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Autore: Rota    11/01/2024    1 recensioni
«La scuola ricomincerà presto.»
«Che palle! Le vacanze sono durate così poco! Dovrebbero essere infinite!»
«Pensa un po’. Prova a immaginare un mondo dove a scuola si va solo due mesi, mentre tutto il resto si sta a casa.»
«Oh, Eli. Sarebbe tipo il paradiso!»
«Ma in questo modo la scuola durerebbe dieci anni, e non solo cinque.»
«Che cosa? No, allora assolutamente no!»
«Beh, ma così potremmo vederci per altri dieci anni, non pensi?»
«Che c’entra questo? Mica ci serve andare a scuola per vederci, no?»

[Questa storia partecipa al: «CHI FERMERÀ IL NATALE? - II EDIZIONE» di Torre di carta.]
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Per Mokochat *love*.
Questa storia partecipa al: «CHI FERMERÀ IL NATALE? - II EDIZIONE».
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Sospirò, e vide una nuvoletta di vapore uscire dalle labbra. Allora, sospirò altre due volte, giocando con il proprio respiro nell’aria gelata.
Un fiocco di neve solitario le si depositò sulla punta dritta del naso, lei rabbrividì per il freddo. Alzò gli occhi al cielo ma nient’altro pareva scendere dalle nuvole grige, a parte una leggera brezza che le accarezzò la fronte scoperta.
Manu ci stava impiegando davvero un po’ troppo, a prendere quel hotdog: non sentiva più la punta dei piedi.
Guardò di lato, verso la porta del piccolo chiosco. Dall’ingresso, riusciva a vedere solo delle ombre confuse, gli strascichi delle lucine di Natale appese a un albero un po’ troppo ingombrante e gli addobbi sparsi sul balcone adagiato al lato sinistro. Al soffitto, ben sopra le teste dei clienti, c’era appeso un cartello con caratteri coreani che brillava di un accecante color panna.
Aveva fame.
Fu distratta dall’abbaiare di un cane, improvviso, il ringhio di risposta di un pastore tedesco dall’altra parte del marciapiede. Oltre a lei, un paio di altri passanti si voltarono nella direzione del diverbio canino, sollevando le labbra dalle cannucce di due bubble tea fumanti.
Ah, quell’atmosfera, dopotutto, le piaceva molto.
«Eli! Scusa, c’era una folla…»
Si girò con già un sorriso sulle labbra, allontanandosi dal muro dov’era appoggiata. Manu aveva ancora le guance rosse per il freddo, tra le mani due hotdog giganti coperti di maionese. Le prese dalle dita una vaschetta di carta, senza mancare l’occasione di sfiorarle le mani.
«Ho visto, ho visto, non ti preoccupare-»
«Ma ho preso anche una coca! La vuoi?»
Con la mano libera, Manu rovistò nella sua ampia borsa rosa confetto e ne estrasse una lattina rosa. Eli sghignazzò. «Magari dopo, grazie!»
Le aveva detto solo una volta che era la sua cosa preferita da bere, dopo le partite – o forse, Manu aveva semplicemente preso la prima cosa che le era passata per la testa, per lei.
Per lei.
«Preferisci mangiare seduta?»
«Sì, non mi piace farlo mentre camminiamo…»
«Allora, più avanti ci sono due panchine. Sperando siano libere…»
Manu strizzò gli occhi e cominciò a camminare, senza darle una risposta diretta. Le parve un sì, dopotutto; si sistemò il borsone sulla spalla e la seguì.
L’atmosfera in ChinaTown era sempre particolare, quasi un incanto in mezzo alla città. Ma oltre che i colori delle vetrine e l’odore di cibi fritti, in quel periodo si aggiungevano delle luminarie appese tra i palazzi vecchi e i ristoranti di cucina etnica, mentre ai lampioni cappellini rossi e alle aiuole gnomi e renne con le slitte. Ovunque si posava lo sguardo, era ancora Natale.
«Certo che i cinesi sanno come fare pubblicità…»
Passarono davanti a un negozio di elettronica, Eli vide di sfuggita due persone chine sopra un tavolo, indaffarate a decorare le cover dei propri cellulari con stikers e ponpon in miniatura.
Lì, proprio nel mezzo della corsia pedonale, Manu prese posto nell’angolo di una panchina di legno, sotto un albero non meglio definito che rubava quel poco di luce attorno a loro.
Borsone a terra, Eli le si sedette a fianco e rabbrividì subito, appena le natiche toccarono la superficie orizzontale.
Ma lei sorrideva ancora. «Vediamo se questo polollolo è buono come dicono!»
Eli ridacchiò. «Mica si chiama così…»
Troppo tardi: metà dell’hotdog di Manu era già sparito oltre i suoi denti bianchi. L’espressione della ragazza si contorse in sofferenza e lei cominciò a sventolare la mano davanti alla propria bocca. «Scotta! Scotta!»
Come volevasi dimostrare. Eli riuscì ad aprirle la lattina di coca con una sola mano, e anche metà lattina sparì in pochi istanti tra le sue labbra.
Aspettò che deglutisse. «Quindi, è buono?»
Manu la guardò stralunata. «Non ho sentito niente! Era troppo caldo!»
«Ma quante volte l’hanno fritta, sta roba?»
«Due? Tre?»
Eli sollevò il cestino del hotdog al viso, per guardarlo meglio. Dall’aspetto, non sembrava così letale, ma decise comunque di aspettare qualche secondo, prima di bruciarsi completamente la lingua anche lei.
E strisciò un poco più in là, finché le loro cosce non furono attaccate.
 
«La scuola ricomincerà presto.»
«Che palle! Le vacanze sono durate così poco! Dovrebbero essere infinite!»
«Pensa un po’. Prova a immaginare un mondo dove a scuola si va solo due mesi, mentre tutto il resto si sta a casa.»
«Oh, Eli. Sarebbe tipo il paradiso!»
«Ma in questo modo la scuola durerebbe dieci anni, e non solo cinque.»
«Che cosa? No, allora assolutamente no!»
«Beh, ma così potremmo vederci per altri dieci anni, non pensi?»
«Che c’entra questo? Mica ci serve andare a scuola per vederci, no?»
 
Certo che aveva ragione, ma non la guardò in faccia mentre lo disse. Manu era sempre molto timida, quando doveva dire la verità del suo cuore, ed era una cosa che Eli adorava da impazzire.
Si chinò in avanti, per costringerla a guardarla. Lei strabuzzò gli occhi, facendo una faccia buffa apposta, ed entrambe risero.
A quel punto, mangiare l’hotdog forse non le avrebbe sciolto la bocca.
Provò con un angolo di impanatura piena di formaggio e pepe, un pezzo di patata al forno le scivolò sulla lingua fino all’ultima coppia di denti. Fece un verso.
«Niente male davvero…»
Manu le allungò la lattina – ancora, le sfiorò le dita freddissime, arrossate sui polpastrelli. Il suo sorriso era disarmante.
La coca cola, invece, era davvero ghiacciata, e le frizzò tutto il cervello.
«Allora? Stai meglio?»
Eli sorrise con il bordo della lattina ancora tra le labbra, e si limitò a un cenno stanco della testa. Manu addentò l’hotdog con una gioia un po’ più contenuta, sgambettò oltre il bordo della panchina di legno sollevando le sue coloratissime scarpette da ginnastica, oltre i leggings bianchi. Non aveva tolto la divisa da cheerleaders da quando erano uscite dalla palestra, e il bordo della gonna si poteva ancora intravedere sotto il giaccone pesante che le arrivava alle cosce.
Era corsa da lei, prima, così in fretta da dimenticarsi persino i vestiti nello spogliatoio. Adorabile.
«Bene. È un… bene, che tu lo sia.»
«Eri preoccupata per me, Manu?»
«Beh! Un po’!»
Eli non seppe dire se fosse stato il freddo a espandere il rossore sulle sue guance, si illuse che fosse così almeno per qualche secondo.
Ma anche lei era timida e guardò avanti a sé, all’insegna di un negozio aperto da poco, che vendeva dolci tipici cinesi e altre cibarie in scatola. Si ricordò di avere mangiato con la squadra lì, un giorno dell’estate prima, tra ciotole di ramen e qualche nocciolina come aperitivo, una serie di bibite in lattina dai gusti indefiniti. In quel momento, l’enorme gabbia bianca che chiudeva in alto il piccolo terrazzo esterno era coperta di edera secca, addormentata.
«Sto bene, Manu. È solo un po’ di tristezza, tutto qui…»
Si girò a guardarla. Sotto la sua frangia dritta e scura, Manu la guardava attentamente, con un brillio negli occhi grigi che sembrava come neve.
Eli rabbrividì. «Questa è… è stata, l’ultima delle nostre partite.»
«C’è ancora il campionato primaverile!»
«Sì, ma non è esattamente un torneo, lo sai. Sono una serie di partite amichevoli, che finiscono nel festival della cultura a fine maggio. È un po’ diverso.»
Manu le rubò la lattina dalle mani, bevve quel che rimaneva della coca cola. «Certo che lo so! Ci sono stata anche io con te, ogni anno.»
Già. Ogni anno, ogni partita, ogni incontro, Manu era sempre stata a bordo campo a tifare per lei.
Eli lo sapeva perfettamente, questo: se lo ricordava ogni volta che la vedeva.
Indecisa se dire o non dire qualcosa, diede un altro morso al suo hotdog e sorrise in silenzio. Davanti al suo viso, scese un secondo fiocco di neve, che andò a sciogliersi sul pavimento di pietra del marciapiede, appena lontano dalla carta di plastica di una caramella.
Si rese conto che nell’aria cominciava a esserci un odore di fritto familiare, e alzò gli occhi davanti a sé, per vedere il chiosco dei ravioli di nuovo aperto. Era sera ormai, e il tempo che aveva a disposizione stava per finire.
Si chinò di lato, verso Manu. La spalla di lei era decisamente esile, ma le dava comunque una sensazione di conforto – si chiese da quando avesse cominciato a provare piacere nel contatto fisico, e da quando si lasciava così andare con le persone.
Manu non la spinse via, come sempre, e lei rimase immobile a parlare.
 
«Però non ce la siamo cavata male questa volta! No?»
«Beh, direi che piazzarsi in terza posizione in regione non è affatto male no!»
«E questa volta, ci siamo prese anche diverse rivincite!»
«Settimana scorsa! Che ridere, ho riso proprio di gusto!»
«Non si ride degli avversari sconfitti, Manu!»
«E io l’ho fatto lo stesso! Oh! Con quella stronza che ti ha fatto lo sgambetto l’anno scorso, ci manca pure che non rido se perde!»
«Ho fatto sette punti in più di lei, quest’anno!»
«Bravissima! Sei sempre la migliore!»
 
Sorrise come un’ebete e voltò solo il viso a guardarla. Manu fece lo stesso, e scoppiarono a ridere nello stesso identico momento.
Quante parole inutili, e quanto tempo preziosissimo.
Lì, in quel preciso istante, sarebbe stato perfetto. Quello che aveva pianificato nella propria mente e quello che il suo cuore aveva sempre desiderato, poteva davvero realizzarsi. Sarebbe bastato prenderle gentilmente la mano e poi chinarsi verso di lei, immergersi in quegli occhi grigio brillante. Nessuno le avrebbe davvero guardare, tra i passanti veloci e le lunghe file ai chioschi di cibo, disperse tra i colori abbaglianti dei negozi di ChinaTown.
Un bacio, non era chiedere troppo.
Neppure la malinconia di aver perso una partita importante aveva spezzato questa speranza, come se la vita vera fosse in quell’unica incertezza del suo animo, e nient’altro.
I pensieri per il futuro potevano essere sconfitti con quell’implicita promessa, quel progetto che silente avrebbe costruito una parte del loro futuro assieme. Neppure la fine della scuola le avrebbe separate, neppure gli esami o qualsiasi altra cosa.
Eli si scoprì pavida e vigliacca, abbassò gli occhi per prima.
«Eli?»
Sorrise, e mangiò ancora un pezzo del suo hotdog.
«Hai già deciso su cosa fare la tesina, poi? Parlavi della Cina o di qualcosa del genere?»
Manu la fissò per qualche secondo, prima di sospirare e di ritrovare il proprio sorriso. «La dinastia dei Ming, sì! E la Muraglia Cinese!»
«Cose poco poco difficili…»
«Hai mai sentito di qualcuno che porta una tesina del genere?»
Eli ridacchiò. «No, appunto!»
Per un attimo, sembrò che il corpo di Manu cedesse sotto il suo, e Eli si ritrovò a scivolare contro il suo fianco, fino ad appoggiare la schiena alla panchina dietro di sé. Scorse tra i rami dell’albero un piccolo uccellino che la fissava con una certa curiosità.
In lontananza, il tram fischiò forte, forse qualcuno aveva attraversato le strisce all’improvviso.
«Dobbiamo rientrare temo, è tardi.»
«Sì, e tu ti devi ancora fare una doccia.»
«Ma non ho freddo!» Scosse le spalle, in una pessima rassicurazione. In realtà, aveva le ginocchia congelate e il sedere senza più alcuna sensibilità, ma non poteva certo dirle quelle cose, altrimenti l’avrebbe fatta preoccupare per nulla.
Manu balzò in piedi, saltellò verso il primo cestino disponibile, alla loro destra. Fu distratta dall’arrivo di uno Shiba Inu, e si acquattò a terra cominciando a fare versi inumani, felicissimi.
Eli sorrise. Finì di mangiare il proprio hotdog ormai freddo, due bocconi senza neanche masticare. La raggiunse in silenzio con il borsone in spalla, ma la padrona del cane si allontanò in fretta, presa dai propri impegni. Manu piagnucolò salutando il cane, come se fosse davvero ferita.
Lanciò a tre metri di distanza: la pallina di carta e cartone fece centro, perfettamente.
«Andiamo, campionessa?»
Le diede una piccola spallata, e Manu fece finta di cadere di lato, colpita da chissà quale forza.
Risero ancora, mentre si incamminavano verso il tram. E appena si accorse di essere troppo distante, Manu si avvicinò al suo fianco e le sfiorò il braccio con il proprio – quasi non riuscisse davvero a stare troppo lontana da lei.
Un altro fiocco di neve, seguito da un quarto e da un quinto. Eli alzò ancora una volta lo sguardo al cielo, e vide che finalmente qualcosa era cambiato. Rabbrividì di freddo, mentre passava davanti a un Bubble Tea con il sagomato del personaggio di un anime molto famoso al momento.
La fermata del tram era davanti al Cat Caffè, il marciapiede rialzato sui binari di metallo. E il numero 4, il suo, si stava avvicinando.
Le sorrise. «Ci vediamo a scuola, allora.»
«Certo.» Manu abbassò il viso e si alzò sulla punta dei piedi, per dondolare un poco sulle ginocchia agili. Mosse le labbra, ma il fischio del tram superò qualsiasi rumore, ed Eli si girò verso l’entrata con le porte scorrevoli. Solo dopo che le rotaie smisero di fremere, troppo tardi, sentì quello che aveva da dire. «Ah, aspetta-»
Aveva già un piede dentro, quando Manu l’afferrò per il cappotto e la strattonò all’indietro. La coda bionda le compì la faccia, ma questo non la fermò dal depositare un bacio a bordo della bocca, delicata proprio come quei fiocchi di neve.
Che incredibilmente stupido clichè.
Eli rabbrividì, gli occhi spalancati. Oh, aveva messo il profumo al gelsomino, lo riconobbe perfettamente.
Il tram fischiò ancora, dietro di lei. «A tu avresti intenzione-?»
Scese subito, prima che la portasse via da lei, e le bloccò le braccia a mezz’aria per non farla scappare: aveva gli occhi spalancati anche lei, dove paura e speranza si confondevano in una sola emozione fortissima.
Smise di pensare per cinque secondi di fila.
 
«Cosa fai?»
«Rimango.»
«Ma devi tornare-»
«Ho detto che rimango.»
«A fare cosa, Eli?»
«A parlare di noi, finalmente. Basta cazzate.»
 
Neppure durante le partite il suo cuore batteva così forte. Neppure quando segnava canestro per lei, neppure quando Manu gridava assieme al gruppo delle sue cheerleader per incoraggiarla e motivarla.
La sua testa sarebbe esplosa, forse, se avesse continuato a trattenere il fiato a quel modo.
Manu fece scivolare le mani sopra le sue e intrecciò le loro dita. Era calda e morbida.
La sua espressione contratta si sciolse in un sorriso caldo, e lo sguardo brillante a malapena celato sotto la frangia dritta nascondeva a malapena quella nuova emozione. Non la lasciò andare affatto.
Eli seppe che già il suo mondo era completamente cambiato, ancor prima che Manu parlasse con quella sua nuova voce.
«Prima manda un messaggio a tua madre, dopo andiamo a bere qualcosa. Conosco un posto adatto a noi.»
Eccola. La loro promessa, il loro futuro.
Si lasciò condurre da lei, di nuovo tra le luci magiche di ChinaTown, e non le lasciò più la mano.
 

La neve cadde, cadde, silenziando tutto il resto del mondo, perché potessero essere soltanto loro due.
Finalmente.
   
 
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