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Autore: Parmandil    30/12/2023    1 recensioni
Tra tutti gli avventurieri della Destiny, nessuno quanto Irvik brama di tornare a casa, dove lo attendono i figli. Ma anche se tornasse oggi stesso, chi gli restituirebbe gli anni perduti? Chi mai potrebbe evitare che la sua famiglia si disgreghi e i figli lo guardino come un estraneo?
Giunto da oltre lo spazio-tempo, un essere trascendente gli offre proprio questo. Riporterà Irvik nel passato, al momento delle sue scelte cruciali, permettendogli d’agire altrimenti, nella speranza d’evitare la rovina familiare. Quale mortale potrebbe mai rifiutare quest’opportunità? Scopo dell’esperimento è appurare se esista il libero arbitrio, e tutto dipenda dalle nostre scelte, o se viceversa siamo schiavi di un Fato ineluttabile.
Accettato il patto, l’Ingegnere Capo scatena inavvertitamente una serie d’eventi che potrebbero condannare la Destiny, e non solo quella. Riuscirà il povero sauro a salvare sia la sua famiglia che l’astronave? E come sfuggirà poi allo sdegno dell’entità che gli aveva concesso tanto? Volontà e necessità si scontrano come non mai, mentre Irvik apprende che per aggiustare qualcosa, bisogna scombinarne un’altra.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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-Capitolo 4: Le sfaccettature del Fato
 
   Irvik si guardò brevemente attorno, consapevole che non avrebbe avuto alcun aiuto dai colleghi. Era l’ultimo, sull’astronave, ancora capace di pensiero autonomo, e di conseguenza l’unico che potesse salvare la situazione. Già, ma come affrontare un’entità pressoché onnipotente, che poteva ucciderlo o ridurlo come gli altri in qualunque momento? Eppure... forse c’era una flebile speranza. Malgrado tutti i suoi poteri, e le conoscenze accumulate, Nagilum era pur sempre ingenuo come un bambinone, che non ha molta esperienza pratica. «Ritorci il suo potere contro di lui. Fallo cadere vittima del suo stesso patto» si disse Irvik. L’attimo dopo tornò a concentrarsi sull’entità.
   «Mi spiace, ma non sono affatto soddisfatto» annunciò il Voth. «Perché tu non sei rimasto fedele alle premesse della tua ricerca».
   «Cosa ti fa credere questo?» si adombrò Nagilum.
   «Dicevi di voler capire se esiste l’arbitrio, o se siamo in balia di un Fato imperscrutabile e ineluttabile» disse Irvik con lentezza. «Ma tutto ciò che hai scoperto è che i mortali possono essere condizionati in vari modi. Questa non è una novità, lo sapevamo già. In ogni caso, non risponde alla domanda iniziale. Non hai stabilito se esiste il Destino. E ti dirò un’altra cosa: io so perché la questione t’interessa tanto. Finora hai parlato soprattutto dei mortali, ma la domanda che ti tormenta è un’altra. Vuoi sapere se tu hai un arbitrio, o sei a tua volta servo del Fato. Non è così?!».
   Nagilum attese a lungo prima di rispondere, e infine lo fece con riluttanza. «Sei perspicace, per essere un mortale. Sì, il dubbio mi ha sfiorato. Ma come sai, non si può studiare se stessi. Per osservare un fenomeno con imparzialità, bisogna porsi all’esterno di esso. Quindi, non potendo studiare me stesso, non mi resta che studiare voi» si giustificò.
   «Metodo scientifico, eh? In tal caso, ti ricordo che non si può studiare un fenomeno senza alterarlo in qualche modo. Nel momento in cui entri in rapporto coi tuoi soggetti, li stai influenzando. Diamine, guarda quanto li hai influenzati!» esclamò il Voth, alludendo ai colleghi immobili e silenziosi dietro di lui.
   «Stai dicendo che la mia ricerca è vana? Che sarà sempre vana? Non posso accettarlo» disse Nagilum.
   «Non dico neanche questo. Penso solo che, se vuoi stabilire l’esistenza del Fato, devi osservare le conseguenze a lungo termine delle azioni compiute liberamente. Come abbiamo fatto prima, coi nostri esperimenti di viaggio nel tempo. Quelli sì che sono stati illuminanti!» sostenne l’Ingegnere Capo.
   «Niente affatto, sono stati inconcludenti. Abbiamo ottenuto dei risultati parziali, che sembravano confermare l’arbitrio, ma poi abbiamo dovuto revocarli, il che ha smentito tutto» obiettò l’entità.
   «E se stavolta non li revocassimo? Se facessimo un ultimo esperimento, quello definitivo? Se cambiassimo drasticamente la linea temporale, in spregio al Fato?» incalzò Irvik. «Questo non proverebbe che siamo padroni della nostra sorte?».
   «Mi tenti» ammise Nagilum. «A quale cambiamento stai pensando?».
   Questa domanda confermò un sospetto di Irvik. Nagilum era empatico – poteva percepire gli stati d’animo – ma non telepatico: non conosceva i pensieri esatti dell’interlocutore. A meno che non lo condizionasse, forse; ma con lui non l’aveva fatto. Il che gli dava una via di scampo.
   «Beh, visto che i precedenti esperimenti riguardavano la mia famiglia, sarebbe opportuno insistere su questa strada» suggerì il Voth. «In fondo, ogni esperimento dev’essere ripetuto per avere valore scientifico. Lo si ripete, con delle varianti, e si confrontano i risultati».
   «Non avevi deciso di rinunciare a tutto, per evitare che la tua assenza pesasse sulla nave, e anche su altri popoli?» ricordò Nagilum.
   «Sì, ma... se vogliamo sfidare il Destino, dobbiamo essere disposti a compiere grandi sacrifici. Prima non ne avevo il coraggio, ma tu mi hai ispirato a farlo. E tu? Sei disposto a fare quest’ultimo, grande esperimento? Quello che ci darà una riposta certa e definitiva?» lo tentò Irvik.
   «Se decido che è così importante, sì» concesse Nagilum. «Ma non mi hai ancora detto cosa vuoi fare esattamente. Finora i tuoi tentativi di riunire la famiglia hanno avuto scarsi risultati. Il primo tentativo è stato un fallimento completo, mentre al secondo hai salvato il tuo matrimonio solo nell’apparenza, ma non nella sostanza. Cosa conti di fare, per salvarlo davvero?» s’incuriosì.
   «Eh, eh, farò una cosa che ho desiderato per tanto tempo!» ghignò Irvik, fregandosi le mani. «Hai notato qual è il comune denominatore di tutte le linee temporali? Ogni volta, per quanto mi arrabatti, mia moglie finisce con quella carogna di Edmon. È lui l’artefice delle mie disgrazie! A volte si prende Maia apertamente, dopo il divorzio; altrimenti se la cucca alle mie spalle. Comunque vada, è lui il colpevole. Lui l’ostacolo da rimuovere!» proclamò, gesticolando animato.
   «Non starai pensando di...».
   «Oh sì, invece!» gongolò Irvik. «Lo ucciderò con le mie mani, quello smidollato. Ti ho mai raccontato di come lo abbiamo incontrato la prima volta? Successe dieci anni fa, quando io e Maia vivevamo sull’astronave Maastri. Un bel giorno ci fu questa conferenza di olografia, alla quale parteciparono invitati da tutta l’Autorità Voth. Mia moglie, che lavora nel settore, naturalmente vi partecipò. E anch’io, che sono ingegnere, l’andai a sentire. Più tardi, durante il ricevimento, chiacchierammo con gli invitati. E indovina un po’ chi c’era fra loro?».
   «Edmon?».
   «Proprio lui, il marpione. All’inizio della sua scadentissima carriera di produttore» confermò il Voth. «Gli ho stretto la mano e gli ho presentato Maia, senza sapere che così mi davo la zappa sui piedi. Ma tutto questo sta per cambiare... cambierà, altroché!».
   «Dunque vuoi ucciderlo» ragionò Nagilum. «E non pensi che, così facendo, andrai in prigione? La tua vita familiare sarà ugualmente rovinata. Tua moglie ti odierà e i tuoi figli cresceranno senza di te» avvertì.
   «Beh, naturalmente dovrò fare attenzione a non essere scoperto» convenne Irvik. «Simulerò un incidente... un incidente col teletrasporto. So io come fare! Quel pallone gonfiato non arriverà vivo sulla nostra nave. Non potrà neanche vederla, mia moglie. Nessuno sospetterà di niente... dopotutto, gli incidenti accadono. E il mio matrimonio sarà salvo, finalmente!» si esaltò.
   «Sembra un piano scaltro» ammise Nagilum. «Sono curioso di vedere se funzionerà. Perché tutto dipende da questo. Se riesci a farla franca, dimostrerai che il Fato avverso può essere sconfitto. Altrimenti, se le forze dell’ordine ti scoprono... confermerai d’essere destinato all’infelicità, lontano dai tuoi cari. In tal caso, ti avverto che non verrò più a salvarti».
   «Accetto la sfida. E tu, sei pronto a spedirmi nel passato?» chiese Irvik.
   «Non vedo l’ora» rispose l’entità, pienamente convinta.
   «Ottimo. Andiamo nel mio alloggio, così potrò concentrarmi. Non ci riesco, davanti a questi zombie» disse il Voth, accennando ai colleghi immobili e silenziosi.
 
   Di lì a poco Irvik era seduto al suo tavolino, col Cubo di Rubik tra le mani. Lo osservava cupamente, sperando che il piano funzionasse. A un tratto l’oloschermo della scrivania si attivò, mostrando il volto di Nagilum.
   «Io sono pronto, e tu?» chiese l’entità.
   «Mai stato così pronto» garantì il Voth.
   «Sì, percepisco la tua volontà omicida» commentò Nagilum. «Devi odiarlo proprio tanto, il tuo rivale».
   «Mi ha portato via tutto... è il momento di rifarmi, con gli interessi» confermò Irvik, lo sguardo feroce. La sua bocca si piegò in una smorfia soddisfatta. Come previsto, l’entità aveva percepito la sua volontà assassina... ma non aveva capito contro chi era rivolta.
   «Ecco, concentrati sul momento al quale vuoi tornare» disse Nagilum, mentre il Cubo di Rubik si riconfigurava tra le mani del Voth. E questi lo fece. Si concentrò al massimo su quel momento del suo passato al quale doveva tornare, per salvare ciò che gli stava a cuore. Lo rivide nitido nella sua mente, come se fosse lì in quel momento.
   Click. Il Cubo terminò di riconfigurarsi: ora la sua faccia anteriore era rossa. Nello stesso attimo Irvik perse i sensi, mentre la sua consapevolezza strappata dal corpo risaliva le correnti vorticose del tempo.
 
   «Ehi, Irvik, che ti succede? Mi senti?» chiese una voce familiare.
   «Forse è meglio chiamare l’infermeria» consigliò un’altra.
   Per l’ennesima volta il sauro si trovò steso sul freddo pavimento, un po’ indolenzito per lo svenimento. Altre persone erano chine su di lui e confabulavano, per decidere come aiutarlo. Gradualmente le mise a fuoco... e il suo cuore si riempì di gioia. «Capitano! Comandante!» esclamò, saltando in piedi come un grillo. Gli altri si fecero indietro, sorpresi da quell’energia.
   «Sì, chi altri ti aspettavi?» chiese Rivera, vivo e vegeto, anche se perplesso. «Ti abbiamo chiamato per sentire il tuo parere su quell’anomalia, ma tu sei crollato appena hai messo piede in plancia».
   «Sicuro di stare bene? Ci guardi come se vedessi dei fantasmi» aggiunse Losira. Cara Losira, sempre un po’ bisbetica, ma col cuore d’oro... era una gioia vederla normale.
   «In un certo senso» ammise Irvik, guardandosi attorno. Talyn, Naskeel, Shati... erano tutti al loro posto. E nessuno mostrava segni di condizionamento mentale. Come potevano? La Destiny non era ancora entrata nel Nulla. Il piano aveva funzionato: anziché tornare indietro di dieci anni, Irvik era arretrato di appena due giorni, al momento fatidico in cui si erano imbattuti nell’anomalia di Nagilum. Là dentro, nel suo regno, l’entità aveva un potere pressoché illimitato. Ma fuori, era un’altra storia... fuori potevano combatterla.
   «Ascoltatemi tutti! Ci troviamo in pericolo mortale a causa di quell’anomalia!» esclamò il Voth. Indicò la chiazza senza stelle sullo schermo, contornata di blu.
   «Addirittura! E tu come lo sai?» chiese Rivera, perplesso.
   «Capitano, non c’è tempo di spiegare! Se vi è cara la vita e la libertà, dobbiamo agire subito» raccomandò Irvik.
   «Beh, posso correggere la rotta per aggirarla... del resto non è molto grande...» si offrì Shati dal timone.
   «No, non basta aggirarla! Bisogna colpirla con un fascio covariante di gravitoni dal deflettore, per far collassare i suoi campi armonici. Per fortuna ho avuto tempo di studiare il problema» disse il Voth, correndo alla consolle ingegneristica.
   «Quale tempo? Irvik, abbiamo appena trovato quest’anomalia, e tu sei rimasto svenuto sì e no dieci secondi! Non ti sarai sognato tutto?!» insinuò il Capitano, guardandolo con crescente apprensione.
   «No che non me lo sono sognato! Come non mi sono sognato questa procedura» disse l’Ingegnere Capo, impostando i parametri per l’emissione di gravitoni. Le sue mani si muovevano svelte sui comandi, senza esitazione. Vedendo la sua sicurezza, gli altri esitarono.
   «Un momento, adesso capto qualcosa all’interno dell’anomalia» avvertì Talyn. «Si direbbe un’astronave».
   «Di chiunque si tratti, potrebbe non essere salutare stare lì dentro. Forse ci sono finiti accidentalmente...» ipotizzò Shati.
   «Che astronave è? Aumentate la risoluzione, dobbiamo identificarla» disse il Capitano, sapendo che da questo dipendeva la decisione d’aiutarla o meno.
   «Risoluzione al massimo» disse Talyn, inquadrando una piccola porzione di quello spazio nero. Allora gli avventurieri trattennero il fiato, riconoscendo un’altra astronave della Flotta Stellare. Era un piccolo vascello scientifico di classe Nautilus, alla deriva nel cuore dell’anomalia. Osservando attentamente lo scafo curvilineo, riuscirono a leggere il nome: USS Empirical.
   «Empirical... non è nel database. Forse è stata varata negli ultimi anni» notò Talyn.
   «No! Quella non è un’astronave della Flotta... non è affatto un’astronave. È solo un’illusione, un subdolo inganno, per attirarci nell’anomalia e impossessarsi della Destiny!» avvertì Irvik, temendo che la storia si ripetesse.
   «Un inganno da parte di chi? E poi, come fai a sapere tutte queste cose? Voglio una riposta!» ordinò il Capitano.
   «E l’avrà, lo giuro. Ma non adesso... non c’è tempo» insisté l’Ingegnere Capo, sempre concentrato sulla procedura.
   «Capitano, l’Empirical ci chiama. Non dovremmo almeno rispondere, per sentire cos’hanno da dire?» fece Talyn.
   «No, fa parte dell’inganno! Non rispondete!» raccomandò Irvik. Non voleva che il Capitano vedesse l’immagine di Debora, la sua vecchia fiamma, e fosse spronato a soccorrere la nave. «Per adesso, riflettete su questo: come mai la Flotta ci sta cercando? Durante l’attacco all’Harvester abbiamo scambiato il numero di registro con la Destiny dello Specchio, che è andata distrutta. La Flotta ne avrà dedotto erroneamente che siamo periti, quindi non ha motivo di cercarci».
   «La sua logica è coerente» riconobbe Naskeel.
   «Certo, perché è la sua logica!» ricordò il Voth. «Questa conversazione ha già avuto luogo, anche se a ruoli invertiti. Lei, Capitano, era giustamente scettico e temeva una trappola. Io, d’altro canto, ho avuto la dabbenaggine di spingervi lì dentro, nella vana speranza di tornare a casa. Per colpa mia ci siamo trovati in trappola... e siete morti, o peggio che morti» rivelò.
   «Stai dicendo che siamo alle prese con un circolo temporale?! Odio queste cose» disse il Capitano con una smorfia.
   «In un certo senso... sì, chiamiamolo così» disse Irvik, anche se non era esatto. Accorgendosi che aveva bisogno di testimoni per convalidare le sue affermazioni, si rivolse a Talyn. «Figliolo, tu hai un sesto senso per queste cose. Non avverti una sensazione di pericolo? O magari un déjà vu?» suggerì.
   «Beh, ad essere onesto... quel Nulla m’inquieta» ammise il giovane, osservando la chiazza senza stelle, in cui l’Empirical galleggiava come un’esca. «Ho quasi la sensazione... no, mi correggo... ho la netta sensazione che siamo osservati» disse, aggrottando la fronte.
   «Sì, da una maligna intelligenza primeva che vuol fare orribili esperimenti a nostro danno!» ululò Irvik, ormai vicino a completare la procedura. «Ci distruggerà tutti, se non la fermiamo!».
   Il Capitano lo fissò, chiedendosi se non fosse impazzito.
   «Ehi, e questo che ci fa qui?» chiese Talyn. Si chinò a raccogliere il Cubo di Rubik dalla faccia rossa, che era rotolato vicino alla sua sedia, e lo mostrò agli altri.
   «Orrore, il nemico ci spia! Mettilo già, presto!» si agitò Irvik.
   «Ti ha dato di volta il cervello?! Quello è un innocuo rompicapo. Te l’ho dato io, la settimana scorsa!» gli ricordò Rivera, sempre più preoccupato.
   «Sì, sembrano sempre innocui. Poi, quando meno te l’aspetti... zac! Ed è la fine» brontolò l’Ingegnere Capo. «Ma ora chiuderò quella dannata anomalia. E vedrete che anche l’Empirical svanirà, come l’illusione che è!» promise.
   «Quell’anomalia somiglia a un’interfase di spazio» disse però Talyn, posando cautamente il Cubo. «Se la chiudiamo, allora sì che bandiremo l’Empirical da questa realtà. E così perderemo la possibilità di tornare».
   «No, no... quella è solo una trappola per topi. L’Empirical è il formaggio, serve ad attirarci dentro. Dobbiamo essere più furbi dei topi!» raccomandò Irvik, picchettandosi la testa. Accortosi che tutti lo fissavano come se fosse pazzo, si schiarì la voce. «Signori, so che ai vostri occhi sembra un delirio. Io stesso quasi non mi capacito degli eventi di cui sono stato testimone. Ma vi giuro che, se non lanciamo subito quell’impulso, siamo tutti perduti. Voi sapete che, in questi anni, nessuno quanto me è stato ossessionato dall’idea di tornare a casa. Ossessionato al punto da correre rischi inutili. Se ora io vi dico che lì dentro non c’è salvezza, ma solo rovina, dovete credermi. Se ho mai fatto qualcosa per meritare la vostra fiducia... questo è il momento di dimostrarlo. Vi prego, fidatevi di me!» implorò, fissando il Capitano.
   «Signore?» fece Naskeel, pronto a intervenire.
   Rivera dette una lunga occhiata a Irvik, pensando a quante volte il suo acume li aveva tolti dai guai. Se proprio lui, il più deciso a tornare, si comportava in quel modo, doveva esserci un motivo. «Lasciatelo fare» ordinò con calma. Ormai era troppo curioso di vedere cosa sarebbe successo.
   Naskeel indietreggiò, tornando alla sua postazione. E Irvik poté completare la procedura. «Beccati questo, vecchio mio» disse, premendo l’ultimo comando.
   Il deflettore della Destiny s’illuminò, emettendo un potentissimo fascio covariante di gravitoni. Le particelle colpirono l’anomalia, scombinando il suo delicato equilibrio interno. In un attimo, l’armonia dei flussi particellari lasciò il posto al caos. La macchia scura si contrasse, mentre l’Empirical al suo interno impallidiva, sfarfallava e infine svaniva del tutto.
   «L’anomalia sta collassando!» confermò Talyn, mentre la Destiny vibrava per lo sforzo. Il nucleo era al massimo per produrre abbastanza energia.
   «Sì, così...» mormorò Irvik, un occhio allo schermo e l’altro ai dati che scorrevano sulla sua consolle. Ancora pochi secondi ed era fatta.
   A un tratto il viso da rettile di Nagilum apparve sullo schermo, enorme e minaccioso. I suoi occhi scuri e indagatori fissarono gli avventurieri, soffermandosi sull’Ingegnere Capo. «No, fermatevi... così mi uccidete... volevo solo conoscervi... imparare da voi...» gemette in agonia.
   «Mi spiace, vecchio mio, ma a volte il prezzo della conoscenza è troppo alto. Addio» disse Irvik, senza rimpianto.
   «No, ti prego... abbi pietà... NOOOOOO!» tuonò Nagilum, spalancando la bocca senza labbra. All’interno c’era solo il Nulla. Il suo volto incorporeo svanì, mentre anche l’anomalia si dissolveva in uno sbuffo di particelle caotiche. Ora davanti alla Destiny c’era di nuovo il firmamento trapunto di stelle. Stelle terse, non oscurate da alcuna foschia o distorsione. Allora Irvik cessò l’emissione di gravitoni e si lasciò cadere sulla poltroncina. Emise un lungo sospiro di sollievo, mentre la tensione fin lì accumulata lo abbandonava. Dietro di lui, i colleghi erano ammutoliti.
   «Cos’era quella specie di Mago di Oz?» chiese il Capitano, ritrovando la voce.
   «Quello, signori miei, era Nagilum. E siete tutti fortunati a non averlo mai conosciuto» spiegò Irvik, stanco e soddisfatto. Pensò che era il momento buono per assaggiare un brandy sauriano.
 
   Nel pomeriggio, Irvik fu chiamato nell’ufficio del Capitano, dove gli fece un resoconto dettagliato della sua esperienza. Il Voth vuotò il sacco, senza nascondere le proprie responsabilità nei primi esperimenti di viaggio nel tempo, che avevano condannato la Destiny a una probabile distruzione. Al termine della confessione, fissò il pavimento, imbarazzato. «Questo è tutto, Capitano. Come vede, ho tradito lei e gli altri. Ho barattato le vostre vite con un’illusione di felicità... solo per scoprire che la mia famiglia era destinata a sfasciarsi in ogni caso. Sono mortificato... accetterò qualunque punizione vorrà assegnarmi» disse con un groppo in gola.
   «Amico mio, credo che tu sia già stato punito abbastanza» sospirò il Capitano. «Semmai sono io a sentirmi in colpa. Ti ho strappato ai tuoi affetti, costringendoti a quest’interminabile odissea nel Multiverso. Tra l’altro, quest’esperienza ci ha dimostrato in modo inoppugnabile quanto sei indispensabile alla nave. Senza di te, saremmo periti il primo giorno. Ti garantisco che non lascerò nulla d’intentato per riportarci a casa. Se c’è qualcuno che merita di tornare, sei tu».
   Avendo ascoltato tutta la storia, compreso l’inganno finale, Rivera sapeva quanto Irvik avesse sacrificato per salvarli. Aveva rinunciato alla vendetta sul rivale in amore, aveva rinunciato a sua moglie e persino ai propri figli, pur di salvare tutti loro da Nagilum. Quanti avrebbero saputo fare altrettanto?
   «A dirla tutta, Capitano... ho maturato la convinzione che non importa solo tornare, ma anche e soprattutto come tornerò» disse Irvik. «Se tornassi come un sauro che si vergogna di se stesso, che fugge dalle proprie responsabilità, non potrei essere d’esempio per i miei figli. A quel punto, tanto varrebbe che non tornassi affatto. Così, se tornerò, lo farò come la persona migliore possibile... e vada come vada».
   «Molto saggio» riconobbe Rivera.
   «Certo che... continuo a pormi la stessa domanda di Nagilum» ammise il Voth. «Questo libero arbitrio di cui tutti parlano, esiste o non esiste? Perché a conti fatti, sembra che io fossi destinato a trovarmi qui. Forse tutti noi lo eravamo».
   «Beh, indubbiamente ci sono forze fuori dal nostro controllo. Non siamo onnipotenti... e anche chi lo sembra, come Nagilum, può fare una brutta fine» notò il Capitano. «Se dovessi azzardare un giudizio, direi che possiamo scegliere almeno di provare, senza garanzia di successo. Provare, desiderare, gareggiare... forse sono ancora più importanti che vincere».
   «Già... e per ottenere qualcosa, bisogna sempre sacrificare qualcos’altro» sospirò Irvik, pensando ai suoi figli lontani. «Forse l’arbitrio consiste proprio in questo: nello scegliere cosa sacrificare. Sperando di prenderci» concluse. Per qualche momento vi fu silenzio.
   «Beh, a questo punto resta un ultimo dettaglio» disse il Capitano, estraendo qualcosa da un cassetto della scrivania. «Che vuoi farne di questo?» chiese, mostrandogli il Cubo di Rubik. Una faccia era ancora di uniforme color rosso, mentre le altre restavano scombinate.
   «Ah, no! Non voglio più averci niente a che fare!» si ritrasse il Voth. «Tra l’altro, Nagilum lo ha stregato. Sì, insomma, vi ha infuso il suo potere».
   «Ma quell’essere è morto. Questo non dovrebbe risolvere tutto?».
   «Non saprei... ho ancora il timore che, se oso scombinarlo, mi ritroverò nella vecchia linea temporale, dove Nagilum vi aveva trasformati in fantocci» avvertì Irvik.
   «Se hai ancora questo dubbio, c’è un solo modo per verificarlo» disse il Capitano, serissimo. Sotto lo sguardo perplesso dell’Ingegnere Capo, si allontanò di qualche passo dalla scrivania e depose il Cubo sul pavimento, stando attento a non scombinarlo. Poi tornò alla scrivania e aprì uno scomparto, estraendone un phaser, che consegnò al Voth. «Non possiamo tarantolarci per il resto della vita. Fallo e basta» consigliò.
   Irvik prese con riluttanza il phaser. Lo regolò su disintegrazione e mirò il Cubo che lo aveva ossessionato per giorni. E se distruggendolo avesse rovinato tutto? Fu tentato di lasciar perdere. Poi, preso da un impulso irresistibile, aprì il fuoco. Il raggio centrò il Cubo e lo vaporizzò, lasciando una piccola chiazza scura sul pavimento. Il Voth rabbrividì, aspettandosi di veder svanire il Capitano e apparire al suo posto il viso incollerito di Nagilum, che lo accusava di aver rotto l’accordo. Ma i secondi passarono e Rivera era sempre lì. La nuova linea temporale reggeva.
   «Direi che è andata bene» mormorò il Capitano, giusto un po’ impallidito per la tensione.
   «Più che bene. Viva l’arbitrio» disse Irvik, restituendogli il phaser.
   L’Umano si affrettò a riporlo, prima che capitasse qualcos’altro. «Bene, visto che hai dovuto distruggere il tuo rompicapo, forse t’interesserà averne un altro al suo posto» disse, estraendo un altro oggettino dal cassetto. Questo aveva la forma di una piramide tetraedrica, cioè a base triangolare. Ciascuna faccia era divisa a sua volta in sedici triangoli più piccoli. Al momento era ancora in ordine, con ogni faccia di un colore uniforme, ma bastava un nonnulla per scombinarla. «Si chiama Pyraminx, è un’evoluzione del Cubo di Rubik» spiegò il Capitano. «Come vedi, ogni componente può ruotare su ciascuno degli assi principali...».
   «Ah-ah, basta così, Capitano» l’interruppe il Voth, arretrando con tutta la sedia. Si alzò e si diresse verso la porta. «Se non le spiace, ne ho abbastanza di rompicapi. Credo che d’ora in poi non farò nulla di più complicato di un rubamazzo per svagarmi. Ci sono meno colpi di scena» disse, e lasciò l’ufficio, mentre l’Umano rideva a crepapelle dietro di lui.
 
 
FINE
 
 
   
 
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