Perdonala, è ancora una bambina e a volte non distingue la realtà dalla fantasia».

«Oh. E tu invece ci riesci, zingara?»

Il viso della giovane donna si indurì di colpo, ma Inuyasha proseguì bellamente: «Come la metteresti se ti confermassi che la pulce ci sente benissimo? Che quello che dice è vero?»

La ragazza guardò prima la sorellina, poi il giovane con l'aria di una maestrina adirata.

«Ehi voi due, vi siete messi d'accordo per prendermi in giro?! Kaede, te ne do tante che non te le scordi più!»

«E dopo aver picchiato lei che farai, zingara? Picchierai anche me?»

Kikyo fissò su di lui uno sguardo severo e profondo: «Tu sei grande abbastanza per comprendere da solo i tuoi errori, senza che nessuno ti prenda a sberle. Però...» aggiunse infine, in un soffio: «non chiamarmi più zingara, ti prego».

A Inuyasha saltarono i nervi.

Non sapeva bene perché, ma l'atteggiamento dimesso della donna lo mandò in bestia. Forse fu la tensione del momento, unita alla consapevolezza del danno che stava combinando. O forse il fatto che gli era sembrata di nuovo immensamente bella, un secondo prima, quando la rabbia le aveva acceso il viso, mentre ora era tornata una figuretta senza arte né parte, con il muso imbronciato e il capo chino.

«E perché non dovrei? Sei una zingara, no?» la aggredì.

«Sono una donna rom» lo corresse lei, senza levare lo sguardo.

Di nuovo il Diavolo sentì l'irritazione invaderlo: «"Sono una persona: trattami da essere umano" Mi stai dicendo questo?!» chiese iroso.

Kikyo alzò gli occhi e lo fissò interdetta, senza replicare.

«Allora?» incalzò lui facendosi sempre più vicino, «È questo che volevi dire o no, "donna rom"?»

Kikyo restava in silenzio, sostenendo il suo sguardo. Kaede invece, per la prima volta, era spaventata: vide la rabbia farsi incandescente nel nodo del Mezzodemone e vide un grande smarrimento negli occhi della sorella.

«Kikyo» la richiamò, «stai attenta, lui è...»

«TACI, PULCE!» la interruppe Inuyasha. «Non ha importanza cosa sono, voglio solo una risposta» ringhiò indurendo ancora di più lo sguardo, perché alla giovane donna fosse chiaro che non le avrebbe concesso sconti.

Kikyo sospirò: «Sì, è quello che volevo dire» ammise continuando a fissarlo negli occhi. «È una cosa tanto ignobile?»

«Sì, detta in quella maniera e da una come te, perde ogni valore».

Gli occhi della donna, prima timidi e dimessi, ora saettavano fiamme.

Inuyasha restò a guardarli, scrutandone le scure profondità, e vi scorse un antico orgoglio mai piegato e una dignità inviolata e inviolabile.

Sì, non si era sbagliato: Kikyo era bellissima.

Per davvero.

«Quando si viene dalle fogne di periferia il rispetto non lo si trova nell'uovo di Pasqua, vero?» la sfidò.

La ragazza taceva e lo fissava composta. Lui proseguì imperterrito: «Quando nasci fra gli emarginati il rispetto non è automatico, devi conquistartelo. Ma mendicarlo non è certo un modo per ottenerlo! Devi essere tu la prima a trattarti con rispetto. Come puoi chiedere che ti sia dovuto, se tu stessa non te lo concedi?!».

Kikyo arrossì e chinò il capo, senza osare ribattere.

«No, guardami!» tuonò lui costringendola a levare il viso: «Tu hai la dignità. Ce l'hai scolpita dentro, si vede in fondo ai tuoi occhi. Non sono io a dovertela concedere, lo capisci? Né io, né nessun altro, solo tu stessa».

Il viso della donna si illuminò debolmente: «Ho capito. E ti ringrazio» sorrise timida.

«Ehi, la prossima volta che vuoi dire qualcosa di carino a mia sorella, sfodera un po' di educazione, stupido diavolo!» sbottò Kaede arrabbiatissima.

Kikyo fissò Inuyasha imbarazzata: «Kaede, cosa dici? Chiedi scusa!»

«No, perché dico la verità. Guardalo anche tu, Kikyo, non lo vedi? È un diavolo di quelli coi cornini, come ci raccontava sempre la bisnonna. Perché non lo guardi?»

«Kaede, basta! Cerca di ragionare! Per favore...» continuò poi imbarazzatissima, rivolta al giovane gagé: «Non le dia peso».

«Kikyo» la richiamò lui per tutta risposta: «In che lingua stiamo parlando?»

«Eh?» si stupì lei, senza capire il senso di quel brusco cambiamento nel discorso: «Romanì, ovviamente».

«Io non parlo il tuo dialetto, Kikyo. Ascoltami bene» replicò lui lentamente.

Troppo lentamente.

La ragazza sgranò gli occhi: il ragazzo muoveva la bocca e quei movimenti sembravano quelli della sua lingua, ma i suoni che ne uscivano... I suoni erano diversi! Erano diversi dal suono di qualsiasi lingua umana.

Erano come il tuono, o come una musica. E le rimbombavano dentro pulsando nel cuore.

Ma la cosa che più la allibì fu il rendersi conto che per tutto il tempo avevano conversato in quel modo e lei era stata in grado di capire e utilizzare quella lingua sconosciuta senza nemmeno accorgersene, credendola la propria.

«Tu... Io...» balbettò: «Che lingua è mai questa?!»

«Quella che parlavano gli uomini prima della Torre di Babele» spiegò Inuyasha senza girarci troppo attorno.

«Cosa?!»

«Non conosci questa Leggenda? Si narra che nei tempi antichi gli uomini parlassero tutti la stessa lingua e appartenessero tutti a un unico popolo. Un giorno si radunarono nella pianura di Sennaar e lì decisero di edificare una torre. Volevano che fosse tanto alta da toccare il Cielo, per simboleggiare tutta la loro potenza. Ma il Cielo si adirò per la loro superbia e confuse le loro lingue, in modo che non si comprendessero più l'un l'altro. Incapaci di comunicare fra loro, abbandonarono il progetto della torre e si dispersero per tutta la Terra, dividendosi in molti popoli ostili l'uno all'altro».

«Uao!» esclamò Kaede estasiata. «E la torre c'è ancora?»

«Non credo proprio!» rise Inuyasha. «È passato troppo tempo!»

«Ricordo, è una vecchia storia raccontata nella Bibbia. Ma tu non puoi farmi credere di conoscere quella lingua leggendaria!» replicò Kikyo.

«Eppure stiamo continuando a parlarla. La senti, vero? Non entra dentro di te dalle orecchie, ma dal cuore. È una Lingua Arcana che tutti gli uomini conoscono, anche se inconsciamente».

«Tutto questo non ha senso!»

«Beh, effettivamente non è per niente razionale. Ma ammetterai che è parecchio comoda: chi parla questa Lingua può conversare con chiunque e arrivare dritto al cuore».

«Ma tu chi sei?» domandò allora la ragazza, sospettosa.

«Se ti confermassi che sono un Diavolo, come dice la piccola, non mi crederesti, vero?»

«No» fu secca la donna.

«Allora ti dirò che sono un bastardo che vive per rovinare la gente e si mantiene suonando il basso a tempo perso. Il che non cambia la sostanza delle cose, ma forse te le farà sembrare più accettabili».

La ragazza lo soppesò a lungo con gli occhi.

«Se tu fossi quel che dici» soggiunse poi, «dovremmo stare alla larga da te».

«Già, sarebbe saggio» confermò lui. «A tua sorella l'ho detto cento volte, ma non ci vuol sentire».

«Eppure la gente non sai solo rovinarla. Poco fa, con me, hai...»

«Non farci caso» la interruppe lui, brusco, «ho i miei buoni motivi. Comunque non credo che la cosa si ripeterà».

«Io invece credo che si ripeterà eccome!» sentenziò la piccola Kaede.

Inuyasha la fulminò con lo sguardo: «Quella bimba è terribile!» sbottò rivolto a Kikyo.

«Già» commentò la ragazza tristemente, mentre un'ombra pesante le velava il viso. «Tu sei il primo che non si spaventa, pur sentendo questi suoi strani discorsi».

«Ti sbagli, è solo che la mia paura è diversa da quella degli altri. Ma ti assicuro che tua sorella turba anche me».

La ragazza sospirò: «Capisco. Quantomeno non ci hai trattato come pazze, o come streghe. È già molto».

Si appoggiò poi alla balaustra del ponte, restando a fissare l'acqua melmosa del canale con la stanchezza dipinta in volto, e proseguì: «Sai, nostra madre era una chiromante. Così come nostra nonna, e sua madre prima di lei. E la madre di sua madre ancora prima. Hanno girato l'Europa intera leggendo nei cuori della gente attraverso le carte. Tutti veneravano e temevano i loro presagi. La bisnonna era come Kaede: vedeva angeli e demoni ovunque, parlava con gli spiriti e guardava nel cuore della gente. Mi terrorizzava. Tutto questo mi terrorizzava perché tutti avevano paura di lei. E di noi. Quando si è ammalata, anche se ormai aveva più di cent'anni, o forse più di duecento, l'hanno lasciata crepare da sola. Non voglio che mia sorella faccia la stessa fine, ma non so... come fare... per...»

La voce le si stava spezzando. Inuyasha però aveva capito.

«Pensi che Kaede sia pazza?» le chiese avvicinandosi.

«Non lo so. Vorrei che quel che dice fosse vero e allo stesso tempo vorrei che non lo fosse, perché...»

«Non ti ho chiesto ciò che vorresti, ma ciò che pensi che sia. Ciò che conta è come stanno davvero le cose, non come ci piacerebbe che fossero».

Kikyo lo guardò sperduta: «Io non vedo angeli o demoni, solo tanti uomini marci.»

«Kikyo» la interruppe lui, facendole cenno di tacere. La ragazza si ritrovò a fissarlo dritto in volto. Erano vicinissimi.

«Kikyo, tu non Vedi quello che Vede Kaede perché hai paura di Guardare, vero?»

«Eh?!»

«È da quando ti ho vista che mi domando perché non Vedi, pur avendo occhi in grado di Guardare. E la risposta è che ti stai imponendo di tenerli chiusi perché hai paura di aprirli, giusto? Ebbene, sai che ti dico?» proseguì, abbandonando d'improvviso il tono accondiscendente di poco prima per farsi provocatorio: «È troppo comodo, bella mia!»

La ragazza restò a fissarlo spaesata.

«Guardami, Kikyo!» le ordinò afferrandola per un braccio: «Guardami!»

Non aveva abbassato lo Schermo, ma sapeva che la ragazza avrebbe potuto benissimo Vederlo per quel che era, se soltanto avesse voluto.

E infatti lei lo Guardò. Con gli occhi nei suoi occhi, il respiro nel suo respiro, Guardò al di là del suo stesso sguardo.

E per un attimo, un attimo soltanto, le parve che gli occhi che la stavano sovrastando non fossero più verdi, ma infuocati, e che oltre la loro iride non ondeggiasse più una dolce prateria, ma bruciassero le fiamme dell'inferno.

Ebbe paura.

Un terrore atavico, incontrollabile.

Si divincolò e si staccò bruscamente da lui.

Ma il Mezzodemone se n'era accorto.

«Cos'hai Visto?»

«Niente» mentì lei.

«Non è vero. Devi continuare a Guardare, Kikyo».

«Non voglio. Il mondo è già abbastanza brutto così».

«Stupida! Tu puoi Guardare! Devi farlo!»

«È il diavolo che me lo comanda?» replicò la ragazza in tono di sfida, sollevando orgogliosa la testa.

Inuyasha restò di sasso.

Era davvero così?

Passò qualche secondo prima che trovasse la lingua per replicare: «No. Sono io, io soltanto».

«E chi sei tu, per chiedermi questo?»

Ancora il ragazzo sembrò perdere la parola per lunghi, interminabili istanti.

Ci stava ricascando?

Stava manipolando quella zingara come aveva manipolato Rita?

E per cosa, poi? Il solito pugno di mosche?

Bah. Forse non era il caso.

«Nessuno» biascicò infine. «Proprio un bel nessuno. Tornatene a casa ora, stupida».

«Non ce l'ho, una casa».

Un dato di fatto: nessun piagnisteo nel tono di voce della ragazza. Era così e basta.

«Ce l'avrai un posto in cui stare no? Tornatene là».

Kikyo diede la schiena al giovane, prese Kaede per mano e fece per avviarsi, ma si fermò dopo pochi passi.

«Qual è il tuo nome, “Signor Nessuno”?» chiese, continuando a dargli le spalle.

«Inuyasha».

«Ebbene, Inuyasha, tu non lo mendichi neppure, il rispetto. Mendicare la propria dignità non sarà onorevole, ma sarebbe comunque un passo in avanti. Prima di occuparti di me, dovresti curarti di te stesso».

Fu lapidaria.

Ma anche dolcissima.

E senza voltarsi nuovamente verso di lui, le due sorelle si avviarono lungo il ponte.

Passarono attimi di un silenzio così denso da sembrare un muro invalicabile, poi Inuyasha le richiamò.

«Aspettate, voi due! Vi offro un caffè».

Entrambe si girarono verso di lui, sorprese.

«È un caffè offerto dal diavolo?» insinuò Kaede, maliziosa.

«No» le sorrise lui, avviandosi verso un bar di là dalla strada. «È un caffè offerto da Inuyasha».

  
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