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Autore: channy_the_loner    04/01/2024    0 recensioni
La Wammy's House non è mai stata un orfanotrofio come tutti gli altri, e mai lo sarà. Al suo interno, piccoli soldatini vengono addestrati per sviluppare uno sconfinato genio, per ottenere riconoscimenti di fama internazionale, per diventare Qualcuno.
Ma la mente umana è contorta e spesso, durante la fase di crescita, subisce traumi irreparabili se essa si trova in circostanze eccessivamente violente o disagiate.
Qui seguiremo il percorso psicologico di un eterno secondo, di un irremovibile apatico, di un fanatico videoludico.
Qui conosceremo un'imbranata lettrice, una logorroica paurosa e una leale sognatrice.
Piccole menti e grandi cuori. Insieme sulle tracce di L.
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[Fanfiction presente anche sul mio profilo Wattpad]
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Matt, Mello, Near, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il formicolio alle gambe e i polmoni mezzi vuoti non risultavano essere un ostacolo per lei e per il suo obiettivo; stava correndo all'impazzata per tutta la tenuta, urlando il nome della sua compagna di stanza allo scopo di trovarla al più presto possibile. Le era stato affidato un compito ben preciso, e lei, temeraria, era decisa a portarlo a termine, nonostante la pazza ricerca le stesse consumando molte più energie di quanto avesse pensato prima di accettare l'incarico.
Il suo interesse principale si sarebbe unito alla perfezione al volere della sua migliore amica, creando una combinazione equilibrata tra il dovere e il piacere; nella stanza priva d'arredamento sarebbe stata circondata dal silenzio e avrebbe potuto concentrarsi sulla lettura di decine e decine di romanzi, e col passare del tempo il detective più famoso al mondo si sarebbe fatto sentire, facendola scattare in piedi e poi fuori dalla stanza, a comunicare la venuta dell'idolo di tutti gli orfani prodigio, da brava sentinella qual'era. E così aveva fatto, appena aveva sentito una voce maschile mischiata ad un'impercettibile interferenza elettronica provenire dal computer che, di fronte a lei, non veniva mai spento.
«Buonasera. C'è qualcuno? ...Ehilà? Pronto pronto?»
Amy non riusciva a credere alle proprie orecchie e ai propri occhi; lo schermo del PC era diventato completamente bianco e una grossa L nera a carattere gotico al suo centro era un pugno all'occhio. Dopo tre interi mesi passati circondata da quattro spoglie mura, dalle quali evadeva unicamente per mangiare e per dormire, era finalmente riuscita a udire delle parole provenienti dal famoso sconosciuto.
Schiuse appena le labbra. «L...»
Il detective parve accorgersi della sua presenza solo in quel momento, nonostante la videocamera fosse sempre stata attiva. «Ciao. È la prima volta che ci incontriamo?» Lei annuì appena. «Piacere, io sono L, ma questo già lo sapevi. Tu invece chi sei?»
La gola dell'orfana era arida, ma un'ondata di determinazione le diede la forza per parlare. Disse, alzandosi lentamente in piedi: «Chi sono io non è importante.»
«Ah, no?»
«No» fece lei, stringendo il suo libro corrente tra le esili braccia. «Per favore, resti in linea. Non attacchi. Devo andare a chiamare qualcuno.» E schizzò via, alla ricerca della persona che, più di lei, desiderava conoscere L.
Ma dov'era finita la sua compagna di stanza? Non era da nessuna parte. Non la trovava. Si era volatilizzata nel nulla, ma Amy no, non avrebbe smesso di correre; chi avrebbe cercato avrebbe trovato, e difatti riuscì a scovarla, finalmente, dopo una manciata di minuti che non avrebbe saputo definire, ma che avrebbe descritto come interminabili e ansiogeni. La vide starsene appoggiata contro il legno della piccola baracca nel giardino sul retro, microscopica struttura che ospitava vecchi oggetti scartati durante gli anni ma che stavano lentamente tornando alla luce grazie allo zampino di Matt, improvvisamente appassionato di collezionismo, o forse solo curioso di ficcare il naso nella polvere e passare il pomeriggio a starnutire, condizionato dalla pessima influenza di Mello, che chissà quale strano obiettivo veritiero aveva per aver indotto il suo migliore amico a sporcarsi le mani e i vestiti di un fastidioso grigio. Possibile che quei tre stessero sempre insieme? Ogni volta che incontrava la sua compagna di stanza, la vedeva in compagnia di quei due ometti combinaguai a ridere e a scherzare, e non riusciva a spiegarsi in che modo avessero legato, cosa avessero fatto per approfondire così tanto la loro amicizia. Per un attimo, si sentì lasciata indietro, abbandonata; pensò di essersi persa una moltitudine di momenti speciali durante gli ultimi mesi, che aveva trascorso a leggere e a stare all'erta, a supplicare silenziosamente L di farsi sentire in modo da realizzare i sogni di Blanca. Scosse la testa, incitando quella negatività ad andarsene, tentando di convincersi che fossero solo sue stupide convinzioni basate sull'irreale; il buon senso e il ricordo del libro divorato per ultimo le fecero ricordare la sua posizione attuale, il suo ruolo da portatrice di ottime notizie - l'egoismo di essere partecipe ad ogni singola attività svolta dai suoi amici, ignorando la richiesta che aveva in prima persona accettato, era da evitare in ogni sua forma e misura.
Blanca si accorse dell'arrivo della sua compagna di stanza e fece repentinamente incontrare i loro rispettivi sguardi, il primo colmo di sorpresa e il secondo entusiasta. Amy avrebbe tanto voluto urlarle della chiamata di L, il quale era ancora in linea al primo piano dell'orfanotrofio, avrebbe voluto abbracciare la sua amica in preda all'emozione e incitarla a sbrigarsi a raggiungere la stanza spoglia, ma i suoi polmoni erano troppo vuoti e la voce proprio non voleva saperne di uscire con la sua solita caratterizzante acutezza. Si limitò a piegarsi sulle ginocchia, ansimante e sudata, e a sorridere debolmente, per poi soffiare un: «Corri.» E Blanca non se lo lasciò ripetere una seconda volta. Silenziosamente ma con l'emozionato cuore in gola, scattò verso la sua compagna di stanza, superandola e percorrendo la stessa strada che aveva fatto Amy per arrivare sin lì.
Attirati dai movimenti sospetti provenienti dall'esterno della claustrofobica casupola, Mello e Matt fecero capolino, giusto in tempo per osservare la figura della loro sentinella sparire dietro un angolo e quella della sorella del rosso sventolare il proprio romanzo, nel tentativo di soffiare un po' d'aria in più verso le sue narici.
«Che sta succedendo?» chiese il biondo, apparentemente confuso.
Amy tornò dritta. «L è in linea» disse, per poi aggiungere: «Voi cosa state...», ma non riuscì a concludere la domanda, poiché i due bambini imitarono la sua compagna di stanza e iniziarono a correre verso la meta ormai conosciuta. Desideravano con tutto il cuore parlare con il loro idolo indiscusso, sentire la sua voce - seppur non totalmente cristallina - e possibili notizie riguardanti un recente caso affidatogli dall'incapace polizia. Mai come quella volta furono tanto lesti; se avessero scattato in quella maniera durante una gara di velocità, avrebbero stabilito il nuovo record della Wammy's House, e mica era facile da battere, quello. Raggiunsero presto Blanca, ormai quasi giunta a destinazione, e tutti e tre insieme, nello stesso esatto momento, si catapultarono all'interno della camera in penombra, trovando già il detective impegnato in un'allegra chiacchierata con qualche altro orfano, ma i loro occhi caddero sulla bianca silhouette di Near, che era accomodato sul pavimento in parte a tutti gli altri bambini, intento a giocherellare con un cubo di Rubik; aveva visto, poco prima, Amy uscire da quella camera in tutta fretta, lei che era perennemente confinata lì sotto l'ordine di qualcun altro, e uno più uno donava un risultato ovvio. Non aveva alcuna intenzione di parlare direttamente con L - non avrebbe saputo che cosa chiedergli -, ma l'idea di ascoltarlo rispondere alle domande degli altri lo aveva spinto ad introdursi tra quelle pareti senza pensarci due volte.
Nonostante gli desse fastidio stare nella stessa stanza con la persona che più di tutte le altre gli dava ai nervi - a pochi metri l'uno dall'altro, per giunta -, Mello ignorò bellamente la presenza dell'albino e, scartata una tavoletta di cioccolato fondente e addentatala, si appoggiò ad una parete, tra due finestre, pronto ad assimilare ogni singola parola pronunciata dal detective che più ammirava; nel frattempo, Blanca si accomodò sulle proprie ginocchia in prima fila, a pochi passi dal computer acceso, e Matt restò in piedi a pochi passi da lei, lateralmente allo schermo, per lasciare a qualche altro orfano lo spazio necessario per essere catturato dalla telecamera posta sopra lo schermo del PC.
L fece ridere i presenti con una battutina di scarsa qualità, forse per metterli a loro agio, ma appena notò la presenza della castana, disse: «Tu, lì davanti. Sei un viso nuovo, o mi sbaglio?»
Si sentì le guance andare a fuoco, Blanca, e annuì con forza, presentandosi nella maniera più chiara possibile; non voleva risultare goffa agli occhi dell'indiscusso genio mondiale, piuttosto desiderava dargli un'ottima impressione. E allora perché ogni sillaba pronunciata aveva richiesto un'enorme fatica per poter uscire dalle sue labbra?
«Blanca, eh? È un bel nome. Da quanto tempo sei alla Wammy's, Blanca?»
Raccolse ancora una volta tutto il suo coraggio per rispondere. «Da circa nove mesi.»
«Ti trovi bene?»
Coraggio, coraggio, ancora coraggio. «Sì. Qui sono tutti molto amichevoli e si prendono sempre cura di me.»
Seppur non poteva vederlo, la bambina sapeva che L aveva sorriso. «Non potrebbe farmi più piacere» disse il maestro della deduzione. «È importante che i miei eredi crescano in un ambiente sano. Quando sarete grandi, ognuno di voi sarà un adulto ben capace, ma non per questo potete sentirvi liberi di lasciar correre ogni avvenimento che vi si presenterà nel corso della crescita. Ricordatevi di affrontare sempre i problemi. Impegnatevi a trovare sempre una soluzione. Non esiste quesito senza risposta. Non cadete nell'errore, non lasciatevi sopraffare dalla negatività. Scovate la vostra strada e percorretela tutta, anche se qualcuno vi dice che non ne siete capaci. Voi siete forti. Dimostratelo. Vincete.»
Era incredibile come L riuscisse a trasmettere ai suoi ascoltatori lezioni di vita come se nulla fosse, ad estrapolare un insegnamento da una singola affermazione, ad ammutolire tutti come se fosse il suo talento naturale, anche se a dirla tutta lo era, lui era la persona più intelligente al mondo, incantare dei bambini con qualche bella parola era il minimo che potesse - e che riuscisse - a fare; ma loro, loro non erano infanti qualsiasi, bensì erano gli orfani più ignoti dei dintorni Winchester, di Londra, dell'Inghilterra, del Regno Unito, dell'Europa, della Terra - spiazzarli non era affatto facile, eppure L ci riusciva alla perfezione, come se quelle giovani promesse di un futuro radioso avessero lo stesso quoziente intellettivo di tutti gli altri bimbi presenti sulla faccia del pianeta.
Il detective parlava, parlava e parlava, e Blanca ascoltava, ascoltava e ascoltava, ammirava la professionalità con cui pronunciava ogni frase, adorava la sua voce calma e rilassata, le sue brevi pause riflessive, le sue risate accennate; sarebbe stata capace di restare su quel freddo pavimento ad ascoltare i suoi discorsi per un tempo infinito. Perché, poi? Perché quel gelo neanche lo percepiva? Perché si sentiva così in pace col mondo tutto d'un tratto? Perché non le dispiaceva restare, per una volta, in silenzio? Perché le venivano in mente così tante cose che però dimenticava in un battito di ciglia? Perché, perché? Stava dimenticando qualcosa, ne era certa, ma cosa? Non riusciva a distogliere lo sguardo da quello schermo, da quella lettera nera, seppur i suoi occhi verdi iniziassero a bruciarle.
«... Ed è per questo che ho una pessima calligrafia.» Nell'aria si diffusero delle risate sincere. «Ci sono altre domande?»
La bambina seduta accanto a Blanca - quest'ultima rammendava il suo nome, Linda, il cui segno distintivo erano le perenni codine che imprigionavano i suoi capelli color castagna - alzò la mano, tutta pimpante. «Mi puoi dire se c'è qualcosa in cui non sei bravo? O anche, qualcosa che ti spaventa?»
«Qualcosa che mi spaventa?»
Matt ribatté con un accenno di veemenza. «Cosa? Andiamo, lui è L! Niente lo spaventa.»
«Credo... I mostri» rispose il detective, ancora una volta pacifico.
Scoppiarono altre brevi risate. «Anch'io lo sono» disse qualcuno di loro.
Mello, in disparte, ringhiò. «Silenzio. L non è come voi.»
«Ci sono molti tipi di mostri in questo mondo.» Improvvisamente, tutti gli orfani si ammutolirono. «Quelli che non si mostrano quando causano problemi, quelli che abusano dei bambini, quelli che divorano i sogni, quelli che succhiano il sangue, e... Quelli che mentono sempre.» Restò in silenzio per pochi attimi, il celebre detective. «I mostri bugiardi sono davvero fastidiosi, loro sono molto più abili degli altri mostri. Si comportano come umani nonostante non provino sentimenti. Mangiano anche se non hanno fame d'esperienza. Studiano ma non hanno interessi accademici. Stringono amicizia nonostante non sappiano amare. Se incontrassi un mostro del genere, probabilmente verrei divorato. Perché in verità, io sono quel mostro.»
La realtà dei fatti si abbatté su quei ragazzini come una violenta tempesta torrenziale; nessuno di loro osò commentare il pensiero del tanto ammirato L, e in molti si ritrovarono con la bocca improvvisamente asciutta. Tutti loro - fatta eccezione per Blanca, la quale ancora navigava nell'ignoto - conoscevano la storia del detective più famoso al mondo, ed erano altrettanto consapevoli di star seguendo le sue ombre quasi con perfezione. Perché - si chiesero silenziosamente con indescrivibile malinconia - non potevano essere come gli altri loro coetanei? Perché erano costretti a trasformarsi in mostri?










Il sole era ormai quasi tramontato del tutto e l'aria fresca autunnale aveva iniziato a diffondersi tutt'intorno, abbracciando i fili d'erba, i fiori e gli alberi, ma non lei, che se ne stava immobile, seduta in terra, con la schiena appoggiata alla parete della vecchia casupola; amava il fresco autunnale, Amy, ma non riusciva a sentirlo, nonostante si stesse sforzando, nonostante si stesse concentrando, nonostante lo stesse desiderando. Un soffio di sollievo era tutto ciò che chiedeva, ma sembrava che il suo corpo fosse circondato da un'invisibile barriera in grado di ostacolare il passaggio d'aria pulita.
Da quanto tempo era lì? Forse poco, forse tanto, forse era un sogno. No, quelle spiacevoli sensazioni erano completamente reali, e lei ne era consapevole. Voleva tornare nella stanza spoglia per ascoltare il discorso di L, non faceva altro che pensarci, eppure tutte le forze l'avevano abbandonata. Con una fatica che le parve disumana, sollevò il braccio sinistro e si portò la mano alla fronte - niente febbre. E allora cosa le stava succedendo? Aveva caldo, le mancava l'aria, stava grondando di sudore e le girava la testa, giravano tutte le cose che poteva osservare, girava anche lei, vorticosamente, incessantemente, e le orecchie fischiavano con violenza, come se fossero state gli sfiati di una locomotiva a vapore appena giunta in stazione. Batté appena le palpebre nella speranza di restare lucida, ma la vista le si appannò e delle enormi chiazze nere si materializzarono davanti a sé, o forse no, forse erano solo astratte, sicuramente erano solo astratte, eppure perché parevano così reali?
Doveva subito rientrare, Amy; non sapeva cosa le stesse succedendo, ma restare in quel luogo, da sola, non avrebbe affatto contribuito ad una pronta guarigione. Si convinse di avere unicamente sonno, e che una bella dormita nel suo comodo e caldo letto l'avrebbe fatta tornare come nuova - illusa. Lentamente, si alzò da dove si era vista costretta ad accomodarsi in precedenza, ma una serie di fitte allo stomaco la fece piegare in due; simboleggiavano sicuramente la nausea, quei dolori lancinanti al fegato, e lei provò a liberarsene mettendosi due dita in gola, tuttavia nulla uscì dal suo corpo, se non versi di lamento e sussurri che imploravano l'aiuto di chi non avrebbe potuto sentirla. Fece qualche passo in avanti, tenendo ben saldo il libro che mai l'aveva abbandonata durante quella serata, e all'appanno nero si aggiunsero delle chiazze giallastre; il tremolio che aveva alle gambe si fece più intenso, fino a quando i due arti inferiori non ressero più e la fecero crollare al suolo, inerme, con le ciocche di capelli ribelli che le si erano appiccicate sul viso, davanti agli occhi, ma non le importava di non riuscire a focalizzare nulla davanti al suo debole corpo privo di forze. Abbassò le palpebre, come era solita fare prima di addormentarsi, e aprì appena la bocca; un urlo avrebbe attirato l'attenzione di qualcuno, un urlo l'avrebbe salvata dal buco nero nel quale stava velocemente gravitando, ma le sue corde vocali non riuscirono a produrre nulla, fatta eccezione per l'ennesimo gemito di sofferenza che non poté trattenere. Anche il più piccolo rumore prodotto attorno a lei, giungeva alle sue orecchie in modo ovattato, e pareva così distante da far pensare ad Amy che era vero, era realmente finita in un altro universo.
E mentre l'ennesima ondata di fischi la travolgeva, la bambina desiderò con tutta se stessa di sparire per sempre, se quel dolore era davvero un presagio di morte.










«È stato incredibile!»
«Già.»
«Spettacolare!»
«Sì.»
«Meraviglioso!»
«Abbiamo capito.»
«Stupendo!»
«Smettila.»
«Non vedo l'ora che chiami di nuovo!»
«Hai rotto, sta' un po' zitta.»
«Ammettilo, Mello, sei dispiaciuto anche tu che sia già finita, la videochiamata.»
«Sì, Blanca, lo sono, ma se non la pianti di parlare ti arriva un rovescio.»
«Antipatico.»
Matt stoppò improvvisamente la loro camminata verso la sala da pranzo; disse, dopo essersene stato in silenzio per tutto quel tempo: «Ragazzi, qua ci manca qualcosa.»
I due si voltarono in contemporanea verso il bambino dai capelli rossi. «Se ti riferisci ad Amy» fece Mello, con aria annoiata, «starà sicuramente da qualche parte a fare l'asociale. Magari è da Souffrance, come al solito.»
«Sì, ma...»
«Non va affatto bene» sbottò Blanca. «È ora di cena, deve venire a mangiare.»
«Quello stecchino riscalda solo la sedia. Cavoli suoi se non viene a cenare, se muore non me ne frega niente.»
«Mello!»
«Che c'è?»
Matt si scompigliò i capelli con entrambe le mani, in preda ad un raro attacco di nervosismo. «Ecco cosa manca, la mia consolle! L'ho lasciata in quella catapecchia! Forse non l'ho neanche spenta! Ma ho salvato la partita prima di correre via? Quel livello è difficilissimo da battere, non mi capiterà mai più il punteggio che ero riuscito ad ottenere prima!»
La bambina puntellò i pugni sui fianchi. «Ti stai preoccupando del tuo gameboy e non di tua sorella?»
Il rosso fece spallucce. «Non c'è da preoccuparsi. Vedrai, Amy starà già mangiando.»
«Senza averci aspettato?»
Mello si passò il pollice e l'indice di una mano sugli occhi stanchi. «Ho capito, vado a recuperare sia quel topo da biblioteca sia il tuo videogioco, va bene?»
«Come mai hai deciso di fare qualcosa di gentile?» chiese Blanca, civettuola.
Il biondo la fulminò con una singola occhiata. «Così non vi sento per un po'.»
«Grazie» risposero i suoi due amici, il primo con sincera gratitudine e la seconda con evidente sarcasmo.
Sbuffando, Mello si allontanò dai due orfani tuffando le mani nelle tasche anteriori del pantalone della tuta nera che indossava; ascoltare quei due parlare - di cose futili, per giunta - gli aveva procurato unicamente un gran mal di testa, il quale si manifestava proprio lì, al centro della sua fronte, dove si trovava un nervo a fior di pelle che pulsava incessantemente da circa mezz'ora a quella parte. Nonostante quella stanchezza mentale, un senso di gioia gli stava riscaldando il petto già da un po', da quando aveva iniziato a correre verso la stanza che ospitava il computer con il quale L era solito contattare l'orfanotrofio; L era l'unica persona in grado di fargli abbandonare tutto il cattivo umore che risiedeva nel suo corpo e nella sua anima e di farlo rilassare, seppur ci volesse molta attenzione e concentrazione per poter stare al passo con i discorsi del detective, il quale non faceva mai intendere dove volesse andare a parare con le proprie parole, se non alla fine del monologo, quando il significato di quelle frasi apparentemente senza senso iniziava finalmente a filare in una direzione chiara, ovvia, che lasciava tutti gli ascoltatori senza fiato, senza modo di ribattere, perché la mente di L era un uragano capace di distruggere tutti i pregiudizi che le persone erano solite abbinare a qualcosa o a qualcuno - niente doveva essere dato per scontato, mai e poi mai.
Svoltò l'ultimo angolo, e finalmente giunse alla vecchia casupola di legno a cui aveva fatto visita diverse ore prima. Aguzzò la vista, col volto distorto in un'espressione dubbiosa; la luce del sole - quasi del tutto tramontato - illuminava debolmente qualcosa tra i fili d'erba soffice, a pochi metri dalla casetta contenente gli scarti materiali dell'orfanotrofio, qualcosa che, ne era certo, non si trovava lì quando era stato lui in persona ad avvicinarsi, quel pomeriggio, a quel luogo quasi misterioso della tenuta. Fece qualche passo in quella direzione, e solo quando fu quasi del tutto vicino a quel qualcosa capì di cosa si trattasse. Grugnì un: «Sei solo tu, marmocchia.» Accostò un piede al suo corpo disteso sul prato e la scosse appena. «Svegliati. Se non vai subito a cena, Blanca continuerà a rompere le scatole a me.»
Convinto di essere stato ascoltato, il biondo entrò nel piccolo sgabuzzino all'aperto e, dopo essersi guardato attorno per qualche istante, adocchiò la preziosa consolle portatile del suo migliore amico; la afferrò e se la rigirò tra le mani, constatando che le batterie dovevano essersi scaricate poiché, nonostante avesse premuto un paio di volte il tasto d'accensione, l'apparecchio non dava alcun segno di vita. Chissà quale sarebbe stata la reazione di Matt? Non voleva neanche pensarci; il rosso pareva perennemente tranquillo, ma quando si trattava dei suoi preziosi videogiochi sapeva bene come trasformarsi in una belva e mettere brividi di sgomento a chiunque si azzardasse ad averci a che fare.
Quando uscì dalla casupola e si richiuse la porta alle spalle, notò che la bambina era ancora distesa al suolo, nella stessa posizione di qualche minuto prima. Mello roteò gli occhi al cielo, infastidito. «Andiamo, scema, non è il momento di fare la bella addormentata nel bosco.»
Ma lei non si mosse. Fu solo in quel momento che il biondo notò un particolare che lo lasciò senza fiato; accanto all'orfana, vi era il libro che stava leggendo quel pomeriggio, il quale era aperto, con la copertina quasi del tutto rimossa e con alcune pagine stropicciate a causa della posizione nella quale l'oggetto si trovava, a contatto con un braccio della piccola che, al contrario delle altre innumerevoli volte in cui aveva potuto osservare, non lo stava reggendo. La bimba non si sarebbe mai azzardata, in condizioni normali, a trattare un romanzo in quell'orribile modo.
S'inginocchiò in parte a lei, le mise una mano sulla spalla e provò a scuoterla. «Hey, mi senti?» Non ottenendo risposta, portò due dita al polso sinistro, controllando il battito cardiaco della bambina; era lento, troppo lento. Ormai aveva capito, e come aveva fatto a non accorgersene prima? «Amy? Da quanto tempo sei svenuta?» le chiese, nonostante sapesse di non poter ottenere alcuna risposta. Decise che non era importante scoprire le circostanze di quel mancamento, non in quel momento - era l'unico a poter e a dover intervenire. Mise il gameboy di Matt in tasca, in modo che non gli fosse d'intralcio, e poi girò delicatamente il corpo della bambina, mettendola a pancia all'aria, e le poggiò il romanzo sul grembo; successivamente le mise un braccio dietro la schiena e l'altro dietro le ginocchia, sollevandola così da terra e compiacendosi della sua inconscia previsione - sapeva che non avrebbe fatto eccessivi sforzi per sollevare Amy, poiché il suo corpo era davvero leggero. Si incamminò verso l'interno dell'orfanotrofio, con l'obiettivo di raggiungere l'infermeria e chiedere assistenza alla dottoressa Harris, la quale sicuramente avrebbe saputo riportare la castana nel pieno delle sue forze.
Proprio la bambina strizzò gli occhi, per poi aprirli lentamente e mettere a fuoco la figura di colui che, taciturno, la stava portando in braccio. Le tornò magicamente la voce, seppur fosse ancora flebile. Disse: «Mello... Che ore sono?»
Come se non fosse successo - e come se stesse continuando a non accadere - nulla, il biondo le rispose, ironico: «Le ore di ieri a quest'ora.»
Lei arricciò il naso. «Ti sembra il caso? Sono svenuta, non è vero?»
Mello tornò serio. «Sì, sei svenuta. Sei stata fortunata, Matt aveva dimenticato il suo stupido aggeggio tra quell'ammasso di robaccia. Se non fosse stato per me, saresti rimasta là per ore. Comunque sono le otto meno un quarto.»
La bambina si portò una mano sul viso. «Ti ringrazio. Adesso posso camminare da sola.» Ma lui fece finta di non sentirla, e continuò a dirigersi verso l'infermeria. «Mello, non mi ignorare. Guarda che urlo, ora le ho, le forze. Mettimi giù, è imbarazzante! Mello!»
«E finiscila, altrimenti ti faccio svenire un'altra volta!» sbottò il biondo, mentre il nervo al centro della fronte ricominciava a pulsare. «Imbarazzante per chi? Non ci sta guardando nessuno. Come se stessimo facendo qualcosa di strano, poi. Ti sto semplicemente aiutando.»
Amy non rispose, dandogliela vinta, nonostante fosse davvero imbarazzata da quella situazione, ma fortunatamente la loro meta era vicina. Appena varcarono la sua soglia, l'infermiera Harris abbandonò la propria poltrona e la propria scrivania, precipitandosi dai due bambini bisognosi di aiuto.
«Cos'è successo?»
«L'ho trovata svenuta nel giardino sul retro» disse Mello, avvicinandosi al lettino della stanza e poggiandoci sopra l'amica.
L'infermiera prese il proprio stetoscopio e iniziò a visitare la bambina. Con un'apparente calma, le chiese: «Eri da sola quando sei svenuta?»
«Sì.»
«Ricordi perché sei ti sei sentita male?»
Amy si concesse alcuni secondi per riordinare i pensieri. «Ricordo tutto come se fosse accaduto pochi attimi fa
» disse. «Ero corsa a dire a Blanca che L aveva chiamato e che la stava aspettando in linea. Erano corsi tutti via, ed io volevo seguirli, ma non riuscivo a muovermi. La testa mi girava, mi fischiavano le orecchie, sudavo e vedevo appannato.» Aggiunse, con improvvisa tristezza: «Ho avuto paura. Ho provato a fare qualche passo, ma le gambe non hanno retto. Poi mi sono ritrovata con Mello, ma dev'essere passato molto tempo.»
L'infermiera annuì, con fare risoluto. «Dev'essere stato un calo di zuccheri. Niente di cui preoccuparsi, te lo posso assicurare. Per sicurezza, però, domani mattina voglio farti un prelievo di sangue, okay?»
Amy acconsentì, rincuorata; era una dei pochi bambini, in quell'orfanotrofio, a non aver paura degli aghi, dei prelievi o della semplice vista del sangue - perché i suoi coetanei ne erano così tanto terrorizzati? Non avrebbe mai saputo spiegarselo.
Per ottenere l'attenzione della bambina, Mello si schiarì appena la voce. «Che sia una cosa veloce, domani mi servi.»
La castana divenne improvvisamente curiosa. «Perché? Cosa succede domani?»
Lui sorrise beffardamente. «L ci ha lanciato una sfida con una ricompensa finale, e tu avrai l'onore di lavorare al mio fianco.»
«Perché proprio io?»
Mello aveva lo sguardo di chi aveva in mente qualcosa di pericoloso, ma quella luce rendeva così belli i suoi occhi color cielo, tanto da non spaventare Amy neanche un po'. «Perché nessuno sospetterebbe mai di te.»
  
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