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Autore: Nadine_Rose    06/01/2024    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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Nella GIF, tratta dal film “La conseguenza”, come immagino Sarah ed Hermann nel 1947.

 

Capitolo 64

 

Un invito insistente

 

“No, non volgerti indietro, la vestale cammina adagio, lenta, a sé davanti guardando sempre; no, non ritornare su ciò che hai fatto, può essere morte.”

Alda Merini, A mia figlia

 

Il motivetto continuava a ripetersi nella sua testa, senza che riuscisse a ricavarne consolazione, bensì sentendosi sempre più intrappolato nella terra di nessuno tra i ricordi del passato e l’oblio della realtà presente, mentre la madre di Agnese gli faceva strada verso la canonica.

Da quella sorta di limbo si liberò al pensiero di Sarah, sforzandosi di rientrare in sé e nel ruolo del cugino ebreo austriaco per varcare la porta dietro la quale si trovava la chiave che, infallibilmente, lo avrebbe ricondotto a lei.

La lettera scritta di suo pugno ciondolava nella mano del giovane sacerdote, ignaro, o forse consapevole, di aver custodito un tesoro inestimabile. Un solo foglio, a dimostrazione che Sarah non doveva essersi dilungata molto sulle sue vicissitudini, lasciando, più che altro, ai suoi cari le indicazioni su come trovarla.

“Padre”, esordì la donna con un misto di entusiasmo e soggezione, indietreggiando di un passo, affinché foss’egli il protagonista, come difatti avvenne.

“Ah, il cugino di Sarah!” Nell’esclamarlo gioiosamente, il sacerdote lo guardò al di sopra degli occhiali che gli scivolavano sul naso per poi passare in fretta dinanzi alla scrivania.

Dietro di essa, sul lato destro, ora non più nascosta in un armadio, v’era la porta che conduceva alla soffitta, dove don Franco azzardò l’ultimo disperato tentativo di salvare i bambini dalla deportazione.

Profanate dalla violenza, impregnate di urla nemiche e delle lacrime degli innocenti, le pareti della canonica parevano riecheggiarne il ricordo. Immaginandolo in tal slancio d’empatia non solo verso Sarah, esso fu suo.

“Vostra cugina sta bene”, disse don Carmine ed enfatizzò nella voce un tono rassicurante, avendo notato l’espressione sconvolta apparsagli in volto e presumendone il motivo, “si trova a Castellammare, una città della provincia di Napoli. Lavora nel bar di un vecchio amico di famiglia che le ha dato ospitalità.”

Sorridendogli compassionevolmente, gli porse la lettera ed Hermann, fissandone la grafia, l’accolse tra le dita. Senso di colpa ed euforia si concatenarono in un turbinio di emozioni ed egli incespicò nei modi e nel linguaggio.

“Grazie”, disse con voce sussurrante, contraendo le labbra in una smorfia nel tentativo di ricambiare il sorriso, “allora io tornerei alla stazione per prendere il prossimo treno per Napoli.”

Le parole s’incrinarono, mentre, con la lettera stretta nella mano, indicava la porta verso la quale un piede aveva già arretrato.

“Per quanto ne so io, il prossimo treno per Napoli partirà domattina”, sentenziò don Carmine con un’espressione di apprensione e stupore nel constatare l’insolito comportamento, condannandolo ancora all’attesa.

Dietro al perdurare di un sorriso stentato, Hermann nascose la delusione e, ripetendosi in tono e movenze, si corresse, dicendo: “Allora prenderò una camera nell’albergo che ho visto qui vicino e partirò domattina.”

Neanche il tempo di finire la frase che una voce maschile si sovrappose alla sua, inducendolo a voltarsi rapidamente verso l’uscio.

“Ma non esiste proprio che il cugino di Sarah vada in albergo”, esordì l’uomo categorico e, dagli abiti che indossava, Hermann riconobbe l’organaro, “potete tranquillamente venire a casa nostra e restare per tutto il tempo di cui avete bisogno.”

Nel pronunciare le parole «casa nostra», aveva cinto il braccio intorno alle spalle della madre di Agnese, amorevole gesto col quale gli rivelava esserne il marito. Sicché l’uomo era anche il padre di Agnese.

Al cenno di approvazione della donna che annuì col capo e sorrise lievemente, Hermann ribatté con altrettanto sorriso, scuotendo però la testa in senso di disapprovazione.

“Non occorre che vi disturbiate”, disse, stavolta col piede fermo in terra, poiché avanzare verso la porta avrebbe significato guardarli in faccia, accettare il loro invito relazionarsi con i genitori di Agnese, “troverò un alloggio per questa notte.”

Ma l’uomo si ostinò nel voler offrirgli ospitalità, replicando: “Nessun disturbo. è un piacere poter fare qualcosa, seppur indirettamente, per Sarah, dando ospitalità a suo cugino.”

“Questo è davvero il minimo che possiamo fare per Sarah”, intervenne la moglie il cui tono pacato colorì di delicatezza l’invito insistente, “tornati a Roma, non abbiamo neanche avuto modo di ringraziarla di persona per essersi presa cura di nostra figlia e degli altri bambini ch’erano con lei.”

Al sentir pronunciare il suo nome con tal gratitudine, gli vibrò una corda segreta del cuore e, al ricordo di lei che, per la sua indole premurosa, aveva sui più piccoli un forte ascendente – ricordo che filtrava dagli occhi di chi l’aveva conosciuta, serbandone la memoria –, s’immedesimò così tanto nella parte del cugino ebreo austriaco, fino a credere di esserlo realmente.

E fu in quel momento di smarrimento durato un sol attimo che si ritrovò ad accettare l’invito dei genitori di Agnese.

“D’accordo”, disse, mentre il sorriso appena accennato andava spegnendosi ad ogni sillaba pronunciata, già conscio del proprio errore.

 

Mentre la madre di Agnese era intenta a disporre gli addobbi floreali per la celebrazione dell’indomani e suo marito aveva ripreso ad occuparsi dell’organo, Hermann, aspettando che finissero, seduto sull’ultima panca della chiesa, non poté resistere oltre e lesse la lettera di Sarah.

 

Castellammare di Stabia, 28 aprile 1946

 

Miei cari,

vi scrivo guardando dalla mia finestra lo spettacolo del sole al tramonto che si specchia sul mare tra le barche ormeggiate nel porto con il Vesuvio che fa da sfondo. Quanto vorrei che foste qui con me!

Non saprei da dove cominciare a raccontarvi gli accadimenti di questi ultimi difficili anni, ma lo farò partendo dal mio oggi per darvi conforto.

 

Continua…

 

“«Amore, tu sei,

sei l’errore più cattivo che ho commesso nella vita.

Amore, tu sei,

sei lo sbaglio più fatale che ho commesso nella vita.

Amore, tu sei,

sei la prova che gli errori sono fatti per rifarli ancora.

 Tu sei

la puttana che ha ridato un senso ai giorni miei.»”

 

Madame, Il bene nel male

 

 

 

   
 
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