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Autore: Hita    04/01/2024    1 recensioni
ASCENSORE
“Tornare a casa, dopo una giornata di lavoro massacrante a contatto col pubblico. Era tutto quello che volevo, ed ero così sfinita che non ho davvero prestato attenzione ad un piccolo dettaglio”
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lavoro in un centro commerciale, in uno di quei negozi di intimo di pregio che tengono aperti fino a mezzora prima che chiuda il centro commerciale stesso.
Sono esausta. Il mio turno doveva iniziare alle 13, ma la collega della mattina si era ammalata quasi all'improvviso ed alle 11 mi chiama a casa chiedendomi se posso venire un paio d'ore prima del mio turno: si era appena controllata la febbre e ne aveva 39°!
[adesso sì che mi spiego perché dalle 10 ho iniziato a sentirmi affaticata anche se stanotte avevo dormito bene! Eh, ma vai a sapere dove me la sono presa, ho già chiamato il mio ragazzo perché mi venga a prendere, non posso fidarmi a tornare a casa in macchina per conto mio …] eccetera, eccetera.
Santa pazienza, perché le ho detto di sì? Proposito per il nuovo anno ( o per il nuovo contratto ): mai più dire subito di sì alle colleghe, prima sentire il responsabile.
Complice il fatto che vivo a poca distanza, alle 11,20 ero là. Metti la divisa, timbra il cartellino e per le 11,30 inizio il mio servizio, mentre la mia collega va via con il ragazzo. Di sicuro è arrossata in volto e fa le cose a rilento, quindi posso ragionevolmente escludere che si tratti di una messa in scena per andare via prima.
Telefono al ristornate cinese che è presente al centro commerciale per farmi portare qualcosa da mangiare: non posso lasciare il posto incustodito, né posso chiudere anche solo per mezzora. Evviva l'orario continuato che piace tanto ai clienti. Mangio quando posso: dalle 12, quando ho buttato giù il primo boccone, finisco il mio pranzo alle 15: il tutto cercando di non farmi notare da NESSUNO. Non ci si può far vedere dalla clientela con la bocca piena, o peggio, sporca di cibo, nuoce all'immagine dell'azienda.

Dalle 16, il pienone. Non ho quasi il tempo di battere gli scontrini, le clienti richiamano costantemente la mia presenza pur vedendo che sono da sola. Mi fanno spiegare le caratteristiche di ogni prodotto almeno tre volte ciascuna: la perla di oggi è stata una cinquantenne ( credo ) che mi ha chiesto di continuo se quel completo di seta poteva lavarlo assieme agli asciugamani, se ero assolutamente sicura di no, se sapevo dirle il perché, che lei aveva sempre fatto una sola macchina di bucato a prescindere. Dopo almeno cinque minuti di sproloqui, le dico che se vuole fare come ha sempre fatto, il completo si distruggerà al primo lavaggio, che le indicazioni di lavaggio sono riportate sulla confezione, e che, per politica del punto vendita, non facciamo reso sui capi rovinati dai clienti, scontrino o meno.
Anche gli occasionali uomini, trascinati dalle compagne o lì volontariamente, se ne escono con richieste assurde: ma perché costa così tanto, ma non c'è più grande/ più piccolo, ma solo bianco, ma solo nero. Così fino allo sfinimento. Mi faranno santa, non ho dubbi in proposito. Perché ci vuole la pazienza di una santa, per stare dietro a clienti che credono di saperne più di te, che fai questo lavoro, solo perché LORO hanno qualche anno in più.
Salto la cena, non c'è tempo per farla. Alle 20, faccio cortesemente notare alle clienti che tra mezzora il negozio chiude. Almeno, oggi mi vengono risparmiate le furbette dell'ultimo minuto, quelle che 'entrano per un'occhiata veloce' e ti fanno stare mezzora in più: nessuna conta mai che quando il negozio chiude, io poi devo anche fare la chiusura di cassa e devo tassativamente essere fuori dal centro commerciale prima che attivino gli allarmi generali. Sarà per questo che non ci sono molti ristoranti, qui.

Mi affretto verso il parcheggio, prendo la mia macchina e via, a casa.
Poco traffico. Bene. Ho talmente fame e sono così stanca, che potrei svuotare mezzo pacco di biscotti prima di rendermi conto che dovrei cucinarmi qualcosa di serio. Sospiro.
Lascio la macchina nel garage: ora, l'ultima cosa che mi separa dall'abbraccio di casa mia è solo il breve tragitto in ascensore.

Oh. Non ricordavo che oggi avrebbero cambiato la pulsantiera, quando se ne è parlato durante la riunione di condominio? Pigio il numero del mio piano, l'ultimo. È alto come condominio, con ben quattro piani. Chiudo gli occhi e mi appoggio alla parete, contro lo specchio. Davvero, sono esausta. Voglio la mia cena ed un bagno caldo. Per fortuna domani sono di riposo.
L'ascensore si muove. C'è ancora il debole odore dei lavori fatti per cambiare la pulsantiera, manca proprio il solito tanfo di chiuso e 'aria viziata'. Il basso ronzio della corrente elettrica mi conferma che sto salendo. Mi rassereno un po' mentre penso alla meritata serata di totale abbandono che mi aspetta.

L'ascensore rallenta appena, poi viene sballottato da un potente scossone. Le luci sfarfallano diverse volte e si spengono del tutto mentre si aprono le porte. Anche fuori è tutto buio. Strano. Esco e mi protendo per cercare l'interruttore della luce del corridoio. Con un sonoro 'klang' le porte dell'ascensore si chiudono di scatto. Sento un brivido scorrermi giù per la schiena ed il cuore battermi all'impazzata. I suoni intorno a me non sono … giusti … non saprei come altro definirli.
Sento. Qualcosa. Respirare.
Ed è vicino, così tanto che se allungassi una mano forse potrei toccarlo.
Mi gelo lì dove sono, perché questo respiro mi dà la sensazione di appartenere a qualcosa di grosso. La clemenza di uno svenimento si porta via la mia coscienza nell'istante in cui il respiro diventa un gutturale “Ora ci appartieni” ed una mano ( spero sia una mano ) mi piomba su una spalla.

NOTE DELL'AUTRICE
Quanto orrore può celarsi nella monotonia di una vita ripetitiva? E quanto può far paura un ignoto che ti piomba addosso proprio quando pensavi di essere già al sicuro?
Pensandoci, questo potrebbe tranquillamente essere l'incipit di un racconto più lungo.

  
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