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Autore: Quebec    11/01/2024    1 recensioni
Immagina di entrare nella stanzetta in cui sei cresciuta e di trovare la te bambina. Abbracciala, dille che le vuoi bene, che non è colpa sua. Dille tutto ciò che di buono gli altri non le hanno mai detto.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Immagina di entrare nella stanzetta in cui sei cresciuta e di trovare la te bambina. Abbracciala, dille che le vuoi bene, che non è colpa sua. Dille tutto ciò che di buono gli altri non le hanno mai detto.
È cominciata così. Con una semplice e potente frase. Una di quelle che quando l'ascolti cambia tutto. La corazza cede, il cuore ti si rivolta contro e ogni emozione straborda dagli occhi come un fiume in piena.
È quello che ho visto nel suo sguardo la prima volta che si è seduta nel mio studio un anno fa. Per un istante ha abbassato gli occhi, ma l'ho visto chiaramente. Quella luce assopita, quel dolore silente. Quella bambina ferita e dimenticata, l'ho vista.
«Non lo so» dice Elena.
«Cosa, non sai?» rispondo.
«Non ricordo la mia infanzia. Ho come dei vuoti di memoria. Ricordo qualche particolare di poco conto, ma nulla di più.»
«Raccontami il ricordo più significativo?»
Elena abbassa lo sguardo. Lo fa sempre quando ricorda qualcosa di doloroso, quando si perde nel suo passato. Rialza gli occhi che vagano nel mio studio. «Ricordo un albero, ma è tutto confuso.»
«Continua.»
Elena mi lancia un'occhiata. È indecisa. Non sa se dirmelo o meno. Sta lottando contro la bambina che reprimeva le sue emozioni, quella bambina che nessuno ascoltava, che mettevano in secondo piano e ora prova una nota di disagio nel farlo. «Sono... sono seduta sotto un albero. Mio fratello sta giocando con Pongo, il nostro cane.» Sorride per un momento. «Mio fratello è felice, anche io lo sono.» Trattiene le lacrime e abbassa lo sguardo, le mani intrecciate sul grembo.
Ha paura. Paura di aprire vecchie ferite, di rimembrare ciò che era riuscita a seppellire. «Perché sei lì?»
Elena ci mette un po' a rispondere. «Facevamo un pic-nic. Io e mio fratello eravamo liberi. Mi sentivo libera per la prima volta nella mia vita.»
«Cosa hai provato?»
Elena mi guarda e scoppia in lacrime. Un pianto incontrollato, che cerca di sopprimere. Le spalle sussultano a ogni nuovo singhiozzo mentre nasconde il suo volto chino dietro le mani.
La guardo piangere, ma non intervengo. Ora è vulnerabile come la bambina che è stata. La stessa bambina seduta sotto l'albero che respirava la libertà per la prima volta.
«Mi dispiace, io...» singhiozza Elena. «Mi sono lasciata andare più del solito. Non era mia intenzione.»
Le allungo la scatola di fazzoletti sul basso tavolino con un sorriso comprensivo.
Lei ne prende uno e si asciuga le lacrime. Ha gli occhi rossi per il pianto. Molto rossi.
«Come ti senti?» domando.
Lo sguardo di Elena vaga nella stanza. «Non lo so... Leggera?»
Non è abituata a nuotare nelle sue emozioni. Ci si perde, non ha il controllo del timone. La sua barca è sempre in balia delle onde, delle tempeste. Ci si lascia trasportare senza mai avvistare un porto amico. «Ti va di ritornare al tuo ricordo?»
Lei smette di vagare con gli occhi e mi guarda.
«Cosa hai provato quel giorno?» domando.
Elena si forza a non piangere. C'è qualcosa di molto doloroso che la lega a quel ricordo. Qualcosa che le si contorce dentro. Gli occhi si esprimono, ma il suo corpo no. È rigido, controllato.
Attendo una risposta. A volte basta qualche secondo di silenzio per far parlare qualcuno. Quel silenzio che molti non riescono a gestire, che trovano imbarazzante in contesti sociali.
Ma Elena non è quel tipo di persona. Lei convive da anni con la solitudine. Ci si trova bene, a suo agio. I suoi rapporti sociali sono limitati al lavoro, ai suoi cinque gatti e due cani. È un amante degli animali, lei. Preferisce la loro compagnia. Chiudersi in casa e guardare serie TV e film. È il suo fortino inespugnabile, il suo paradiso.
È stata tradita molte volte in passato dalle stesse persone che dicevano di amarla. L'hanno umiliata, aggredita, svalutata, presa in giro, manipolata, schiacciata e teme di rivivere lo stesso dolore.
«Perché siete andati a fare pic-nic?» chiedo.
«È stata un'idea di mio fratello» dice Elena in tutta fretta con un sorriso dipinto sul volto lattiginoso. «A lui piacciono... Piacevano i pic-nic.» Abbassa di nuovo lo sguardo, ma non piange.
«E a te piacevano?»
«Sì, moltissimo, ma...» Si ammutolisce. Qualcosa è riemerso in tutta la sua potenza. Lotta contro le lacrime, il suo corpo si indurisce. Serra le mani tremanti nelle cosce. «Non... non avevamo niente da mangiare. Ci andavamo solo per divertirci. Mio fratello...» Le lacrime ebbero la meglio. «Lui si preoccupava sempre per me. Non gli piaceva vedermi piangere... Cercava sempre di strapparmi un sorriso, anche rendendosi ridicolo. Mi ascoltava quando ero triste. Mi consigliava, mi...» Sorride, ma la tristezza prende il sopravvento. «Lui mi diceva di fingere. 'Fingi di vivere in una famiglia ricca, di mangiare tanto, di essere amata, di...'» Altre lacrime. Più pressanti, più dolorose, più lunghe. «Tu... tu me lo ricordi moltissimo. Gli assomigli molto.»
La sue ultime frasi sembrano suggerirmi qualcosa che non comprendo appieno. Qualcosa di nascosto, di intenso. Qualcosa che ha messo radici, che sta già maturando sotto un sole troppo luminoso per i miei occhi.
E poi c'è suo fratello. Non ha mai detto il suo nome come se cercasse di metterci una distanza, un muro. Il dolore è troppo forte. Troppo vivido.
Per oggi può bastare.

Incontro Elena nel reparto vini del supermercato mentre spingo il carrello della spesa.
Non la vedo da quattro mesi.
Lei mi saluta con un sorriso imbarazzato.
«Ehi, come stai?» chiedo.
«Bene, tu?»
«A un passo da un esaurimento» rispondo con un sorriso.
Lei smorza una risata e abbassa gli occhi. È imbarazzata. Non è abituata a parlare, non sa come tenere in piedi un discorso. Il silenzio si fa presto imbarazzante.
«Non sei più venuta alle sedute. È successo qualcosa?» chiedo. Elena aspettava quella domanda, o non si sarebbe fermata a salutarmi. Avrebbe proseguito o svoltato tra gli scaffali, fingendo di non vedermi o salutandomi di sfuggita.
«Beh, nulla di grave. E solo che...» Abbassa lo sguardo e incassa la testa nelle spalle. Prova vergogna. Perché? Non ne ha motivo. Non con me.
«Forse l'ultima seduta è stata un po' troppo intensa per te» rispondo. «Ma sono sicuro che ti abbia aiutato a esprimere le proprie emozioni, ad ascoltarl-»
Elena mi bacia.
Spalanco gli occhi e faccio un passo indietro. Tutto mi aspettavo fuorché questo.
Lei mi guarda con il viso arrossato. Sembra sul punto di piangere, poi mi ribacia. Mi avvinghia a sé, cerca di bloccarmi, di tenermi stretto.
«Elena...»
Lei mi lascia andare. Guardo le sue labbra arrossate, gli occhi umidi, luminosi e semichiusi. È stato tutto così inaspettato, quasi surreale. Non c'erano segnali che mi facessero presagire questo, oppure non li ho colti?
Elena si tormenta le mani. «Lo volevo fare da un po'... Per questo...» Si ammutolisce. Le è costata fatica dirmi queste poche parole. Non è abituata a esporsi così tanto, eppure è ancora lì davanti a me. Non è fuggita. Non si infuriata e non ha pianto quando mi sono tirato indietro. «Sono andata da diversi terapisti, ma tu... tu sei stato il primo a comprendermi per davvero. Mi hai ascoltata, capita. Sei stato gentile. Mi sono sentita... bene insieme a te, dopo tanto tempo.»
Mi acciglio. Elena non è mai stata così loquace con me, né immaginavo che lo fosse. Non così, almeno. Ha sempre temuto le sue emozioni, specialmente quelle di cuore. Non so cosa rispondere. Mi ha colto alla sprovvista.
Elena mi si avvicina. «Mi hai sempre lasciato i miei spazi, il mio tempo. Non mi hai mai fatto pesare i miei sentimenti, non mi hai mai giudicata. E mi hai fatto capire che non tutto il male viene per nuocere.» Mi sorride. «La vecchia me non avrebbe avuto il coraggio di dirti tutto questo. Ci avrebbe rimurginato troppo e avrebbe scelto di reprimere tutto, di prendere le distanze per paura di soffrire...» Fa una pausa. «Per questo sono andata via. Mi serviva tempo per pensare. Volevo capire se quello che iniziavo a provare per te fosse... reale. E lo è. Non provo queste emozioni da molti anni. E poi ti ho visto qui e ho sentito le farfalle nello stomaco. Mi sono sentita come un'adolescente. Felice.»
Non so cosa dire. La mia mente è un'accozzaglia di pensieri che sfuggono al mio controllo. L'unico cosa cristallina sono le sue parole. Non mi capacito di come Elena possa essere così schietta, di come possa mettere a nudo i suoi sentimenti senza la certezza che dall'altra parte ci sia la stessa risposta.
«Se non ti avessi detto tutto questo, poi me ne sarei pentita» dice Elena. «Tu mi hai aiutata a capirlo. Mi è bastato vederti per avere la conferma.» Mi prende un dito della mano. «Una parte di me mi diceva di non farlo, che mi sarei messa in ridicolo, che avrei sofferto un'altra volta. Ma ho ascoltato quella parte che tu mi hai aiutato ad ascoltare e a comprendere.» Le sue labbra si avvicinano alle mie. Sposto la testa. Lei cerca di baciarmi, ci insiste, le sue labbra cercano ossessivamente le mie. Non si fermano, né vogliono fermarsi.
Indietreggio.
Non riesco a dire niente. Non so cosa mi prende. Non trovo nessuna parola. Niente. Ho dimenticato come si parla.
Elena mi si piazza davanti, quasi a ridosso. I suoi occhi sono lucenti, determinati. Una sicurezza che non le ho mai vista avere. Cerca nuovamente le mie labbra, ci insiste ancora, ancora e ancora. Non trova pace.
Una signora svolta l'angolo e si dirige nella nostra direzione con il carrello carico di spesa.
Elena arretra.
La signora ci lancia un'occhiata mentre ci passa accanto e si allontana verso il reparto surgelati.
I nostri sguardi tornano a incrociarsi.
Le sue labbra cercano le mie, gli occhi semichiusi, fissi sulla mia bocca.
Resto in bilico.
   
 
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