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Autore: BellaLuna    31/12/2023    3 recensioni
La guerra è finita.
E mentre tutta Panem e i suoi Distretti iniziano a guarire, per certi soldati e per certi vincitori la neve e la cenere restano incrostati addosso, sedimentati nel cuore, forse a imperitura fine.
O forse no.
(Questa storia partecipa alla ToBeWritingChallenge2023 indetta sul forum Ferisce la Penna.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Resta solo cenere
 
 
 
 
Lo sguardo di Gale è fatto di cenere.
Johanna se ne accorge già la prima volta che lo incontra, a Capitol City, mentre tutto il popolo di Panem festeggiava la pace e loro, invece, dentro morivano ancora di guerra.
C’è cenere che adombra gli occhi di Gale – e Johanna l’ha riconosciuta subito, perché assomiglia alla cenere dentro i suoi, alla cenere che le riempie la bocca, alla cenere depositata sotto le sue unghie, alla cenere appiccicata e sedimentata nel fondo dei suoi polmoni e nel suo cuore.
Nessuna pace li avrebbe mai guariti da quello – Johanna lo sa. È stata una sopravvissuta per molto più tempo del sergente Hawthorne, e ha ucciso più gente innocente e più consapevolmente di quanto qualcuno come Gale sarebbe mai disposto ad ammettere.
Per questo, la prima volta che si ritrovano nella stessa stanza – durante una missione insieme in cui devono andare a "recuperare" dei ribelli di Capitol, nascosti nel Distretto 2 – si lecca le labbra con sadico piacere e poi gli ride in faccia.
“Che c’è di così divertente?” le chiede lui, freddo e duro come ghiaccio, mentre cenere e ricordi amari e rimpianti e odio e dolore gli sgorgano da ogni parte del corpo e Gale forse non lo sa, o forse sì, e per questo odia se stesso ancora di più – proprio come Johanna odia se stessa, odia la se stessa in cui Capitol l’ha trasformata – che ha bisogno di stringere un fucile fra le mani e di indossare la divisa da bravo soldatino per non crollare, per non disperdersi nel vento come cenere a sua volta.
Johanna lo sa. Johanna c’è già passata. Johanna è lì per il suo stesso motivo – che se chiude gli occhi è nell’arena (Tic Tac, Tic Tic), se chiude gli occhi sente ancora il ronzio dell'elettroschock e le sue ossa fare crack nella stanza delle torture dei leccapiedi di Snow. Se chiude gli occhi, Johanna può ancora vedere il viso di Finnick davanti agli occhi, Finnick, il suo amico Finnick, ora cenere come cenere sono tutti gli altri, come cenere è il mondo.
Che quando il fuoco della ribellione si spegne, e la pace risorge, ai sopravvissuti solo quello resta da fare: raccogliere le ceneri dei propri morti – insieme alle proprie.
Johanna non sa quali siano le ceneri di Gale, all’inizio non gli importa, ma da persona malata, egoista e folle qual è, è contenta di aver trovato qualcuno che porti addosso, in maniera così evidente, le sue stesse cicatrici, il suo stesso tormento.
Tu sei il divertimento, ragazzo bomba.” gli risponde.

*

Non è che l’inizio, quello, fra loro, un gioco forse perverso, forse malato, forse tossico, in cui prova a cacciar via il sapore amaro della cenere che ha in bocca assaggiando la sua, di nascosto, infilandosi nella sua brandina di notte, leccandogli le cicatrici e mordendogli le labbra.
Dapprincipio, nel buio, Gale sgrana gli occhi ed esita, il respiro mozzato, le dita che le sfiorano appena i fianchi.
“È solo sesso, non preoccuparti” lo rassicura, e lui la guarda con i suoi occhi di cenere, non le risponde, e lascia scivolare le dita sotto l’orlo delle sue mutandine.    
La febbre della battaglia la eccita, si dice Johanna. E lei vuole soltanto tornare a sentire qualcosa, qualunque cosa che non sia pena, che non sia angoscia, che non sia dolore.
Qualsiasi cosa che le ricordi che è viva, che è sopravvissuta ancora una volta, e che non è più il giocattolo rotto, il giocattolo da manipolare di nessuno di loro.
Non le importa sapere per quale motivo Gale la assecondi.
Forse anche lui cerca un appiglio, un’ancora, una distrazione, un passatempo.
Forse vuole soltanto dimenticare il sapore di Katniss.
Di lei, quando si incontrano di nascosto di notte, lui non le parla mai.
Ma Johanna gioca a quel gioco da più tempo di lui, è più astuta e più spietata di lui, e così non ha difficoltà a interpretare i suoi silenzi, a leggere la verità in mezzo alle parole che omette.
A capire di chi è il volto, di chi è la cenere che gli ha fatto del tutto ingrigire il cuore.
Gale trema a ogni bambina bionda che intravede.
Gale piange a ogni gemma di primula sul suo cammino.

(E Johanna non risponde a nessuna delle chiamate di Annie. Johanna rifiuta di vedere ancora il colore del mare. Ma questo nessuno lo sa. Ma questo, nessuno è abbastanza attento da notarlo. Che Johanna gioca a quel gioco da più tempo di loro, e ha imparato come si fa a nascondere le tracce del suo cuore spezzato.) 

“Vengo da te stasera?”
Persino nella sua insicurezza, Johanna riesce a leggere cose, in Gale, che non vorrebbe sapere – cose di cui non dovrebbe importagliene niente.
Sei sicura che mi vuoi? Che vado bene? Che possiamo?
Potrebbe essere gentile. Potrebbe dirgli di sì, e basta.
Ma è più facile ridergli in faccia, è più facile conficcargli una gomitata fra le costole.
“Ti serve il mio permesso, forse?”
 
È il primo sorriso che riesce a strappargli.
È il primo sbaglio che commette da tempo.
Attenta, Johanna. Attenta.
Sono sempre le cose che amiamo di più, a distruggerci, alla fine.
 
*

Una notte, di ritorno da un turno insieme di ronda fra le strade del Distretto 2, lo sente canticchiare a bocca chiusa la stupida canzoncina sull’albero dei morti.
“Degli impiccati.” la corregge lui, imbronciato, quasi ferito nel suo onorevole cuore di cittadino del Distretto 12, ancora cenere dentro la cenere dei suoi occhi.
“D’accordo, come ti pare... immagino tu sappia dove si trovi.”
“Nel 12.”
“E il cielo è azzurro e la terra gira intorno al sole! Desideri aggiungere qualcos’altro di ovvio, Gale?”
Lui arrossisce sempre, chissà perché, quando lei lo chiama per nome.
A Johanna dovrebbe dare fastidio.
E invece, cazzo, le piace.
“Perché lo vuoi sapere?”
Johanna scrolla le spalle, gli occhi puntati verso un cielo lontanissimo, limpido e stellato, senza neanche una nuvola, l’aria che profuma d’inverno, di neve che mette a dormire i germogli dei fiori e trascina lontano l’odore salmastro del mare.  
“Così. È da tanto che non prendo a colpi d’ascia qualcosa. Mi manca.”
Stavolta, è Gale a riderle in faccia. La sua spalla che spintona giocosamente la sua è capace di bruciarle la pelle sotto la divisa, e l’alito caldo che le sfiora l’orecchio non porta più l’odore della devastazione.
“Ci andiamo subito, allora.”
Johanna non gli risponde.
Sta cercando di capire cosa sia quell’improvvisa sensazione che le svolazza nelle viscere.
Quell’improvviso desiderio di baciarlo solo perché può, perché lo desidera.
“È un appuntamento, capitano?”
Gale allunga una mano per affondare le dita fra le ciocche corte dei suoi capelli scuri.
All’inizio, Jo pensa che sia per scrollarle via cristalli di neve rimastale incastrati fra i capelli.
Invece, è solo un gesto gentile.
Una carezza.
Capitol le aveva insegnato ad aspettarsi un pugnale dietro a ogni rosa.
Una bugia dietro a ogni sorriso.
Per questo, all’inizio, con Gale non c’era stata alcuna tenerezza, alcuna delicatezza nei loro gesti.
Si afferravano e si mordevano e affondavano uno dentro la carne dell’altro con urgenza, rabbia, passione e disperazione insieme, sperando di scacciar via nella foga del momento tutto il resto, graffiarsi e così grattar via dalla superficie tutta la cenere e la neve e il sangue e che si era accumulato loro addosso.
“Se così fosse, tu mi diresti di sì?”
C’è cenere negli occhi di Gale.
E c’è neve tutt’intorno a loro.
Johanna ha il cuore incrostato da entrambi da troppo tempo.
Da quando, a diciassette anni, Snow aveva trasformato tutto il suo mondo in un’Arena.
Ogni affetto, ogni desiderio, ogni gentilezza in debolezza.
Ogni respiro un incubo.
Ma Snow non c’è più adesso.
E la neve che cade giù dal cielo è solo neve.
E la cenere dentro gli occhi di Gale, Johanna pensa di poterla soffiar via.
Quando si alza in punta di piedi per sussurrargli la sua risposta sulle labbra, il suo bacio non sa più di veleno, non è più amaro, ma dolce.
“Sì.” dice.
E una ragazza dal cuore tenero, una ragazza dal cuore buono che non è lei, aggiungerebbe, persino, incantata come un idiota ad osservare il sorriso di un ragazzo, che quel bacio possa persino avere il sapore di speranza.
 




 
FINE
  
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