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Autore: _Lightning_    12/01/2024    3 recensioni
Napoli, 1934.
Il commissario Ricciardi è alle prese con un delitto come tanti, almeno per lui che è abituato a vedere i fantasmi delle vittime con i propri occhi. Una rapina finita male, con dei dettagli che, però, non tornano. Non tornano né a lui né al dottor Bruno Modo, collega medico legale e amico in pubblico, ma segretamente unito a lui da sentimenti più profondi, in un'epoca in cui a dare troppo nell'occhio si rischia la vita.
Ricciardi, però, quasi si dimentica del tutto del caso e dei pericoli che corre quando alla sua porta, nel cuore della notte, bussa un evento inspiegabile. Uno di quelli di cui non può parlare a nessuno, nemmeno a Bruno, pena l'essere preso per folle, e che lo fa sentire sempre più lontano dalla vita e sempre più vicino alle schiere di fantasmi che la attorniano.
Cosa si nasconde nel sottosuolo di Napoli?
[Leggibile come originale // Giallo // Ricciardi/Modo // S2 Alternativa]
Genere: Mistero, Noir, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In quel di Napoli'
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VIII. Chi per strada va (per strada muore) - Parte 1



 

          LA STRADA verso il Rione Sanità è ripida, costellata di capannelli di persone intente a chiacchierare sulle soglie dei bassi e nelle rade piazzette stritolate tra gli edifici; danno l’idea di sparuti fiori di campo spuntati chissà come in mezzo al grigio-giallo della pozzolana e del tufo. Napoli è una città che s’accende del colore della gente e delle case, più che della natura, se non per il blu intenso del Golfo che la accarezza.

Ricciardi, quando è troppo immerso coi pensieri nei meandri della propria testa e col corpo nei vicoli asfissianti dei quartieri vecchi, con lo sguardo bloccato da palazzine alte che mangiano il cielo, si trova a rimpiangere le vaste vedute verdi e ondeggianti del suo Cilento, dove la vista spazia a volte sino allo scintillio del Tirreno, una linea sottile che orla l’orizzonte di satin cangiante nelle giornate più limpide.

Non sa che cosa darebbe, ora, per potersi arroccare sul balconcino della residenza dei Malomonte, quello aggettato sulla vallata, e poter seguire i declivi boscosi delle colline e le pareti scoscese dei calanchi sino a perderne i contorni e scordarsi a cosa stesse pensando.

Si sente addosso più di uno sguardo, mentre percorre quelle viuzze in un saliscendi continuo. In un certo senso, è un bene che abbia così tanti pensieri ad affollargli la mente da avere a malapena spazio bastante per curarsi di cosa ne pensi la gente di un distinto cittadino che va, secondo loro, a sollazzarsi in un quartiere di prostitute e femminielli.

Supera la facciata a sbalzi di Palazzo Sanfelice, attraversa Discesa Sanità e percorre il tortuoso tragitto fino al basso di Bambinella senza quasi aver contezza dei propri passi, lo sguardo fisso su un punto invisibile, sfocato. Si fa largo tra comari avvizzite con fazzoletti sdruciti che lo squadrano con rimprovero e ragazze dalle vesti appariscenti che lo invitano oltre gli usci con gesti lascivi delle mani; svicola tra gruppetti allegri di marinai in permesso di rientro da una giornata di bagordi; aggira asini carichi di mattoni e manovali imbiancati dalla calce; evita, domando l’istinto di passarvi in mezzo sprezzante, una squadraccia di camicie nere che avanza con un gran pestare di stivali e menare a vuoto di manganelli.

Ai margini della visuale, qualche fantasma, qualche voce che si leva flebile al suo passaggio; mendicanti e prostitute e scugnizzi di strada. Gli ultimi, i dimenticati. Non guarda nessuno negli occhi, né morti né vivi.

In testa, la conversazione con Madre Filippa si ripete ciclicamente. Ogni volta che la ripercorre, quella sensazione marcia alla bocca dello stomaco si intensifica. Rivede gli occhi vispi e infantili che lo spiano da un uscio, quel “non è lui” che gli suona sempre più chiaro, che è sempre più convinto d’aver udito; poi, lo sguardo atterrito di Suor Agnese, prima di sussurrargli quell’unica frase.

Cercate il Munaciello. Quel nome continua a tornare e a tornare, una leggenda sepolta che riaffiora a pelo d’acqua in mille voci diverse e discordanti, concretizzandosi infine in una persona reale. Mentre la voce di Annina continua a gridare sottoterra, chiedendo a lui, e solo a lui, di farle giustizia.

Quando bussa alla porta di Bambinella, ormai alle quattro passate, deve trattenere la forza, tanta è l’inquietudine che lo afferra dall’interno.

«Un secondo, un secondo!»

La sua voce squillante si leva come una tromba all’alba, seguita da dei passi ciabattanti. Ricciardi si guarda le spalle, stringendosi nel soprabito come a mimetizzarsi col grigio circostante. Sulla minuscola piazzetta compressa tra le palazzine, c’è solo una coppia di ragazze intente a fumare e, sospetta a giudicare dagli sguardi impertinenti nella sua direzione, a sparlare di lui e dei suoi gusti. Non si sente a disagio per il fatto di essere lì, di per sé, quanto delle voci che ciò potrebbe suscitare. Ammette che farsi vedere alla porta di un femminiello non è una mossa molto più intelligente che andare da Bruno in piena notte o farlo dormire a casa sua.

La porta di un verde stinto si apre, rivelando la figura dinoccolata di Bambinella. L’ha evidentemente colta in un momento di pausa, poiché non ha la parrucca, ma solo la retina che la sorregge calcata sui capelli rasati, e addosso solo una vestaglia di seta azzurra scolorita, a coprire un succinto prendisole a ricami lillà. Spalanca gli occhi incorniciati dalle ciglia bistrate nel vederlo, aprendosi in un sorriso raggiante che spezza di bianco il rossetto quasi nero.

«Commissario, che piacere!» esclama, trepidante. «E alla buon’ora… ormai, mi credevo che il brigadiere s’era scordato di avvertirvi.»

«Buongiorno, Bambinella. Piacere mio,» risponde lui, più pacato, con un’occhiata schiva intorno a sé. «Maione m’ha informato ieri, ma sono stato molto occupato.»

«Eh, o’ ssaje. Che tragedia,» chiosa lei, strizzando le labbra con fare più serio.

Ricciardi non si stupisce del fatto che sappia già tutto ciò che c’è da sapere: si limita a ricambiare l’osservazione con quieta mestizia. Lo sguardo di Bambinella si rivolge poi acutamente al livido sul suo zigomo, accendendovi una scintilla d’interesse.

«Su, venite, venite pure, non state lì a prender freddo. E non fate caso al disordine! Oggi sto di riposo, ma son proprio contenta che qualcuno che non sia un cliente mi sia venuta a trovare.»

Spalanca del tutto la porta e scende lesta le scale che conducono nel basso, invitandolo dentro. Ricciardi abbassa un poco il capo per entrare e scende dappresso, ritrovandosi nell’ampia stanza. Ha un che di accogliente e familiare a dispetto della sua funzione principale di casa di incontri. In un angolo, fa mostra di sé un letto a baldacchino dai tendaggi porpora e semitrasparenti e, accanto, una porticina a soffietto cela un piccolo bagno in cui intravede un bidè. Nell’aria aleggia una fragranza pungente di gelsomino, mescolata a quella del bucato steso su un filo che attraversa la stanza; tutto sommato, non una combinazione sgradevole, anche se vi ristagna l’umidità malsana tipica dei bassi.

Bambinella s’affaccenda con un trambusto di sportelli nell’angolo occupato dalla cucina.

«Accomodatevi, che vi offro un surrogato,» gli dice, accennando al tavolo sbilenco ma pulito lì accanto. «Anzi, a trovarlo, dovrei pure avere uno poco di caffè vero...»

«Non disturbarti, il surrogato andrà benissimo,» la ferma, prendendo posto su una sedia cigolante e alquanto instabile.

Bambinella lo scruta leziosa da sopra la spalla.

«Commissa’, voi sì che siete un galantuomo, mica come quello screanzato del brigadiere,» commenta lei, mentre carica la cuccumella e la mette sul fuoco. «Fossero tutti come voi, i miei clienti, non c’avessi un problema al mondo. Tenete pure un bel faccino.»

Ricciardi non sa bene come replicare a quel complimento, e intreccia le dita tra loro con lieve imbarazzo, schiarendosi sottovoce la gola. Non ha mai interagito di persona con Bambinella, né con un femminiello, se è per questo, ma lei lo tratta come se lo conoscesse da una vita. D’altronde, non sarebbe il loro informatore più affidabile, se non conoscesse a fondo praticamente ogni abitante di Napoli. Presume anche che lui, in quanto commissario di polizia incline a disattendere le procedure, barone che rifugge il proprio ceto sociale e persona schiva, in età da matrimonio più che inoltrata e comunque tendente alla solitudine, sia anche particolarmente facile da tener d’occhio, nonostante i suoi sforzi di non farsi notare troppo. Forse, non poi così tanti, a ben pensare.

Attende paziente che Bambinella posi le tazzine sul tavolo, rovesci la cuccumella e gli versi il surrogato di caffè, mentre lei chiacchiera del più e del meno, sparlando di questo o quel cliente, senza aspettarsi una vera e propria risposta da lui; pare contenta di averlo semplicemente lì ad ascoltarla.

«Ultimamente c’è un’aria, commissa’...» commenta a un certo punto, facendo il gesto di ventilarsi con una mano. «Mi tocca chiudere la porta a chiave, sapete? Non si può più lavorare onestamente, con certi brutti ceffi in giro; e non parlo mica dei soliti guappi e pescetielli ‘e cannuccia, sia chiaro. Fanno più danni quelli in divisa... con tutto il rispetto, s’intende.»

Ricciardi solleva le sopracciglia, a intendere solidarietà e che non se n’è avuto dell’offesa indiretta. Prende un piccolo sorso del surrogato, pentendosene subito: è così amaro che gli si rattrappisce la lingua, ma non ha cuore di chiederle dello zucchero, visto quanto costa.

«C’è qualcuno che t’infastidisce?» chiede poi, facendosi serio. «Mi volevi parlare per questo?»

«Ma no, che dite, non m’infastidisce nessuno… ‘nsomma, quel balordo di Franco sì, m’asfissia, non si decide... ma quella è una storia che conservo per il brigadiere, ché sicuro gli interessa assaje,» conclude, sedendosi di fronte a lui e soffiando in modo signorile sulla propria tazzina.

«Sì, è entusiasta, quando deve venirti a trovare,» sta al gioco lui, sullo stesso tono sardonico. «Pare sempre che non veda l’ora di vederti.»

Bambinella soffoca un risolino e Ricciardi sorride di rimando. Sa di aver condannato Maione a una sequela infinita di battutine, alla sua prossima visita. Forse Bruno ha ragione, a dire che si diverte un mondo, ogni tanto.

Sa, comunque, che sotto la patina di manifesta insofferenza che Maione riserva a Bambinella, vi è un solido rispetto affatto scontato; lo stesso che nutre lui. Non è facile reperire informazioni sensibili con la celerità e accuratezza di Bambinella e farlo non è esente da rischi, soprattutto nella delicata posizione di un femminiello. A prescindere da ciò, a lui non costa alcuno sforzo trattare le persone semplicemente come persone e non come, a seconda dei casi, dei poveracci, dei servi o dei reietti. Questo gli attira poche simpatie dai suoi pari, ma c’è da dire che non se ne fa poi molto, del rispetto di gente che non rispetta lui in primis.

«Commissario,» esordisce a quel punto lei, tutta compunta, poggiando la tazzina con un garbo che s’adatterebbe meglio a una sala da tè dell’alta borghesia che a un postribolo alla Sanità. «Prima di arrivare al motivo per cui v’ho voluto parlare, che è un poco delicato, vi serve mica qualche imbeccata per il caso, anzi, i casi che vi trovate per le mani?»

Ricciardi finisce il suo surrogato per pura educazione, trattenendo una smorfia. Torna con la mente concentrata nel suo ruolo, mettendo fine a quella breve parentesi di quiete.

«Suppongo tu sappia già molto su entrambi,» non si sbilancia, accavallando poi le gambe e intrecciando le dita sul ginocchio.

«Tutto ciò che c’è da sapere,» conferma lei, impettendosi, «cioè che è morto qualcuno di assolutamente innocente, povera anima, e qualcuno di assolutamente meschino. Il che è raro, perché di solito a schiattare sono soltanto i disgraziati.»

Ricciardi ondeggia sulla seduta, scrutandola con interesse.

«Per “meschino” intendi Gigliolo?»

«E chi, se no!» sbotta lei, d’un tratto inalberata. «Sapeste quante se ne dicono, su di lui… o non se ne dicono, piuttosto.»

«È implicato in qualcosa di losco? L’hanno ammazzato per questo?»

Lei sembra sul punto di attaccare con un’altra sfilza di pettegolezzi, come forse fa spesso con Maione, per poi ammutolire e ricomporsi, andando dritta al punto:

«Commissa’, io non so dirvi perché l’hanno ammazzato. Dico solo che è sempre nei luoghi più santi, che stanno i diavoli.»

«All’Annunziata?» ribatte d’istinto, suscitando un lieve moto stupito nel femminiello, che poggia il mento sul palmo e il gomito sul tavolo, le dita smaltate che tamburellano sulla guancia.

«Voi sì, che date soddisfazione con le indagini. State quasi un passo avanti a me,» commenta, rimanendo però severa. Poi, annuisce. «Sì, all’Annunziata. Gigliolo c’era molto affezionato, a quel posto lì. C’andava spesso a visitare i piccirilli, pare... e forse preferisco non immaginarmi il perché, se capite che intendo.»

Ricciardi capisce perfettamente cosa intende e serra le labbra fino a sbiancarle. Quel senso di marcio nello stomaco che lo stuzzica da prima si inasprisce, tramutandosi in un moto di repulsione che gli riporta l’amaro del finto caffè in gola.

«È un’accusa molto grave,» le fa notare, con voce sforzata e le dita che stringono il soprabito.

Bambinella alza le spalle e beve un sorso di caffè. È chiaro che non voglia ritrattare.

«Annina c’entra qualcosa con tutto questo?» la incalza Ricciardi. «La bambina trovata morta...»

«…sott’a casa vostra,» completa Bambinella, senza esitazione. «Nu bello guaio pe’ vuje

Ricciardi inclina il capo nel guardarla, con un repentino velo d’irritazione che non riesce a sopprimere.

«Con questo che vorresti dire?»

Bambinella alza entrambi i palmi a placarlo, impassibile.

«Scusate, sto straparlando. Finiamo un discorso, prima di cominciarne un altro,» si corregge, con fare grave.

Ricciardi la fissa negli occhi per lunghi secondi, con una brutta sensazione che gli risveglia l’emicrania, per poi concederle un cenno del capo, invitandola a parlare. Lei stringe il manico della tazzina mezza vuota, inclinandola a destra e a sinistra in un gesto assorto.

«Io su Fernando Gigliolo non so molto, perché a fatica esisteva, come uomo,» esordisce poi. «Ha troncato i rapporti con tutti dopo la guerra, s’è fatto invisibile. La moglie, poi, era moglie tanto per dire, da quando hanno perso il figlio...»

«Hanno perso un figlio?» la interrompe lui di scatto, facendola quasi sobbalzare.

«Nato morto,» specifica lei, senza enfasi, ma in tono sommesso. «Non mi sorprende che non lo sapeste: ne erano al corrente giusto il medico e la levatrice presenti all’epoca... sapeste che fatica per venirne a capo! Fortuna che al marito della levatrice piace divertirsi qua vicino,» commenta, con fare saputo e un’alzata delle sopracciglia ben disegnate. «Mi sa che neanche la vedova ne parla volentieri. Santa donna, pure lei.»

Ricciardi non replica, rievocando la figura di Caterina Gigliolo consumata dalla malattia, eppure così salda, ferrea. Una facciata dalla quale si è forse voluto far ingannare. Non può nemmeno accusarla di aver mentito, visto che, di fatto, gli ha accennato delle opere di carità ed è vero che lei e il marito non hanno mai avuto figli; non vivi, almeno. Perché omettere quella perdita, però, se non per il timore d’esporre un’informazione potenzialmente sensibile? Serra la mandibola con frustrazione: non fa in tempo a scoprire nuovi capi di quella matassa, che si riaggrovigliano all’istante in nodi gordiani ancor più stretti.

«Questo c’entra coi rapporti del colonnello con l’Annunziata?»

Bambinella scrolla le spalle, finendo di bere il suo caffè.

«Se lo chiedete a me, il fu colonnello era ‘asciuto pazzo dopo che ha perso il figliolo suo. Quanto pazzo, dovrete chiederlo alle care suore,» dice, con un sorrisino acido. «Se avesse altri figli, magari illegittimi, nun ‘o saccio, ma pare mettesse a malapena il naso fuori casa e non frequentava il bordello. Usciva solo per andare all’Annunziata ogni domenica... a far chissà cosa,» conclude, posando la tazzina con un tintinnio pericolosamente forte.

Ricciardi legge negli occhi di Bambinella lo stesso, strisciante disgusto che sente montare dentro di sé, a confermare il presentimento del perché quello fosse un caso “delicato” agli occhi del Partito. Ritrovarsi uno stimato esponente, militare pluridecorato, in sospetto di promiscuità con dei minori non si accattiva certo il favore delle masse. Ha l’impressione di aver appena messo i piedi in un pantano particolarmente infido, che rischia di risucchiarlo sul fondo se si arrischiasse ad avanzare.

«Su Annina, invece, sai dirmi qualcosa?» cambia argomento, il tono ancora alterato.

Gli occhi di Bambinella si fanno mesti, le palpebre tinte di un blu pallido s’abbassano come il sipario di un teatro a fine atto.

«Solo che, a quanto m’hanno detto, quella povera creatura l’hanno vista a zonzo per mezza città, prima che finisse là sotto. Pareva cercasse qualcosa, o qualcuno. È stata vista pure all’Arenella, nei dintorni di casa Gigliolo, qualche ora prima che arrivaste voi.»

«Quando, di preciso?»

«All’alba, almeno così ha detto stamattina Corrado Sannio, il portiere di Gigliolo, al caffè qua dietro.»

«A noi non l’ha detto,» osserva Ricciardi, infastidito.

«Commissa’, con tutti gli scugnizzi che girano a Napoli, è già un miracolo che se lo ricordi, considerando che poi s’è ritrovato il padrone accoppato in salotto con la capa aperta,» lo rimbecca Bambinella.

Ricciardi le cede il punto a malincuore. Dopotutto, quando l’avevano interrogato, Annina non era ancora stata ritrovata; non aveva motivo di menzionarla, né loro di porgli domande in merito. Fa tesoro di quell’informazione, un altro fragile filo di collegamento che si ingarbuglia a tutti gli altri. Non è certo di voler scoprire in che modo, dati i sospetti sollevati da Bambinella.

«Senti,» riprende poi, schiarendosi appena la voce, «è una domanda bizzarra... ma tu hai sentito parlare di un tale Munaciello che abbia a che fare con l’Annunziata?»

Bambinella batte le palpebre e drizza il collo magro, interdetta per la prima volta.

«Suppongo non vi riferiate alla leggenda,» commenta, sporgendosi poi verso di lui con interesse. «Lo spiritello volubile che rubacchia o lascia doni alla qualunque e che ogni tanto mi ruba pure il lavoro.»

«No, parlo di una persona reale, in carne e ossa.» Almeno, così spera. «Magari si fa solo chiamare così. Tu ne sai qualcosa?»

«So mille cose, ma mica tutte,» sbuffa lei, arricciando le dita e apparendo seccata; se dalla domanda o da non sapervi rispondere, non saprebbe dirlo.

Ricciardi trattiene un verso esasperato di fronte a quello che si prospetta come l’ennesimo vicolo cieco. Sembra che sia il Munaciello, il vero fantasma di tutto il caso.

«Non fa niente, probabilmente non è importante.»

«Posso chiedere in giro, però,» aggiunge lei, schioccando la lingua con complicità.

Lui annuisce appena, benché affatto speranzoso rispetto ai risultati.

«Grazie, Bambinella,» proferisce irrequieto, levandosi già in piedi.

Ha due obiettivi ben chiari, in mente: l’Annunziata e la vedova Gigliolo. Per ora, tornare alla Real Casa è fuori discussione, pena il rischiare una segnalazione per mala condotta, ma può sempre convocare in urgenza Caterina Gigliolo per interrogarla di nuovo. Certo, i funerali del marito sono domani ed è un tentativo rischioso, né non sa come si manterrà composto dinanzi a lei, ma...

«Commissa’, ‘spettate un poco,» lo ferma Bambinella, rianimandosi.

Lui si blocca, già a mezza via verso la porta, con in viso un’espressione fosca che non riesce a dissipare.

«Hai altre novità sui casi? Altrimenti, non ho tempo per...»

«Assittatevi,» gli intima lei, con un guizzo delle unghie smaltate. «Se avessi dovuto dirvi solo questo, l’avrei detto direttamente al brigadiere.»

«E avresti fatto bene,» la redarguisce. «Avresti reso più celeri le indagini, indirizzandomi subito all’Annunziata.»

«Vero, anche se io v’ho fatto riferire che era urgente, ma voi non vi siete presentato. E non era di questo, che volevo parlarvi: ciò che vi ho detto l’ho saputo solo stamattina. Quindi, a ben pensare, è meglio che siate arrivato solo ora,» conclude, sorridendo innocente. «Ora via, sedetevi, ché è importante.»

Ricciardi esegue controvoglia, le mani strette sulle falde del soprabito. Fissa Bambinella in attesa, con la netta percezione del tempo che continua a scorrere in sottofondo, un ticchettio alla volta.

«Non si tratta del caso,» esordisce infine lei, versandosi un’altra tazzina di caffè, «ma di voi.»

Ricciardi avverte una puntura di spillo tra le scapole, a quelle parole che lo mettono immediatamente sul chi vive. Incrocia le braccia al petto, la mascella in tensione e gli occhi infissi su di lei in attesa di un seguito.

«Diciamo che voi attirate la vostra buona dose di attenzioni, da solo, col fatto che siete nobile, già trentenne e ancora scapolo. E mo’ tenete pure un morto ammazzato sotto casa,» continua lei, portando la tazzina alle labbra. «Non sarebbe un problema… solo che pure il dottore vostro attira fin troppe attenzioni, col suo fare affatto compiacente; capite da voi che, messi insieme manco troppo aumma aumma, diventate un pugno in un occhio,» e fissa il livido sul suo volto, con insistenza.

Ricciardi impiega qualche secondo, a capire il reale significato delle parole di Bambinella: si è arenato su quel “vostro dottore”, che gli ha causato un fischio acuto alle orecchie, come se d’un tratto fosse diventato incapace di sentire a dovere. Si alza in piedi di scatto, furente:

«Bambine’, non sono venuto qui per farmi insultare. Le tue insinuazioni indecenti puoi pure tenertele per te e per i tuoi clienti,» sibila d’un fiato, senza distogliere un istante gli occhi da lei, la mascella che si serra e allenta ritmicamente.

Si rende conto, con un vuoto al petto, di aver usato per definirsi lo stesso aggettivo già usato da Livia, e gli causa più pungente fastidio che sentirlo proferire da lei.

«Commissa’, guardatevi intorno,» ribatte lei, accennando al baldacchino che vela il letto e ai vestiti e all’intimo succinti appesi al filo del bucato, «e guardate pure a me,» conclude, risistemandosi una spallina del prendisole che copre in modo affatto pudico il suo corpo dinoccolato e mascolino, con la peluria che fa capolino dallo scollo. «Vi sembro il tipo di persona che può giudicarvi per una tale fesseria?»

Ricciardi fa scattare gli occhi qua e là, frenando una risposta impulsiva e ben poco garbata, dettata dall’apprensione. Si risistema sulla seduta, sentendo un improvviso calore al volto per il suo accesso da villano. Scuote appena la testa in risposta, incontrando di nuovo gli occhi scuri del femminiello, che non pare affatto risentito. Si limita a tacere, aspettando una sua reazione, come fosse abituato a insulti ben più diretti del suo. Ricciardi prende un respiro profondo, inudibile, e puntella i gomiti sul tavolo, una mano a sorreggersi la fronte. L’emicrania ha ripreso a battervi, prepotente.

«Chi altri lo sa?» chiede infine, abbandonando la maschera.

«Nessuno di conseguenza, se escludiamo la vedova Vezzi; o la signora Lucani, che dir vogliate.»

Ricciardi serra gli occhi e non prova nemmeno a chiederle come sia venuta in possesso di quell’informazione; il solo pensare alla fragilità di quel segreto gli fa mancare la terra sotto i piedi.

«Oh, allora avevo ragione,» si ringalluzzisce lei, al suo silenzio rivelatore. «Non è un pegno d’amore da poco, se tiene chiuso il becco sul vostro conto, nonostante...»

«Bambinella, vieni al punto, per piacere,» sbotta lui, stringendosi le tempie e celando per un istante gli occhi, prima di piantarglieli di nuovo addosso. «Se vuoi dirmi di stare attento, lo so già da me.»

«Commissa’, il punto è che la gente può sparlare quanto vuole: parla e parla e tutti continuano a vivere con un amante scomodo nel letto o il portafoglio più vuoto dopo il bordello. Sapeste quanti padri di famiglia mi capitano alla porta, sapeste quante camicie nere mi minacciano di morte se esce parola che son stati qui. E lo sa mezza Napoli, che il gran funzionario di Partito Pivani si fa fottere da un effeminato, ma tutti zitti e mosca. Persino vuje.» Gli rivolge un sorrisino, che Ricciardi non ricambia. «Le voci sono solo voci e campiamo tutti senza pensieri, almeno finché non arrivano, chissà per bocca di chi, sempre alle orecchie sbagliate.»

Ricciardi esita per un lungo momento, incerto su come interpretare quelle parole, per poi ribattere con forza:

«Livia non mi esporrebbe mai.» Lo dice forse con più convinzione di quanto sarebbe ragionevole avere; ma Bambinella ha ragione, il silenzio è il pegno d’amore più grande che la donna gli abbia mai donato. «Mi rifiuto di crederci, se qualcuno te l’ha detto.»

«Non v’angustiate. Io non mi preoccuperei della signora Lucani, che penso vi ami troppo per fare alcunché, quanto della persona che le vive alle spalle e sente e sa tutto di lei, che lei lo voglia o meno,» lo raggela Bambinella. «Quella a cui, in effetti, voi dovete un favore. E pure il dottore vostro.»

Un rivolo freddo gli scivola lungo la schiena, una singola goccia d’acqua stillata da una roccia sotterranea. Sa perfettamente di chi stia parlando Bambinella, anche se quella persona non ha un volto, né una presenza solida nella sua mente. Se non per la consapevolezza che è grazie alla sua silenziosa intercessione, mesi fa, che Bruno è ancora vivo e non al confino a Ventotene; o peggio.

È un’ombra nascosta per lui ma fin troppo netta per Livia, tanto da spingerla a superare la barriera tra loro per avvertirlo di persona. A presentarsi in Questura, con quella scusa che gli era sembrata così labile, fabbricata all’occorrenza. Per salutare Caterina Gigliolo e informare lui del caso “delicato”, certo; ma anche per dirgli di stare attento a come si muove. A come si muovono, Bruno e lui, su quella scacchiera minata.

Bambinella si sporge verso di lui, d’un tratto serissima come non lo è stata finora, con la bocca imbellettata ridotta a una fessura.

«Fossi in voi, visto che già camminate sui carboni ardenti, starei molto attento alle mie frequentazioni e a non incrementare il mio debito con questa persona. Lo sa Dio, quando potrebbe decidere di venire a riscuoterlo.»

 

Note dell'Autrice:
Cari Lettori,
come vedete, le cose iniziano a scaldarsi un po'...
Alzi la mano chi aveva mangiato la foglia sulla misteriosa "informazione" che Bambinella doveva rivelare a Ricciardi! Non a caso, ho badato bene a tenerlo ben lontano da lei il più possibile, tra un evento e l'altro ;)
E il fatto di aver avuto un omicidio sotto casa è assolutamente rilevante, almeno all'occhio pubblico. Ricciardi è pur sempre un nobile privilegiato, oltre che commissario di polizia, e non dà troppo peso al reale pericolo che un fatto simile si porta appresso, ma non vuol dire che esso non sussista.
In tutto ciò, spero che il caso Gigliolo stia prendendo una piega interessante, sebbene non piacevole (e sì, questo è l'ulteriore motivo per cui ho inserito l'avvertimento "tematiche delicate").
A lunedì! (con un capitolo un po' più breve del solito, ma che spero vi piaccia ugualmente ♥)

-Light-

P.S. Bambinella ha un modo di parlare estremamente colorito e vivace (oltre che poco politicamente corretto) e ho osato un po' di più col dialetto, con le dovute ricerche. Ma per l'amor del cielo, se parlate napoletano e notate orrori DITEMELO che provvedo a correggere e/o modificare :')

 

   
 
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