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Autore: Parmandil    30/12/2023    1 recensioni
Tra tutti gli avventurieri della Destiny, nessuno quanto Irvik brama di tornare a casa, dove lo attendono i figli. Ma anche se tornasse oggi stesso, chi gli restituirebbe gli anni perduti? Chi mai potrebbe evitare che la sua famiglia si disgreghi e i figli lo guardino come un estraneo?
Giunto da oltre lo spazio-tempo, un essere trascendente gli offre proprio questo. Riporterà Irvik nel passato, al momento delle sue scelte cruciali, permettendogli d’agire altrimenti, nella speranza d’evitare la rovina familiare. Quale mortale potrebbe mai rifiutare quest’opportunità? Scopo dell’esperimento è appurare se esista il libero arbitrio, e tutto dipenda dalle nostre scelte, o se viceversa siamo schiavi di un Fato ineluttabile.
Accettato il patto, l’Ingegnere Capo scatena inavvertitamente una serie d’eventi che potrebbero condannare la Destiny, e non solo quella. Riuscirà il povero sauro a salvare sia la sua famiglia che l’astronave? E come sfuggirà poi allo sdegno dell’entità che gli aveva concesso tanto? Volontà e necessità si scontrano come non mai, mentre Irvik apprende che per aggiustare qualcosa, bisogna scombinarne un’altra.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Star Trek Destiny Vol. IX:
Padrone del Fato
 
 
LA DESTINY DOVEVA ESPLORARE IL MULTIVERSO,
MA QUALCOSA È ANDATO STORTO
E L’EQUIPAGGIO È STATO UCCISO.
ANNI DOPO, UNA BANDA DI CONTRABBANDIERI
HA ABBORDATO LA NAVE ALLA DERIVA,
VENENDO RISUCCHIATA NEL MULTIVERSO,
SENZA LE COORDINATE DI RITORNO.
AGLI AVVENTURIERI NON RESTA CHE
ESPLORARE UNA REALTÁ DOPO L’ALTRA,
IN CERCA D’INDIZI SULLA VIA DI CASA,
MENTRE CERCANO DI RISCOPRIRE IN LORO
QUELLO SPIRITO CHE CREÓ LA FEDERAZIONE...
 
 
-Prologo:
Data Stellare 2609.302
Luogo: Vothir, colonia Voth (Quadrante Delta)
 
   Dalla prospettiva degli altri Voth, Irvik era quel che si dice un sauro di successo. La sua brillante carriera nel settore ingegneristico lo aveva portato, ancor giovane, a divenire Ingegnere Capo sulla Nave Bastione Maastri. In seguito aveva ricoperto un incarico ancor più prestigioso: era stato chiamato nel team di progettazione dei nuovi Borg Killer, le supernavi destinate a contrastare la rinnovata minaccia dei Borg. E ora che questi nuovi vascelli erano finalmente operativi, Irvik aveva per così dire il mondo in mano. I più prestigiosi circoli scientifici facevano a gara per averlo e offrirgli nuovi incarichi. Insegnamento, convegni, ricerca pura... l’Ingegnere aveva solo l’imbarazzo della scelta. Tutto questo, a neanche cinquant’anni: pochi, per una specie che viveva cinque o sei volte tanto. Eppure Irvik non aveva ancora preso una decisione sul suo futuro. Non che fosse confuso: era incline ad accettare la proposta del Circolo dell’Ingegneria Quantistica, che gli avrebbe permesso di fare ricerca e all’occorrenza di partecipare ad altri importanti progetti astronavali. No, il motivo per cui l’Ingegnere prendeva tempo era puramente personale. Dietro la facciata del sauro di successo, infatti, si nascondeva un individuo profondamente infelice. Uno che aveva visto naufragare miseramente l’aspetto più importante della sua vita: quello familiare.
   Dieci anni prima, Irvik aveva sposato la dottoressa Maia, una ricercatrice nel campo dell’olografia. Le nozze erano state combinate dai rispettivi clan, com’era tipico nella società Voth. Tra i due però sembrava esserci una buona intesa, tanto che due anni dopo era nato il loro primogenito Dryos, e dopo altri tre anni la piccola Psitta aveva bucato l’uovo. Irvik era al settimo cielo e pensava che la felicità familiare fosse assicurata. I fatti avevano ben presto ridotto in cenere quest’illusione.
   La secondogenita, infatti, era nata proprio nel periodo in cui l’Ingegnere era stato chiamato nel team di progettazione dei Borg Killer ed era totalmente concentrato sul nuovo incarico. Le sue giornate trascorrevano nel laboratorio, a lavorare – e talvolta scontrarsi – coi colleghi. A volte ci aveva persino trascorso le notti, dormendo su una brandina, per non interrompersi un minuto più del necessario. Il progetto infatti aveva già subito dei ritardi, negli anni passati, e ora il governo impaziente aveva fissato delle scadenze ferree. Irvik si era quindi trovato risucchiato in un vortice di lavoro frenetico, che non gli lasciava tempo né energie da dedicare alla famiglia. In effetti gli capitava di passare interi giorni senza vedere dal vivo la moglie e i figli, accontentandosi di qualche breve chiamata in olo-presenza. Si era detto che alla fine sarebbe tutto finito, e allora si sarebbe accertato che il prossimo incarico gli consentisse ritmi di lavoro più rilassati. Ma prima che ciò avvenisse, Maia gli aveva fatto pervenire la lettera di divorzio.
   Fulminato dalla disgrazia inaspettata, Irvik aveva letto e riletto il documento, fino a sentirsi bruciare gli occhi. Maia sosteneva che di fatto vivevano già separati, quindi non restava che formalizzare la cosa. Precipitatosi a casa, l’Ingegnere si era offerto d’abbandonare il progetto – con gran danno della sua carriera – pur di salvare il loro matrimonio. Ma i suoi sforzi erano stati vani: Maia era irremovibile, e del resto la procedura di divorzio era già avviata. Non restava che navigarla, cercando di subire meno danni possibili. Cosa che, nella società Voth, era maledettamente difficile.
   Essendo una specie antichissima, e sotto molti aspetti in decadenza, i Voth infatti erano assai tradizionalisti, anche nel diritto matrimoniale. In caso di divorzio, i figli erano assegnati in custodia alla madre, a meno di gravi impedimenti. Il padre pagava un assegno di mantenimento e nel migliore dei casi li vedeva una volta alla settimana. Nel caso di Irvik, il giudice aveva decretato che li vedesse una volta ogni due. Naturalmente l’Ingegnere aveva dovuto andarsene di casa, optando per un piccolo alloggio nei pressi dei cantieri. Alloggio che peraltro usava pochissimo, dato che quando non era impegnato nelle beghe legali trascorreva ancora la maggior parte del tempo in laboratorio. I rari giorni che passava coi figli non bastavano a lenire il suo animo; tanto più che aveva il forte sospetto che Maia stesse cercando d’indisporli nei suoi confronti.
   Così ora Irvik, al termine del progetto, si trovava con un figlio di otto anni e una figlia di cinque che lo conoscevano appena. Sperava ancora che, quando fossero cresciuti, avrebbe potuto incontrarli più liberamente e ricucire il rapporto, per quanto possibile. Ma non gli andava di aspettare tanto. Se avessero potuto fare qualcosa di bello assieme, ora che aveva del tempo libero... magari una lunga, meritata vacanza... ecco, quello poteva fare miracoli per il loro rapporto.
   Era da qualche giorno che Irvik ci pensava, dopo aver visto uno spot che incoraggiava i Voth a visitare la Terra, il mondo in cui i loro remoti antenati si erano evoluti. L’afflusso di turisti era regolamentato dal Trattato di Chicxulub, firmato all’indomani dell’increscioso tentativo dei sauri di occupare la Terra, strappandola agli Umani e a tutta la Federazione. In questo trattato i Voth, reduci da una clamorosa sconfitta, rinunciavano a ogni pretesa sul pianeta. Conservavano una presenza simbolica, ovvero l’ambasciata e un centro culturale. Tuttavia potevano visitare la Terra come turisti, a patto di non soffermarsi più di un mese e di non sforare un tetto massimo di presenze. Erano condizioni dure, dovute al fatto che i sauri avevano perso il conflitto; ma per Irvik era sufficiente. Così, dopo aver brigato un po’, era riuscito a procurarsi quattro ambiti biglietti. Ora restava la parte più dura: convincere Maia ad accompagnarlo coi ragazzi.
   Ormai da diversi minuti Irvik camminava avanti e indietro nel suo alloggio, facendo e disfacendo mentalmente il discorso che intendeva rivolgere all’ex moglie. Alla fine si fermò, con uno sbuffo. «Oh, basta! Computer, chiama Maia! Canale in olo-presenza» ordinò, fermandosi davanti all’olocamera incassata nella parete.
   Il Voth dovette attendere un pezzo, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro. Infine Maia apparve in olo-presenza davanti a lui. Da com’era vestita, sembrava in procinto d’uscire per cena. «Beh, che vuoi? Non ho molto tempo, sto per uscire» confermò sbrigativamente.
   «Uscire con...» indagò Irvik, già punto sul vivo.
   «Con Edmon, che domande!» confermò Maia, riferendosi al suo nuovo compagno. «Andremo alla presentazione del suo nuovo kolossal sulla Guerra Vaadwaur. Faremo le ore piccole... ovviamente i bambini staranno a casa, con l’olo-tata» precisò.
   «Potevi portarli da me» borbottò l’Ingegnere.
   «E perché mai? Tu li vedrai il prossimo week-end, come pattuito» rispose gelidamente Maia. «E poi, a loro non piace stare da te. Dicono che non hanno niente con cui giocare» infierì.
   Irvik trattenne le parole mordaci che gli venivano sul conto di Edmon. L’Ingegnere detestava quel rettile tronfio, che aveva ottenuto fama e soldi facili grazie all’industria delle sale ologrammi. Le sue opere, di dubbia qualità, erano una celebrazione degli aspetti più retrivi della società Voth: imprese di secoli o millenni addietro, buone solo per distrarsi dai problemi attuali. Però era un personaggio del jet set, sempre al centro del gossip; e aveva offerto a Maia quella notorietà che lei tanto desiderava.
   «Allora, perché questa chiamata? Non ho molto tempo» avvertì la Voth, impaziente.
   «Beh, come sai abbiamo finalmente varato i Borg Killer... cosa un tantino più importante di un olo-kolossal... a proposito, ti sarebbe piaciuta la celebrazione... c’era il Cancelliere Towt in persona...» cominciò Irvik.
   «Vieni al punto» lo spronò Maia, tamburellando col piede.
   «... e così, ora che posso godermi tutte le ferie accumulate, mi sono detto: perché non fare una meritata vacanza? E intendo una vera vacanza, in un mondo esotico, non quei miseri surrogati olografici che spaccia Edmon! Non in una luna dietro l’angolo, bada bene, ma in uno di quei posti che ti ricordi per il resto della vita...?» la provocò.
   «Sembra fantastico» disse Maia, per nulla coinvolta. «Quando parti?».
   «Fra tre giorni, con un trasporto turistico» rispose prontamente Irvik. «Prima classe, pacchetto tutto compreso. Ma non ti ho detto la cosa più importante... la destinazione è la Terra!» disse in tono teatrale. E restò in attesa della reazione, come un prestigiatore che si aspetta l’applauso.
   Maia lo fissò interdetta per qualche secondo, poi si riscosse. «Ah, intendi Vothan?» chiese.
   «Vothan, la Terra, il Mondo Perduto... chiamalo come ti pare» fece Irvik, deluso dalla scarsa reazione. «I biglietti sono introvabili, per via del tetto annuale al numero di turisti, ma io ho gli agganci necessari, così è tutto fatto» si vantò, criticando implicitamente Edmon.
   «Beh, divertiti» fece Maia. «Attento a non farti truffare dagli indigeni, ho sentito che non ci si può fidare di loro. E chiama, quando torni» raccomandò. Dopo di che fece il gesto di spegnere l’olo-proiettore.
   «Aspetta!» la trattenne Irvik. «Non ti ho ancora detto la cosa più importante. Vedi, io non ho preso un solo biglietto... ne ho presi quattro» disse, speranzoso.
   Maia lo fissò come se le avesse appena fatto uno scherzo di pessimo gusto. «Ma sei serio?» chiese.
   «Mai stato più serio in vita mia. Quattro biglietti di prima classe, per un tour completo delle mète turistiche più ambite, dallo Yucatán a Bozeman, passando per l’isola artificiale di Atlantide. Ho pensato che può essere l’occasione giusta per far divertire i ragazzi, oltre a legare con loro. E chissà che anche noi due possiamo – ehm – riavvicinarci» suggerì. «Sai, tutti e quattro insieme... come una vera famiglia...».
   Ci fu un breve silenzio. Infine Maia parlò con voce strascicata, colma d’indignazione. «Ti sei bevuto il cervello?! Non siamo più una famiglia da almeno cinque anni. Tu sarai anche rimasto bloccato nel passato, ma io sono andata avanti. Ho di meglio da fare che un insulso pellegrinaggio pseudo-religioso all’altro capo della Galassia! Adesso ho un nuovo compagno...».
   «Oh, andiamo! Che ci trovi in quel buffone dalle scaglie patinate?!» si scaldò Irvik. «A parte gettare la tua vita in pasto ai paparazzi, che ha mai fatto per te? O per i nostri figli?!».
   «I nostri figli?! No, quelli sono i miei figli! Sono io che li allevo, che li conosco, che provvedo alle loro necessità! Tu sei solo quello con cui perdono due giorni al mese!» sibilò Maia, fissandolo con sconfinato disprezzo.
   «Bada a come parli! Io sono pur sempre il padre...» s’inalberò Irvik.
   «No, adesso è Edmon a fargli da padre. L’unico vero padre che abbiano mai conosciuto. L’unico che si meritano» fece Maia, implacabile. «Sai che io e lui stiamo pensando di sposarci? Naturalmente andremo tutti a vivere nella sua villa. Così i ragazzi avranno finalmente un vero giardino in cui giocare e saranno assistiti in ogni necessità. Ecco, quello è il mio sogno, il mio obiettivo. E giuro sulla mia vita, sulla vita dei miei figli, che non ti permetterò di guastarcelo. Quindi sta’ alla larga da noi! Vattene sulla Terra, o dove ti pare... più lontano è, meglio è! E ricorda che non ti vogliamo nelle nostre vite!» inveì.
   «A questo siamo arrivati» disse Irvik, pieno d’amarezza. «Che ne è della saura che ho sposato, quella che voleva starmi accanto nella buona e nella cattiva sorte?».
   «Sono cresciuta, a differenza tua» rispose Maia. «Mi sto costruendo una nuova vita, una bella vita. Qualcosa per cui vale la pena lottare. E ora, se vuoi scusarmi, non voglio tardare all’appuntamento» disse, facendo di nuovo il gesto d’interrompere la chiamata.
   «Ferma là!» gridò l’Ingegnere. «Siccome parto fra tre giorni, non farò in tempo a rivedere i ragazzi. Quindi voglio vederli adesso. Voglio parlare con loro, dato che poi non potrò farlo per diverso tempo» spiegò.
   «E approfittarne per tentarli con questa vacanza? Te lo scordi! Non ti comprerai il loro affetto!» sibilò Maia. Si guardò brevemente alle spalle, per accertarsi che non fossero in camera e quindi non assistessero alla discussione. «Non ti azzardare a contattarli di nascosto per portarmeli via, col pretesto del viaggio! Se ci provi, giuro che ti denuncio per sottrazione di minore! Ti rovino, ti mando a marcire in galera!» minacciò.
   «Questo è intollerabile! Esigo almeno di parlare coi ragazzi, per spiegargli come mai sarò assente per qualche tempo! È un mio diritto, e anche un mio dovere, affinché non si sentano abbandonati. Non puoi negarmelo...» fece Irvik, le scaglie arrossate dall’ira.
   «Ci hai abbandonati tanto tempo fa. E sai la verità? È la cosa migliore che tu abbia mai fatto per noi. Ci ha permesso d’avere una vita felice, una vita in cui non c’è posto per te. Addio!». Ciò detto, Maia troncò la comunicazione, lasciando Irvik nella penombra del suo alloggio.
 
   L’Ingegnere restò a lungo immobile, fissando la parete ormai vuota, senza realmente vederla. Pensava alle scelte che aveva fatto, dal giorno in cui aveva sposato Maia. All’epoca gli era parsa felice e innamorata. Cos’aveva mai fatto per renderla così piena d’odio e disprezzo? Dove aveva sbagliato? E che poteva fare, ora, per impedire che avvelenasse anche i ragazzi contro di lui?
   Sulle prime Irvik fu tentato d’annullare la vacanza. Se restituiva i biglietti, poteva ancora farseli risarcire. Così non sarebbe mancato ai ragazzi, in quel misero giorno bisettimanale che avevano da passare assieme. Ma riflettendoci a fondo, il Voth decise di fare altrimenti. Il suo rapporto coi figli era già così danneggiato che perdere un giorno o due non avrebbe peggiorato più di tanto le cose. E lui aveva bisogno di uno stacco. Dopo cinque anni di lavoro frenetico, aggravati dallo stress del divorzio, ne aveva proprio bisogno. Altrimenti avrebbe rischiato davvero d’impazzire. Quindi avrebbe restituito i tre biglietti inutilizzati, per non privare altri del privilegio di visitare la Terra; ma avrebbe tenuto il quarto per sé. Non voleva rinunciare a quello straordinario viaggio, anche a costo di farlo malinconicamente da solo.
   Perché Maia aveva ragione almeno su un punto: visitare la Terra non era una semplice vacanza. Era qualcosa di più... era un pellegrinaggio, un’esperienza spirituale. E non perché quel pianeta si trovava all’altro capo della Galassia. No, anche se fosse stato nel sistema adiacente, andarci avrebbe comunque costituito un pellegrinaggio. Ed era di questo che Irvik aveva davvero bisogno. Voleva un’esperienza trasformativa... voleva qualcosa che lo aiutasse a riflettere sulla sua vita, e sulla direzione da intraprendere. L’ispirazione, ecco ciò di cui aveva un disperato bisogno! Intendeva visitare il Mondo Perduto, nella speranza che gli fosse d’ispirazione per rimettere assieme i cocci della sua vita.
   Presa la decisione, Irvik contattò l’agenzia di viaggi, restituendo i tre biglietti in soprannumero, ma confermando la propria adesione. Ricevuto l’okay, prese a fare i bagagli. Non volle appesantirsi troppo d’effetti personali... lo trovava contrario allo spirito del pellegrinaggio. Preferiva viaggiare leggero, e semmai procurarsi strada facendo quel che gli serviva. Così al ritorno avrebbe avuto tanti bei souvenir a ricordargli l’esperienza. Ma il ricordo più importante sarebbe stato il campione di suolo terrestre che intendeva raccogliere, alla maniera degli altri pellegrini. Irvik si accertò di prendere con sé una boccetta adibita a quello scopo. Al ritorno l’avrebbe mostrata ai suoi figli, assieme alle olografie del viaggio, e gli avrebbe raccontato le sue impressioni. Chissà, forse sarebbe bastato questo per suscitare il loro interesse. Il Voth non poteva immaginare che il suo viaggio lo avrebbe portato ancora più lontano, tanto da finire disperso nel Multiverso, su un’astronave di avventurieri. Né immaginava che ciò lo avrebbe separato dai suoi cari ben più a lungo del previsto...
 
   
 
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